ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 8,
lettera a),  del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro  irregolare  di
extracomunitari),   convertito,   con   modificazioni,   dalla  legge
9 ottobre   2002,  n. 222,  promossi  dal  Consiglio  di  Stato,  con
ordinanze  del  1° febbraio  2005  e del 5 aprile 2005, dal Tribunale
amministrativo   regionale   della  Lombardia,  sezione  staccata  di
Brescia, con ordinanza del 19 aprile 2005, dal Tribunale regionale di
giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con
ordinanze  del  4  giugno 2005 e 19 luglio 2005 (n. 2 ordinanze), dai
Tribunali  amministrativi  regionali  del  Friuli-Venezia Giulia, con
ordinanza del 6 giugno 2005, e della Valle d'Aosta, con ordinanza del
14 luglio  2005,  dal  Giudice  di pace di Ferrara, con ordinanza del
14 marzo 2005, dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con
ordinanza  dell'8 settembre  2005, rispettivamente iscritte ai numeri
309,  555,  319,  466,  562,  563,  474, 485, 547, e 588 del registro
ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri  25,  26,  39,  40,  46,  47,  48  e  52,  1ª  serie  speciale
dell'anno 2005.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 22 marzo 2006 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Nel corso di due giudizi in materia di emersione dal lavoro
irregolare  il  Consiglio di Stato, sesta sezione, con due ordinanze,
rispettivamente,  in  data 1° febbraio e 5 aprile 2005 (r.o. n. 309 e
n. 555  del  2005)  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 3 della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 8,  lettera a),  della legge 9 ottobre 2002, n. 222 (recte: del
decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, recante «Disposizioni urgenti
in    materia    di   legalizzazione   del   lavoro   irregolare   di
extracomunitari»,   convertito,   con   modificazioni,   dalla  legge
9 ottobre 2002, n. 222), nella parte in cui esclude la legalizzazione
del  lavoro  irregolare  dei  cittadini extracomunitari che risultino
destinatari  di  provvedimento di espulsione mediante accompagnamento
alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
    Il  giudice  remittente  riferisce,  in punto di fatto, che i due
cittadini  extracomunitari  ricorrenti, in sede di appello cautelare,
hanno  chiesto  la  sospensione  dei  provvedimenti  di rigetto della
domanda  di legalizzazione del lavoro irregolare avanzata, sulla base
dell'indicata normativa, dai rispettivi datori di lavoro e sottolinea
che,  in  entrambi  i  casi,  la  ragione  del  diniego risiede nella
preclusione   di   cui   alla   disposizione  censurata,  per  essere
intervenuti  decreti  di espulsione eseguiti mediante accompagnamento
alla  frontiera  a  mezzo  della forza pubblica, a causa - si precisa
nell'ordinanza  n. 555  del  2005  - dell'ingresso del ricorrente nel
territorio dello Stato con sottrazione ai controlli di frontiera.
    Conseguentemente   si   sostiene  la  rilevanza  della  sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale gia' nella fase cautelare
dei giudizi, in quanto, da un lato, in base alla delibazione sommaria
tipica  della  trattazione  dell'incidente di sospensione, le censure
prospettate   nei   ricorsi,   al   di   la'   della   questione   di
costituzionalita', appaiono prive di pregio giuridico - in quanto gli
impugnati  decreti  prefettizi costituiscono «mera applicazione della
disposizione   normativa»   in   oggetto   -   e,   dall'altro  lato,
«l'esecuzione  degli atti amministrativi gravati sarebbe suscettibile
di provocare l'irreversibile e gravissimo pregiudizio delle posizioni
giuridiche  soggettive» dei ricorrenti, sicche' e' da ritenere che le
controversie  di  cui  si  tratta,  anche  nella  fase cautelare, non
possano  essere  definite  indipendentemente  dalla risoluzione della
sollevata  questione,  dal  momento  che  «l'istanza  di  sospensione
dell'efficacia    dei    provvedimenti    impugnati   dovra'   essere
definitivamente   accolta   oppure   respinta,   a   seconda  che  la
disposizione   normativa   denunciata   sara'   o   meno   dichiarata
incostituzionale   (in  parte  qua)  nella  sede  competente»,  salvo
restando  che  comunque,  «nella  pendenza  del giudizio, puo' essere
accolta, ad tempus, l'istanza di cautela».
    Quanto  al  merito  della  questione  il giudice a quo, dopo aver
ricordato  il  dettato  della  disposizione censurata, afferma che la
stessa,  nella parte denunciata, appare in contrasto con il principio
di  uguaglianza  e  con  quello  di ragionevolezza, in quanto riserva
irragionevolmente  un  trattamento  uguale a situazioni profondamente
diverse  «nella  misura  in  cui  sbrigativamente  equipara - ai fini
dell'aprioristica esclusione dalla «regolarizzazione» (precludendo la
possibilita'  di  attribuire  rilievo  all'esistenza  di  circostanze
obiettive  attestanti l'avvenuto inserimento sociale dello straniero)
-  la  ben  differente  posizione dell'extracomunitario che sia stato
destinatario    di    un   provvedimento   di   espulsione   mediante
accompagnamento  alla  frontiera  a  mezzo  della  forza pubblica per
motivi  di  ordine  pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato o perche'
ritenuto   socialmente   pericoloso,   con   quella   del  lavoratore
extracomunitario  che (come di consueto avviene) si sia semplicemente
trattenuto  nel  territorio  dello Stato italiano oltre il termine di
quindici  giorni fissato nell'intimazione scritta di espulsione o sia
entrato  clandestinamente  nel  territorio  dello  Stato  privo di un
valido documento di identita', non commettendo reati e senza rendersi
in alcun modo concretamente pericoloso per la sicurezza pubblica».
    2.-  Nel  corso  di  un  giudizio proposto per l'annullamento del
provvedimento  con  cui  era  stata  respinta dal Questore di Mantova
l'istanza  di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno di un lavoratore
extracomunitario,   il   Tribunale   amministrativo  regionale  della
Lombardia,  sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento
agli   artt. 3,   24   e   111   Cost.,   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1,  comma 8,  lettera a), del decreto-legge
n. 195  del  2002,  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222
del 2002 (r.o. n. 319 del 2005).
    Precisa, in punto di fatto, il Tribunale amministrativo regionale
che  al  ricorrente  era stato rilasciato, in data 1° agosto 2003, il
permesso di soggiorno sulla base della procedura di legalizzazione di
cui  alla  disposizione censurata, ma che in occasione del rinnovo di
tale  permesso  era  emerso, grazie ai rilievi dattiloscopici, che il
medesimo  lavoratore  era  stato  colpito,  sotto  falso  nome, da un
provvedimento  di  espulsione  emesso  dal  Prefetto  di  Vicenza  il
16 agosto  2001,  eseguito  lo stesso giorno mediante accompagnamento
alla  frontiera  a  mezzo  di  forza pubblica. Il Questore di Mantova
aveva respinto la richiesta di rinnovo del permesso, avendo accertato
la  sussistenza dell'impedimento alla regolarizzazione previsto dalla
norma  in  esame.  Aggiunge  il  giudice  a  quo  che  il  decreto di
espulsione  del  16 agosto  2001  era  stato  adottato  in  quanto il
ricorrente  era  entrato  nel  territorio dello Stato sottraendosi ai
controlli di frontiera - in tal modo violando gli artt. 4, comma 1, e
13,  comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 286 del 1998 - ed
a  causa  del  pericolo di fuga, non essendo risultata l'esistenza di
rapporti  lavorativi  o  familiari  tali da garantire che l'ordine di
abbandonare il territorio nazionale venisse spontaneamente rispettato
dal destinatario.
    Cio'  posto  in  punto  di  fatto, il remittente rammenta che una
questione   identica   a  quella  attuale  e'  gia'  stata  sollevata
precedentemente  e  dichiarata manifestamente inammissibile da questa
Corte  con  ordinanza  n. 126  del  2005;  tuttavia  la  disposizione
censurata   appare   al   Tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia in contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
    Prima  di  tutto,  il  giudice  a  quo  ravvisa  un contrasto tra
l'art. 1,  comma 8,  lettera a),  del  d.l.  n. 195  del  2002  ed il
principio  di ragionevolezza, poiche' l'esistenza di un provvedimento
di   espulsione   eseguito  mediante  accompagnamento  coattivo  alla
frontiera a mezzo di forza pubblica non sarebbe, di per se', idonea a
discriminare  le  diverse  posizioni  degli  stranieri.  Infatti, pur
ammettendo  il  Tribunale  amministrativo  regionale  che,  nel testo
originario  dell'art. 13,  commi 4  e  5, del d.lgs. n. 286 del 1998,
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  costituiva
un'eccezione  -  mentre  e'  divenuta  la  regola  dopo  la  modifica
introdotta  dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189
-   tuttavia   anche  in  quel  sistema  i  casi  di  espulsione  con
accompagnamento  non  costituivano  una categoria omogenea, essendovi
ricomprese  situazioni  fra  loro  molto diverse. A tale misura erano
assoggettati  tanto  gli stranieri oggettivamente pericolosi (espulsi
per  motivi  di  sicurezza  dello Stato o per l'abituale dedizione al
traffico  di  stupefacenti)  quanto  quelli  che  si  trovavano nella
condizione  del ricorrente e che venivano accompagnati alla frontiera
soltanto  perche'  esistevano  fondate  ragioni  per  ritenere che il
destinatario si sarebbe sottratto al provvedimento di espulsione.
    Rileva, pertanto, il remittente che vietare la legalizzazione del
lavoratore extracomunitario per il semplice fatto che questi e' stato
accompagnato  alla  frontiera per le ragioni appena richiamate appare
una  conseguenza  del  tutto  sproporzionata;  e  che  tale  forma di
espulsione  non sia, di per se', indice di effettiva pericolosita' e'
reso  evidente,  secondo  il  Tribunale amministrativo regionale, dal
fatto  che  con la legge n. 189 del 2002 il suddetto meccanismo, come
gia'  osservato, e' divenuto di generale applicazione. D'altra parte,
la  generalizzazione della procedura di accompagnamento coattivo alla
frontiera   trova  un  bilanciamento  nel  sistema  di  garanzie  che
l'art. 13,  comma 5-bis,  del  d.lgs.  n. 286  del  1998 appronta nei
confronti  del provvedimento di espulsione, sistema creato su impulso
delle due sentenze di questa Corte n. 105 del 2001 e n. 222 del 2004.
    Ritiene,  invece,  il  remittente  che la disposizione censurata,
dovendosi  applicare  con  riguardo  a  provvedimenti  di  espulsione
eseguiti   con   accompagnamento  alla  frontiera  nel  vigore  della
precedente  disciplina,  sia  irragionevolmente lesiva del diritto di
difesa,  da  un lato considerando ostativi «provvedimenti rispetto ai
quali  i  destinatari  non  avevano  all'epoca alcuna possibilita' di
difendersi  efficacemente»,  dall'altro  estendendo «retroattivamente
gli  effetti negativi di questi stessi provvedimenti, rendendo palese
solo  a  posteriori  un  ulteriore  (e  piu'  consistente)  interesse
all'impugnazione».
