ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2-septies,
comma 1,  del  decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti
per  fronteggiare  situazioni  di  pericolo  per la salute pubblica),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 26 maggio 2004, n. 138;
dell'art. 1  della legge della Regione Toscana 22 ottobre 2004, n. 56
recante «Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000, n. 22 (Riordino
delle norme per l'organizzazione del servizio sanitario regionale) in
materia  di  svolgimento  delle funzioni di direzione delle strutture
organizzative»; degli artt. 2, comma 1, lettera b), e 8, commi 3 e 4,
della  legge  della  Regione  Emilia-Romagna 23 dicembre  2004, n. 29
(Norme  generali sull'organizzazione ed il funzionamento del servizio
sanitario  regionale); degli artt. 59 e 139 della legge della Regione
Toscana 24 febbraio  2005,  n. 40  (Disciplina del servizio sanitario
nazionale),   e   dell'art. 1   della   legge  della  Regione  Umbria
23 febbraio  2005,  n. 15 (Modalita' per il conferimento di incarichi
di  struttura  nelle  Aziende  sanitarie  regionali),  promossi dalla
Regione  Toscana  con  un  ricorso e dal Presidente del Consiglio dei
ministri  con  n. 4  ricorsi, notificati rispettivamente il 21 luglio
2004,  il  29 dicembre 2004, il 25 febbraio 2005, il 6 e il 16 maggio
2005,  depositati  in  cancelleria,  il primo, il 29 luglio 2004, gli
altri,  l'8 gennaio  2005, il 7 marzo 2005, il 16 e il 24 maggio 2005
ed  iscritti al n. 74 del registro ricorsi 2004 ed ai nn. 4, 30, 53 e
64 del registro ricorsi 2005.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri e delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria;
    Udito  nell'udienza pubblica del 7 marzo 2006 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione Toscana,
Rosaria   Russo  Valentini  e  Giandomenico  Falcon  per  la  Regione
Emilia-Romagna, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria e l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Cosentino  per  il  Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  (reg.  ric.  n. 74  del  2004) notificato il
21 luglio  2004  e  depositato  presso  la cancelleria della Corte il
successivo  giorno 29,  la  Regione  Toscana ha proposto questione di
legittimita'  costituzionale - in riferimento agli artt. 5, 117 e 118
della  Costituzione,  all'art. 2  del  decreto  legislativo 28 agosto
1997,  n. 281  (Definizione  ed  ampliamento delle attribuzioni della
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed  i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni,   con   la  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie  locali),
all'art. 11   della   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda della Costituzione),
nonche'  al  principio  di  leale cooperazione - dell'art. 2-septies,
comma 1,  del  decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti
per  fronteggiare  situazioni  di  pericolo  per la salute pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138.
    1.1.-   La   censurata  disposizione  ha  sostituito  il  comma 4
dell'art. 15-quater  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
(Riordino  della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1
della legge 23 ottobre 1992, n. 421), «concernente l'esclusivita' del
rapporto  di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario» (disposizione,
quest'ultima,  introdotta  dal  decreto  legislativo  19 giugno 1999,
n. 229,   recante   «Norme  per  la  razionalizzazione  del  Servizio
sanitario  nazionale,  a  norma  dell'art. 1  della legge 30 novembre
1998,    n. 419»),    cosi'    cancellando    «il   principio   della
irreversibilita'   che   caratterizzava  il  rapporto  esclusivo  dei
dirigenti sanitari».
    Alla  stregua,  difatti,  dell'impugnata  disposizione  e'  stata
prevista,  per  tutti i dirigenti sanitari pubblici, «la possibilita'
di  scegliere  entro  il  30 novembre  di  ogni anno se optare per il
rapporto  di  lavoro  esclusivo o meno con il Servizio sanitario, con
effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo», essendo stata accordata
tale  facolta'  di scelta «sia agli assunti dopo il 31 dicembre 1998»
(assoggettati  al  rapporto  esclusivo  dal  citato d.lgs. n. 229 del
1999),  «sia  a  coloro  che,  gia'  in servizio al 31 dicembre 1998,
avevano  a  suo  tempo effettuato l'opzione per il rapporto di lavoro
esclusivo».  In  tal  modo  -  secondo  la  ricorrente  - il predetto
art. 2-septies,  comma 1,  avrebbe  dato  vita ad una «previsione che
incide   pesantemente   sull'organizzazione   sanitaria»,  stabilendo
segnatamente «che, anche dopo l'opzione per il rapporto di lavoro non
esclusivo,  i  dirigenti  possono  continuare a dirigere le strutture
aziendali semplici e complesse».
    Di  qui, dunque, l'ipotizzata illegittimita' costituzionale della
norma  de qua «nella parte in cui dispone che la non esclusivita' del
rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  non  preclude  la  direzione di
strutture semplici e complesse».
    Viene  dedotta,  in  primo luogo, la violazione degli artt. 117 e
118 della Costituzione.
    Quanto, in particolare, al primo di tali parametri, la ricorrente
evidenzia  come  la materia disciplinata dalla disposizione impugnata
rientri   tra   quelle   oggetto   di   legislazione  regionale.  Non
concernendo, infatti, la competenza dello Stato, ex art. 117, secondo
comma,   lettera g),  della  Costituzione,  «l'ordinamento  ed  anche
l'organizzazione  degli  enti  non statali e non nazionali», dovrebbe
escludersi  l'esistenza di un titolo che abiliti l'intervento statale
nella  disciplina  delle  aziende  sanitarie,  atteso  che le stesse,
«quale  che  sia  la qualificazione giuridica» loro propria, di certo
«non sono enti nazionali».
    Ne', d'altra parte, prosegue la ricorrente, potrebbe ignorarsi il
fatto che la competenza legislativa regionale si giustifica, nel caso
di  specie,  «anche  sotto  il  profilo  della  tutela  della salute»
(materia   «ripartita»  tra  Stato  e  Regioni),  essendo  innegabile
l'incidenza  che  esercita  sull'erogazione del servizio sanitario la
facolta'  di  scelta prevista dalla norma impugnata, considerato «che
il  personale che opta per il lavoro non esclusivo dedica minor tempo
al lavoro all'interno della struttura».
    Quanto,  invece, all'art. 118 della Costituzione, deve escludersi
che  lo  stesso possa integrare un adeguato fondamento costituzionale
della  norma  impugnata,  in  quanto,  anche  a  voler  ritenere  che
ricorrano  nella  specie  i  presupposti  per  uno  spostamento della
potesta'  legislativa  dal  livello  regionale  a  quello statale, in
ragione  della  necessita'  di  soddisfare esigenze amministrative di
carattere  unitario,  l'adozione  della  norma  impugnata non risulta
preceduta da alcuna intesa con le Regioni.
    Viene  dedotta,  inoltre,  la violazione degli artt. 5, 117 e 118
della  Costituzione,  anche in relazione all'art. 2 del d.lgs. n. 281
del 1997, dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e del
principio di leale cooperazione.
    Evidenzia   in  proposito  la  ricorrente  come  la  disposizione
impugnata non fosse contenuta nell'originario testo del decreto-legge
n. 81 del 2004, bensi' inserita dalla legge di conversione n. 138 del
2004, in relazione alla quale, oltretutto, il Governo ebbe a porre la
questione di fiducia, di talche' «l'iter seguito non ha consentito un
adeguato coinvolgimento delle Regioni».
    In  particolare,  la  ricorrente si duole del fatto che sia stato
escluso  l'intervento della Conferenza Stato-Regioni, cioe' a dire lo
«strumento  essenziale  per  la  leale cooperazione, che trova il suo
fondamento nell'art. 5 Cost.» (sono richiamate le sentenze n. 408 del
1998 e n. 373 del 1997).
    Si  deduce,  infine, che la norma censurata sia «in contrasto con
l'impianto  sostanziale  dell'art. 117  Cost.», giacche' l'intervento
legislativo   statale   esercita  «un'incidenza  diretta  su  materie
spettanti  al  legislatore  regionale»,  e quindi «dovrebbe seguire e
rispettare un intervento di codecisione paritaria con le Regioni».
    Cio',   in   particolare,  emergerebbe,  secondo  la  ricorrente,
dall'art. 11  della  legge costituzionale n. 3 del 2001, alla stregua
del  quale  e'  stabilito  che  «la  Commissione  parlamentare per le
questioni  regionali,  integrata con i rappresentanti delle autonomie
territoriali,  debba  esprimere  un parere ad efficacia rinforzata su
tutti  i  progetti  di  legge  riguardanti  materie  di  legislazione
concorrente  e  l'autonomia  finanziaria  delle  Regioni e degli enti
locali».
    1.2.  -  Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  con  atto  depositato  presso  la  cancelleria della Corte il
10 agosto  2004,  chiedendo  il  rigetto  del  ricorso proposto dalla
Regione Toscana.
    Deduce,  innanzi tutto, l'Avvocatura generale che la disposizione
impugnata incide sulla «tutela della salute», materia che l'art. 117,
terzo   comma,   della   Costituzione   attribuisce  alla  competenza
concorrente  di Stato e Regioni, e nella quale il primo puo', quindi,
«dettare  norme  di  principio», alle quali e' certamente ascrivibile
quella oggetto dell'odierno scrutinio di costituzionalita'.
    Inoltre,  secondo  la  difesa  erariale, «mirando la disposizione
adottata  ad  introdurre  misure  atte  a  fronteggiare situazioni di
pericolo  nella  salute  pubblica», la competenza legislativa statale
sarebbe  giustificata  anche  ai  sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettera m),   della  Costituzione,  «che  riserva  alla  legislazione
esclusiva  dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti   su   tutto  il  territorio  nazionale»,  diritto  qui  da
identificare  in  quello  «fondamentale» alla tutela della salute (e'
richiamata la sentenza n. 282 del 2002).
    Nega,  infine,  l'Avvocatura dello Stato che possa ipotizzarsi la
violazione  del  principio  di  leale  cooperazione,  richiamando  la
decisione  della  Corte (sentenza n. 196 del 2004) ove si afferma che
«non  e'  individuabile  un fondamento costituzionale dell'obbligo di
procedure  legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e
Regioni  (ne' risulta sufficiente il sommario riferimento all'art. 11
della legge costituzionale n. 3 del 2001)».
    Su  tali basi la difesa erariale ha concluso per il rigetto della
questione di legittimita' costituzionale.
    1.3.  - Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte,
il  22 settembre 2005, la Regione Toscana insiste per la declaratoria
di   illegittimita'  costituzionale  dell'impugnata  norma  di  legge
statale.
    In  via  preliminare,  la  Regione  deduce  che  la stessa appare
riconducibile    alla   competenza   concernente   «l'ordinamento   e
l'organizzazione  degli  enti non statali e non nazionali» (spettante
in  via residuale alle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma,
della  Costituzione),  palesandosi per tale motivo costituzionalmente
illegittima.
    La  natura  regionale  della  potesta' legislativa sarebbe stata,
inoltre,  riconosciuta  espressamente  -  nella  materia de qua - dal
d.lgs.  n. 502  del 1992, se e' vero che - ai sensi, rispettivamente,
degli  artt. 2,  comma 2,  e  3,  comma 5  -  alle  Regioni spetta la
determinazione   dei   principi  sull'organizzazione  dei  servizi  e
sull'attivita'  destinata  alla  «tutela  della  salute»,  nonche' la
disciplina  delle  «modalita'  organizzative e di funzionamento delle
unita' sanitarie locali».
    In subordine, peraltro, la ricorrente deduce che l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  suddetta  dovrebbe  essere riconosciuta
«anche nella denegata ipotesi in cui, secondo la prospettazione dello
Stato,  si  ritenga  che  la  questione  rientri  nella "tutela della
salute"», attesa la sua natura di norma di dettaglio.
    Ribadisce,  inoltre,  la ricorrente la censura formulata ai sensi
dell'art. 118 della Costituzione.
    Sottolinea,   infine,  la  Regione  Toscana  l'impossibilita'  di
individuare - quale titolo di legittimazione dell'intervento posto in
essere  dal  legislatore  statale  attraverso la norma impugnata - la
previsione    dell'art. 117,   secondo   comma,   lettera m),   della
Costituzione,  che  riserva  alla  potesta'  esclusiva dello Stato la
determinazione  dei  livelli essenziali delle prestazioni concernenti
diritti  civili  e  sociali  che  devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale.  La  norma  impugnata, difatti, non provvede a
definire il livello essenziale di erogazione di una prestazione, come
invece  necessario  (secondo quanto affermato dalle sentenze n. 285 e
n. 120  del  2005, nonche' dalle sentenze n. 88 del 2003 e n. 282 del
2002),  «limitandosi  ad  incidere  su  un  aspetto  organizzativo  o
gestorio».
    1.4.  -  Con  memoria  depositata  il  27 settembre 2005 anche il
Presidente  del  Consiglio dei ministri insiste nelle proprie difese,
deducendo  che  la  materia  «dello  stato  giuridico della dirigenza
medica  e  sanitaria  del Servizio sanitario nazionale», rientrerebbe
nella  competenza  esclusiva  dello  Stato  relativa all'«ordinamento
civile».
    In  conclusione,  peraltro,  la difesa erariale ritiene che possa
essere   individuato   nell'art. 33,   ultimo   comma,   della  Carta
fondamentale  un  ulteriore  titolo di legittimazione dell'intervento
del  legislatore statale oggetto del presente giudizio, atteso che la
competenza  statale  in  materia  di  universita'  -  a  suo  dire  -
«comprende   anche   le  aziende  ospedaliero-universitarie»  di  cui
all'art. 2   del   decreto   legislativo   21 dicembre  1999,  n. 517
(Disciplina   dei   rapporti  tra  Servizio  sanitario  nazionale  ed
Universita'   a  norma  dell'art. 6  della  legge  30 novembre  1998,
n. 419),  in quanto tali aziende «assicurano la collaborazione tra il
Servizio  sanitario  nazionale  e  le  Universita'  in relazione alle
attivita'  assistenziali  necessarie  allo svolgimento delle funzioni
istituzionali di didattica e ricerca di queste ultime».
    Infine, la «rilevanza ultra-regionale» che le aziende ospedaliere
possono  assumere  ai  sensi  dell'art. 4  del d.lgs. n. 502 del 1992
renderebbe - secondo l'Avvocatura - le stesse «assimilabili agli enti
pubblici    nazionali,   il   cui   ordinamento   ed   organizzazione
amministrativa,  inclusa  la disciplina degli incarichi dirigenziali,
sono   rimessi   alla  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato
dall'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.».
    2.  -  Con  ricorso  notificato  il 29 dicembre 2004 e depositato
presso  la  cancelleria  della Corte l'8 gennaio 2005 (reg. ric. n. 4
del  2005),  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri ha proposto
questione   di   legittimita'   costituzionale   -   in   riferimento
all'art. 117  della  Costituzione - dell'art. 1 della legge regionale
della  Toscana  del  22 ottobre  2004, n. 56, recante «Modifiche alla
legge  regionale  8 marzo  2000,  n. 22  (Riordino  delle  norme  per
l'organizzazione  del  servizio  sanitario  regionale)  in materia di
svolgimento    delle    funzioni   di   direzione   delle   strutture
organizzative».
    2.1.  -  Evidenzia  il  ricorrente  che il comma 1 dell'impugnato
articolo  di  legge  prevede  che  «gli  incarichi  di  direzione  di
struttura,  semplice  o  complessa,  del servizio sanitario regionale
sono  conferiti  ai dirigenti di cui all'art. 15-quater, commi 1, 2 e
3,  del  d.lgs.  n. 502  del  1992,  in  regime di rapporto di lavoro
esclusivo da mantenere per tutta la durata dell'incarico». Il comma 2
del medesimo articolo, per parte propria, invece, stabilisce che «gli
incarichi  di  direzione  di  struttura,  semplice  o  complessa, del
Servizio  sanitario  regionale»,  nonche' quelli dei programmi di cui
all'art. 5,  comma 4,  del  d.lgs. n. 517 del 1999, sono conferiti ai
«professori e ai ricercatori universitari, di cui allo stesso art. 5,
che svolgono un'attivita' assistenziale esclusiva per tutta la durata
dell'incarico».
    Orbene,  entrambe  le disposizioni si pongono in contrasto con il
decreto-legge  n. 81  del  2004, convertito, con modificazioni, nella
legge  n. 138  del  2004, e segnatamente con l'art. 2-septies, ove si
afferma  che «la non esclusivita' del rapporto di lavoro non preclude
la  direzione  di struttura semplice o complessa». Essendo, quella da
ultimo citata, norma «di principio», da cio' deriverebbe l'ipotizzata
illegittimita' costituzionale dell'impugnato articolo di legge.
    Solo   «ad   abundantiam»,  infine,  il  ricorrente  ipotizza  il
contrasto  «con  altri  principi  fondamentali  espressamente sanciti
dall'ordinamento   costituzionale»,   e   segnatamente  quelli  della
eguaglianza  dei  cittadini innanzi alla legge, del diritto al libero
sviluppo  della  personalita'  umana,  della promozione della ricerca
scientifica, della piena autonomia degli ordinamenti universitari.
    2.2.  - Si e' costituita in giudizio la Regione Toscana, con atto
depositato  presso  la  cancelleria  della  Corte il 14 gennaio 2005,
limitandosi  a richiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile
e, comunque, infondato.
    2.3. - La Regione Toscana ha successivamente depositato - in data
22 settembre  2005  -  una  memoria  difensiva  anche in relazione al
presente  ricorso  proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri
(reg. ric. n. 4 del 2005).
    Le  argomentazioni  della  Regione  sono  volte,  innanzitutto, a
confutare  l'affermazione  secondo  cui  la legge regionale impugnata
contravverrebbe ad un principio fondamentale della materia sanitaria,
e  cioe'  quello  secondo  cui  «la  non esclusivita' del rapporto di
lavoro  non preclude la direzione di struttura semplice o complessa».
L'impugnata  legge  regionale,  difatti,  «non vieta la scelta per il
rapporto  di  lavoro  non  esclusivo e quindi non interferisce con la
facolta' dei medici di optare per la c.d. attivita' extramoenia», non
intervenendo,   d'altra  parte,  neppure  «sul  principio  della  non
irreversibilita' della scelta del medico per l'uno o l'altro regime».
Essa,  per  contro,  sarebbe  intervenuta  «solo sulla disciplina del
conferimento   degli   incarichi  di  direzione  di  strutture  e  di
programmi»,  prevedendo  il  conferimento  unicamente  «a  coloro che
lavorano  in  via  esclusiva  per  il  Servizio sanitario regionale»,
dettando  cosi'  una  previsione  che  «attiene  alla  materia  della
organizzazione  degli  enti  del  servizio  sanitario»,  rientrante -
attesa  la  natura  «non  statale e non nazionale» di questi ultimi -
«nella competenza del legislatore regionale» (richiama, in proposito,
la  Regione Toscana le medesime argomentazioni svolte in relazione al
ricorso n. 74 del 2004).
    Cio'  premesso,  la Regione evidenzia poi come la disposizione da
essa  posta  in essere sia «funzionale alla corretta attuazione delle
norme  del  d.lgs.  n. 502 del 1992 concernenti il rapporto di lavoro
esclusivo»,  giacche'  -  in considerazione del fatto che l'esercizio
della  libera  professione  extra-muraria  non  e' soggetta ad alcuna
regola  -  appare  del  tutto coerente «richiedere l'esclusivita' del
rapporto  ai  fini  del  conferimento di incarichi apicali, posto che
cio'   rappresenta   la   legittima   preferenza  per  una  soluzione
organizzativa  incentrata  sulla  totale  disponibilita'  dei  medici
preposti ai vertici dell'azienda».
    Richiamati, per il resto, i medesimi argomenti posti a fondamento
del   proprio   ricorso   (reg.   ric.   n. 74   del   2004)  avverso
l'art. 2-septies del decreto-legge n. 81 del 2004, la Regione Toscana
esamina  -  nell'ultima parte della stessa memoria - quegli ulteriori
profili  di incostituzionalita' che la difesa erariale ha ritenuto di
individuare  -  per  sua  stessa  ammissione  ad  abundantiam - nella
violazione degli artt. 2, 3, 9 e 33 della Costituzione.
    Premessa,  invero,  l'inammissibilita',  per genericita', di tali
censure,  la  Regione  reputa  le  stesse  «comunque  infondate»,  in
particolare   evidenziando   -   quanto   alla   dedotta   violazione
dell'art. 33  della  Carta  fondamentale  -  come  tale  articolo non
precluda  «al  legislatore  di  modulare, in concreto, nell'esercizio
della  sua  discrezionalita',  ampiezza  e  modalita'  di svolgimento
dell'attivita'  assistenziale dei medici universitari» (e' richiamata
la sentenza n. 71 del 2001).
    2.4.  -  Anche in relazione al ricorso de quo (reg. ric. n. 4 del
2005)  ha depositato memoria, in data 27 settembre 2005, l'Avvocatura
generale dello Stato.
    Nella  stessa,  oltre a ribadirsi il contenuto della censura gia'
formulata   -   avverso   l'impugnata  norma  regionale  -  ai  sensi
dell'art. 117,  terzo  comma,  della Costituzione, la difesa erariale
precisa   la   portata  delle  doglianze  avanzate,  per  sua  stessa
ammissione, «ad abundantiam», ex artt. 2, 3, 9 e 33 Cost.
    3.  -  Con  ricorso  (reg.  ric.  n. 64  del  2005) notificato il
16 maggio  2005  e  depositato  presso  la cancelleria della Corte il
successivo  giorno 24,  il  Presidente  del Consiglio dei ministri ha
proposto  questione  di  legittimita' costituzionale - in riferimento
agli  artt. 3  e  117,  commi  secondo,  lettera l),  e  terzo, della
Costituzione   -   dell'art. 1   della  legge  della  Regione  Umbria
23 febbraio  2005,  n. 15 (Modalita' per il conferimento di incarichi
di struttura nelle Aziende sanitarie regionali).
    3.1.  - Il ricorrente deduce che con tale disposizione la Regione
«ha inteso disciplinare le modalita' per il conferimento di incarichi
di  struttura  nelle  Aziende  sanitarie regionali», riservandoli «ai
dirigenti  sanitari  in  regime di rapporto esclusivo con il Servizio
sanitario   regionale»,   dettando   «analoga   norma»   anche   «per
l'attribuzione   a   professori   e  ricercatori  universitari  degli
incarichi  di  direzione  di struttura semplice o complessa», nonche'
per  l'attribuzione  dei  programmi  di  cui all'art. 5, comma 4, del
d.lgs. n. 517 del 1999.
    La  norma  censurata  - prosegue il ricorrente - stabilisce tanto
che «i dirigenti con rapporto di lavoro non esclusivo, titolari di un
incarico di struttura semplice o complessa», sono tenuti a comunicare
al direttore generale delle ASL, entro novanta giorni dall'entrata in
vigore  della presente legge regionale, «la propria opzione in ordine
al  rapporto esclusivo» (prevedendo anche la decadenza automatica dal
predetto  incarico  quale conseguenza, invece, della scelta in favore
del  «rapporto  di  lavoro  non  esclusivo»),  quanto  che la mancata
comunicazione  nel  termine  «comporta  l'opzione per il rapporto non
esclusivo».
    Reputa  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri che siffatta
disciplina  sia,  in  primo  luogo,  «non  del  tutto in linea con il
vigente  assetto costituzionale delle competenze» legislative statali
«in  materia  di  tutela della salute», in quanto in contrasto con il
«principio  fondamentale»  - desumibile dall'art. 2-septies, comma 1,
del  decreto-legge  n. 81  del  2004,  convertito, con modificazioni,
nella  legge  n. 138  del  2004  -  secondo  cui i dirigenti sanitari
«possono  optare»  anche  «per  il rapporto di lavoro non esclusivo»,
sicche',   ai   sensi  di  tale  norma  di  legge  statale,  «la  non
esclusivita'  del  rapporto  di  lavoro  non preclude la direzione di
strutture semplici o complesse».
    La   norma   censurata,   in  secondo  luogo,  «interviene  nella
disciplina  del rapporto di lavoro del dirigente sanitario, incidendo
nella  materia  "ordinamento  civile"»,  ponendosi  in  contrasto con
l'art. 117,   secondo  comma,  lettera l),  della  Costituzione,  che
riserva  tale  materia  in  via  esclusiva  alla potesta' legislativa
statale.
    Infine,  il  ricorrente  deduce  la  violazione anche dell'art. 3
della    Carta    fondamentale,   «sia   sotto   il   profilo   della
irragionevolezza, sia sotto quello della disparita' di trattamento».
    3.2.  -  Si e' costituita in giudizio la Regione Umbria deducendo
l'infondatezza delle censure proposte.
    La   Regione,   nel  premettere  che  la  «tutela  della  salute»
«costituisce  materia  di  competenza  concorrente  delle  regioni ad
autonomia  ordinaria  ed  attiene  essenzialmente alle prestazioni di
prevenzione  e  cura  delle  malattie che devono essere assicurate ai
cittadini  dal  sistema delle strutture pubbliche e di quelle private
convenzionate»,  evidenzia come il proprio intervento legislativo sia
stato  espletato  «al  fine  di  elevare,  attraverso le norme per il
conferimento  degli incarichi di direzione, il livello di prestazione
del  bene  fondamentale della salute dei cittadini umbri, migliorando
l'efficienza del sistema sanitario regionale». Essa nega, quindi, che
possa  ipotizzarsi  la  violazione  dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione,  in  quanto  la  norma  impugnata si sarebbe limitata a
prevedere,  esclusivamente,  «che  i  dirigenti  sanitari, incaricati
della  direzione di una struttura semplice o complessa, esercitino la
loro  attivita'  professionale  intra moenia», dando cosi' attuazione
proprio  «ai  principi  ed  ai  criteri  della  legge dello Stato», e
segnatamente  a  quello - desumibile dall'art. 15-quinquies, comma 3,
del   d.lgs.  n. 502  del  1992  -  che  prescrive  un  «corretto  ed
equilibrato  rapporto  tra  attivita'  istituzionale e corrispondente
attivita'  libero  professionale»,  imponendo  che  sia adeguatamente
bilanciata  l'esigenza  della  tutela  della «liberta' di svolgimento
dell'attivita'  libero  professionale  con  quella della salvaguardia
della efficienza del servizio».
    La    Regione,    inoltre,    esclude   che   quello   introdotto
dall'art. 2-septies del decreto-legge n. 81 del 2004 (convertito, con
modificazioni,  nella legge n. 138 del 2004) possa essere considerato
principio fondamentale della materia «tutela della salute».
    In  merito,  invece,  alla  dedotta  violazione  della competenza
esclusiva  dello Stato in materia di «ordinamento civile», la Regione
rileva  come  la  Corte  abbia affermato - «proprio in relazione alla
disciplina   del  pubblico  impiego  nell'ambito  dell'organizzazione
sanitaria»  -  che «dal riconoscimento dell'importanza costituzionale
del  lavoro  non  deriva  l'impossibilita'  di prevedere condizioni e
limiti  per  l'esercizio  del  relativo  diritto,  purche' essi siano
preordinati  alla  tutela  di  altri  interessi  e  di altre esigenze
sociali   parimenti   fatte   oggetto,  come  nella  fattispecie,  di
protezione  costituzionale»  (e'  richiamata  la  sentenza n. 147 del
2005,  nonche'  le  sentenze  n. 390 del 1999 e n. 457 del 1993). Sul
duplice  presupposto,  quindi,  che nel caso in esame «la limitazione
dell'attivita'  libero  professionale  dei  dirigenti sanitari non e'
affatto  assoluta,  ma ricondotta a quella intra moenia, e quindi non
incide  sostanzialmente sul rapporto di lavoro», ovvero che la stessa
«appare  connessa  alla  esigenza  di  assicurare  e meglio garantire
l'attivita'  istituzionale  del  dirigente,  con  una  presenza  piu'
attiva»,   la   Regione   esclude  la  fondatezza  della  censura  di
costituzionalita'  proposta  ai  sensi  dell'art. 117, secondo comma,
lettera l), della Costituzione.
    Infine,  quanto  alla  dedotta violazione anche dell'art. 3 della
Carta  fondamentale,  la  Regione  ribadisce  che  la norma impugnata
«opera  un  equo  bilanciamento  tra le esigenze lavorative e quelle,
fondamentali, di tutela della salute».
    3.3.  -  In  data  21 febbraio  2006,  anche la Regione Umbria ha
depositato presso la cancelleria della Corte una memoria, nella quale
insiste  per  la  reiezione  del ricorso statale (reg. ric. n. 64 del
2005) avente ad oggetto la legge regionale n. 15 del 2005.
    La  Regione - a confutazione del ragionamento svolto dalla difesa
erariale  -  contesta,  in  primo  luogo,  che  dal  gia'  menzionato
art. 2-septies  del  decreto-legge  n. 81 del 2004 possa ricavarsi un
principio  generale,  atteso  che  il ricorrente «sembra innanzitutto
trascurare»   quanto   sancito   dall'art. 98,   primo  comma,  della
Costituzione,  e  cioe'  la  regola  secondo  cui  «tutti  i pubblici
impiegati  sono  al  servizio  esclusivo  della  Nazione»,  cio'  che
«giustifica  la  generale  preclusione  per  i medesimi dipendenti» -
sancita  dall'art. 53  del  decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni   pubbliche)   -  «di  svolgere  ulteriori  attivita'
lavorative,  se  non  previamente autorizzate dall'amministrazione di
appartenenza».
    Inoltre,  il  suddetto  art. 2-septies  si  pone in contrasto con
l'art. 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo cui
gli  incarichi  di  direzione  di  struttura  sanitaria «implicano il
rapporto di lavoro esclusivo». Orbene, prosegue la Regione, spettera'
ai  giudici  comuni  «definire  in  via  applicativa  il  senso ed il
significato   di  queste  due  norme  cosi'  diverse»,  sicche',  ove
l'intento dell'iniziativa assunta dalla difesa erariale sia quello di
avere  dalla  Corte  «la  conferma  della  correttezza e legittimita'
costituzionale  dell'interpretazione fatta propria dal Presidente del
Consiglio,  il  ricorso deve ritenersi manifestamente inammissibile»,
risolvendosi «in un improprio tentativo di ottenere l'avallo a favore
di una determinata interpretazione della norma».
    In ogni caso, poi, «il contrasto tra le due regole fissate da due
diversi  articoli  della stessa legge» (cioe' a dire il d.lgs. n. 502
del  1992)  gia'  esclude, di per se', la possibilita' (giuridica) di
poter   configurare  come  principio  fondamentale  la  regola  della
affidabilita' della direzione di strutture semplici o complesse anche
a soggetti legati con rapporto non esclusivo.
    La  Regione  Umbria,  inoltre,  contesta  la  tesi del ricorrente
secondo  cui  l'intervento  legislativo regionale «sarebbe sconfinato
nella  materia  "diritto  civile"»,  giacche'  esso, a dispetto delle
affermazioni   della   difesa   erariale,  «attiene  non  tanto  alla
disciplina    del    rapporto    di    lavoro,    ma   essenzialmente
all'organizzazione del servizio sanitario regionale».
    Nega,  infine,  la  Regione  che  l'impugnata  disposizione violi
l'art. 3  della  Costituzione,  giacche'  essa,  nel  prescrivere «la
esclusivita'  del  rapporto  di lavoro dei medici universitari, quale
condizione  per  il  conferimento  degli  incarichi  di  direzione di
struttura   semplice  o  complessa»  (ovvero  dei  programmi  di  cui
all'art. 5,  comma 4, della legge n. 517 del 1999), si pone come «una
mera  ripetizione» delle previsioni di cui all'art. 5, comma 7, della
predetta legge n. 517 del 1999.
    4.  -  Con  ricorso  (reg.  ric.  n. 53  del  2005) notificato il
6 maggio  2005  e  depositato  presso  la  cancelleria della Corte il
successivo  giorno 16,  il  Presidente  del Consiglio dei ministri ha
proposto  questione  di  legittimita' costituzionale - in riferimento
agli  artt. 3,  117,  commi  secondo, lettera l), e terzo, e 97 della
Costituzione  -  degli  artt. 59  e  139  della  legge  della Regione
Toscana 24 febbraio  2005,  n. 40  (Disciplina del servizio sanitario
regionale).
    4.1.  - Sul presupposto che la legge regionale in questione - che
ha  «inteso  dettare  una  rinnovata organica disciplina del servizio
sanitario   regionale,   con  particolare  riferimento  agli  aspetti
programmatori,  ordinamentali  e  organizzativi»  -  sarebbe «non del
tutto  in linea con il vigente assetto costituzionale», il ricorrente
ne ha impugnato, segnatamente, gli artt. 59 e 139.
    Il  primo  di  essi - riproducendo il contenuto dell'art. 1 della
legge reg. della Toscana n. 56 del 2004, abrogato proprio dalla legge
reg.  n. 40  del  2005 - prevede che gli incarichi di direzione delle
strutture   organizzative  sanitarie  siano  conferiti  ai  dirigenti
sanitari  «in regime di rapporto di lavoro esclusivo da mantenere per
tutta la durata dell'incarico», nonche' detta analoga statuizione per
il  personale  universitario (stabilendo che professori e ricercatori
svolgano   presso   le   aziende  del  servizio  sanitario  regionale
«un'attivita'  esclusiva  per tutta la durata dell'incarico»). In tal
modo, essa violerebbe «il principio fondamentale in materia di tutela
della  salute»  enunciato  dal  gia'  menzionato  art. 2-septies  del
decreto-legge n. 81 del 2004.
    Evidenzia,   inoltre,  il  ricorrente  che  il  predetto  art. 59
«interviene  nella  disciplina  del  rapporto di lavoro del dirigente
sanitario,  incidendo nella materia «ordinamento civile»», e, dunque,
ponendosi   in   contrasto   anche  con  l'art. 117,  secondo  comma,
lettera l),  della  Costituzione,  che  tale  materia  riserva in via
esclusiva alla competenza legislativa dello Stato.
    Il  medesimo  articolo  della  legge  regionale  contravverrebbe,
infine,  anche  all'art. 3  della Costituzione, giacche' provvede, in
modo  del tutto irragionevole, a «differenziare i dirigenti sanitari»
a  seconda  che  abbiano  optato  o  meno  per  il rapporto di lavoro
esclusivo,   dando   poi   vita  ad  una  (del  pari  ingiustificata)
«disparita'  di trattamento nell'ambito del personale universitario»,
essendo  la  stessa  «fondata  su  di  un  fatto accidentale quale il
rapporto esistente o inesistente con la Regione».
    E'  censurato, inoltre, l'art. 139 della medesima legge regionale
della  Toscana,  secondo  cui  gli  organi  dell'Agenzia regionale di
sanita',  disciplinata  dal precedente art. 82, «in carica al momento
dell'entrata  in  vigore della presente legge, restano in carica fino
all'entrata   in  vigore  della  legge  di  revisione  dell'ARS»  (la
presentazione  della  quale,  in  forma  di proposta sottoposta dalla
Giunta  al  Consiglio  regionale,  e' prevista entro duecentoquaranta
giorni  dall'entrata in vigore della stessa legge regionale n. 40 del
2005).  L'impugnato  art. 139 violerebbe, in particolare, «i principi
di  legalita',  buon  andamento  e  imparzialita' dell'organizzazione
amministrativa sanciti dall'art. 97 della Costituzione», in quanto la
«prorogatio   a  tempo  indeterminato  di  tali  organi»  sarebbe  in
contrasto  con  l'art. 3  del  decreto-legge  16 maggio  1994, n. 293
(Disciplina  della  proroga degli organi amministrativi), convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444. Esso, difatti,
«configura  e  disciplina l'istituto della "prorogatio" quale ipotesi
da  prevedere  in  via del tutto eccezionale e comunque vincolata nei
tempi  e  nei  contenuti»,  stabilendo,  in  particolare, che «organi
amministrativi scaduti» - tali dovendosi ritenere quelli de quibus, e
cio'  ai sensi dell'art. 73 della legge della Regione Toscana 8 marzo
2000,  n. 22  (Riordino delle norme per l'organizzazione del servizio
sanitario regionale) - «sono prorogati per non piu' di quarantacinque
giorni  duranti  i  quali  possono emanare solo gli atti di ordinaria
amministrazione», nonche' quelli urgenti ed indifferibili.
    Nel caso della censurata disposizione rileva, invece, «una vera e
propria   prorogatio   a  tempo  indeterminato»,  durante  la  quale,
oltretutto,  «gli organi dell'ARS» svolgono «funzioni non affievolite
di  studio  e  di  ricerca,  nonche' ulteriori eventuali incarichi da
parte  della  Giunta  regionale  o  del  Consiglio  regionale», donde
l'ipotizzato contrasto con l'art. 97 della Carta fondamentale.
    4.2.  -  Anche  la  Regione Toscana si e' costituita in giudizio,
limitandosi  a  dedurre  l'infondatezza delle censure formulate dallo
Stato.
    4.3.   -  La  Regione  Toscana,  in  data  21 febbraio  2006,  ha
depositato  due  ulteriori  memorie, l'una relativa al giudizio (reg.
ric.   n. 4   del   2005)   da  essa  promosso  per  la  declaratoria
illegittimita'   costituzionale   dell'art. 2-septies,  comma 1,  del
decreto-legge  n. 81  del  2004, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 138 del 2004, l'altra concernente, invece, il giudizio (reg.
ric.  n. 53  del  2005)  originato  dal  ricorso  del  Presidente del
Consiglio  dei  ministri  avverso  gli  artt. 59  e  139  della legge
regionale della Toscana n. 40 del 2005.
    Con  il  primo  di  tali  atti  si  e'  limitata sinteticamente a
ribadire  -  in  replica  ai  rilievi  della  difesa  erariale  -  le
argomentazioni gia' svolte nei precedenti scritti defensionali.
    Con  la  seconda  memoria,  invece,  la Regione Toscana - oltre a
riproporre,   quanto   alla   dedotta  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 59 della predetta legge reg. n. 40 del 2005, considerazioni
identiche  a  quelle  in  precedenza  formulate  in  relazione sia al
ricorso statale, sia soprattutto alla propria iniziativa diretta alla
caducazione  dell'impugnata  norma di legge statale - ha svolto delle
difese  piu'  articolate  in  merito  alla  censura  che ha investito
l'art. 139 della medesima legge regionale.
    5. - Il Presidente del Consiglio dei ministri - con ricorso (reg.
ric.  n. 30  del  2005)  notificato  il 25 febbraio 2005 e depositato
presso  la  cancelleria  della  Corte  il  successivo  7 marzo  -  ha
proposto,   in   riferimento   all'art. 117,   terzo   comma,   della
Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale di diverse
disposizioni  della  legge  della  Regione Emilia-Romagna 23 dicembre
2004,  n. 29  (Norme generali sull'organizzazione ed il funzionamento
del  servizio  sanitario  regionale),  censurando  segnatamente - per
quello  che  qui  interessa - gli artt. 2, comma 1, lettera b), ed 8,
commi 3 e 4, di tale legge.
    5.1.  -  Nel  premettere  che  nella  materia della «tutela della
salute»  «la  Regione  ha  una  competenza  legislativa concorrente e
pertanto  puo' legiferare solo nel rispetto dei principi fondamentali
dettati dallo Stato», il ricorrente si duole, appunto, dell'esistenza
di «molteplici violazioni» di principi siffatti.
    In particolare, e' censurato l'art. 2, comma 1, lettera b), della
legge  regionale  suddetta,  «il quale prevede che la costituzione di
Aziende  Ospedaliere  e' disposta dalla Regione previa valutazione di
complessita'  dei  casi trattati», giacche' esso violerebbe l'art. 4,
comma 1-bis,  del  d.lgs.  n. 502  del  1992,  ai sensi del quale «la
costituzione  di  tale tipo di Aziende sanitarie puo' essere proposta
dalla  Regione  solo  quando  ricorrono  determinati requisiti, tra i
quali,  di  particolare  rilevanza: l'indice di complessita' dei casi
trattati  dall'ospedale  che  superi di almeno il 20% il valore della
media  regionale,  la  presenza  di  tre  unita'  operative  di  alta
specialita',  un  tasso  di ricoveri di pazienti provenienti da altre
regioni  che superi di almeno il 10%, nell'ultimo triennio, il valore
medio regionale».
    E'  impugnato,  altresi', l'art. 8, comma 3, della medesima legge
regionale,  secondo cui «l'attribuzione dell'incarico di direzione di
struttura complessa ai dirigenti sanitari e' effettuata dal Direttore
generale  sulla base di una rosa di soli tre candidati, senza neppure
chiarire  i  criteri  per  l'individuazione»  dei medesimi candidati.
Esso,  difatti,  sarebbe  in  contrasto  con l'art. 15-ter del d.lgs.
n. 502  del  1992,  il quale stabilisce «l'attribuzione dell'incarico
«sulla   base   di  una  rosa  di  candidati  idonei  selezionata  da
un'apposita commissione» senza limitare il numero dei designati dalla
commissione stessa».
    Da  ultimo, si dubita della legittimita' costituzionale anche del
successivo  comma 4  dello stesso art. 8, secondo cui «l'esclusivita'
del  rapporto  di  lavoro  costituisce  criterio preferenziale per il
conferimento  ai  dirigenti  sanitari  di  incarichi  di direzione di
struttura semplice e complessa», in quanto viola l'art. 15-quater del
gia'  menzionato  d.lgs.  n. 502  del 1992 (come risultante all'esito
della  modifica apportata dall'art. 2-septies del decreto-legge n. 81
del  2004,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge n. 138 del
2004),  atteso  che in base ad esso «la non esclusivita' del rapporto
di   lavoro  non  preclude  la  direzione  di  strutture  semplici  e
complesse».
    5.2.  -  La  Regione Emilia-Romagna si e' costituita in giudizio,
limitandosi  a richiedere alla Corte di respingere il ricorso statale
in  quanto  «inammissibile  e  infondato,  per le ragioni che saranno
esposte con separata memoria».
    5.3. - Anche detta Regione ha depositato una memoria in relazione
al  giudizio  (reg.  ric.  n. 30  del  2005) concernente gli artt. 2,
comma 1,  lettera b), 8, commi 3 e 4, della legge regionale n. 29 del
2004.
    In merito alla censura che ha investito la prima di tali norme, e
motivata  dal  ricorrente  in  ragione  di  un asserito contrasto con
l'art. 4,  comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, la Regione rileva
che  quelli  desumibili  dalla  menzionata  disposizione  statale non
possono  considerarsi  «principi  fondamentali» della materia «tutela
della salute».
    Una  conclusione,  questa, che «e' espressamente confermata dalla
legge», giacche' il comma 2-bis dell'art. 19 di quel medesimo decreto
legislativo  esclude  che  costituiscano  «principi  fondamentali, ai
sensi  dell'art. 117  della  Costituzione,  le  materie  di  cui agli
articoli 4,  comma 1-bis  e  9-bis».  Inoltre,  se  e'  vero  -  come
affermato proprio dalla giurisprudenza costituzionale - che l'effetto
dell'introduzione della norma da ultimo menzionata «e' innegabilmente
quello  di  un'espansione  delle  potesta' organizzative riconosciute
alle Regioni nella suddetta materia», le stesse sarebbero «pienamente
legittimate»  a  dare  vita,  quanto  appunto  alla istituzione delle
aziende   sanitarie   locali,  ad  «una  propria  disciplina»,  anche
«sostitutiva  di  quella statale», la quale ultima avrebbe assunto «i
tipici caratteri del dettaglio cedevole».
    La previsione di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), della legge
regionale  n. 29  del  2004  sarebbe,  dunque, esente dall'ipotizzato
vizio di legittimita' costituzionale, e cio' - oltre che per i motivi
teste'  indicati  -  anche in considerazione del fatto che «l'estremo
dettaglio  della  disposizione  statale,  peraltro,  non e' oggi piu'
giustificato,  quantomeno  per l'organizzazione che ormai da tempo si
e' data la Regione».
    Infondata, inoltre, sarebbe anche la censura relativa all'art. 8,
comma 3,  della  legge  regionale  in  esame,  giacche'  essa  -  nel
prescrivere  che  la  scelta  del  direttore  di  struttura sanitaria
complessa  avvenga  sulla  base  di  una  rosa di tre candidati - «si
limita  a  dettagliare  maggiormente  il procedimento, prevedendo tra
l'intero  elenco degli idonei e la nomina, una fase intermedia di una
rosa   ristretta  di  idonei».  La  disposizione  impugnata,  dunque,
investendo  «una  fase  anteriore  e  precedente  al provvedimento di
conferimento  dell'incarico  dirigenziale»,  non  solo  non attiene a
«posizioni   soggettive  relative  al  sinallagma  contrattuale»,  ma
neppure  «ha  inciso minimamente» sulle caratteristiche proprie della
procedura  di  attribuzione  dell'incarico,  «che  e' e rimane quella
delineata dall'art. 15-ter» del d.lgs. n. 502 del 1992.
    Infine,  quanto  alla  impugnativa  del  successivo  comma 4  del
medesimo  art. 8 della legge regionale de qua (alla stregua del quale
«l'esclusivita'   del   rapporto   di   lavoro  costituisce  criterio
preferenziale  per il conferimento ai dirigenti sanitari di incarichi
di  direzione  di  struttura»), la Regione nega che tale disposizione
contraddica  i principi di cui al novellato testo dell'art. 15-quater
del d.lgs. n. 502 del 1992, distinguendosi sotto questo profilo dalle
norme (del pari oggetto di impugnativa da parte dello Stato) adottate
dai   legislatori   toscano   ed   umbro.   Ed  infatti,  l'impugnata
disposizione  della  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna  n. 29 del
2004,  facendo  dell'opzione in favore dell'esclusivita' del rapporto
di  lavoro  unicamente  un  criterio preferenziale per l'attribuzione
dell'incarico  apicale,  non  avrebbe  contraddetto  «il fondamentale
principio  della revocabilita' della scelta operata dal dirigente ne'
quello  che  per  cui  lo  svolgimento  di attivita' extramuraria non
preclude l'attribuzione di incarichi».

                       Considerato in diritto

    1.  - Vengono all'esame della Corte cinque ricorsi, uno dei quali
-  il  primo  in  ordine  cronologico  (reg.  ric.  n. 74 del 2004) -
proposto  dalla  Regione Toscana, gli altri quattro (reg. ric. nn. 4,
30, 53 e 64 del 2005) dal Presidente del Consiglio dei ministri.
    1.1.  -  Con  il  primo  di  essi  e' censurato l'art. 2-septies,
comma 1,  del  decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti
per  fronteggiare  situazioni  di  pericolo  per la salute pubblica),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 26 maggio 2004, n. 138,
con  cui  il  legislatore  statale  ha  modificato  -  eliminando «il
principio  della  irreversibilita'  che  caratterizzava  il  rapporto
esclusivo  dei  dirigenti  sanitari» - il comma 4 dell'art. 15-quater
del  decreto  legislativo  30 dicembre  1992,  n. 502 (Riordino della
disciplina  in  materia  sanitaria,  a  norma dell'art. 1 della legge
23 ottobre 1992, n. 421), ed ha disposto che «la non esclusivita' del
rapporto  di lavoro non preclude la direzione di strutture semplici o
complesse».
    L'impugnativa   dello   Stato,   simmetricamente,   ha  investito
altrettante  leggi  delle Regioni Toscana (reg. ric. n. 4 e n. 53 del
2005), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 30 del 2005) ed Umbria (reg. ric.
n. 64   del   2005),  tutte  egualmente  censurate  nelle  rispettive
disposizioni    -    l'art. 1    della    legge    regionale    della
Toscana 22 ottobre   2004,   n. 56,  recante  «Modifiche  alla  legge
regionale   8 marzo   2000,   n. 22   (Riordino   delle   norme   per
l'organizzazione  del servizio sanitario regionale)»; l'art. 59 della
successiva  legge  regionale  della  Toscana 24 febbraio  2005, n. 40
(Disciplina  del  servizio  sanitario  regionale),  che  riproduce il
contenuto  dell'art. 1  della  legge  n. 56  del 2004 (norma abrogata
proprio  dalla  legge n. 40 del 2005); l'art. 8, comma 4, della legge
regionale dell'Emilia-Romagna 23 dicembre 2004, n. 29 (Norme generali
sull'organizzazione   ed  il  funzionamento  del  servizio  sanitario
regionale);  l'art. 1  della  legge regionale dell'Umbria 23 febbraio
2005,  n. 15 (Modalita' per il conferimento di incarichi di struttura
nelle  Aziende  sanitarie  regionali) - le quali stabiliscono che gli
incarichi  di  direzione  di  struttura,  semplice  o  complessa, del
Servizio   sanitario   regionale  implicano  il  rapporto  di  lavoro
esclusivo previsto all'art. 15-quater, commi 1, 2 e 3 del gia' citato
d.lgs. n. 502 del 1992 (e' il caso delle disposizioni contenute nelle
leggi  regionali della Toscana e dell'Umbria), ovvero che il rapporto
di  lavoro  esclusivo  operi  come  «criterio  preferenziale  per  il
conferimento  ai  dirigenti  sanitari  degli  incarichi di direzione»
presso  le  medesime  strutture  (e'  quanto  stabilito  dalla  legge
regionale della Emilia-Romagna).
    1.2.  -  Inoltre,  con due dei quattro ricorsi (reg. ric. n. 30 e
n. 53 del 2005), il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto
ulteriori questioni di legittimita' costituzionale.
    1.2.1.  - Sono impugnati, da un lato (reg. ric. 30 del 2005), gli
artt. 2,  comma 1,  lettera b),  e  8, comma 3, della legge regionale
dell'Emilia-Romagna  n. 29 del 2004, i quali stabiliscono, l'uno, che
«la  costituzione  di  Aziende  Ospedaliere e' disposta dalla Regione
previa  valutazione  di complessita' dei casi trattati», l'altro, che
«l'attribuzione  dell'incarico di direzione di struttura complessa ai
dirigenti  sanitari»  venga  effettuata dal direttore generale «sulla
base di una rosa di tre candidati».
    1.2.2.  -  Dall'altro,  e  conclusivamente, l'impugnativa statale
(reg.  ric.  n. 30  del  2005)  ha  investito  l'art. 139 della legge
regionale  della  Toscana  n. 40  del  2005,  secondo  cui gli organi
dell'Agenzia  regionale di sanita', di cui al precedente art. 82, «in
carica  al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  (stessa) legge,
restano in carica fino all'entrata in vigore della legge di revisione
dell'ARS».
    2.  -  Preliminarmente, deve essere disposta la riunione, ai fini
di  una  unica pronuncia, dei giudizi che traggono origine dai cinque
ricorsi innanzi indicati, stante la loro connessione oggettiva.
    Sempre  in  via  preliminare deve essere dichiarata la cessazione
della   materia   del   contendere   in   relazione  all'impugnazione
dell'art. 1  della legge della Regione Toscana n. 56 del 2004, attesa
l'abrogazione di tale norma da parte della successiva legge regionale
n. 40  del 2005 (art. 144, comma 1, lettera f), legge il cui art. 59,
del    pari   impugnato,   riproduce   il   contenuto   dell'abrogata
disposizione.
    Cio'  premesso,  occorre  illustrare  -  per  i singoli gruppi di
questioni  -  le  diverse  censure  di incostituzionalita' formulate,
procedendo - secondo lo stesso ordine - al loro scrutinio.
    3.  - Per quanto concerne, in particolare, le questioni aventi ad
oggetto  tanto l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del
2004,  che  le  norme regionali, sopra individuate, le quali incidono
sul   conferimento  degli  incarichi  di  direzione  delle  strutture
sanitarie,  la specularita' degli argomenti sviluppati dalle parti, e
in  special  modo dall'Avvocatura generale dello Stato (nel difendere
la  legittimita'  costituzionale della norma statale e nel censurare,
all'opposto,   le   disposizioni   regionali),   consente   la   loro
illustrazione    unitaria,    il    cui    fulcro    e'    costituito
dall'individuazione della materia nella quale trovano collocazione le
predette disposizioni, e che costituirebbe titolo idoneo - secondo le
contrapposte  prospettazioni delle parti - a legittimare l'intervento
legislativo statale o regionale.
    3.1.  - Tale materia e' identificata, segnatamente, dalla Regione
Toscana, in quella della «organizzazione degli enti non statali e non
nazionali»  ovvero  in  quella  della  «tutela della salute», materie
rientranti,  rispettivamente,  l'una nella competenza residuale delle
Regioni, l'altra nella competenza concorrente statale e regionale.
    Di  qui  la  dedotta  violazione  (primo  profilo) dell'art. 117,
quarto   comma,   Cost.  ovvero  alternativamente  (secondo  profilo)
dell'art. 117,  terzo comma, Cost., censura questa basata soprattutto
sul  rilievo che - ai sensi degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 5, del
d.lgs.  n. 502  del  1992 - spetta alle Regioni la determinazione dei
principi  sull'organizzazione  dei servizi e sull'attivita' destinata
alla  «tutela  della  salute», nonche' la disciplina delle «modalita'
organizzative e di funzionamento delle unita' sanitarie locali».
    In  ulteriore  subordine, infine, la Regione Toscana svolge altre
due   censure   avverso   l'impugnato  art. 2-septies,  comma 1,  del
decreto-legge n. 81 del 2004.
    Deduce, in primo luogo, la violazione dell'art. 118 Cost., atteso
che  -  anche  ad  ammettere  che  nel  caso  in  esame  la  potesta'
legislativa  statale  sia  destinata  a subire uno «spostamento» «dal
livello regionale a quello statale», e cio' «al fine di organizzare e
regolare  funzioni  amministrative  allocate  in  capo allo  Stato in
risposta  ad esigenze di carattere unitario» - nessuna intesa risulta
essere  stata  raggiunta  con  le  Regioni,  presentandosi  la stessa
«invece  imprescindibile a fronte della interferenza della disciplina
in ambiti materiali di competenza regionale».
    La  ricorrente  ipotizza,  da  ultimo,  la violazione anche degli
artt. 5,  117  e  118 Cost., segnatamente in relazione all'art. 2 del
decreto   legislativo   28 agosto   1997,   n. 281   (Definizione  ed
ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza  permanente per i
rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano  ed  unificazione,  per  le materie ed i compiti di interesse
comune  delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato-citta'  ed  autonomie  locali)  ovvero  all'art. 11 della legge
costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte   seconda   della   Costituzione)  ed  al  principio  di  leale
cooperazione.  Per  un verso, infatti, si sottolinea che l'emanazione
della  norma  impugnata  e'  avvenuta  senza  il coinvolgimento della
Conferenza Stato-Regioni, che invece «sarebbe stato obbligatorio» nel
caso  di  specie, atteso che essa «interferisce con materie regionali
e,  segnatamente,  con la materia della organizzazione degli enti non
statali  e  con  la tutela della salute»; per altro verso, invece, si
sottolinea  che  la  norma  statale presenta «un'incidenza diretta su
materie   spettanti  al  legislatore  regionale»,  sicche'  «dovrebbe
seguire  e  rispettare  un intervento di codecisione paritaria con le
Regioni».
    3.2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri per parte sua -
nel  sostenere  sia  la  legittimita'  costituzionale  dell'impugnato
art. 2-septies,  sia  l'illegittimita'  delle  norme regionali con il
medesimo articolo asseritamente in contrasto - ritiene che la materia
interessata  dalle disposizioni in esame sia quella dell'«ordinamento
civile»,  di esclusiva competenza statale ex art. 117, secondo comma,
lettera l),  Cost;  censura,  questa,  che e' specificamente proposta
solo  nei riguardi delle norme regionali della Toscana (art. 59 della
legge  reg.  n. 40  del  2005) e dell'Umbria (art. 1 della legge reg.
n. 15  del  2005)  ma non dell'Emilia-Romagna (art. 8, comma 4, della
legge reg. n. 29 del 2005).
    In  via  subordinata,  la difesa dello Stato reputa che il titolo
idoneo  a  legittimare  l'intervento  statale  possa essere ravvisato
nella  materia  «tutela  della  salute»  (si  e'  invocata, cosi', la
previsione  di  cui  all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.),  ponendosi
l'art. 2-septies  del  decreto-legge  n. 81  del 2004 quale «norma di
principio», donde, di riflesso, l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni  regionali impugnate, giacche' le stesse, derogando alla
predetta  disposizione  statale  secondo cui «la non esclusivita' del
rapporto  di lavoro non preclude la direzione di strutture semplici o
complesse», contravvengono ad un «principio generale» operante in una
materia   -   «tutela   della   salute»  -  oggetto  di  legislazione
concorrente.  Solo, infine, come mero argomento difensivo, e, dunque,
in  relazione  all'impugnativa  proposta  dalla Regione Toscana (reg.
ric.  n. 74  del  2004),  lo Stato ipotizza che il proprio intervento
legislativo  sia  giustificato  dalla  competenza esclusiva statale -
art. 117,   secondo   comma,   lettera m),  Cost.  -  in  materia  di
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni».
    Una  ulteriore  censura  -  per violazione dell'art. 3 Cost. - e'
proposta  dal  Presidente  del Consiglio dei ministri in relazione ai
soli  artt. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005 e 1
della  legge  regionale dell'Umbria n. 15 del 2005 (reg. ric. n. 53 e
n. 64  del  2005),  sia  sotto il profilo della irragionevolezza, sia
sotto quello della disparita' di trattamento.
    Sarebbe,  infatti, irragionevole - per un verso - differenziare i
dirigenti  sanitari in regime di esclusivita' da quelli che non hanno
optato  per tale tipologia di rapporto, posto che la scelta in favore
dell'uno   o   dell'altro  dei  due  regimi  non  inciderebbe  «sulla
disponibilita'  che  il dirigente sanitario deve comunque garantire e
sullo   svolgimento  dei  propri  compiti  istituzionali».  Le  norme
impugnate,  inoltre, realizzerebbero «una irragionevole disparita' di
trattamento  nell'ambito del personale universitario fondata su di un
fatto  meramente  accidentale  quale  il  rapporto  esistente  o  non
esistente con la Regione».
    4.  -  La  risoluzione  delle  questioni  come  sopra individuate
presuppone  che,  in via preliminare, si identifichi la materia nella
quale  le  impugnate  disposizioni  si collocano. E tale materia deve
essere   individuata,  secondo  questa  Corte,  nella  «tutela  della
salute».
    4.1.  -  A  tale  conclusione deve pervenirsi, in primo luogo, in
base  al rilievo, ripetutamente espresso da questa Corte, secondo cui
il  «nuovo  quadro  costituzionale», delineato dalla legge di riforma
del  Titolo  V  della  Costituzione, e', tra l'altro, «caratterizzato
dall'inserimento nell'ambito della legislazione concorrente di cui al
terzo comma dell'art. 117 Cost. anzitutto della materia «tutela della
salute»,   assai   piu'   ampia   rispetto  alla  precedente  materia
«assistenza  sanitaria  ospedaliera»»  (cosi',  da  ultimo,  sentenza
n. 270 del 2005).
    Alla  luce,  dunque,  di tale ampia nozione deve ritenersi che le
disposizioni    in   esame,   sebbene   si   prestino   ad   incidere
contestualmente  su una pluralita' di materie (e segnatamente, tra le
altre,  su  quella  della  organizzazione  di enti «non statali e non
nazionali»), vadano comunque ascritte, con prevalenza, a quella della
«tutela della salute». Rileva in tale prospettiva la stretta inerenza
che  tutte  le  norme  de  quibus presentano con l'organizzazione del
servizio  sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per
la fruizione delle prestazioni rese all'utenza, essendo queste ultime
condizionate,   sotto  molteplici  aspetti,  dalla  capacita',  dalla
professionalita'  e  dall'impegno  di  tutti  i  sanitari  addetti ai
servizi,  e  segnatamente  di  coloro  che  rivestono  una  posizione
apicale.
    Alla  stregua  di  tali considerazioni e facendo applicazione del
criterio  -  gia' utilizzato da questa Corte con riferimento ad altre
ipotesi nelle quali si e' ravvisata una «concorrenza di competenze» -
che  tende  a valorizzare «l'appartenenza del nucleo essenziale di un
complesso  normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (sentenza
n. 50  del  2005),  deve ritenersi che l'ambito materiale interessato
dalle  disposizioni in esame sia, appunto, quello della «tutela della
salute».
    4.2.  - Ne', in senso contrario, puo' obiettarsi che, nel caso di
specie,  il  titolo  «prevalente» - idoneo a fondare una competenza a
legiferare  appartenente,  addirittura, in via esclusiva allo Stato -
dovrebbe  essere  ravvisato  nella  materia  «ordinamento civile», ex
art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
    In  proposito,  infatti, deve escludersi «che ogni disciplina, la
quale  tenda  a  regolare  e  vincolare  l'opera dei sanitari, (...),
rientri   per   cio'   stesso  nell'area  dell'«ordinamento  civile»,
riservata  al  legislatore  statale»  (cosi'  la  sentenza n. 282 del
2002).
    Improprio  e',  inoltre,  il riferimento della difesa dello Stato
alla   esclusiva  competenza  statale  ex  art. 117,  secondo  comma,
lettera m),   Cost.,   dovendosi   confermare  che  «tale  titolo  di
legittimazione  legislativa  non  puo'  essere  invocato  se  non  in
relazione  a  specifiche prestazioni delle quali la normativa statale
definisca   il   livello   essenziale   di  erogazione»,  risultando,
viceversa,  «del  tutto  improprio  e inconferente il riferimento» ad
esso  allorche'  si intenda «individuare il fondamento costituzionale
della  disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali»
(sentenza  n. 285  del  2005, ma si vedano anche, ex multis, sentenze
n. 423 e n. 16 del 2004; n. 282 del 2002).
    5.   -  Le  considerazioni  svolte  comportano,  dunque,  che  lo
scrutinio   di  costituzionalita',  in  ordine  al  gruppo  di  norme
impugnate,  debba  essere  effettuato con riferimento alla previsione
costituzionale  di  cui  all'art. 117,  terzo comma, Cost., nel senso
che,  versandosi  in  materia  («tutela  della salute») di competenza
legislativa  ripartita  tra  Stato  e  Regioni,  spetta  al  primo la
fissazione  dei  principi  fondamentali,  mentre alle seconde compete
dettare  la  disciplina  attuativa di tali principi con l'autonomia e
l'autodeterminazione  che,  nel  disegno costituzionale, ad esse sono
state riconosciute.
    Al fine di stabilire se, nel caso di specie, le condizioni per il
legittimo  esercizio della potesta' legislativa, statale e regionale,
siano  state  rispettate,  appare  necessario  - in via preliminare -
individuare  con precisione il contenuto del predetto art. 2-septies,
comma 1,  del  decreto-legge  n. 81  del 2004, nonche' ricostruire il
complessivo  quadro  legislativo  in  cui  lo  stesso si e' venuto ad
inserire.
    6.  -  Come  gia'  si  e'  precisato, la disposizione in esame ha
sostituito il comma 4 dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992,
«concernente  l'esclusivita' del rapporto di lavoro dei dirigenti del
ruolo sanitario» (disposizione, quest'ultima, introdotta dall'art. 13
del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, recante «Norme per la
razionalizzazione   del   Servizio   sanitario   nazionale,  a  norma
dell'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419»).
    In  forza,  infatti,  del  «novellato» testo dell'art. 15-quater,
comma 4,   del   d.lgs.  n. 502  del  1992,  e'  stata  prevista,  in
sostituzione  del  precedente  regime  basato  sulla irreversibilita'
della  scelta  tra  rapporto  esclusivo e rapporto non esclusivo, per
tutti  i  dirigenti  sanitari pubblici, «la possibilita' di scegliere
entro il 30 novembre di ogni anno se optare per il rapporto di lavoro
esclusivo   o  meno  con  il  Servizio  sanitario,  con  effetto  dal
1° gennaio  dell'anno  successivo».  Tale facolta' di scelta e' stata
accordata  «sia agli assunti dopo il 31 dicembre 1998» (vale a dire a
coloro  che  risultavano  assoggettati  ratione temporis al principio
dell'esclusivita',  e  cio' per il solo fatto che la costituzione del
loro  rapporto  di  lavoro  fosse avvenuta a seguito dell'innovazione
introdotta  dal  d.lgs.  n. 229 del 1999), «sia a coloro che, gia' in
servizio   al  31 dicembre  1998,  avevano  a  suo  tempo  effettuato
l'opzione   per   il   rapporto  di  lavoro  esclusivo»  (secondo  le
prescrizioni del comma 3 del medesimo art. 15-quater).
