IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 01440 del 2004, proposto da: Toto' Pizzeria s.r.l. e Poce Rodolfo, rappresento e difeso dall'avv. Giuseppe Ingle, Michela Vallarino, con domicilio eletto presso Giuseppe Inglese in Genova, via Porta D'archi n. 3; Contro Comune di Genova, rappresentato e difeso dall'avv. Luca De Paoli, con domicilio eletto presso Luca De Paoli in Genova, via Garibaldi n. 9; nei confronti di A.M.I.U. S.p.a., Azienda multiservizi e d'igiene urbana - Genova, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Cocchi, con dormicilio eletto presso Luigi Cocchi in Genova, Via Macaggi 21/5 - 8; per l'accertamento e la condanna ai sensi degli artt. 2043, 2058 e 1585 c.c. in relazione agli arrt. 32 e 2 Cost., della responsabilita' del Comune di Genova e di A.M.I.U. S.p.A. per i danni causati ai ricorrenti in relazione alla collocazione di un impianto destinato alla raccolta ed allo smaltimento di rifiuti solidi urbani nelle immediate vicinanze dei locali condotti dalla Societa' adibiti ad attivita' di ristorante-pizzeria. Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 16 giugno 2005, relatore il Consigliere Oreste Mario Caputo, gli avvocati come da verbale;. F a t t o La ricorrente, gestore di una pizzeria nel centro di Genova, ha dedotto in fatto: di avere ottenuto dal comune un permesso di occupazione permanente di suolo pubblico pari a mq. 44 del tratto antistante l'esercizio commerciale; nel febbraio del 2003 il comune, senza comunicazione dell'avvio del procedimento, ha iniziato lavori edili che hanno interessato in parte lo spazio oggetto della concessione di occupazione; il comune ha collocato a pochi metri di distanza dall'entrata della pizzeria e a ridosso dell'area oggetto d'occupazione sei manufatti componenti di un vero e proprio impianto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani facenti; Ha dedotto in diritto che l'istallazione di detto impianto a pochissimi metri di distanza dal locale ha comportato la lesione dei diritti e interessi della ricorrente; che, all'esito dell'infruttuoso esperimento di segnalazioni e diffide inoltrate all'amministrazione, ha proposto ricorso ai sensi degli artt. 1168 e/o 1170 c.c. nonche' art. 1585 c.c. in relazione agli artt. 700 c.p.c. e 32 Cost. innanzi al tribunale civile; che con ordinanza, confermata in sede di reclamo da quella collegiale, il tribunale adito ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul rilievo che l'istallazione di un impianto destinato all'attivita' di smaltimento di rifiuti solidi urbani sia da ricondurre alla materia urbanistica ed edilizia devoluta, ai sensi dell'art. 34 d.lgs. 31marzo 1998, n. 80 come modificato dall'art. 7, legge n. 205 del 2000, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Da qui il ricorso che ne occupa che muove dalla violazione dei diritti alla fruizione e all'esercizio dell'attivita' commerciale nei locali compromessi dall'impianto, con la conseguente condanna dell'amministrazione e della controinteressata al risarcimento dei danni patrimoniali, alla reintegrazione nel godimento dei beni e alla adozione delle misure atte ad scongiurare la lesione del diritto alla salute in stretta connessione dell'attivita' di ristorazione. L'amministrazione e la controinteressata affidataria del servizio di smaltimento dei rifiuti e dei relativi impianti hanno chiesto la reiezione del ricorso, depositando in prossimita' dell'udienza di discussione memoria con la quale, invocando la sentenza Corte cost. n. 204 del 2004, hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Alla pubblica udienza del 16 giugno 2005 la causa su richiesta delle parti e' stata attenuta in decisione. D i r i t t o La ricorrente ha chiesto l'accertamento, e la conseguente condanna, ai sensi degli artt. 2043, 2058 e 1585 c.c. in relazione agli arti. 700 c.p.c. e 32 Cost. della responsabilita' del Comune di Genova e di A.M.I.U. S.p.a. per i danni causati ai ricorrenti in relazione alla collocazione di una serie di «cassonetti a cascata» destinati alla raccolta ed allo smaltimento di rifiuti solidi urbani nelle immediate vicinanze dei locali condotti dalla societa' adibiti ad attivita' di ristorante-pizzeria. All'udienza di discussione la ricorrente nulla ha opposto all'eccezione, concordemente sollevata dal Comune di Genova e dalla controinteressata, sul difetto di giurisdizione del giudice amministrativo fondata sulla sopravvennuta declaratoria di (parziale) incostituzionalita' degli artt. 33, commi primo e secondo, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall'art. 7, lett. a) legge 21 luglio 2000 e dell'art. 34, comma primo, stesso d.lgs., come sostituito dall'art. 7, lett. b) stessa legge per effetto della sentenza Corte cost. n. 204, del 2004 nella parte in cui ha escluso che rientrino nella giurisdizione amministrativa le controversie afferenti a meri comportamenti della pubblica amministrazione e, conseguentemente, negando la giurisdizione sulle corrispondenti azioni possessorie e meramente risarcitorie. Ritiene peraltro il collegio che la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso per difetto di giurisdizione che esaurisca definitivamente il giudizio, per non vanificare l'attivita' processuale svolta e, per quel piu' rileva, onde impedire che la parte subisca gli effetti della decadenza nel frattempo maturata, debba comportare la translatio iudicii innanzi al giudice divenuto competente, peraltro non prevista dall'art. 30, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La