ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2,
del  decreto  legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli
organi  speciali  di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli
uffici  di  collaborazione  in  attuazione  della  delega  al Governo
contenuta   nell'art. 30   della  legge  30 dicembre  1991,  n. 413),
promosso   con   ordinanza   depositata   il  13 ottobre  2005  dalla
Commissione tributaria provinciale di Milano, nel giudizio tributario
vertente  tra  Antonio  Di  Dio e l'Agenzia delle entrate, Ufficio di
Milano 1,  iscritta  al n. 3 del registro ordinanze 2006 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 2, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 5 aprile 2006 il giudice
relatore Franco Gallo.
    Ritenuto   che,   nel   corso  di  un  giudizio  promosso  da  un
contribuente  nei  confronti  dell'Agenzia  delle  entrate avverso il
silenzio-rifiuto  formatosi  sulla  richiesta  di  rimborso di quanto
corrisposto  a  titolo  di  IRPEF  e  della  correlativa  addizionale
regionale  relative al 2001, la Commissione tributaria provinciale di
Milano,  con  ordinanza depositata il 13 ottobre 2005, ha sollevato -
in  riferimento  all'art. 111,  secondo  comma,  della Costituzione -
questione  incidentale  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13,
comma 2,   del   decreto   legislativo   31 dicembre   1992,   n. 545
(Ordinamento  degli  organi  speciali  di giurisdizione tributaria ed
organizzazione  degli  uffici  di  collaborazione in attuazione della
delega  al  Governo  contenuta  nell'art. 30  della legge 30 dicembre
1991,  n. 413),  nella parte in cui prevede, per i giudici tributari,
«un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito»;
        che,   per   la   Commissione  tributaria  provinciale,  tale
compenso,   «fondato   sul   cottimo»,   sarebbe   incompatibile  con
l'esercizio  della funzione giurisdizionale e, in particolare, con il
principio   dell'imparzialita'   del   giudice  sancito  dal  vigente
art. 111,   secondo   comma,  Cost.,  perche'  renderebbe  i  giudici
personalmente  ed  economicamente  interessati  a  decidere nel minor
tempo   il   maggior   numero   di   cause,  creando  nel  giudicante
un'aspettativa  di  vantaggi  che  ostacolerebbe l'obiettivita' della
decisione  e  contrasterebbe con il suddetto principio, secondo cui i
giudici  debbono  non  solo  essere,  ma anche apparire indipendenti,
obiettivi ed imparziali;
        che,  quanto  alla  rilevanza, il giudice rimettente premette
che  l'eventuale  accoglimento  dell'eccezione di inammissibilita' od
improponibilita'  del  ricorso  del  contribuente  -  sollevata dalla
resistente Agenzia delle entrate sotto il profilo che la richiesta di
rimborso  contenuta  (come  nella  specie)  nella  dichiarazione  dei
redditi   non   sarebbe   idonea   a   formare   un  silenzio-rifiuto
giudizialmente  impugnabile  -  «potrebbe»  contribuire alla generale
diminuzione  del  contenzioso  tributario  per casi simili e, quindi,
potrebbe  avere  effetti  economici  pregiudizievoli  per  i  giudici
tributari, i quali sono retribuiti in base ai ricorsi decisi;
        che  la  questione  sarebbe  rilevante nel giudizio a quo sia
direttamente,   perche'  riguarderebbe  la  composizione  dell'organo
giudicante,  sia  «quanto  meno indirettamente», perche' la decisione
sulla  predetta  eccezione  potrebbe  influire  sulla proposizione di
altri  ricorsi  e,  per  l'effetto, sull'entita' dei compensi o delle
indennita'   dovuti   al,   nuocendo   all'immagine   di   questo  ed
all'obiettivita' del giudizio;
        che  il  rimettente  sollecita  sul punto una nuova decisione
della   Corte   costituzionale   rispetto   a  quella,  di  manifesta
inammissibilita',  di  cui all'ordinanza n. 326 del 1987, che, sempre
per  il  rimettente,  concernerebbe una questione solo apparentemente
analoga,  perche',  in  realta',  relativa ad un altro parametro e ad
altre prospettazioni del giudice a quo;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   che   ha   concluso   per   la   declaratoria  di  manifesta
inammissibilita'  per  irrilevanza  o di manifesta infondatezza della
questione;
        che   la   difesa   erariale   deduce,  a  sostegno  di  tali
conclusioni: a) che la norma denunciata non attiene alla composizione
del giudice; b) che la medesima norma non contiene la regula iuris da
applicare  nel  giudizio  principale; c) che analogo provvedimento di
rimessione  e'  gia'  stato dichiarato inammissibile dalla Corte, con
ordinanza  n. 326 del 1987; d) che il novellato art. 111 Cost. non ha
innovato  al  principio  di terzieta' del giudice e che, pertanto, la
mera  evocazione  di  tale  parametro  non  introduce  profili  della
questione   nuovi  rispetto  a  quelli  gia'  esaminati  dalla  Corte
costituzionale  nella  citata  ordinanza; e) che il contrasto tra una
indimostrabile deflazione del contenzioso e l'interesse economico del
giudice  tributario ad adottare quante piu' pronunce possibili non ha
riflessi nel giudizio a quo.
