IL GIUDICE DI PACE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di opposizione a
decreto  ingiuntivo  n. 575  del R.G. relativo all'anno 2003 promossa
dalla Regione Puglia (opponente);
    Contro  Greco  Costantino  +1  (opposto) nonche' contro Ministero
delle politiche agricole e forestali (chiamato in garanzia).

                      Svolgimento del processo

    Con  ricorso  ingiuntivo,  il cui decreto e' stato poi emesso dal
Giudice  di  pace  di Campi Salentina con il n. 255/03, i sigg. Greco
Costantino  e  Greco Maria Rosaria, ambedue residenti in Novoli (LE),
nella   loro   qualita'   di   eredi  di  Greco  Antonio,  chiedevano
riconoscersi  da  parte  della  Regione Puglia, il debito del residuo
della somma allo stesso Greco Antonio spettante ai sensi dell'art. 2,
comma  2,  del  d.l.  6  dicembre  1990,  n. 367, convertito in legge
n. 31/1991,  che  attribuiva  il contributo una tantum di " 2.000.000
per  ettaro a favore delle aziende olivicole-viticole del Mezzogiorno
che nell'annata agraria 1989/1990 erano state colpite dalla siccita'.
    Infatti,  il  Greco  Antonio  si  era  visto pagare dal Comune di
Novoli  - a seguito della specifica apposita procedura amministrativa
svolta  dalla  Regione  Puglia  per  il  tramite dei sottostanti enti
locali  (Provincia di Lecce e Comune di Novoli), a cio' appositamente
delegati,  la  somma  di  "  428.591 (cfr. delibera G.M. n. 608 del 2
ottobre  1996) mentre, a definizione della procedura accertativa, gli
erano  state  riconosciute ". 5.483.600 di sovvenzioni (cfr. delibera
G.M.  n. 174  del  19  febbraio 1992): il pagamento in misura ridotta
delle  spettanti  sovvenzioni  avveniva  in  ripartizione percentuale
(7,81588 dell'effettivo riconosciuto) dei fondi appositamente messi a
disposizione dalla Regione Puglia.
    Gli  eredi  del Greco Antonio, frattanto deceduto, atteso il loro
interesse a ricevere il resto di quanto spettante al loro dante causa
in  base  alla  citate delibere comunali, hanno intentato la suddetta
procedura monitoria ottenendo il decreto n. 255/2003.
    Si opponeva a detto decreto ingiuntivo la Regione Puglia con atto
di   citazione  notificato  agli  eredi  Greco  il  4 novembre  2003,
richiedendo:
        1)  in primis, autorizzare la Regione Puglia alla chiamata in
causa del Ministero delle politiche agricole e forestali;
        2)  preliminarmente  dichiarare l'incompetenza per territorio
del  Giudice  di  pace di Campi Sal.na (LE) in favore dell'omologo di
Bari ;
        3)  in via gradata, dichiarare l'intervenuta prescrizione del
diritto  rivendicato e, per l'effetto, revocare il decreto ingiuntivo
opposto;
        4)  in  via  ulteriormente  gradata, dichiarare il difetto di
legittimazione passiva della Regione Puglia;
        5) nel merito, rigettare le avverse pretese perche' infondate
in  fatto  e  diritto  e,  per  l'effetto,  dichiarare in efficace e,
quindi, revocare il decreto ingiuntivo opposto;
        6)  nella denegata ipotesi che venga accolta ivversa domanda,
previa  revoca  del  decreto  ingiuntivo  opposto nei confronti della
regione,   condannare   direttamente  il  Ministero  delle  politiche
agricole e forestali al pagamento delle provvidenze in parola oppure,
in  subordine,  condannare  sempre  il  predetto dicastero a rivalere
l'amministrazione  opponente  per gli oneri che il giudicante dovesse
eventualmente porre a carico della stessa;
        7) con vittoria di spese e competenze di lite.
    In  particolare,  motivava  nel merito la Regione Puglia che essa
nella  questione  c'entrava  solo  perche'  aveva  «provvisoriamente»
pagato  all'interessato  -  nel limite dei fondi messi a disposizione
dallo Stato - quanto allo stesso riconosciuto negli atti emessi dalla
provincia  a  conclusione  della  istruttoria compiuta dai comuni; da
cio'  la  sua  richiesta  della  condanna diretta del Dicastero delle
politiche  agricole alla cui responsabilita' doveva farsi risalire la
mancata  messa  a disposizione degli ulteriori fondi (pure richiesti,
tempestivamente e reiteratamente) necessari per l'integrale pagamento
delle sovvenzioni dovute agli agricoltori.
    Si  costituivano  altresi'  i  titolari  del  decreto  ingiuntivo
opposto i quali richiedevano:
        1) in via preliminare:
          rigettare  tutte  le  eccezioni preliminari, proposte dalla
difesa  della Regione Puglia e del Ministero delle politiche agricole
e forestali, confermando la propria competenza sotto ogni profilo;
        2) nel merito:
          condannare  «la  parte o le parti soccombenti» al pagamento
delle  somme  dovute  a  titolo di sorte capitale ed interessi, cosi'
come liquidati nel decreto ingiuntivo opposto;
          condannarli altresi' «al pagamento delle spese e competenze
legali liquidate nel D.I. opposto, nonche' tutte le altre successive,
ivi  comprese  quelle  della  presente causa, oltre IVA e CAP come da
nota  specifica  che  si  produce»  ... «con distrazione a favore del
difensore anticipatario».
    Nel corso della prima udienza, su richiesta della Regione Puglia,
veniva autorizzata la chiamata in causa del Ministero delle politiche
agricole e forestali.
    Costituitosi,  detto  Dicastero  evidenziava come «Il danneggiato
della   calamita'  naturale  non  puo'  ....  vantare  alcun  diritto
soggettivo  al  ristoro  dell'intero  danno patito (e, in altro punto
della  comparsa,  "gli  interventi  di  soccorso sono da considerarsi
semplici  aiuti  per  favorire  la ripresa economica e non interventi
risarcitori  del  danno  subito");  la sua pretesa deve cioe' semmai,
essere  limitata,  in  rapporto agli importi effettivamente stanziati
dallo  Stato  per  la  particolare  situazione  di  emergenza  ed  in
proporzione  alle domande effettivamente prodotte dalle varie aziende
toccate  dall'avvenimento»:  con la conclusione che «la regione e gli
altri   enti   delegati   (comuni)   avrebbero  dovuto  contenere  il
riconoscimento  degli  aiuti  una  tantum  nei  limiti  delle risorse
disponibili».
    Insisteva   particolarmente   l'Avvocatura  dello  Stato  per  la
risoluzione della eccezione relativa alla prescrizione del diritto ex
art. 2946   c.c.   atteso  che  «i  fatti  lamentati  si  riferiscono
all'annata   agraria   1989/1990,   gli  atti  legislativi  risalgono
all'inizio  del  1991,  mentre  la  domanda risale al novembre 2003».
Tanto  anche  in considerazione che al Ministero non risultavano atti
interruttivi della prescrizione.
    All'udienza del 14 ottobre 2004, a cui si era pervenuti dopo aver
risolto   con   provvedimento   parziale   di   infondatezza   (sent.
n. 291/2004)  le  varie  eccezioni  preliminari  avanzate da tutte le
parti,  e  cioe':  a)  incompetenza territoriale di questo giudice di
pace;  b)  prescrizione  del  diritto  dell'agricoltore  opposto;  c)
carenza   di   legittimazione   passiva   dell'ente   opponente;   d)
illegittimita'  costituzionale dell'art. 11 della legge n. 31/1991 di
conversione del d.l. n. 367/1990; e) illegittimita' della imposizione
alla  Regione Puglia, ex lege n. 31/1991, di colmare con propri fondi
il debito statale di ben 4.950 miliardi (di vecchie lire); f) difetto
di  mandato  al  difensore  della  regione Puglia, le parti medesime,
essendo  nel  frattempo  intervenuta  la disposizione di cui all'art.
8-septies,  commi  1  e  2, della legge 27 luglio 2004, n. 186, hanno
cosi' richiesto:
        per  gli  eredi  Greco, sollevare eccezione di illegittimita'
della  citata disposizione con riferimento agli artt. 101, 102, 104 e
24, oltre che con riferimento all'art. 3 Cost.;
        per  la  Regione  Puglia,  termine per dedurre in merito alla
pretesa incostituzionalita' della disposizione legislativa;
        per  il Ministero dell'agricoltura, rigettare la domanda (con
vittoria   di  spese  e  compensi)  atteso  che  «le  tesi  sostenute
dall'Avvocatura  dello  Stato  sono state confermate pienamente dalla
legge  186  ... », chiedendo comunque termine per il deposito di note
scritte.

                      Rilevanza della questione

    In  assenza  delle note deduttive pure richieste dal legale della
Regione  Puglia  e  dall'Avvocatura  dello  Stato, sembra opportuno a
questo  giudice  di  pace di riassumere in breve i termini fattuali e
normativi   in   cui   e'   sorta  e  si  e'  sviluppata  la  vicenda
antecedentemente  alla  disposizione  legislativa di «interpretazione
autentica» di cui ai commi 1 e 2 dell'art. art. 8-septies della legge
27 luglio 2004, n. 186.
    Nell'annata agraria 1989/1990 le aziende olivicole e viticole del
Mezzogiorno furono colpite da una eccezionale siccita'.
    Il   Governo   dell'epoca,   proprio   in   considerazione  della
eccezionalita' dell'evento calamitoso che aveva colpito l'agricoltura
meridionale  (e, per altro verso, anche il settore agricolo a livello
nazionale),   ritenne   di   dover   intervenire   per   il  sollievo
dell'economia  agricola,  cosi'  duramente  colpita dagli eccezionali
eventi atmosferici.
    Fu  pertanto  adottato, in data 6 dicembre 1990, il decreto legge
n. 367  con il quale - in un contesto complesso di aiuti alle aziende
agricole  («provvidenze», a termini della legge) - veniva «attribuito
un  contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro a favore delle
aziende  olivicole  e viticole del Mezzogiorno colpite dalla siccita'
nell'annata  1989-90  che abbiano subito un danno superiore al 50 per
cento dell'intera produzione lorda vendibile e ricadenti nelle aree a
tal  uopo  delimitate».  Il beneficio in questione fu contenuto dalla
legge  di  conversione  -  la n. 31 del 30 gennaio 1991 - nel «limite
massimo di cinquanta milioni ad azienda» (vd. art. 2, comma 2).
    Ai  sensi  del  successivo  art. 10  di  detto  decreto legge, le
provvidenze  da  esso stabilite dovevano essere erogate dalle regioni
sulla base della presentazione, da parte dei richiedenti, di apposita
documentazione  che  sarebbe  stata  presa  in  esame dai comuni che,
insieme  alle province, erano gia' stati delegati con legge regionale
n. 24 del 1990 ad istruire le pratiche relative a questa materia.
    Ai  sensi  del  secondo  comma del predetto art. 10, toccava alle
regioni  di  pubblicare  «l'elenco  nominativo  dei  beneficiari  del
presente  decreto, l'ammontare delle provvidenze concesse a ciascuno,
nonche' il comune di appartenenza».
    Il  successivo  art. 11  del  decreto  legge  prevedeva  che  «1)
All'onere derivante dall'attuazione del presente decreto, valutato in
lire 650 miliardi per 1990 e in lire 250 miliardi per l'anno 1991, si
provvede  a  carico  delle  dispolibilita'  del Fondo di solidarieta'
nazionale  in  agricoltura  di  cui all'art. 1 della legge 15 ottobre
1981,    n. 590   e   successive   modificazioni   ed   integrazioni,
appositamente  integrato:  a)  di  lire 450 miliardi per il 1990 e di
lire 100 miliardi per il 1991 mediante corrispondente riduzione delle
disponibilita'  del  capitolo  7759  dello  stato  di  previsione del
Ministero   del  tesoro,  rispettivamente,  per  gli  anni  suddetti,
all'uopo  intendendosi  ridotta di pari importo, per i medesimi anni,
l'autorizzazione  di  spesa  di  cui  all'art. 1 della legge 1° marzo
1986,  n. 64;  b)  di  lire  200  miliardi  per  l'anno 1990 mediante
corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto al capitolo 9001
dello  stato  di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1990,
all'uopo  utilizzando,  quanto  a  lire 50 miliardi, l'accantonamento
«Interventi  nel settore delle opere di irrigazione» e, quanto a lire
150  miliardi,  parte  dell'accantonamento «Interventi a favore della
Regione  Sardegna  ivi  compresi  quelli  destinati  a  realizzare la
contiguita'  territoriale».  2) Il Ministro del tesoro e' autorizzato
ad  apportare,  con  propri  decreti,  le  occorrenti  variazioni  di
bilancio».