norma infatti si limita a stabilire che il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo «deve essere rilevato anche d'ufficio», precludendo ogni altra pronuncia intesa ad assicurare la possibilita' di riassumere il processo davanti al giudice ordinario fornito di giurisdizione e, conseguentemente, di salvare gli effetti sostanziale e processuali della domanda. Da qui la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' dell'art. 30, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La vicenda oggetto di sindacato e' al riguardo paradigmatica di cattiva funzionalita' del processo, cui potrebbe porre argine il meccanismo della translatio. La societa' (allora) attrice, a seguito della realizzazione da parte del comune di Genova di un insieme di «cassonetti a cascata» per la raccolta dei rifiuti urbani localizzato dinanzi al suo esercizio di ristorazione, ha dapprima presentato ricorso ex artt. 1168 e 1170 c.c. nonche' art. 1595 c.c. e 700 c.p.c. in relazione all'art. 32 Cost. innanzi al tribunale civile che con ordinanza collegiale, resa in sede di riesame, ha confermato la pronuncia di declinatoria di giurisdizione sul rilievo che si vertesse su provvedimenti e comportamenti dell'amministrazione in materia urbanistica ed edilizia devoluti, ai sensi dll'art. 34, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall'art. 7 lett. a) legge 21 luglio 2000 n. 205, alla giurisdizione del giudice amministrativo. La societa' (attuale) ricorrente, allegando gli stessi fatti, cause petendi e petitum omologhi, ha quindi incardinato ex novo il giudizio innanzi a questo tribunale amministrativo, evocando in giudizio il Comune di Genova e la controinteressata. Giudizio che qualora si concludesse ancora una volta con pronuncia declaratoria tout court sulla giurisdizione, senza cioe' l'indicazione del giudice divenuto nel frattempo competente alla prosecuzione del processo, vanificherebbe l'attivita' processuale svolta, determinando di fatto, altresi', la decadenza dalle azioni possessorie da promuoversi nel termine annuale (artt. 1168, comma 1, e 1170, comma 1, c.c.) originariamente proposte innanzi al giudice civile e riproposte, nel contenuto e nella formulazione della specifica domanda di reintegrazione, innanzi a questo Collegio. In definitiva, oltre al «palleggio dei giudizi» fra giudici appartenenti a giurisdizioni diverse ma nient'affatto separate (artt. 111, ult. comma, Cost., 382 c.p.c e 30, comma 3, legge 6 dicembre 1971, n. 1034), ed ex se (figurativamente) emblematica di inutile dispendio di energie procesuali e risorse economiche oltretutto collidente con il diritto costituzionale alla durata ragionevole del processo che metta capo ad una pronuncia sul merito (legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), la parte subisce passivamente, suo malgrado senza alcuna auto-responsabilita' che giustifichi la sopportazione delle conseguenze negative, la perdita del diritto alle azioni possessorie. In guisa tale che la durata del processo, non solo va a detrimento di chi attraverso esso fa valere il proprio diritto, ma incide alla radice sull'azione in senso concreto, intesa come diritto «all'attuazione della legge spettante a chi ha ragione» (c.d. perpetuatio actionis). Ne' supplisce tale grave vulnus epitome della violazione degli artt. 24, 111 e 113 Cost., l'applicazione estensiva, in forza di interpretazione correttiva, dell'art. 5 c.p.c. sulla c.d. perpetuatio giurisdictionis a mente della quale, anche in presenza della declaratoria di incostituzionalita' della norma attributiva della giurisdizione, il processo continua dinanzi al giudice individuato sulla scorta di quella stessa norma oramai espunta dall'ordinamento. E' consolidato a riguardo l'orientamento della suprema corte (Cass. sez. un. 16 novembre 2004 n. 216359) a tenore del quale «il principio di cui all'art. 5 c.p.c. non opera allorche' la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione venga dichiarata costituizionalmente illegittima, atteso il carattere retroattivo delle pronunce della Corte costituzionale che ne comporta l'immediata applicabilita' nei giudizi in corso, con il solo limite del giudicato sulla giurisdizione». Ogni altro sforzo pretorio, condotto sia sul piano dell'esegesi delle norme che disciplinano la materia sia su quello operativo, volto scongiurare il denunciato horror vacui si scontra con l'inidoneita' della pronuncia, che disponga la continuazione del processo con la possibilita' di riassumere il giudizio dinanzi al giudice fornito di giurisdizione e la salvezza degli effetti della domanda e degli atti compiuti, a vincolare il giudice ad quem appartenente - a tacere d'altro - ad altro ordine giurisdizionale. Mentre la stessa possibilita' di invocare l'errore scusabile, gia' in astratto affatto esorbitante laddove «errore» non vi sia stato, affidata ad una valutazione del giudice che non garantisce a sufficienza sia il diritto sostanziale sia quello all'azione di chi abbia iniziato il processo nel pieno rispetto della legge vigente: viceversa assicurati dal meccanismo processuale della transiatio iudicii. Conclusivamente il Collegio, sulla base deli argomenti sopra esposti solleva d'ufficio questione di costituzionalita, dell'art. 30, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in relazione agli artt. 24, 111, 113 cost. nella parte in cui non consente al giudice amministrativo che declini la giurisdizione di disporre la continuazione del processo con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda.