IL TRIBUNALE

    Nella   causa   n. 216854/03  vertente  tra:  Elisabetta  Midena,
elettivamente domiciliata in Roma, via Bergamo n. 3, presso lo studio
degli avv. Amos Andreoni, Luisa Torchia, Vittorio Angiolini e Tommaso
Di  Nitto  che  la rappresentano e difendono giusta mandato a margine
del ricorso, ricorrente e Ministero dell'istruzione, dell'universita'
e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore e Presidenza del
Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del  Presidente  pro tempore,
rappresentati  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, elettivamente
domiciliati  in  Roma,  presso  l'ufficio  legale  dell'Ente, via dei
Portoghesi   n. 12,   resistenti,   e   Antonio   Giunta   La  Spada,
controinteressato  contumace,  a  scioglimento  della riserva assunta
nell'udienza   del  17  gennaio  2006,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza.
    Si  premette  in  fatto  che la parte ricorrente ha stipulato l'8
gennaio  200l  con  l'allora  Ministero  della pubblica istruzione un
contratto a tempo determinato avente ad oggetto il conferimento di un
incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale generale,
nella  specie,  di Direttore generale per le relazioni internazionali
della durata di cinque anni.
    Il 24 settembre 2002 con la nota n. 11270/MR l'amministrazione di
appartenenza  comunicava  alla  parte  ricorrente la mancata conferma
nell'incarico  gia'  ricoperto preannunciandogli l'attribuzione di un
incarico  di  studio  della  durata  non  superiore  ad  un  anno con
mantenimento  del  precedente  trattamento economico, in applicazione
dell' art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002.
    Il  25  settembre  2002 con la nota n. 11319/MR l'amministrazione
proponeva   l'attribuzione  dell'incarico  precedentemente  ricoperto
dalla parte ricorrente in favore del dott. Giunta La Spada.
    Sempre  ai  fini  della ricostruzione della vicenda, in pari data
l'amministrazione   procedeva   ad  attribuire  tutti  gli  incarichi
inerenti  i  restanti  posti  di  funzione  dirigenziale  di  livello
equivalente all'incarico originariamente attribuito alla ricorrente.
    Esperiti  i rimedi cautelari anche in sede di reclamo la causa e'
pervenuta per il merito a questo giudice.
    La  parte  ricorrente  ha  eccepito,  con il ricorso ex art. 414.
c.p.c.   in   via   principale   la   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 3,  comma  7, legge n. 145 del 2002, ed ha chiesto a questo
giudice  di  ritenere  la  questione  non  manifestamente  infondata,
ammissibile  e  rilevante  e  di  investire  della questione la Corte
costituzionale;  di  ordinare  all'esito al Ministero dell'istruzione
ripristinare  la  parte  ricorrente nelle sue originarie funzioni; in
via subordinata, che venisse dichiarata, con sentenza non definitiva,
l'insussistenza  del diritto al ripristino nell'incarico di cui sopra
e successivamente che venisse dichiarata l'erronea applicazione della
norma citata nonche' delle delibere n. 11270/MR del 24 settembre 2002
e n. 11319/MR del 25 settembre 2002 nonche' i conseguenti d.P.C.m. di
nomina   del  dott.ssa  Midena  ed  del  dott. Giunta  La  Spada  per
violazione  degli  artt. 3,  comma 7, penultimo e terzultimo periodo,
legge  n. 145/2002  ...  con ordine alle parti pubbliche convenute di
conferire   alla  ricorrente  nuovamente  le  funzioni  di  Direttore
generale  per  le  relazioni  internazionali con decorrenza 8 ottobre
2002  e  di  conferire lo stesso o altro incarico equivalente dopo la
scadenza  del  medesimo  ai  sensi  dell'art. 13,  C.C.N.L. Dirigenza
Area 1, ed art. 19, d.lgs. n. 165/200l.
