ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli articoli 2 della
legge  8 agosto  1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento
economico   e   di   quiescenza  del  personale  di  magistratura  ed
equiparato),  11  del  decreto  legislativo  30 dicembre 1992, n. 503
(Norme  per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori
privati  e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421),  59  della  legge  27 dicembre  1997,  n. 449 (Misure per la
stabilizzazione  della  finanza pubblica), 34 della legge 23 dicembre
1998,  n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo
sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -- legge
finanziaria  2001), promosso con ordinanza del 1° febbraio 2005 dalla
Corte  dei  conti  -- sezione giurisdizionale per la Regione Liguria,
sul  ricorso proposto da Grillo Giovanni ed altri contro il Ministero
della  giustizia  ed altro, iscritta al n. 506 del registro ordinanze
2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1ª
serie speciale, dell'anno 2005.
    Visti  l'atto  di costituzione di Grillo Giovanni, nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2006 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio promosso da Giovanni
Grillo, Guido Cucco, Nicola Perazzelli e Roberto Sciacchitano, avente
ad   oggetto   l'accertamento   del  diritto  dei  ricorrenti,  tutti
magistrati   ordinari  a  riposo,  ad  un  trattamento  pensionistico
rapportato all'attuale livello retributivo dei magistrati in servizio
con  pari  inquadramento ed anzianita', la Corte dei conti -- sezione
giurisdizionale  per  la  Liguria,  con  ordinanza depositata in data
1° febbraio  2005,  pervenuta  alla  cancelleria  di  questa Corte il
27 settembre  2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 36, 38
e  53  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 2  della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in
materia  di  trattamento  economico  e di quiescenza del personale di
magistratura  ed  equiparato), 11 del decreto legislativo 30 dicembre
1992,  n. 503  (Norme  per il riordinamento del sistema previdenziale
dei  lavoratori  privati  e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge
23 ottobre  1992,  n. 421),  59  della legge 27 dicembre 1997, n. 449
(Misure  per  la  stabilizzazione  della  finanza pubblica), 34 della
legge  23 dicembre  1998,  n. 448  (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione  e  lo  sviluppo)  e 69 della legge 23 dicembre 2000,
n. 388  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001);
        che  il  giudice  a quo - premesso che la legge (art. 2 della
legge   19 febbraio   1981,   n. 27)   prevede,   per  i  magistrati,
l'attribuzione  periodica  di aumenti stipendiali pari alla media dei
miglioramenti  conseguiti  da altre categorie assunte a riferimento -
osserva  che,  nel  corso  del  pensionamento,  il  collegamento  tra
trattamento   economico  di  attivita'  e  trattamento  pensionistico
(inizialmente  determinato  con  riferimento  all'ultimo  stipendio o
comunque correlato alla posizione retributiva conseguita all'atto del
collocamento a riposo) e' destinato ad allentarsi; e che tale divario
sarebbe  sostanzialmente irrilevante sotto il profilo costituzionale,
ma  con  un  limite:  quando  il  trattamento  pensionistico perda il
connotato  di  proporzionalita'  alla quantita' e qualita' del lavoro
prestato e scenda al di sotto dei limiti stabiliti dall'art. 36 della
Costituzione,  insorgerebbe,  ad  avviso  del rimettente, un vizio di
legittimita'  costituzionale  riferibile  alle disposizioni normative
dalle quali deriva il mancato rispetto di quei limiti;
        che  la  Corte  dei  conti  -  sezione giurisdizionale per la
Regione  Liguria  ritiene  che le fattispecie al suo esame dimostrino
l'esistenza  di un sensibile depauperamento subito dai ricorrenti nel
tempo,  con riferimento al trattamento economico proprio dei colleghi
