IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo n. 575 del R.G. relativo all'anno 2003 promossa dalla Regione Puglia (opponente); Contro Greco Costantino +1 (opposto) nonche' contro Ministero delle politiche agricole e forestali (chiamato in garanzia). Svolgimento del processo Con ricorso ingiuntivo, il cui decreto e' stato poi emesso dal Giudice di pace di Campi Salentina con il n. 255/03, i sigg. Greco Costantino e Greco Maria Rosaria, ambedue residenti in Novoli (LE), nella loro qualita' di eredi di Greco Antonio, chiedevano riconoscersi da parte della Regione Puglia, il debito del residuo della somma allo stesso Greco Antonio spettante ai sensi dell'art. 2, comma 2, del d.l. 6 dicembre 1990, n. 367, convertito in legge n. 31/1991, che attribuiva il contributo una tantum di " 2.000.000 per ettaro a favore delle aziende olivicole-viticole del Mezzogiorno che nell'annata agraria 1989/1990 erano state colpite dalla siccita'. Infatti, il Greco Antonio si era visto pagare dal Comune di Novoli - a seguito della specifica apposita procedura amministrativa svolta dalla Regione Puglia per il tramite dei sottostanti enti locali (Provincia di Lecce e Comune di Novoli), a cio' appositamente delegati, la somma di " 428.591 (cfr. delibera G.M. n. 608 del 2 ottobre 1996) mentre, a definizione della procedura accertativa, gli erano state riconosciute ". 5.483.600 di sovvenzioni (cfr. delibera G.M. n. 174 del 19 febbraio 1992): il pagamento in misura ridotta delle spettanti sovvenzioni avveniva in ripartizione percentuale (7,81588 dell'effettivo riconosciuto) dei fondi appositamente messi a disposizione dalla Regione Puglia. Gli eredi del Greco Antonio, frattanto deceduto, atteso il loro interesse a ricevere il resto di quanto spettante al loro dante causa in base alla citate delibere comunali, hanno intentato la suddetta procedura monitoria ottenendo il decreto n. 255/2003. Si opponeva a detto decreto ingiuntivo la Regione Puglia con atto di citazione notificato agli eredi Greco il 4 novembre 2003, richiedendo: 1) in primis, autorizzare la Regione Puglia alla chiamata in causa del Ministero delle politiche agricole e forestali; 2) preliminarmente dichiarare l'incompetenza per territorio del Giudice di pace di Campi Sal.na (LE) in favore dell'omologo di Bari ; 3) in via gradata, dichiarare l'intervenuta prescrizione del diritto rivendicato e, per l'effetto, revocare il decreto ingiuntivo opposto; 4) in via ulteriormente gradata, dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Regione Puglia; 5) nel merito, rigettare le avverse pretese perche' infondate in fatto e diritto e, per l'effetto, dichiarare in efficace e, quindi, revocare il decreto ingiuntivo opposto; 6) nella denegata ipotesi che venga accolta ivversa domanda, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto nei confronti della regione, condannare direttamente il Ministero delle politiche agricole e forestali al pagamento delle provvidenze in parola oppure, in subordine, condannare sempre il predetto dicastero a rivalere l'amministrazione opponente per gli oneri che il giudicante dovesse eventualmente porre a carico della stessa; 7) con vittoria di spese e competenze di lite. In particolare, motivava nel merito la Regione Puglia che essa nella questione c'entrava solo perche' aveva «provvisoriamente» pagato all'interessato - nel limite dei fondi messi a disposizione dallo Stato - quanto allo stesso riconosciuto negli atti emessi dalla provincia a conclusione della istruttoria compiuta dai comuni; da cio' la sua richiesta della condanna diretta del Dicastero delle politiche agricole alla cui responsabilita' doveva farsi risalire la mancata messa a disposizione degli ulteriori fondi (pure richiesti, tempestivamente e reiteratamente) necessari per l'integrale pagamento delle sovvenzioni dovute agli agricoltori. Si costituivano altresi' i titolari del decreto ingiuntivo opposto i quali richiedevano: 1) in via preliminare: rigettare tutte le eccezioni preliminari, proposte dalla difesa della Regione Puglia e del Ministero delle politiche agricole e forestali, confermando la propria competenza sotto ogni profilo; 2) nel merito: condannare «la parte o le parti soccombenti» al