    Come corollario di quanto cosi' disposto, il legislatore statale,
con  la  norma  impugnata, ha stabilito che nel caso in cui la scelta
dei  dirigenti  sanitari cada sul regime della non esclusivita', essa
tuttavia   «non   preclude  la  direzione  di  strutture  semplici  e
complesse».
    6.1.  -  Il primo problema che deve essere affrontato riguarda il
rapporto  tra  la  nuova disposizione dell'art. 15-quater, comma 4, e
quella contenuta nell'art. 15-quinquies, comma 5, del medesimo d.lgs.
n. 502  del  1992,  a  norma del quale «gli incarichi di direzione di
struttura,  semplice  o  complessa,  implicano  il rapporto di lavoro
esclusivo». Ad un primo sommario esame, potrebbe ritenersi che tra le
due norme sussista una vera e propria antinomia.
    6.2.  -  Tale  apparente  antinomia,  tuttavia,  non  puo' essere
risolta   ipotizzando  l'avvenuta  abrogazione  tacita  del  predetto
art. 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, atteso che lo
stesso  legislatore,  come  emerge dai lavori preparatori della legge
n. 138  del 2004, ha inteso sottolineare che il suddetto articolo non
risulta abrogato per effetto della nuova disciplina (in tal senso, in
particolare,  il  parere  reso  dalla Commissione XI della Camera dei
deputati, nel corso della seduta dell'11 maggio 2004).
    In  realta',  l'art. 2-septies  ha  dato  luogo  al  superamento,
unicamente, del principio secondo cui la esclusivita' del rapporto di
lavoro   alle  dipendenze  del  servizio  sanitario  si  poneva  come
attributo    indefettibile    per    la   titolarita'   dell'incarico
dirigenziale.  All'esito,  difatti, di tale intervento legislativo il
sistema  complessivo si fonda, da un lato, sulla reversibilita' della
scelta  in  favore  del  rapporto  esclusivo  (opzione  che, comunque
necessaria   per  il  conferimento  dell'incarico,  e'  destinata  ad
esplicare  efficacia per almeno un anno, sempre che le Regioni non si
avvalgano  della  facolta'  «di  stabilire una cadenza temporale piu'
breve»),  nonche',  dall'altro,  sulla previsione che il passaggio al
rapporto  non  esclusivo  «non  preclude  la  direzione  di strutture
semplici   o   complesse»,   consentendo,   cosi',   il  mantenimento
dell'incarico  dirigenziale. Infine, il sistema si caratterizza anche
per   il  fatto  che  neppure  la  decisione  in  favore  della  «non
esclusivita»  presenta  carattere  irreversibile, essendo il rapporto
esclusivo  pur  sempre  ripristinabile  a  domanda  dell'interessato,
secondo le modalita' di cui al comma 2 del predetto art. 15-quater.
    Il  risultato,  dunque,  delle  modifiche  apportate al testo del
d.lgs.  n. 502  del  1992  dalla  legge  n. 138 del 2004 non consiste
nell'enunciazione  di  un  «nuovo»  principio  generale, ma piuttosto
nell'escludere   valore  di  principio  generale  a  quanto  disposto
dall'art. 15-quinquies,   comma 5,  atteso  che  il  novellato  testo
dell'art. 15-quater,  comma 4, prevede che la scelta, per l'uno o per
l'altro  dei  due  regimi,  sia sostanzialmente «indifferente» quanto
alla  titolarita'  dell'incarico dirigenziale, visto che quest'ultima
non  e'  piu'  subordinata  ad  alcuna  peculiare  configurazione del
rapporto di lavoro.
    L'adozione  di tale soluzione, in conseguenza del superamento del
principio   fondamentale   anteriormente   vigente  in  materia,  non
costituendo  a  propria volta l'espressione di un principio di eguale
natura,  atteso  il  suo  carattere  semplicemente  dispositivo,  non
esclude,  pertanto, che alle Regioni residui uno spazio di intervento
in  subiecta  materia,  venendo  in  rilievo  sotto questo profilo le
prerogative  ad  esse  spettanti  in  merito alla «determinazione dei
principi  sull'organizzazione  dei servizi e sull'attivita' destinata
alla  tutela  della  salute» di cui all'art. 2, comma 2, del medesimo
d.lgs. n. 502 del 1992.
    Cio'  significa, in altri termini, che le stesse - ferma restando
ovviamente   l'operativita'  della  disciplina  statale,  recata  dal
«novellato»  art. 15-quater, comma 4, nei territori delle Regioni che
nulla  abbiano  specificamente stabilito al riguardo - sono libere di
disciplinare le modalita' relative al conferimento degli incarichi di
direzione  delle  strutture  sanitarie,  ora  privilegiando  in senso
assoluto  il  regime del rapporto esclusivo (e' la scelta delle leggi
regionali  della  Toscana e dell'Umbria), ora facendo della scelta in
suo  favore  un  criterio  «preferenziale»  per il conferimento degli
incarichi  di  direzione  (e',  invece, l'opzione legislativa seguita
dalla Regione Emilia-Romagna).
    E'  chiaro,  infine,  che  quando  la  scelta  cada  sul rapporto
esclusivo,  la  disciplina  delle  caratteristiche  proprie  di  tale
rapporto   continua   ad   essere   quella  risultante  dal  predetto
art. 15-quinquies  del  d.lgs.  n. 502 del 1992, norma da ritenersi -
come si e' detto - vigente.
    6.3.  -  Cosi'  ricostruiti,  quindi, gli effettivi termini delle
relazioni intercorrenti (nel descritto ambito materiale della «tutela
della  salute»)  tra norma statale e norme regionali, a cio' non puo'
che  seguire  il  riconoscimento  della infondatezza delle censure di
legittimita' costituzionale formulate - ai sensi dell'art. 117, terzo
comma,   Cost.   -   sia   avverso   l'art. 2-septies,  comma 1,  del
decreto-legge  n. 81  del  2004,  nel testo modificato dalla relativa
legge   di   conversione  n. 138  del  2004,  che  delle  «speculari»
disposizioni  legislative  regionali, e segnatamente: l'art. 59 della
legge  regionale  della  Toscana  n. 40  del 2005; l'art. 8, comma 4,
della  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna n. 29 del 2004; l'art. 1
della legge regionale dell'Umbria n. 15 del 2005.
    7.  -  La  conclusione  appena  raggiunta  non  comporta,  pero',
automaticamente  il rigetto di tutte le altre censure di legittimita'
costituzionale  proposte  sia  dalla Regione Toscana contro il citato
art. 2-septies,  comma 1,  del  decreto-legge n. 81 del 2004, sia dal
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri  avverso  talune  delle
disposizioni  regionali  sopra  indicate  (segnatamente  gli artt. 59
della  legge  regionale della Toscana n. 40 del 2005 ed 1 della legge
regionale dell'Umbria n. 15 del 2005).
    7.1.  -  Quanto  alle  censure proposte dalla Regione Toscana nei
confronti dell'art. 2-septies citato, ulteriori rispetto a quelle fin
qui esaminate, ne va rilevata la infondatezza.
    In  particolare,  precisato  che  si presenta ultronea la dedotta
violazione  dell'art. 118  della  Costituzione,  in  quanto  di  tale
disposizione  costituzionale lo Stato non ha fatto applicazione nella
specie,  deve  osservarsi che si presenta destituita di fondamento la
censura  di violazione del principio di leale collaborazione, dedotta
dalla  Regione  con  riferimento  al  mancato  coinvolgimento, quanto
all'adozione   della   disposizione   impugnata,   della   Conferenza
permanente  Stato-Regioni,  a norma dell'art. 2 del d.lgs. n. 281 del
1997 o dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Questa  Corte,  difatti,  ha  gia' avuto modo di precisare che il
mancato  coinvolgimento  della predetta Conferenza, sia nella fase di
emanazione  del  decreto-legge,  che  in  quella della conversione in
legge, non integra un vizio di costituzionalita' della norma statale,
ne'   postula,  di  per  se',  la  lesione  del  principio  di  leale
collaborazione  tra  lo Stato e le Regioni (sentenze n. 272 del 2005,
n. 196 del 2004). E', pertanto, da escludere la fondatezza della tesi
prospettata  dalla  Regione  ricorrente secondo cui si sarebbe dovuto
seguire, nella specie, «un intervento di codecisione paritaria con le
Regioni».
    7.2.  -  Quanto  poi alle ulteriori censure, proposte dallo Stato
nei  confronti  delle  impugnate  disposizioni regionali, consistenti
nella   deduzione   di  vizi  distinti  da  quello  della  violazione
dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  e,  dunque,  con  riferimento a
parametri  diversi da quelli relativi al riparto delle competenze tra
lo Stato e le Regioni, se ne deve affermare la non fondatezza.
    7.2.1.  -  Ci si riferisce, in particolare, all'assunto contrasto
dei  predetti  artt. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del
2005  ed  1  della  legge  regionale  dell'Umbria n. 15 del 2005, con
l'art. 3 della Costituzione.
    Le  disposizioni  legislative regionali sono, infatti, sospettate
di  illegittimita'  costituzionale  anche  «sotto  il  profilo  della
irragionevolezza», e «sotto quello della disparita' di trattamento».
    Il  ricorrente muove dall'assunto secondo cui non sarebbe, per un
verso,  ragionevole  differenziare  i dirigenti sanitari in regime di
esclusivita'  da  quelli  che  non  hanno  optato  per  tale rapporto
(giacche'  la  scelta  in favore dell'uno o dell'altro dei due regimi
non inciderebbe «sulla disponibilita' che il dirigente sanitario deve
comunque   garantire   e   sullo   svolgimento   dei  propri  compiti
istituzionali»),   evidenziando,   inoltre,  che  le  norme  suddette
darebbero  vita  ad  «una  irragionevole  disparita'  di  trattamento
nell'ambito  del  personale  universitario  fondata  su  di  un fatto
meramente accidentale quale il rapporto esistente o non esistente con
la Regione».
    7.2.2. - Tale censura non e' fondata.
    Questa  Corte,  piu' volte chiamata a sindacare la ragionevolezza
di  scelte  legislative dirette a porre limiti allo svolgimento delle
attivita'  libero-professionali dei sanitari appartenenti al Servizio
sanitario  nazionale (giacche' tale e', in definitiva, il senso della
dedotta  censura  di violazione dell'art. 3 Cost.), ha osservato come
detto  scrutinio vada effettuato verificando se eventuali «condizioni
e  limiti»  alla  stessa  imposti possano ritenersi «preordinati alla
tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali parimenti fatti
oggetto  (...)  di  protezione costituzionale» (cosi', da ultimo, con
specifico    riferimento   all'attivita'   libero-professionale   dei
veterinari, la sentenza n. 147 del 2005).