in  servizio  attivo  ed allo stesso trattamento che loro spetterebbe
qualora venissero, oggi, collocati a riposo: tale scostamento sarebbe
soltanto  in  minima  parte  colmato  attraverso  l'applicazione  del
meccanismo  di  perequazione  automatica  dei  trattamenti, e sarebbe
significativo,  nel  senso  che  inciderebbe  notevolmente  sui mezzi
necessari   ad   assicurare   al  pensionato  ed  alla  sua  famiglia
un'esistenza libera e dignitosa;
        che, difatti, con riferimento, ad esempio, alla posizione del
dott.  Perazzelli,  collocato  a riposo nel 1992 e titolare, all'atto
del  pensionamento,  del  trattamento  economico  spettante  al primo
presidente  aggiunto  della  Corte  di  cassazione,  il giudice a quo
evidenzia che un collega avente pari grado di anzianita', collocato a
riposo  nell'anno 2002,  percepirebbe un trattamento annuo lordo pari
ad  euro  169.206,00,  superiore a quello del dott. Perazzelli di ben
51.943,94 euro;
        che   le   norme   denunciate,  impedendo  l'adeguamento  dei
trattamenti  di  quiescenza  del  personale  gia'  appartenente  alla
magistratura, violerebbero gli articoli 36 e 38 della Costituzione;
        che  la  situazione connessa al divario pensioni-retribuzioni
si  porrebbe  in  contrasto  anche  con  il  principio  di  capacita'
contributiva  di  cui all'art. 53 della Costituzione, giacche' non vi
sarebbe  corrispondenza  tra  le  retribuzioni,  in  ragione  del cui
ammontare  si  opera  il  prelievo  contributivo,  ed  i  trattamenti
pensionistici  in  funzione  dei  quali  la  contribuzione  ha ragion
d'essere,  di  talche'  la  contribuzione previdenziale finirebbe per
assumere   connotati   diversi   da   quelli   suoi   propri,   ossia
caratteristiche  tali  da  renderla  assimilabile  ad  un prelievo di
natura  tributaria,  ma  al di fuori delle garanzie di rispetto della
capacita' contributiva previste dall'art. 53 della Costituzione;
        che  nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  sono costituiti
Giovanni   Grillo,   Guido   Cucco,   Nicola   Perazzelli  e  Roberto
Sciacchitano,   ricorrenti   nel  giudizio  a  quo,  concludendo  per
l'accoglimento della questione;
        che,  confrontando il trattamento pensionistico di cui godono
le  parti  private  con  il trattamento pensionistico che spetterebbe
oggi  ad  un  collega  di pari anzianita' e funzione all'atto del suo
collocamento  a  riposo,  si osserva che il depauperamento subito dai
ricorrenti  e'  notevole,  sicche' la soglia di cui all'art. 36 della
Costituzione sarebbe ampiamente superata;
        che   un'ulteriore   questione  sarebbe  quella  relativa  al
contributo  in  favore del fondo pensioni, corrisposto dai magistrati
in  servizio  in misura calcolata sull'intero stipendio, mentre, dopo
il  collocamento  a riposo, la decurtazione della pensione verrebbe a
rendere  a  posteriori  ingiustificata  una quota del versamento, con
conseguente  violazione,  oltre  che dell'art. 36 della Costituzione,
anche dell'art. 3 della Costituzione;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per la manifesta infondatezza della questione;
        che, ad avviso dell'Avvocatura, il passare del tempo, in se',
non  puo'  essere  automatica  fonte  del  diritto alla perequazione,
poiche'   il   trattamento   pensionistico   si  fonda  su  parametri
proporzionali  alla  contribuzione  previdenziale versata, che, a sua
volta, si basa sul reddito percepito dai lavoratori;
        che  la  difesa erariale richiama le sentenze di questa Corte
n. 409  del  1995  e  n. 30  del  2004,  che  hanno gia' scrutinato -
dichiarandole  non  fondate  -  analoghe  questioni  di  legittimita'
costituzionale; e, esclusa l'esistenza di un principio costituzionale
di  adeguamento  delle  pensioni  al successivo trattamento economico
dell'attivita' di servizio corrispondente, afferma che il trattamento
pensionistico  erogato  ai ricorrenti e' piu' che congruo rispetto al
soddisfacimento dei bisogni primari della vita quotidiana.
    Considerato  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
investe la disciplina del trattamento pensionistico dei magistrati ed
ha  per  oggetto  gli  articoli 2  della  legge 8 agosto 1991, n. 265
(Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del
personale  di magistratura ed equiparato), 11 del decreto legislativo
30 dicembre  1992,  n. 503  (Norme  per  il riordinamento del sistema
previdenziale  dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3
della  legge  23 ottobre  1992,  n. 421),  59 della legge 27 dicembre
1997,  n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica),
34  della  legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica
per  la  stabilizzazione  e lo sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre
2000,  n. 388  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001);
        che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  le  disposizioni
denunciate,  limitandosi  a  prevedere  un meccanismo di perequazione
dell'importo  dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo
della   vita,   determinerebbero  un  significativo  ed  apprezzabile
depauperamento del trattamento pensionistico dei magistrati collocati
a  riposo  con  riferimento  al  trattamento  economico  proprio  dei
colleghi  in servizio attivo ed allo stesso trattamento pensionistico
dei   magistrati   collocati   a   riposo  successivamente,  e  cosi'
violerebbero,  da  un  lato, gli articoli 36 e 38 della Costituzione,
sotto   il   profilo   del   principio  di  equa  retribuzione  e  di
proporzionalita',   e,   dall'altro,  l'art. 53  della  Costituzione,
giacche'  il  divario  pensioni-retribuzioni  farebbe  assumere  alla
contribuzione  previdenziale connotati diversi da quelli suoi propri,
ossia caratteristiche tali da renderla assimilabile ad un prelievo di
natura  tributaria,  ma  al di fuori delle garanzie di rispetto della
capacita' contributiva previste dalla Costituzione;
        che,  preliminarmente,  si deve precisare che la questione va
esaminata   entro   i   limiti   del   thema  decidendum  individuati
dall'ordinanza  di  rimessione: rimane, percio', estraneo al presente
giudizio l'esame della questione di costituzionalita' con riferimento
all'ulteriore  parametro  - l'art. 3 della Costituzione - prospettato
dalla  difesa delle parti private costituite (v., da ultimo, sentenza
n. 282 del 2005);
        che   questa   Corte,   esaminando   analoghe   questioni  di
legittimita'  costituzionale,  ha gia' avuto modo di affermare che il
principio della proporzionalita' della pensione alla quantita' e alla
qualita'  del  lavoro  prestato,  nonche'  della sua adeguatezza alle
esigenze  di  vita  del  lavoratore  e  della sua famiglia - che deve
essere  osservato  non  solo al momento del collocamento a riposo del
lavoratore,  ma  anche successivamente, in relazione al mutamento del
potere  di  acquisto  della moneta - non impone affatto il necessario
adeguamento  del  trattamento  pensionistico  agli stipendi, giacche'
spetta alla discrezionalita' del legislatore determinare le modalita'
di  attuazione  del principio sancito dall'art. 38 della Costituzione
(sentenza   n. 30  del  2004);  conseguendo  tale  determinazione  al
bilanciamento   del   complesso   dei   valori   e   degli  interessi
costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie
disponibili  e  ai  mezzi  necessari  per  far fronte agli impegni di
spesa,  con  il  limite  comunque  di  assicurare  «la garanzia delle
esigenze  minime  di  protezione  della persona» (sentenza n. 457 del
1998);
        che,   pertanto,  non  rappresenta  vulnerazione  dei  canoni
costituzionali  evocati  dal rimettente il fatto che il legislatore -
orientatosi  nel  senso  di  salvaguardare  nel  tempo  il  potere di
acquisto  e  l'adeguatezza  dei  trattamenti pensionistici unicamente
attraverso  lo  strumento  della perequazione automatica dell'importo
alle  variazioni  del costo della vita -, nel prevedere un meccanismo
di  adeguamento  delle  retribuzioni  del  personale in servizio, non
abbia   parallelamente  esteso  analogo  adeguamento  ai  trattamenti
pensionistici  della  medesima  categoria. E questo tanto piu' quando
tale  meccanismo  appaia  elemento  intrinseco  della struttura delle
retribuzioni  dei magistrati, avendo la peculiare ratio di attuare il
precetto costituzionale dell'indipendenza e di evitare che essi siano
soggetti  a  periodiche  rivendicazioni nei confronti di altri poteri
(sentenza n. 42 del 1993); si' da non potersi considerare necessitata
la  trasposizione  di  tale  elemento anche al settore pensionistico,
trattandosi  di scelta rimessa alla discrezionalita' del legislatore,
non  piu'  sussistendo  nel  periodo  di quiescenza l'esigenza che ne
aveva  giustificato  l'attribuzione  nella  vigenza  del  rapporto di
servizio (sentenza n. 409 del 1995);
        che  tale  mancata  estensione  produce  uno  scostamento tra
trattamenti   pensionistici  maturati  in  tempi  diversi,  il  quale
tuttavia,  a  differenza  di  quanto  sostiene  il rimettente, appare
giustificato  dal  diverso  trattamento economico di cui i lavoratori
hanno  goduto  durante  il rapporto di servizio e che era vigente nei
diversi  momenti  in  cui  i  relativi trattamenti pensionistici sono
maturati (sentenza n. 30 del 2004);
        che   palesemente   inconferente   e',  infine,  il  richiamo
all'art. 53   della   Costituzione,   in   quanto   la  contribuzione
previdenziale   non  ha  natura  di  imposizione  tributaria,  ma  di
prestazione  patrimoniale  diretta a concorrere agli oneri finanziari
del  regime  previdenziale dei lavoratori (sentenze n. 354 del 2001 e
n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003);
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.