pagamento delle somme dovute a titolo di sorte capitale ed interessi, cosi' come liquidati nel decreto ingiuntivo opposto; condannarli altresi' «al pagamento delle spese e competenze legali liquidate nel D.I. opposto, nonche' tutte le altre successive, ivi comprese quelle della presente causa, oltre IVA e CAP come da nota specifica che si produce» ... «con distrazione a favore del difensore anticipatario». Nel corso della prima udienza, su richiesta della Regione Puglia, veniva autorizzata la chiamata in causa del Ministero delle politiche agricole e forestali. Costituitosi, detto Dicastero evidenziava come «Il danneggiato della calamita' naturale non puo' .... vantare alcun diritto soggettivo al ristoro dell'intero danno patito (e, in altro punto della comparsa, "gli interventi di soccorso sono da considerarsi semplici aiuti per favorire la ripresa economica e non interventi risarcitori del danno subito"); la sua pretesa deve cioe' semmai, essere limitata, in rapporto agli importi effettivamente stanziati dallo Stato per la particolare situazione di emergenza ed in proporzione alle domande effettivamente prodotte dalle varie aziende toccate dall'avvenimento»: con la conclusione che «la regione e gli altri enti delegati (comuni) avrebbero dovuto contenere il riconoscimento degli aiuti una tantum nei limiti delle risorse disponibili». Insisteva particolarmente l'Avvocatura dello Stato per la risoluzione della eccezione relativa alla prescrizione del diritto ex art. 2946 c.c. atteso che «i fatti lamentati si riferiscono all'annata agraria 1989/1990, gli atti legislativi risalgono all'inizio del 1991, mentre la domanda risale al novembre 2003». Tanto anche in considerazione che al Ministero non risultavano atti interruttivi della prescrizione. All'udienza del 14 ottobre 2004, a cui si era pervenuti dopo aver risolto con provvedimento parziale di infondatezza (sent. n. 291/2004) le varie eccezioni preliminari avanzate da tutte le parti, e cioe': a) incompetenza territoriale di questo giudice di pace; b) prescrizione del diritto dell'agricoltore opposto; c) carenza di legittimazione passiva dell'ente opponente; d) illegittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge n. 31/1991 di conversione del d.l. n. 367/1990; e) illegittimita' della imposizione alla Regione Puglia, ex lege n. 31/1991, di colmare con propri fondi il debito statale di ben 4.950 miliardi (di vecchie lire); f) difetto di mandato al difensore della regione Puglia, le parti medesime, essendo nel frattempo intervenuta la disposizione di cui all'art. 8-septies, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2004, n. 186, hanno cosi' richiesto: per gli eredi Greco, sollevare eccezione di illegittimita' della citata disposizione con riferimento agli artt. 101, 102, 104 e 24, oltre che con riferimento all'art. 3 Cost.; per la Regione Puglia, termine per dedurre in merito alla pretesa incostituzionalita' della disposizione legislativa; per il Ministero dell'agricoltura, rigettare la domanda (con vittoria di spese e compensi) atteso che «le tesi sostenute dall'Avvocatura dello Stato sono state confermate pienamente dalla legge 186 ... », chiedendo comunque termine per il deposito di note scritte. Rilevanza della questione In assenza delle note deduttive pure richieste dal legale della Regione Puglia e dall'Avvocatura dello Stato, sembra opportuno a questo giudice di pace di riassumere in breve i termini fattuali e normativi in cui e' sorta e si e' sviluppata la vicenda antecedentemente alla disposizione legislativa di «interpretazione autentica» di cui ai commi 1 e 2 dell'art. art. 8-septies della legge 27 luglio 2004, n. 186. Nell'annata agraria 1989/1990 le aziende olivicole e viticole del Mezzogiorno furono colpite da una eccezionale siccita'. Il Governo dell'epoca, proprio in considerazione della eccezionalita' dell'evento calamitoso che aveva colpito l'agricoltura meridionale (e, per altro verso, anche il settore agricolo a livello nazionale), ritenne di dover intervenire per il sollievo dell'economia agricola, cosi' duramente colpita dagli eccezionali eventi atmosferici. Fu pertanto adottato, in data 6 dicembre 1990, il decreto legge n. 367 con il quale - in un contesto complesso di aiuti alle aziende agricole («provvidenze», a termini della legge) - veniva «attribuito un contributo una tantum di lire 2 milioni per ettaro a favore delle aziende olivicole e viticole del Mezzogiorno colpite dalla siccita' nell'annata 1989-90 che abbiano subito un danno superiore al 50 per cento dell'intera produzione lorda vendibile e ricadenti nelle aree a tal uopo delimitate». Il beneficio in questione fu contenuto dalla legge di conversione - la n. 31 del 30 gennaio 1991 - nel «limite massimo di cinquanta milioni ad azienda» (vd. art. 2, comma 2). Ai sensi del successivo art. 10 di detto decreto legge, le provvidenze da esso stabilite dovevano essere erogate dalle regioni sulla base della presentazione, da parte dei richiedenti, di apposita documentazione che sarebbe stata presa in esame dai comuni che, insieme alle province, erano gia' stati delegati con legge regionale n. 24 del 1990 ad istruire le pratiche relative a questa materia. Ai sensi del secondo comma del predetto art. 10, toccava alle regioni di pubblicare «l'elenco nominativo dei beneficiari del presente decreto, l'ammontare delle provvidenze concesse a ciascuno, nonche' il comune di appartenenza». Il successivo art. 11 del decreto legge prevedeva che «1) All'onere derivante dall'attuazione del presente decreto, valutato in lire 650 miliardi per 1990 e in lire 250 miliardi per l'anno 1991, si provvede a carico delle dispolibilita' del Fondo di solidarieta' nazionale in agricoltura di cui all'art. 1 della legge 15 ottobre 1981, n. 590 e successive modificazioni ed integrazioni, appositamente integrato: a) di lire 450 miliardi per il 1990 e di lire 100 miliardi per il 1991 mediante corrispondente riduzione delle disponibilita' del capitolo 7759 dello stato di previsione del Ministero del tesoro, rispettivamente, per gli anni suddetti, all'uopo intendendosi ridotta di pari importo, per i medesimi anni, l'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1 della legge 1° marzo 1986, n. 64; b) di lire 200 miliardi per l'anno 1990 mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto al capitolo 9001 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1990, all'uopo utilizzando, quanto a lire 50 miliardi, l'accantonamento «Interventi nel settore delle opere di irrigazione» e, quanto a lire 150 miliardi, parte dell'accantonamento «Interventi a favore della Regione Sardegna ivi compresi quelli destinati a realizzare la contiguita' territoriale». 2) Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio». Come enunciava la stessa regione nell'atto di citazione in opposizione, «Le risorse finanziarie rivenienti dal riparto del Fondo di solidarieta' nazionale in agricoltura di cui all'art. 1 della legge 15 ottobre 1981, n. 590, assegnate alla Regione Puglia dallo Stato, necessarie per liquidare agli agricoltori danneggiati le provvidenze di cui alla richiamata legge, si sono rivelate insufficienti a coprire per intero il fabbisogno accertato dai competenti enti locali. Difatti, a fronte di danni denunciati dalla Regione Puglia al Ministero dell'agricoltura e delle foreste pari a " 1.072 miliardi circa, come si evince dalla nota prot. 2024 - F del 14 novembre 1990, indirizzata dal precitato Dicastero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segreteria della Conferenza Stato regioni, con d.m. n. 424 del 31 luglio 1991, lo Stato assegnava alla Regione Puglia soltanto la somma di " 165.095 milioni per attuare gli interventi previsti dalla legge n. 31/1991. In ragione di tale rilevante circostanza, con deliberazione n. 53 del 9 luglio 1991 il Consiglio regionale, previa presa d'atto dell'entita' del finanziamento assegnato dallo Stato, detta le direttive affinche' si desse attuazione agli interventi previsti dalla legge n. 31/1991, destinando per il contributo una tantum la somma di " 23 miliardi. Con provvedimento n. 7161 del 28 dicembre 1992 la giunta regionale deliberava, fra l'altro, il riparto fra le cinque province pugliesi del citato contributo, versato alla Regione Puglia dallo Stato con d.d., nn. 566 del 29 novembre 1991 e 249 dell'8 gennaio 1993 del Ministero dell'agricoltura e foreste. A seguito di tanto, alla Provincia di Lecce veniva concessa la somma di ". 