    Cio'  premesso  in termini generali, deve ribadirsi quanto questa
Corte  gia'  in  passato ha affermato, e cioe' che nel «quadro di una
evoluzione legislativa diretta a conferire maggiore efficienza, anche
attraverso   innovazioni  del  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti,
all'organizzazione   della   sanita'   pubblica   cosi'  da  renderla
concorrenziale  con quella privata, (...) non appare irragionevole la
previsione      di      limiti      all'esercizio      dell'attivita'
libero-professionale  da  parte  dei  medici  del  Servizio sanitario
nazionale»,  e cio' anche in ragione del fatto «che la denunciata - e
comunque   indiretta   -   limitazione   all'esercizio  della  libera
professione»,  risulta  «peraltro  frutto  di  una precisa scelta del
medico» (sentenza n. 330 del 1999).
    Tali   conclusioni,   poi,  possono  essere  ribadite  anche  con
riferimento  alla ipotizzata «irragionevole disparita' di trattamento
nell'ambito  del  personale universitario», e cio' in quanto non puo'
ritenersi  manifestamente  irragionevole  la  scelta  effettuata  dal
legislatore in tale materia (sentenza n. 71 del 2001).
    Ed  e'  chiaro  che, comunque, la legislazione regionale non puo'
incidere sullo status dei professori universitari.
    8.  -  Passando  poi  alle  altre  questioni oggetto del presente
giudizio   (e   non   direttamente   riconducibili   al   tema  della
«esclusivita»   del  rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti  sanitari),
debbono,   innanzitutto,   esaminarsi   quelle  relative  all'art. 2,
comma 1,  lettera b),  ed  all'art. 8, comma 3, della legge regionale
dell'Emilia-Romagna n. 29 del 2004, entrambe proposte dallo Stato con
riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
    8.1. - Le due norme - nello stabilire, rispettivamente, l'una che
«la  costituzione  di  Aziende  Ospedaliere e' disposta dalla Regione
previa  valutazione di complessita' dei casi trattati», e l'altra che
«l'attribuzione  dell'incarico di direzione di struttura complessa ai
dirigenti  sanitari  e' effettuata dal direttore generale (...) sulla
base  di  una  rosa di tre candidati» - derogherebbero a due principi
fondamentali della materia «tutela della salute».
    La  prima  disposizione,  difatti,  contravverrebbe  al principio
desumibile  dall'art. 4,  comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, ai
sensi  del  quale  «la costituzione di tale tipo di Aziende sanitarie
puo'  essere proposta dalla Regione solo quando ricorrono determinati
requisiti,  tra  i  quali,  di  particolare  rilevanza:  l'indice  di
complessita'  dei casi trattati dall'ospedale che superi di almeno il
20%  il  valore  della  media  regionale,  la  presenza di tre unita'
operative  di  alta  specialita',  un  tasso  di ricoveri di pazienti
provenienti da altre Regioni che superi di almeno il 10%, nell'ultimo
triennio, il valore medio regionale».
    La  seconda, invece, violerebbe l'art. 15-ter del medesimo d.lgs.
n. 502  del  1992,  il  quale  prevede  «l'attribuzione dell'incarico
«sulla   base   di  una  rosa  di  candidati  idonei  selezionata  da
un'apposita commissione» senza limitare il numero dei designati dalla
commissione stessa».
    9. - Entrambe le questioni non sono fondate.
    9.1.  - Difatti, e indipendentemente dal rilievo che e' lo stesso
legislatore  statale  (art. 19,  comma 2-bis,  del  d.lgs. n. 502 del
1992)  ad  escludere  la  qualificazione  come «principi generali» di
quelli  desumibili  dal  precedente art. 4, comma 1-bis, del medesimo
decreto legislativo, valgono nel caso di specie i seguenti assorbenti
rilievi.
    Nel  disciplinare  il criterio (o meglio, uno dei criteri) per la
costituzione  di nuove aziende ospedaliere, la Regione Emilia-Romagna
non  solo ha operato nell'ambito di competenze regionali relative sia
alla  «determinazione  dei principi sull'organizzazione dei servizi e
sull'attivita'   destinata   alla  tutela  della  salute»,  che  alle
«modalita'  organizzative  e  di funzionamento delle unita' sanitarie
locali» (artt. 2, comma 2, e 3, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992),
ma  ha  anche  dato  vita  ad  un  intervento,  la cui conformita' al
disposto  del  richiamato  art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del
1992,  deve essere valutata alla stregua di quella che risulta essere
la complessiva disciplina regionale vigente in materia.
    Orbene,  se  si  ha  riguardo a questa ultima nel suo insieme - e
segnatamente  alle  prescrizioni contenute nell'art. 3 della medesima
legge  reg.  n. 29  del  2004, come nella legge regionale 20 dicembre
1994,  n. 50  (Norme  in  materia  di  programmazione,  contabilita',
contratti  e  controllo delle aziende Unita' sanitarie locali e delle
aziende  ospedaliere), ovvero nel Piano sanitario regionale 1998-2000
-   appare  evidente  che  la  Regione  Emilia-Romagna  subordina  la
costituzione  delle  aziende  ospedaliere  a  prescrizioni non minori
rispetto a quelle di cui alla citata norma di legge statale.
    9.2.  -  Quanto,  invece,  alla  seconda  disposizione impugnata,
limitandosi  la  stessa a stabilire che la «rosa», in base alla quale
il   direttore  generale  della  azienda  sanitaria  locale  effettua
«l'attribuzione  dell'incarico  di direzione di struttura complessa»,
ricomprenda «tre candidati», detta una tipica norma di dettaglio, non
in  contrasto  con  l'art. 15-ter del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992
(che non limita il numero degli aspiranti).
    Se,  invero,  il  rapporto  tra  norma «di principio» e norma «di
dettaglio»  deve  essere inteso nel senso che l'una «puo' prescrivere
criteri    (...)    ed   obiettivi»,   all'altra   invece   spettando
l'individuazione   degli   «strumenti   concreti  da  utilizzare  per
raggiungere  quegli  obiettivi»  (sentenza  n. 390  del 2004), non e'
dubitabile  che  una  relazione  siffatta  sussista  tra  il predetto
art. 15-ter   del  d.lgs.  n. 502  del  1992  e  la  norma  regionale
impugnata.  Il  primo  fissa, difatti, l'obiettivo della designazione
del  direttore  della  struttura sanitaria attraverso una valutazione
comparativa   di  una  rosa  di  candidati  selezionati  da  apposita
commissione,  la norma regionale determina, invece, solo le modalita'
di formazione di tale rosa.
    Resta,  peraltro,  implicito  che  in  coerente  applicazione dei
canoni  fissati dall'art. 97 della Costituzione (i quali esigono «che
nell'accesso  a funzioni piu' elevate» venga osservato un «meccanismo
di selezione tecnica e neutrale dei piu' capaci»; cfr. sentenza n. 62
del  2006,  sentenze  nn. 465 e 407 del 2005) e' necessario che siano
adottate  modalita'  procedimentali atte a garantire le condizioni di
un trasparente ed imparziale esercizio dell'attivita' amministrativa.
Occorre,  altresi',  che  tale  attivita',  oltre  ad  essere  svolta
mediante  l'impiego  di  criteri  oggettivi e predeterminati, culmini
nella formazione di una graduatoria in base alla quale procedere alla
individuazione   dei  tre  aspiranti  al  conferimento  dell'incarico
dirigenziale,  fermo restando, comunque, che rimane impregiudicata la
possibilita'  per  il  direttore  generale  della  azienda  sanitaria
locale,   con   atti  motivati,  di  non  avvalersi  della  terna  e,
conseguentemente, di non procedere all'attribuzione dell'incarico.
    10.  - L'ultima questione che viene in esame e' quella (reg. ric.
n. 53  del  2005)  avente ad oggetto l'art. 139 della legge regionale
della  Toscana  n. 40  del  2005, secondo cui gli organi dell'Agenzia
regionale  di  sanita',  disciplinata  dal  precedente  art. 82 della
medesima  legge,  «in  carica al momento dell'entrata in vigore della
presente  legge,  restano  in carica fino all'entrata in vigore della
legge di revisione dell'ARS».
    E'   dedotta   dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  la
violazione   dell'art. 97   Cost.,   giacche'   la   norma  impugnata
contravverrebbe   ai   «principi   di  legalita',  buon  andamento  e
imparzialita'  dell'organizzazione  amministrativa»,  dando vita - in
contrasto  con  l'art. 3  del  decreto-legge  16 maggio  1994, n. 293
(Disciplina  della  proroga degli organi amministrativi), convertito,
con  modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444 - ad «una vera
e  propria  prorogatio  a  tempo  indeterminato»,  durante  la quale,
oltretutto,  «gli organi dell'ARS» svolgono «funzioni non affievolite
di  studio  e  di  ricerca,  nonche' ulteriori eventuali incarichi da
parte della Giunta regionale o del Consiglio regionale».
    10.1. - La questione e' fondata.
    10.2.  - La norma regionale impugnata non e' conforme ai principi
in   tema  di  prorogatio  degli  organi  amministrativi,  desumibili
dall'art. 3 del citato decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con
modificazioni,  dalla legge n. 444 del 1994, e, dunque, essa viola il
parametro di cui all'art. 97 della Costituzione.
    In  proposito giova rammentare come questa Corte (sentenza n. 208
del 1992), nell'escludere che «la regola della prorogatio di fatto, a
tempo   indefinito,   sia   da   considerarsi   vigente   in   quanto
inscindibilmente  legata all'essenza stessa degli ordinamenti», abbia
per  contro  affermato  che  «ogni  proroga,  in  virtu' dei principi
desumibili  dal  citato  art. 97  della  Costituzione»,  puo' «aversi
soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa
indicati».
    La Corte, inoltre, nel prendere atto che proprio il citato art. 3
del  decreto-legge  n. 293  del  1994, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  n. 444  del 1994, ha provveduto a dettare la disciplina
generale   della   prorogatio   degli   organi   amministrativi,   ha
identificato i «principi generali» cui la stessa si ispira.
    Tali  principi,  in  particolare,  sono  stati  individuati nella
«cessazione  delle  funzioni  degli  organi  alla  scadenza  del loro
termine  di  durata»; nella «indicazione di un ragionevole periodo di
proroga,  per  consentirne la rinnovazione, durante il quale l'organo
scaduto  puo' compiere solo atti di ordinaria amministrazione»; nella
«previsione   di   un   regime  sanzionatorio  invalidante  gli  atti
esorbitanti  da  tale  limite»;  nell'«obbligo  della  ricostituzione
dell'organo  entro  una  data  anteriore alla scadenza del periodo di
proroga»;  nella  «definitiva  decadenza  degli  organi  scaduti  dal
momento  di  questa  cessazione» e nell'«assoggettamento ad un regime
sanzionatorio  di  tutti  gli atti emanati successivamente» (sentenza
n. 464 del 1994).
    Orbene,  a  tali  principi  non  si attiene la norma impugnata, e
segnatamente  a  quello - di cui al comma 1 del predetto art. 3 - che
fissa in non piu' di quarantacinque giorni il periodo di durata della
proroga.