    Come  enunciava  la  stessa  regione  nell'atto  di  citazione in
opposizione, «Le risorse finanziarie rivenienti dal riparto del Fondo
di  solidarieta'  nazionale  in  agricoltura  di cui all'art. 1 della
legge  15  ottobre  1981, n. 590, assegnate alla Regione Puglia dallo
Stato,  necessarie  per  liquidare  agli  agricoltori  danneggiati le
provvidenze   di   cui   alla  richiamata  legge,  si  sono  rivelate
insufficienti  a  coprire  per  intero  il  fabbisogno  accertato dai
competenti enti locali.
    Difatti,  a  fronte  di  danni denunciati dalla Regione Puglia al
Ministero  dell'agricoltura  e  delle foreste pari a " 1.072 miliardi
circa, come si evince dalla nota prot. 2024 - F del 14 novembre 1990,
indirizzata dal precitato Dicastero alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Segreteria della Conferenza Stato regioni, con d.m. n. 424
del  31  luglio 1991, lo Stato assegnava alla Regione Puglia soltanto
la  somma  di  "  165.095 milioni per attuare gli interventi previsti
dalla legge n. 31/1991.
    In ragione di tale rilevante circostanza, con deliberazione n. 53
del  9  luglio  1991  il  Consiglio  regionale,  previa  presa d'atto
dell'entita'  del  finanziamento  assegnato  dallo  Stato,  detta  le
direttive  affinche'  si  desse  attuazione  agli interventi previsti
dalla  legge  n. 31/1991,  destinando per il contributo una tantum la
somma di " 23 miliardi.
    Con   provvedimento  n. 7161  del  28  dicembre  1992  la  giunta
regionale  deliberava, fra l'altro, il riparto fra le cinque province
pugliesi  del  citato  contributo,  versato alla Regione Puglia dallo
Stato  con  d.d.,  nn. 566  del 29 novembre 1991 e 249 dell'8 gennaio
1993 del Ministero dell'agricoltura e foreste.
    A  seguito  di  tanto, alla Provincia di Lecce veniva concessa la
somma  di  ".  4.733.400.000  per  indennizzare le aziende viticole e
olivicole  danneggiate  dagli  eventi  avversi, ai sensi dell'art. 2,
comma 2 della legge n. 31/1991.
    Con  provvedimento  n. 1560  del 24 maggio 1996 l'Amministrazione
provinciale  di  Lecce, previa presa d'atto della esiguita' dei fondi
messi  a  disposizione  dallo Stato, deliberava di spartire in misura
percentuale  ai comuni della propria provincia, i fondi destinati dal
consiglio  regionale  per attuare gli interventi previsti dalla norma
appena  richiamata.  Con  successivi  atti  i comuni pubblicavano gli
elenchi  dei  beneficiari  con  gli importi del contributo concesso a
ciascuno.
    Con   deliberazione   n. 2640  del  19  giugno  1996  l'Esecutivo
regionale  disponeva  il  trasferimento della provvista finanziaria a
favore  dei  comuni  interessati  della Provincia di Lecce e, quindi,
anche per quello di Novoli, nella stessa misura percentuale richiesta
dalla medesima provincia con il richiamato provvedimento.
    Ne  consegue  -  espone  ancora l'ente regione nella citazione in
opposizione - che a tutti i soggetti destinatari delle provvidenze de
quibus  e,  quindi, anche dell'odierno opposto sono state liquidate e
pagate  somme nella misura percentuale rispetto a quelle indicate dal
competente  ente  locale  al  termine  fase  istruttoria,  cosi' come
peraltro deliberato dalla Provincia di Lecce col menzionato atto».
    Indipendentemente  dai  lunghi  tempi  occorsi  per  il pagamento
parziale   da   parte   dei  comuni  delle  provvidenze  riconosciute
dall'istruttoria  espletata dagli stessi comuni («tempi tecnici» come
sopra  cosi' analiticamente esposti dalla Regione Puglia nell'atto di
citazione  in opposizione), resta comunque che la Regione Puglia, con
nota n. 7586 del 13 novembre 2001, aveva gia' provveduto a comunicare
al  Ministero dell'agricoltura (rectius, al Ministero delle politiche
agricole  e  forestali,  Direzione  generale  politiche  agricole  ed
agroindustriali  -  Div.  VIII  -  Roma),  con  riferimento  a quanto
richiesto  per  vie  brevi,  che  l'ulteriore  somma  a copertura del
fabbisogno  per  gli  interventi  alle  aziende agricole ad indirizzo
viti-olivicole  danneggiate  dalla  siccita' e' di " 234.859.291.290,
allegando   apposita  «tabella  riepilogativa  in  cui  si  evidenzia
l'ulteriore   fabbisogno   per  singolo  territorio  provinciale  per
soddisfare  gli interventi previsti dall'art. 2, comma 2, della legge
n. 31/1991».
    Nella costante giurisprudenza ormai gia' abbondantemente prodotta
da questo giudice di pace, una volta determinato che il beneficiario,
incluso  nell'elenco  stilato  dall'ente  comunale a compimento della
delegata    istruttoria   (condotta   con   metodi   fors'anche   non
eccessivamente  «rigorosi»,  ma  e'  ormai  tardi  per recriminare in
merito),  aveva  effettivamente  percepito  da detto comune, delegato
anche   al   pagamento   delle   provvidenze  sulla  base  dei  fondi
insufficientemente   messi   a  disposizione  dalla  Regione  Puglia,
soltanto  una  somma minore di quella spettantigli (quale determinata
con metodo rigoroso di percentuale), restava da individuare chi fosse
il  soggetto  -  lo  Stato,  e  per esso il Ministero delle politiche
agricole  e  forestali,  oppure  la  Regione  Puglia oppure ancora la
Provincia di Lecce o, infine, il comune di residenza del beneficiario
-  tenuto  a  corrispondere  all'avente  diritto  la  residuale (o la
«principale»!)    somma    ancora   dovutagli   in   base   all'esito
dell'istruttoria  oppure, il che era piu' pregnante, a quale soggetto
attribuire  la  responsabilita'  di  mancato  pagamento  delle intere
provvidenze spettanti al ripetente per decreto ingiuntivo.
    Sembrava  a questo giudice di poter pacificamente escludere dalla
lista:
        il  comune  di  residenza  del  beneficiario che aveva bensi'
avuto  in  delega  (oltre che di istruire le domande dei danneggiati)
anche il compito di pagare le somme dovute ai singoli agricoltori, ma
sulla  base  dei  fondi  posti a disposizione dalla Regione Puglia in
quantita'  insufficiente  per pagare l'intera somma spettante in base
agli elenchi degli aventi diritto;
        ma  andava  esclusa  anche  la  Provincia di Lecce, che aveva
avuto,  per  delega,  soltanto il compito di pubblicare (dopo l'ovvia
attivita'  di  controllo)  l'elenco  dei  danneggiati  aventi diritto
all'una  tantum  quali  compilati  dai  singoli  comuni, oltre che il
compito   di   prendere  atto  della  esiguita'  dei  fondi  messi  a
disposizione  dallo  Stato  e  di  assumere  la  deliberazione  (cfr.
provvedimento delle giunta provinciale n. 1560 del 24 maggio 1996) di
ripartire   in   misura   percentuale   ai   comuni   della   propria
circoscrizione  territoriale gli esigui fondi postigli a disposizione
dalla Regione Puglia;
        ma  riteneva  questo  giudice  anche  di  dover  escludere la
Regione  Puglia  in quanto la stessa era ancora in attesa di ricevere
dal   Ministero   dell'agricoltura  la  provvista  economica  (idest,
«fondi») nella misura sufficiente a completare l'erogazione delle una
tantum  riconosciuta agli aventi diritto. Si precisava, peraltro, che
la  Regione  Puglia  aveva  debitamente  rappresentato  al  Ministero
dell'agricoltura   (suo  referente  per  l'occorrenza)  e  nella  sua
interezza  il proprio fabbisogno necessario per il pagamento dell'una
tantum,  come  si  evince  dalla  nota prot. n. 2024/F indirizzata da
detto Ministero il 14 novembre 1990 alla Presidenza del Consiglio dei
ministri, che sentita la Conferenza Stato-regioni aveva deciso invece
di  assegnare  alle  regioni  tutte,  e per tutte le esigenze da esse
rappresentate,  fondi  «che  si sono rivelati insufficienti a coprire
per intero il fabbisogno accertato dai competenti enti locali».
    Concludeva, pertanto, questo giudice di pace: «E' stato quindi lo
Stato,  e per esso il Ministero delle politiche agricole e forestali,
dapprima a decidere comunque per l'assegnazione alle regioni di fondi
insufficienti  per l'erogazione parziale della una tantum e poi a non
provvedere  al  reperimento ed alla ulteriore assegnazione di fondi a
completamento  delle  prima  assegnazione. Fondi questi - si ripete -
pure  a  suo tempo debitamente chiesti dalle regioni interessate alla
erogazione  delle  provvidenze come determinate dai singoli comuni di
residenza  dei  danneggiati,  e,  per  quanto  ci riguarda, richiesti
ancora  una  volta dalla Regione Puglia che ha provveduto a rinnovare
la richiesta con nota n. 7586 del 13 novembre 2001».
    Risultato  questo al quale d'altronde si perviene ove si analizzi
la  specifica regolamentazione contenuta nella legge 15 ottobre 1981,
n. 590,  che  detta  le  «Nuove  norme  per  il Fondo di solidarieta'
nazionale»,  cioe'  (art. 1,  1°  comma)  di  quel  «conto  corrente»
infruttifero     cosi'    denominato,    intestato    al    Ministero
dell'agricoltura  e  delle  foreste,  dal quale - una volta dotato di
fondi  (all'atto  di  formulazione della legge sono assegnati a detto
fondo solo «400 miliardi di lire per ciascuno degli anni successivi»)
- le regioni possono prelevare le somme occorrenti (art. 1, 2° comma,
lett.  a),  n. 1)  per  i  primi  interventi  in  caso  di  calamita'
eccezionali e piu' specificamente per provvedere all'erogazione di un
contributo  una  tantum a parziale copertura del danno. «Il Ministero
dell'agricoltura  e  delle foreste ....dispone con proprio decreto il
prelevamento  dal  Fondo  ed il riparto delle somme da destinare agli
interventi  indicati nell'art. 1, sulla base delIe richieste di spesa
delle regioni».
    Deduceva,  quindi,  questo giudice di pace (sempre nella prodotta
giurisprudenza)  che  era proprio quanto era successo nei casi di cui
era   stato  man  mano  investito  dai  «titolari  inappagati»  della
sovvenzione  di cui trattasi: il Governo, con il decreto legge n. 367
del 1990 (poi convertito dal Parlamento in legge n. 15 del 1991), una
volta  che  aveva riconosciuto l'accadimento «di calamita' naturali o
di avversita' atmosferiche di carattere eccezionale», aveva deciso di
intervenire  a  sollievo  delle  aziende  danneggiate,  addossando il
carico  del  «pronto  intervento» al citato Fondo (gia' istituito con
legge   n. 15/1981).   Ed   infatti,  come  recita  la  legge  n. 31,
all'art. 11, commi 1 e 2, il Ministero del tesoro doveva essere, e fu
autorizzato   dal   decreto  legge  alle  «occorrenti  variazioni  di
bilancio»  per  trasferire al citato Fondo la provvista (400 miliardi
per  il  1990  e  250 miliardi per il 1991) alla quale le regioni poi
avrebbero  attinto  per il «primo (pronto) intervento» non appena che
il  Ministero  dell'allora  agricoltura  avesse deciso in merito alla
ripartizione  della provvista in bilancio. Dice, infatti, il 1° comma
dell'art. 3  della  legge  n. 590/01  (e  si  ripete, regolatrice del
«Fondo di solidarieta' nazionale») che «il Ministero dell'agricoltura
e delle foreste dispone con proprio decreto il prelevamento dal Fondo
ed  il  riparto  delle  somme  da  destinare agli interventi indicati
nell'art. 1   (cioe',   ai   pagamenti   relativi   ai  "primi/pronti
interventi") sulla base delle richiese di spesa delle regioni».
    Trattasi  quindi  di  un  «conto  corrente»  non sempre aperto al
prelievo:  detto  prelievo  e'  bensi'  consentito per sovvenire alle
esigenze delle regioni, ma soltanto per quelle esigenze «autorizzate»
dal Ministero delle politiche, agricole e forestali.
    E  che  cio'  sia,  trova conferma nel secondo comma dello stesso
art. 3  che  cosi'  recita:  «La  prima ed, eventualmente, la seconda
annualita'   relative   ai  contributi  dipendenti  dalle  richiamate
agevolazioni  creditizie  fanno  carico  alla somma da prelevarsi dal
Fondo ai sensi dei precedenti commi (cioe', sino a 440 + 250 miliardi
di   lire,   nota  dell'estensore).  Le  successive  annualita'  sono
iscritte, per ciascun anno, nello stato di previsione della spesa del
Ministero  dell'agricoltura  e  delle foreste». E' in questo stato di
previsione  quindi  che bisognava cercare le somme - una volta che le
stesse  siano state richieste nel formulare il bilancio di previsione
del   citato  dicastero  -  per  pagare  quanto  ancora  dovuto  agli
agricoltori danneggiati dalla siccita' nell'annata agraria 1989/1990,
inseriti negli appositi elenchi comunali.
    A  fronte  di  una  siffatta  cosi' chiara regolamentazione della
materia, con l'ovvia integrazione dei principi tecnico-finanziari che
regolano  il bilancio pubblico, non ha chi non veda - si diceva nelle
numerose  sentenze  emesse  da  questo  giudice  di pace - come unico
depositario  delle  «provviste»  per la corresponsione ai beneficiari
della  «provvidenza»  (tali riconosciuti a definizione del prescritto
procedimento  accertativo),  cioe' del contributo una tantum in tutta
la  sua  interezza  quale  attribuito  da  una legge dello Stato, sia
esclusivamente  la  amministrazione  statuale,  e  cioe' il Ministero
delle  politiche  agricole e forestali cui compete, e per l'occasione
competeva  in  attuazione  della  legge  n. 31  del 1991, formulare i
decreti  (di  cui nessuno, e in particolare l'Avvocatura dello Stato,
ha   dichiarato   l'intervenuta   adozione)   con  i  quali  porre  a
disposizione  delle  regioni  i  fondi  occorrenti  per completare il
pagamento della provvidenza una tantum per cui erano cause.
    Allo  stato dei fatti e della giurisprudenza ormai assai costante
-  si  e' a conoscenza di altro giudice di pace che, pur riconoscendo
il  buon diritto degli agricoltori interessati, condannava la regione
al pagamento delle residuali somme con diritto pero' di rivalsa verso
il  Ministero  delle  politiche  agricole  -  e'  intervenuta la c.d.
disposizione   di  «interpretazione  autentica»  di  cui  alla  legge
n. 186/2004 che cosi' recita: «art. 8--septies (Contributo una tantum
alle  aziende colpite dalla siccita' nell'annata 1989-1990). Comma 1:
il   contributo   una  tantum  previsto  dall'art. 2,  comma  2,  del
decreto-legge 6 dicembre 1990, n. 367, convertito, con modificazioni,
dalla  legge 30 gennaio 1991, n. 31, a favore delle aziende olivicole
e  viticole colpite dalla siccita' nell'annata agraria 1989-1990 deve
intendersi   erogabile   dagli   enti  territoriali  entro  i  limiti
dell'autorizzazione  di  spesa  di  cui  all'articolo 11 del medesimo
decreto-legge  e  nell'ambito  della  quota destinata a ciascun ente.
Comma 2: al citato art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 367 del 1990
le parole "di lire" sono sostituite dalle seguente: "fino a lire"».
    Che detta disposizione non abbia i caratteri propri di una «legge
interpretativa» viene evidenziato in maniera lampante dal secondo dei
commi  di cui essa e composta. Come recita codesta stessa Corte delle
leggi  nella  sentenza n. 233/1988 «Siffatta qualificazione giuridica
spetta ...  a quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e
saldandosi  con altre disposizioni (quelle interpretate) intervengono
esclusivamente  sul  significato  normativo  di queste ultime (senza,
percio',  intaccarne  o  integrarne  il dato testuale), chiarendone o
esplicitandone  il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone
o  enucleandone  uno  dei  sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni
caso,  di imporre all'interprete un determinato significato normativo
della disposizione interpretata».
    Orbene,  nel  caso  di  specie  nessun  dubbio  interpretativo e'
possibile   stante   la   estrema  chiarezza  del  testo  legislativo
originario sul quale nessuno, eccetto - fors'anche solo per dovere di
parte  -  l'Avvocatura  dello  Stato,  ha  mai avanzato dubbi (mentre
«scopo  dell'interpretazione autentica e' proprio quello di superare,
sulla  base  della  forza  normativa,  le  incongruenze determinatesi
nell'applicazione  della  legge»,  cosi' in Corte cost., 12/31 luglio
1990,  n. 380):  lo  Stato  ha  deciso  di  alleviare  le «sofferenze
economiche»  rivenienti  agli agricoltori da un evento eccezionale ed
ha  statuito  di  concedere  a  coloro  di  costoro  in  possesso dei
requisiti stabiliti dalla stessa legge, e verificati dalla prescritta
procedura amministrativa, una somma una tantum pari a ". 2.000.000 ad
ettaro  con  un  limite massimo (si badi bene !) di ". 50.000.000 per
ciascuna  azienda  colpita  dal  disastroso  evento (art. 2, comma 2,
della legge n. 31/1991).
    ll  fatto  e'  che  il  Governo  dell'epoca  (siamo  nel 1992) ha
dimenticato  di porre nel bilancio di previsione 1992 e successivi lo
stanziamento  dei  fondi  necessari per la integrale attuazione della
legge  n. 31, anche se la entita' degli ulteriori fondi necessari era
stata  debitamente  e tempestivamente rassegnata dalla Regione Puglia
per  quanto  ci  riguarda,  ma  immaginiamo  anche  da tutte le altre
regioni   dello   Stato  interessate  al  provvedimento  legislativo,
peraltro  complesso  nella  sua  articolazione  in quanto si occupava
delle  difficolta'  economiche  in  cui  si  dibattevano  non solo le
aziende agricole pugliesi.
    Ed  ecco  allora  la disposizione di cui all'art. 8-septies della
legge   n. 186   la   quale  (ancora  richiamando  ed  applicando  le
statuizioni  della  sentenza  n. 233/1988 di codesta Corte) «sotto la
veste surrettizia di una norma di interpretazione autentica, modifica
in  realta'  la  precedente  disposizione»,  qui limitando i «diritti
economici»  concessi  ai  cittadini  in modo da escludere non tutti i
beneficiari  (alcuni di essi hanno gia' percepito l'intero dovuto) ma
solo   quelli   che,  fidando  nella  correttezza  istituzionale  dei
governanti,  hanno  atteso ben 15 anni prima di richiedere «il saldo»
della provvidenza ancora loro spettante.
    Indipendentemente  dalla  circostanza che non si ha notizia di un
sintomatico   stato   di   confusione   nella  interpretazione  della
legislazione  ora  interpretata autenticamente dalla disposizione che
si  impugna  per illegittimita' costituzionale, sorge il sospetto che
di  detta  «interpretazione autentica» («affrettatamente» aggiunta in
un  provvedimento legislativo di conversione di decreto legge) si sia
sentita  la  necessita'  in  concomitanza  delle numerose persistenti
condanne dell'Amministrazione pubblica, anche in vista delle numerose
altre  in  avanzato  stato  di  emanazione,  sicche'  viene  naturale
ipotizzare  un  contrasto  di questa legge con i disposti di cui agli
artt. 101  e  104  della  Costituzione  (cfr.  al proposito la chiara
direttiva di cui alla Corte cost. 19 marzo - 4 aprile 1990, n. 155).
    Il  legislatore  -  a sommesso avviso di questo giudice di pace -
«oltrepassando   i   limiti   della   ragionevolezza,   ha   definito
interpretativa  una  disciplina  che,  invece,  ha natura innovativa»
(ancora  in  Corte Cost. n. 155/1990) e che - posta in una articolata
normativa  che  attiene  a  tutt'altra  diversa materia relativa alla
funzionalita'  degli  Uffici  pubblici:  forze armate, societa' Dante
Alighieri,  dirigenti dello stato e quant'altro - ha il solo scopo di
diminuire  gli  oneri  economici dello Stato negando ora ai cittadini
quei diritti prima concessi.
    «Ne'  puo'  omettersi  di  rilevare  -  continua  la  gia' citata
sentenza  n. 155/1990  avuto  riguardo  all'effetto  funzionale della
disposizione   impugnata  -  che  l'irretroattivita'  costituisce  un
principio  generale  del  nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se
pur   non   elevato,   fuori   della   materia   penale,  a  dignita'
costituzionale  (art. 25,  secondo  comma,  Cost.),  rappresenta  pur
sempre  una  regola  essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva
causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi,
in  quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio
cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini».
    In  conclusione  -  stante  l'inequivoca irrazionalita' in cui e'
incorso   il   legislatore  il  quale,  notevolmente  modificando  la
disciplina  precedente (art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre
1990,  n. 367,  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 gennaio
1991,  n. 31),  ha  utilizzato  l'interpretazione autentica al di la'
della  funzione che le e' propria, illegittimamente disponendo quindi
che quello era il significato della suindicata normativa preesistente
-    va    ritenuta,   anche   in   riferimento   all'art. 3   Cost.,
l'illegittimita' costituzionale del citato art. 8-septies della legge
n. 186/2004.