4.733.400.000 per indennizzare le aziende viticole e olivicole danneggiate dagli eventi avversi, ai sensi dell'art. 2, comma 2 della legge n. 31/1991. Con provvedimento n. 1560 del 24 maggio 1996 l'Amministrazione provinciale di Lecce, previa presa d'atto della esiguita' dei fondi messi a disposizione dallo Stato, deliberava di spartire in misura percentuale ai comuni della propria provincia, i fondi destinati dal consiglio regionale per attuare gli interventi previsti dalla norma appena richiamata. Con successivi atti i comuni pubblicavano gli elenchi dei beneficiari con gli importi del contributo concesso a ciascuno. Con deliberazione n. 2640 del 19 giugno 1996 l'Esecutivo regionale disponeva il trasferimento della provvista finanziaria a favore dei comuni interessati della Provincia di Lecce e, quindi, anche per quello di Novoli, nella stessa misura percentuale richiesta dalla medesima provincia con il richiamato provvedimento. Ne consegue - espone ancora l'ente regione nella citazione in opposizione - che a tutti i soggetti destinatari delle provvidenze de quibus e, quindi, anche dell'odierno opposto sono state liquidate e pagate somme nella misura percentuale rispetto a quelle indicate dal competente ente locale al termine fase istruttoria, cosi' come peraltro deliberato dalla Provincia di Lecce col menzionato atto». Indipendentemente dai lunghi tempi occorsi per il pagamento parziale da parte dei comuni delle provvidenze riconosciute dall'istruttoria espletata dagli stessi comuni («tempi tecnici» come sopra cosi' analiticamente esposti dalla Regione Puglia nell'atto di citazione in opposizione), resta comunque che la Regione Puglia, con nota n. 7586 del 13 novembre 2001, aveva gia' provveduto a comunicare al Ministero dell'agricoltura (rectius, al Ministero delle politiche agricole e forestali, Direzione generale politiche agricole ed agroindustriali - Div. VIII - Roma), con riferimento a quanto richiesto per vie brevi, che l'ulteriore somma a copertura del fabbisogno per gli interventi alle aziende agricole ad indirizzo viti-olivicole danneggiate dalla siccita' e' di " 234.859.291.290, allegando apposita «tabella riepilogativa in cui si evidenzia l'ulteriore fabbisogno per singolo territorio provinciale per soddisfare gli interventi previsti dall'art. 2, comma 2, della legge n. 31/1991». Nella costante giurisprudenza ormai gia' abbondantemente prodotta da questo giudice di pace, una volta determinato che il beneficiario, incluso nell'elenco stilato dall'ente comunale a compimento della delegata istruttoria (condotta con metodi fors'anche non eccessivamente «rigorosi», ma e' ormai tardi per recriminare in merito), aveva effettivamente percepito da detto comune, delegato anche al pagamento delle provvidenze sulla base dei fondi insufficientemente messi a disposizione dalla Regione Puglia, soltanto una somma minore di quella spettantigli (quale determinata con metodo rigoroso di percentuale), restava da individuare chi fosse il soggetto - lo Stato, e per esso il Ministero delle politiche agricole e forestali, oppure la Regione Puglia oppure ancora la Provincia di Lecce o, infine, il comune di residenza del beneficiario - tenuto a corrispondere all'avente diritto la residuale (o la «principale»!) somma ancora dovutagli in base all'esito dell'istruttoria oppure, il che era piu' pregnante, a quale soggetto attribuire la responsabilita' di mancato pagamento delle intere provvidenze spettanti al ripetente per decreto ingiuntivo. Sembrava a questo giudice di poter pacificamente escludere dalla lista: il comune di residenza del beneficiario che aveva bensi' avuto in delega (oltre che di istruire le domande dei danneggiati) anche il compito di pagare le somme dovute ai singoli agricoltori, ma sulla base dei fondi posti a disposizione dalla Regione Puglia in quantita' insufficiente per pagare l'intera somma spettante in base agli elenchi degli aventi diritto; ma andava esclusa anche la Provincia di Lecce, che aveva avuto, per delega, soltanto il compito di pubblicare (dopo l'ovvia attivita' di controllo) l'elenco dei danneggiati aventi diritto all'una tantum quali compilati dai singoli comuni, oltre che il compito di prendere atto della esiguita' dei fondi messi a disposizione dallo Stato e di assumere la deliberazione (cfr. provvedimento delle giunta provinciale n. 1560 del 24 maggio 1996) di ripartire in misura percentuale ai comuni della propria circoscrizione territoriale gli esigui fondi postigli a disposizione dalla Regione Puglia; ma riteneva questo giudice anche di dover escludere la Regione Puglia in quanto la stessa era ancora in attesa di ricevere dal Ministero dell'agricoltura la provvista economica (idest, «fondi») nella misura sufficiente a completare l'erogazione delle una tantum riconosciuta agli aventi diritto. Si precisava, peraltro, che la Regione Puglia aveva debitamente rappresentato al Ministero dell'agricoltura (suo referente per l'occorrenza) e nella sua interezza il proprio fabbisogno necessario per il pagamento dell'una tantum, come si evince dalla nota prot. n. 2024/F indirizzata da detto Ministero il 14 novembre 1990 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che sentita la Conferenza Stato-regioni aveva deciso invece di assegnare alle regioni tutte, e per tutte le esigenze da esse rappresentate, fondi «che si sono rivelati insufficienti a coprire per intero il fabbisogno accertato dai competenti enti locali». Concludeva, pertanto, questo giudice di pace: «E' stato quindi lo Stato, e per esso il Ministero delle politiche agricole e forestali, dapprima a decidere comunque per l'assegnazione alle regioni di fondi insufficienti per l'erogazione parziale della una tantum e poi a non provvedere al reperimento ed alla ulteriore assegnazione di fondi a completamento delle prima assegnazione. Fondi questi - si ripete - pure a suo tempo debitamente chiesti dalle regioni interessate alla erogazione delle provvidenze come determinate dai singoli comuni di residenza dei danneggiati, e, per quanto ci riguarda, richiesti ancora una volta dalla Regione Puglia che ha provveduto a rinnovare la richiesta con nota n. 7586 del 13 novembre 2001». Risultato questo al quale d'altronde si perviene ove si analizzi la specifica regolamentazione contenuta nella legge 15 ottobre 1981, n. 590, che detta le «Nuove norme per il Fondo di solidarieta' nazionale», cioe' (art. 1, 1° comma) di quel «conto corrente» infruttifero cosi' denominato, intestato al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal quale - una volta dotato di fondi (all'atto di formulazione della legge sono assegnati a detto fondo solo «400 miliardi di lire per ciascuno degli anni successivi») - le regioni possono prelevare le somme occorrenti (art. 1, 2° comma, lett. a), n. 1) per i primi interventi in caso di calamita' eccezionali e piu' specificamente per provvedere all'erogazione di un contributo una tantum a parziale copertura del danno. «Il Ministero dell'agricoltura e delle foreste ....dispone con proprio decreto il prelevamento dal Fondo ed il riparto delle somme da destinare agli interventi indicati nell'art. 1, sulla base delIe richieste di spesa delle regioni». Deduceva, quindi, questo giudice di pace (sempre nella prodotta giurisprudenza) che era proprio quanto era successo nei casi di cui era stato man mano investito dai «titolari inappagati» della sovvenzione di cui trattasi: il Governo, con il decreto legge n. 367 del 1990 (poi convertito dal Parlamento in legge n. 15 del 1991), una volta che aveva riconosciuto l'accadimento «di calamita' naturali o di avversita' atmosferiche di carattere eccezionale», aveva deciso di intervenire a sollievo delle aziende danneggiate, addossando il carico del «pronto intervento» al citato Fondo (gia' istituito con legge n. 15/1981). Ed infatti, come recita la legge n. 31, all'art. 11, commi 1 e 2, il Ministero del tesoro doveva essere, e fu autorizzato dal decreto legge alle «occorrenti variazioni di bilancio» per trasferire al citato Fondo la provvista (400 miliardi per il 1990 e 250 miliardi per il 1991) alla quale le regioni poi avrebbero attinto per il «primo (pronto) intervento» non appena che il Ministero dell'allora agricoltura avesse deciso in merito alla ripartizione della provvista in bilancio. Dice, infatti, il 1° comma dell'art. 3 della legge n. 590/01 (e si