    In  via  ulteriormente gradata, chiedeva la disapplicazione delle
delibere  sopra  richiamate  (n. 112270  del 24 settembre 2002) e che
venisse   ordinato   al   M.I.U.R.  di  attribuirgli  altro  incarico
equivalente  vacante  alla  data  del  23 settembre  2002  o  in data
successiva   anche   in   deroga   al   limite   percentuale  imposto
dall'art. 19,   comma  4,  d.lgs  n. 165  del  2001;  in  via  ancora
subordinata,  che  venisse  ordinato  al Presidente del Consiglio dei
ministri  di  individuare  ed  attribuire  al  ricorrente un incarico
equivalente  su posti vacanti o assegnati ad interim alla data del 23
settembre  2002  ... anche in deroga al limite in percentuale imposto
dall'art. 19,  comma 4, d.lgs n. 165 del 2001; con ultima subordinata
chiedeva  che venisse ordinato al M.I.U.R., previo annullamento delle
citate  delibere,  di  effettuare  una valutazione comparativa tra la
ricorrente  ed  il  dott. Giunta  La  Spada  ai fini del conferimento
dell'incarico  oggi reclamato, secondo i modi e i termini di cui alla
legge n. 241 del 1990. Chiedeva in ogni caso la condanna del M.I.U.R.
a   corrispondere   al  ricorrente  la  retribuzione  originariamente
pattuita  fino  alla  scadenza  naturale  del  23  febbraio  2006; la
condanna  del  M.I.U.R.  al risarcimento del danno subito per effetto
del  demansionamento  subito; il riconoscimento del diritto di chance
nell'accesso   ad  incarichi  dirigenziali  di  livello  generale  ex
art. 13,   C.C.N.L.  dirigenti  PA,  Area  1,  ordinando  alla  parte
convenuta  la ricostruzione della carriera, oltre al risarcimento del
danno  da  perdita  di  chance;  il  riconoscimento  del  diritto  al
risarcimento  del  danno, alla reputazione personale e professionale,
nonche'  all'onore  al  prestigio  ed alla dignita' professionale che
quantificava in Euro 120.000.
    Si   costituiva  la  Presidenza  del  Consiglio  ed  il  M.I.U.R.
chiedendo  il rigetto del ricorso, mentre il Giunta La Spada rimaneva
contumace.
    Il  procedimento  subiva  una  serie di rinvii su richiesta delle
parti  in  attesa  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  su
identiche  questioni  di  legittimita' costituzionale preventivamente
proposte  in  occasione  di  altri giudizi e gia' pendenti innanzi al
Giudice  delle  leggi,  che, tuttavia, ordinava la restituzione degli
atti  ai  giudici  a quo (ordinanza n. 398 del 2005), affinche' fosse
valutata la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni
riguardanti  l'art. 3,  comma  7,  legge  n. 145  del  2002 alla luce
dell'entrata in vigore dell'art. 14-sexies, d.1.n. 115 del 2005 conv.
in legge n. 168 del 2005.
    Ribadita rilevanza dell'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002.
    Nel  caso  in  esame si e' verificata una situazione analoga alla
cessazione dell'incarico per scadenza del termine, in quanto la legge
n. 145  del  2002 ha disposto la cessazione anticipata dall' incarico
e,  dunque,  anticipato  la  scadenza  del  termine  contrattualmente
previsto.  Recita,  infatti,  l'art. 3,  comma  7, della legge citata
«Fermo  restando  il numero complessivo degli incarichi attribuibili,
le  disposizioni  di  cui  al  presente  articolo  trovano  immediata
applicazione relativamente agli incarichi di funzione dirigenziale di
livello generale e a quelli di direttore generale degli enti pubblici
vigilati  dallo  Stato  ove  e'  prevista  tale  figura.  I  predetti
incarichi  cessano  il  sessantesimo  giorno dalla data di entrata in
vigore  della  presente legge, esercitando i titolari degli stessi in
tale    periodo    esclusivamente    le    attivita'   di   ordinaria
amministrazione.».
    E'  di  tutta  evidenza la rilevanza delle norme sopra citate non
potendosi prescindere dalla loro applicazione nel caso di specie.
    La   norma   censurata   preclude  l'accoglimento  della  domanda
proposta,  in  via  principale,  di  condanna dell'amministrazione al
ripristino del ricorrente nelle sue originarie funzioni, ovvero della
domanda   proposta   di   risarcimento   del  danno  derivante  dalla
risoluzione anticipata del contratto stipulato dalle parti.
    Di contro, l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della
norma  appena  riportata,  nella  parte  in  cui dispone per legge la
cessazione anticipata dell'incarico, renderebbe, infatti, illegittimo
il  provvedimento  di  revoca  dell'incarico  stesso  con conseguente
diritto del ricorrente al ripristino dell'incarico sino alla naturale
scadenza.
    Ribadita rilevanza dell'art. 3, comma 1, lettera b), legge n. 145
del 2002.
    Assume  altresi'  rilevanza  la norma di cui all'art. 3, comma 1,
lettera  b),  legge n. 145 del 2002, laddove impone per gli incarichi
in esame il limite massimo triennale.
    Tale      disposizione,     anche     se     fosse     dichiarata
l'incostituzionalita'  dell'art. 3,  comma  7,  della  legge  citata,
comunque  impedirebbe  il  ripristino dei rapporti cessati, proprio a
causa    della    maggiore    durata    degli   incarichi   stabilita
convenzionalmente.
    Non  si  comprende  quindi  come l'art. 14-sexies d.l. n. 115 del
2005  convertito  in  legge n. 168 del 2005 possa aver influito sulla
rilevanza  dell'art. 3,  comma  1, lettera b) e comma 7, legge n. 145
del  2002, tanto da dover necessitare di un nuovo vaglio da parte del
giudice remittente.
    Il quadro normativo ha subito un'ulteriore modifica con l'entrata
in  vigore  dell'art. 14-sexies  d.l.  n. 115 del 2005, convertito in
legge n. 168 del 2005, che ha modificato la disciplina a regime della
durata degli incarichi dirigenziali.
    Tale  norma ha reintrodotto per tali incarichi una durata minima,
fissandola in tre anni, ed ha portato la durata massima a cinque anni
(art. 14-sexies, comma 1).
    Il  comma  2  dell'art. 14  citato, tuttavia ha precisato che «La
disposizione  non  si  applica  agli incarichi di direzione di uffici
dirigenziali  resi  vacanti  prima  della  scadenza dei contratti dei
relativi dirigenti per effetto dell'art. 3, comma 7, legge n. 145 del
2002».
    La   modifica  della  disciplina  sulla  durata  temporale  degli
incarichi  dirigenziali in esame, come la stessa Corte costituzionale
non  ha  mancato  di sottolineare nell'ordinanza di restituzione agli
atti di altro giudizio, non si applica agli incarichi di direzione di
uffici  dirigenziali  generali  resi vacanti prima della scadenza dei
contratti  dei  relativi  dirigenti  a causa della cessazione ex lege
dall'incarico.
    Non  potra'  pertanto trovare applicazione nel caso di specie. Ne
consegue  il  permanere  del  giudizio di rilevanza nei termini sopra
espressi.
    Ne'  appaiono  prospettabili  interpretazioni diverse della norma
che  consentano  il riconoscimento al ricorrente della ricostituzione
del  rapporto  in  sede  di  riassegnazione  dell'incarico. La norma,
infatti,  prevede  univocamente  l'avvicendamento  negli incarichi di
dirigente   generale.   Allo  stato  una  lettura  costituzionalmente
orientata  si  tradurrebbe in un sindacato diffuso sulla legittimita'
costituzionale delle leggi.

                     Non manifesta infondatezza

    Il  sistema normativo sopra delineato appare in contrasto con una
serie principi di rango costituzionale. Come hanno gia' avuto modo di
evidenziare  altri giudici di questo tribunale, appare sussistente la
diretta violazione degli artt. 97 e 98 Cost.
    La  legge  n. 145  del  2002, infatti, ha introdotto il principio
della  decadenza  automatica  per  i  segretari generali e per i capi
dipartimento  dopo il decorso di 90 giorni dalla fiducia accordata al
nuovo  Governo,  proprio  in  ragione  della  loro contiguita' con il
potere politico (art. 3, comma 1, legge n. 145 del 2002).
    La  normativa in esame ha, poi, previsto una tantum la cessazione
automatica   anche   per   i  dirigenti  generali  allo  scadere  del
sessantesimo  giorno  dalla  data di entrata in vigore della legge in
esame.
    Tale  ipotesi  di  risoluzione  automatica anticipata di diritto,
come  si  e' detto e' stata prevista una tantum, consentendo di fatto
ed a buon diritto a legislazione vigente, solo al Governo attualmente
in  carica, di provvedere alla sostituzione e nomina ai vertici delle
Amministrazioni  di  personale di propria fiducia. Si osserva inoltre
che  l'ipotesi  prevista  dal  legislatore  di cessazione ante tempus
dell'incarico  e' configurata in assenza del rispetto della procedura
prevista  per  legge  per la revoca anticipata (art. 19, d.lgs n. 165
del 2001) ed in assenza di qualunque motivazione.
    L'impianto normativo preso in esame appare collidere vistosamente
con  il  principio  espresso  dalla  Corte  costituzionale  diretto a
garantire  una  situazione di equilibrio tra il potere politico ed il
potere amministrativo.
    Il primo, infatti, si occupa della funzione di indirizzo politico
e  di  controllo  attraverso  l'azione del Governo, mentre il secondo
esercita  funzioni  gestionali  e  amministrative attraverso i propri
funzionari (ord. n. 313 del 1996 e n. 11 del 2002).
    L'art. 98  Cost.,  infatti, prevede che i pubblici impiegati sono
al  servizio  esclusivo  della Nazione e nei commi successivi prevede
ipotesi  di  incompatibilita'  e  possibili  restrizioni,  al fine di
evitare  situazioni  di  conflitto  di  interessi proprio in nome del
prevalente interesse della Nazione.
    La  Corte costituzionale ha sul punto chiarito che «la disciplina
del  rapporto  di  lavoro  dirigenziale  e'  connotata  da specifiche
garanzie,  mirate  a  presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti
generali, la cui stabilita' non implica necessariamente la stabilita'
dell'incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e
l'efficienza  della  pubblica  amministrazione,  puo' essere soggetto
alla verifica dell'azione svolta e dei risultati conseguiti.».
    Ne  ha  fatto  conseguire,  quindi che «i dirigenti generali sono
quindi  posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto
del  principio  di  imparzialita'  e di buon andamento della pubblica
amministrazione,  tanto  piu'  che  il  legislatore  delegato  ... ha
accentuato  il  principio  di  distinzione  fra funzioni di indirizzo
politico-amministrativo   degli  organi  di  governo  e  funzione  di
gestione  ed attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra
l'altro  che  il  Ministro  possa  revocare,  riformare,  riservare o
avocare   a  se'  o  altrimenti  adottare  provvedimenti  o  atti  di
competenza dei dirigenti.».
    Come  e'  stato  gia'  evidenziato  da  altro  giudice  di questo
tribunale «L'art. 3, comma 7, legge n. 145 del 2002, consentendo alla
p.a.  delle  scelte  per  le  quali  non  e'  previsto  l'obbligo  di
motivazione,  almeno quanto alla mancata riattribuzione dell'incarico
dirigenziale,  apre di fatto la possibilita' per l'amministrazione di
revocare  gli  incarichi in modo affatto arbitrario, all'ipotizzabile
fine di redistribuirli a dirigenti ritenuti piu' affidabili dal punto
di vista della consonanza politica».
    In ogni caso le modalita' previste di revoca dell'incarico, oltre
a  rendere  mansueti i dirigenti per essere in una «ad una condizione
di  istituzionale  debolezza».(ordinanza  dott. Mucci), collidono con
quanto  dalla stessa Corte ritenuto come cardine ed allo stesso tempo
la  giustificazione  della  normativa in esame ovvero con la verifica
dell'azione  svolta e dei risultati conseguiti da parte del Dirigente
potere funzionalizzato ad assicurare il buon andamento e l'efficienza
della pubblica amministrazione.
    Le  previsioni  normative  in  esame,  che  non rispondano a tali
finalita'  e  che  anzi prevedano poteri che ne prescindano del tutto
per  esserne  l'esercizio  svincolato  rispetto  ad ogni principio di
rango  costituzionale, si pongono in diretto contrasto con i precetti
costituzionali contenuti negli artt. 97 e 98 Cost., che prevedono per
i  pubblici impiegati il dovere di imparzialita', l'accesso di regola
mediante  concorso, le determinazione delle sfere di competenza delle
attribuzioni   e   delle   responsabilita',  l'obbligo  del  servizio
esclusivo  della  Nazione,  e  che  quindi  delineano «un complessivo
statuto   del   dipendente  pubblico  sottratto  dai  condizionamenti
politici.».
    La  normativa  oggi  in  esame  sembra,  per  quanto esposto, non
rispettare gli indicati principi costituzionali.
    Si  aderisce  a quanto gia' rilevato da altro giudice, ovvero che
«Non  vi  e' ragione di ritenere che i dirigenti generali in servizio
alla  data  di  entrata  in  vigore  della legge n. 145 del 2002, pur
avendo  ricevuto  l'incarico sotto la vigenza del precedente Governo,
non   avrebbero   (ndr.   in   via   automatica   e  necessaria)  con
professionalita'  e  competenza  perseguito gli obiettivi posti dalla
nuova autorita' politica».
    In  ogni  caso,  se cosi' non fosse stato, la legge garantisce la
possibilita'  di  revoca  dell'incarico per il mancato raggiungimento
degli  obiettivi,  ovvero  per l'inosservanza, anche non grave, delle
direttive ricevute (art. 21, d.lgs. modificato dalla legge n. 145 del
2002).
    La   necessita'  dell'adozione  di  un  atto  formale  di  revoca
garantito dall'osservanza di un formale procedimento, avrebbe escluso
la  possibilita'  di  forme  non solo discriminatorie ma, perche' non
regolate,  del  tutto  arbitrarie;  tale  atto  sarebbe potuto essere
oggetto  di  contestazione  attraverso  l'impugnazione  dell'atto,  e
avrebbe  eliminato  il  sospetto  che  la cessazione automatica degli
incarichi  sia  stata  posta  in essere con l'intento, manifestamente
incostituzionale,  per  palese contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost.,
di  garantire  l'affidamento  della gestione amministrativa a persone
scelte per affinita' politica.» (ordinanza dott. ssa Orru).
    Con   la  previsione  de  iure  della  cessazione  dall'incarico,
l'art. 3,   comma  7,  legge  n. 145  del  2002,  sostanzialmente  ha
introdotto nell'ordinamento una forma di risoluzione del rapporto non
assistita  da  alcuna  forma  di garanzia, ne' di contraddittorio, in
aperto  contrasto  con  quanto  la  stessa Corte costituzionale ha da
tempo chiarito.
    «L'applicabilita'  al  rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti
delle disposizioni previste dal codice civile comporta, non gia', che
la  pubblica  amministrazione possa liberamente recedere dal rapporto
stesso,   ma   semplicemente   che   la   valutazione  dell'idoneita'
professionale  del  dirigente  e' affidata a criteri e a procedure di
carattere  oggettivo  --  assistite  da  un'ampia pubblicita' e dalla
garanzia  del  contraddittorio  -- a conclusione delle quali soltanto
puo' essere esercitato il receso.» (ordinanza n. 313 del 1996).
    I   dirigenti   generali  destinatari  di  tale  norma,  infatti,
subiscono  un  trattamento  deteriore  rispetto  a  quello  di regola
riservato  a  tutti  gli  altri  lavoratori,  siano  essi  pubblici o
privati,  per  i  quali sono previsti meccanismi di tutela a garanzia
dell'immotivato ed ingiustificato recesso dal contratto.
    E'  gia'  stato  esattamente  rilevato  che «se l'amministrazione
fosse  stata  abilitata a riconsiderare gli incarichi utilizzando gli
ordinari  strumenti  provvedimentali  o  contrattuali,  il  dirigente
avrebbe  potuto  avvalersi  delle tutele proprie di tali strumenti e,
segnatamente,   di   quelle   discendenti  dal  generale  obbligo  di
motivazione  degli  atti amministrativi. Invece, la diversa soluzione
perseguita  con  la  legge n. 145 del 2002 finisce per evidenziare un
improprio utilizzo dello strumento legislativo per conseguire effetti
propri  di  un  atto  amministrativo (appunto la revoca dell'incarico
dirigenziale)  con  la  conseguenza  di privare il lavoratore di ogni
tutela ed in violazione degli artt. 70 e 97 commi 1 e 2.Cost.».
    Si  prospetta. inoltre la violazione anche degli artt. 1, 2, 4, e
35 Cost.
    Prevedendo  una  deroga ingiustificata al principio di stabilita'
dei  contratti  di  lavoro,  sia  pubblici  sia  privati, si violano,
infatti,  i  principi  della  libera  esplicazione della personalita'
professionale  sul luogo di lavoro, della liberta' negoziale, i quali
possono essere sacrificati solo in presenza di doverose e ragionevoli
motivazioni.
    Va  da ultimo evidenziato il contrasto con l'art. 3 Cost. laddove
la  norma  prevede  la  cessazione  dell'incarico ex lege per tutti i
dirigenti  generali,  mentre  prevede  la  conferma  automatica per i
dirigenti,  in  caso di mancata tempestiva rotazione degli incarichi,
in  particolare 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge
n. 145 del 2002, debitamente motivata ed alle condizioni previste dal
contratto collettivo.