    Considerato  che  la Commissione tributaria provinciale di Milano
dubita  della  legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, del
decreto  legislativo  31 dicembre  1992,  n. 545  (Ordinamento  degli
organi  speciali  di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli
uffici  di  collaborazione  in  attuazione  della  delega  al Governo
contenuta  nell'art. 30  della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella
parte  in cui prevede per i giudici tributari «un compenso aggiuntivo
per ogni ricorso definito»;
        che,  per il giudice rimettente, tale disposizione violerebbe
l'art. 111,   secondo   comma,   della  Costituzione,  perche'  detto
compenso,   «fondato   sul   cottimo»,   sarebbe   incompatibile  con
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  e, in particolare, con
l'imparzialita'   del  giudice,  in  quanto  renderebbe  quest'ultimo
personalmente  ed  economicamente  interessato  a  decidere nel minor
tempo   il   maggior   numero   di   cause,  creando  nel  giudicante
un'aspettativa  di  vantaggi  che  ostacolerebbe l'obiettivita' della
decisione  e  contrasterebbe  con  il principio secondo cui i giudici
debbono non solo essere, ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed
imparziali;
        che  la  questione sarebbe rilevante, perche' atterrebbe alla
«composizione  del  giudice»,  e  comunque  perche', nella specie, il
giudice  tributario  avrebbe  obiettivamente l'interesse a respingere
l'eccezione  di  inammissibilita'  od  improponibilita'  del  ricorso
sollevata  nel  giudizio a quo dall'Agenzia delle entrate (secondo la
quale  la  richiesta  di  rimborso  contenuta nella dichiarazione dei
redditi   non   sarebbe   idonea   a   formare   un  silenzio-rifiuto
giudizialmente  impugnabile), in quanto l'accoglimento dell'eccezione
«potrebbe»  scoraggiare,  in  generale,  la  proposizione di analoghe
cause da parte dei contribuenti e far cosi' diminuire i compensi o le
indennita' dovuti al giudice;
        che  la questione e' manifestamente inammissibile per difetto
di rilevanza;
        che,  infatti,  la norma censurata riguarda esclusivamente la
misura  del  compenso del giudice tributario e, pertanto, non attiene
ne'  alla «composizione», ne' alla costituzione del giudice medesimo,
cioe'   alla  legittimazione  di  questo  ad  esercitare  le  proprie
funzioni, e neppure deve essere applicata dal rimettente nel giudizio
principale;
        che,   inoltre,   lo  stesso  rimettente,  per  affermare  la
rilevanza    della    questione    in    riferimento   al   principio
dell'imparzialita'  del  giudice,  e'  costretto  ad  ipotizzare  una
diretta   correlazione   causale   sia   tra   la  propria  decisione
sull'ammissibilita'  del  ricorso del contribuente ed una consistente
deflazione  del  contenzioso tributario di cause simili; sia tra tale
deflazione  del  contenzioso  ed una eventuale futura diminuzione dei
propri compensi;
        che,   tuttavia,   tali  correlazioni  causali  -  del  resto
prospettate  in  via  soltanto  ipotetica dal giudice a quo, il quale
afferma    che    l'accoglimento    della   predetta   eccezione   di
inammissibilita'  del ricorso del contribuente «potrebbe» contribuire
alla   diminuzione   del  contenzioso  tributario,  in  quanto  «puo»
scoraggiare  la proposizione di altri ricorsi riguardanti casi simili
-  non  sono  plausibili, non risultando ragionevolmente ipotizzabile
ne'  che le decisioni di un giudice di primo grado, privo di funzioni
nomofilattiche,  possano  significativamente  modificare la tipologia
del  contenzioso  tributario,  ne'  che  la  conseguente  prospettata
diminuzione  del  numero  dei  ricorsi  avverso  il silenzio-rifiuto,
formatosi  sulla  richiesta di rimborso contenuta nella dichiarazione
dei redditi del contribuente (contenzioso la cui incidenza statistica
sul  complesso  dei  ricorsi  non e' stata in alcun modo valutata dal
rimettente),  possa  in  futuro far diminuire in concreto il compenso
complessivo   di  ciascun  componente  della  Commissione  tributaria
provinciale di Milano;
        che,  dunque,  l'influenza  nel  giudizio  a  quo della norma
censurata e' meramente affermata, ma non dimostrata dalla Commissione
tributaria provinciale di Milano;
        che,  del  resto,  questa  Corte,  con  riguardo  ad analoghe
questioni  -  aventi  ad  oggetto  la  norma contenuta nel previgente
art. 12,  primo  comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione
della  disciplina  del contenzioso tributario), relativa anch'essa al
compenso  dei  componenti delle commissioni tributarie commisurato al
numero  dei  ricorsi  decisi,  e  che,  secondo i rimettenti, avrebbe
determinato  nei  giudici un interesse economico personale a decidere
il  maggior  numero  di ricorsi, incompatibile con l'indipendenza del
giudice  garantita dall'art. 108, secondo comma, Cost. - ha gia' piu'
volte  concluso  per  la  manifesta  inammissibilita', per difetto di
rilevanza,  delle  questioni  medesime,  in quanto la norma all'epoca
denunciata,  concernendo  (al  pari  di  quella  oggetto del presente
giudizio  di  legittimita'  costituzionale) i compensi previsti per i
componenti  delle commissioni tributarie, non incide ne' sul rapporto
in  ordine al quale il giudice rimettente e' chiamato a decidere, ne'
sulla  composizione  dell'organo  giudicante,  con la conseguenza che
essa non trova ne' puo' trovare applicazione, sotto alcun profilo, da
parte  del  giudice a quo (sentenza n. 196 del 1982; ordinanze n. 447
del 1991 e n. 326 del 1987).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.