ripete, regolatrice del «Fondo di solidarieta' nazionale») che «il Ministero dell'agricoltura e delle foreste dispone con proprio decreto il prelevamento dal Fondo ed il riparto delle somme da destinare agli interventi indicati nell'art. 1 (cioe', ai pagamenti relativi ai "primi/pronti interventi") sulla base delle richiese di spesa delle regioni». Trattasi quindi di un «conto corrente» non sempre aperto al prelievo: detto prelievo e' bensi' consentito per sovvenire alle esigenze delle regioni, ma soltanto per quelle esigenze «autorizzate» dal Ministero delle politiche, agricole e forestali. E che cio' sia, trova conferma nel secondo comma dello stesso art. 3 che cosi' recita: «La prima ed, eventualmente, la seconda annualita' relative ai contributi dipendenti dalle richiamate agevolazioni creditizie fanno carico alla somma da prelevarsi dal Fondo ai sensi dei precedenti commi (cioe', sino a 440 + 250 miliardi di lire, nota dell'estensore). Le successive annualita' sono iscritte, per ciascun anno, nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura e delle foreste». E' in questo stato di previsione quindi che bisognava cercare le somme - una volta che le stesse siano state richieste nel formulare il bilancio di previsione del citato dicastero - per pagare quanto ancora dovuto agli agricoltori danneggiati dalla siccita' nell'annata agraria 1989/1990, inseriti negli appositi elenchi comunali. A fronte di una siffatta cosi' chiara regolamentazione della materia, con l'ovvia integrazione dei principi tecnico-finanziari che regolano il bilancio pubblico, non ha chi non veda - si diceva nelle numerose sentenze emesse da questo giudice di pace - come unico depositario delle «provviste» per la corresponsione ai beneficiari della «provvidenza» (tali riconosciuti a definizione del prescritto procedimento accertativo), cioe' del contributo una tantum in tutta la sua interezza quale attribuito da una legge dello Stato, sia esclusivamente la amministrazione statuale, e cioe' il Ministero delle politiche agricole e forestali cui compete, e per l'occasione competeva in attuazione della legge n. 31 del 1991, formulare i decreti (di cui nessuno, e in particolare l'Avvocatura dello Stato, ha dichiarato l'intervenuta adozione) con i quali porre a disposizione delle regioni i fondi occorrenti per completare il pagamento della provvidenza una tantum per cui erano cause. Allo stato dei fatti e della giurisprudenza ormai assai costante - si e' a conoscenza di altro giudice di pace che, pur riconoscendo il buon diritto degli agricoltori interessati, condannava la regione al pagamento delle residuali somme con diritto pero' di rivalsa verso il Ministero delle politiche agricole - e' intervenuta la c.d. disposizione di «interpretazione autentica» di cui alla legge n. 186/2004 che cosi' recita: «art. 8--septies (Contributo una tantum alle aziende colpite dalla siccita' nell'annata 1989-1990). Comma 1: il contributo una tantum previsto dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 1990, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 gennaio 1991, n. 31, a favore delle aziende olivicole e viticole colpite dalla siccita' nell'annata agraria 1989-1990 deve intendersi erogabile dagli enti territoriali entro i limiti dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 11 del medesimo decreto-legge e nell'ambito della quota destinata a ciascun ente. Comma 2: al citato art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 367 del 1990 le parole "di lire" sono sostituite dalle seguente: "fino a lire"». Che detta disposizione non abbia i caratteri propri di una «legge interpretativa» viene evidenziato in maniera lampante dal secondo dei commi di cui essa e composta. Come recita codesta stessa Corte delle leggi nella sentenza n. 233/1988 «Siffatta qualificazione giuridica spetta ... a quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate) intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza, percio', intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata». Orbene, nel caso di specie nessun dubbio interpretativo e' possibile stante la estrema chiarezza del testo legislativo originario sul quale nessuno, eccetto - fors'anche solo per dovere di parte - l'Avvocatura dello Stato, ha mai avanzato dubbi (mentre «scopo dell'interpretazione autentica e' proprio quello di superare, sulla base della forza normativa, le incongruenze determinatesi nell'applicazione della legge», cosi' in Corte cost., 12/31 luglio 1990, n. 380): lo Stato ha deciso di alleviare le «sofferenze economiche» rivenienti agli agricoltori da un evento eccezionale ed ha statuito di concedere a coloro di costoro in possesso dei requisiti stabiliti dalla stessa legge, e verificati dalla prescritta procedura amministrativa, una somma una tantum pari a ". 2.000.000 ad ettaro con un limite massimo (si badi bene !) di ". 50.000.000 per ciascuna azienda colpita dal disastroso evento (art. 2, comma 2, della legge n. 31/1991). ll fatto e' che il Governo dell'epoca (siamo nel 1992) ha dimenticato di porre nel bilancio di previsione 1992 e successivi lo stanziamento dei fondi necessari per la integrale attuazione della legge n. 31, anche se la entita' degli ulteriori fondi necessari era stata debitamente e tempestivamente rassegnata dalla Regione Puglia per quanto ci riguarda, ma immaginiamo anche da tutte le altre regioni dello Stato interessate al provvedimento legislativo, peraltro complesso nella sua articolazione in quanto si occupava delle difficolta' economiche in cui si dibattevano non solo le aziende agricole pugliesi. Ed ecco allora la disposizione di cui all'art. 8-septies della legge n. 186 la quale (ancora richiamando ed applicando le statuizioni della sentenza n. 233/1988 di codesta Corte) «sotto la veste surrettizia di una norma di interpretazione autentica, modifica in realta' la precedente disposizione», qui limitando i «diritti economici» concessi ai cittadini in modo da escludere non tutti i beneficiari (alcuni di essi hanno gia' percepito l'intero dovuto) ma solo quelli che, fidando nella correttezza istituzionale dei governanti, hanno atteso ben 15 anni prima di richiedere «il saldo» della provvidenza ancora loro spettante. Indipendentemente dalla circostanza che non si ha notizia di un sintomatico stato di confusione nella interpretazione della legislazione ora interpretata autenticamente dalla disposizione che si impugna per illegittimita' costituzionale, sorge il sospetto che di detta «interpretazione autentica» («affrettatamente» aggiunta in un provvedimento legislativo di conversione di decreto legge) si sia sentita la necessita' in concomitanza delle numerose persistenti condanne dell'Amministrazione pubblica, anche in vista delle numerose altre in avanzato stato di emanazione, sicche' viene naturale ipotizzare un contrasto di questa legge con i disposti di cui agli artt. 101 e 104 della Costituzione (cfr. al proposito la chiara direttiva di cui alla Corte cost. 19 marzo - 4 aprile 1990, n. 155). Il legislatore - a sommesso avviso di questo giudice di pace - «oltrepassando i limiti della ragionevolezza, ha definito interpretativa una disciplina che, invece, ha natura innovativa» (ancora in Corte Cost. n. 155/1990) e che - posta in una articolata normativa che attiene a tutt'altra diversa materia relativa alla funzionalita' degli Uffici pubblici: forze armate, societa' Dante Alighieri, dirigenti dello stato e quant'altro - ha il solo scopo di diminuire gli oneri economici dello Stato negando ora ai cittadini quei diritti prima concessi. «Ne' puo' omettersi di rilevare - continua la gia' citata sentenza n. 155/1990 avuto riguardo all'effetto funzionale della disposizione impugnata - che l'irretroattivita' costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini». In conclusione - stante l'inequivoca irrazionalita' in cui e' incorso il legislatore il quale, notevolmente modificando la disciplina precedente (art. 2, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 1990, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 gennaio 1991, n. 31), ha utilizzato l'interpretazione autentica al di la' della funzione che le e' propria, illegittimamente disponendo quindi che quello era il significato della suindicata normativa preesistente - va ritenuta, anche in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimita' costituzionale del citato art. 8-septies della legge n. 186/2004.