    Altro  rilievo svolto dal giudice a quo, infine, e' quello di una
presunta   irrazionalita'   della   norma  in  questione  conseguente
all'artificiosa  separazione  della  decisione  sulla  legalizzazione
rispetto all'esame dei presupposti. Ogni provvedimento di espulsione,
ivi  compresi  quelli  emessi  per effettive ragioni di pericolosita'
degli  stranieri,  si fonda in parte sui comportamenti precedenti del
destinatario  ed  in  parte  sulla  ragionevole  previsione di futuri
disagi  per  la  collettivita';  la  norma  censurata,  invece, rende
immutabili  per  il  futuro  le  decisioni  a  suo  tempo  assunte in
occasione  dell'assunzione  del  provvedimento  di  espulsione, senza
consentire   alcuna   valutazione  degli  elementi  sopravvenuti  che
potrebbero  essere  indice di un positivo rapporto tra lo straniero e
la nostra collettivita' nazionale.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale,  quindi,  chiede che la
norma  in  oggetto  venga  dichiarata  costituzionalmente illegittima
nella  parte in cui vieta la possibilita' di accogliere la domanda di
legalizzazione    del    lavoratore    straniero    extracomunitario,
destinatario  di  un provvedimento di espulsione da eseguire mediante
accompagnamento coattivo alla frontiera.
    3.  -  Con tre ordinanze di identico contenuto - emesse nel corso
di  altrettanti giudizi proposti per l'annullamento dei provvedimenti
con  cui  erano  state respinte le domande di regolarizzazione di tre
lavoratori extracomunitari destinatari di un decreto di espulsione da
eseguire  mediante accompagnamento coattivo alla frontiera - anche il
Tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa del Trentino-Alto
Adige,  sede  di  Trento,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 35, primo
comma,  Cost.,  dell'art. 1, comma 8, lettera a), del d.l. n. 195 del
2002,  convertito  con  modifiche  dalla  legge n. 222 del 2002 (r.o.
nn. 466, 562 e 563 del 2005).
    Diverse  sono,  peraltro,  le  vicende in fatto dei tre giudizi a
quibus: nel primo, lo straniero era stato espulso con accompagnamento
alla  frontiera  a  seguito  di  decreto  del Prefetto di Crotone del
21 marzo  2001,  in  quanto  era  entrato  in  Italia sottraendosi ai
controlli  di frontiera; nel secondo, lo straniero, gia' destinatario
di  un  decreto  di  espulsione  in  data  5 maggio  1997,  era stato
effettivamente  accompagnato  alla frontiera il successivo 23 maggio;
nel terzo, infine, lo straniero risultava espulso con accompagnamento
alla frontiera, in forza di un decreto del 4 febbraio 1999 emesso dal
Prefetto  di  Matera,  in  quanto  rintracciato  privo di permesso di
soggiorno   ed  in  precedenza  gia'  colpito  da  altro  decreto  di
espulsione del 2 novembre 1998, rispetto al quale era inadempiente.
    Due  delle  tre  ordinanze  costituiscono  la  riproposizione  di
altrettante   questioni,   gia'  sollevate  nei  medesimi  giudizi  e
dichiarate  inammissibili  da  questa  Corte con ordinanza n. 126 del
2005.
    Precisa  in punto di fatto il TRGA che il rigetto dell'istanza di
regolarizzazione  e' stato determinato, in tutti i casi, dal semplice
accertamento   che   i   lavoratori  interessati  avevano  subito  in
precedenza  un  provvedimento  di espulsione mediante accompagnamento
alla  frontiera,  il che darebbe conto della rilevanza della presente
questione.
    Cio'  posto,  il giudice a quo - specificando di aver provveduto,
in  due  dei  tre  casi,  con  separate  ordinanze,  alla sospensione
temporanea   dell'atto  impugnato  fino  all'esito  del  giudizio  di
costituzionalita' - rivolge nei confronti della norma in esame alcune
censure,  in  riferimento  all'art. 3  Cost.,  gia'  prospettate  dal
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, evidenziando come
la disposizione abbia equiparato, ai fini del rigetto dell'istanza di
regolarizzazione,  ipotesi  di  espulsione  con  accompagnamento alla
frontiera   derivate  da  motivazioni  assai  diverse  tra  loro.  In
aggiunta,  il  TRGA  ravvisa anche una violazione dell'art. 35, primo
comma,  Cost.,  perche' non vi sarebbe dubbio che la regolarizzazione
del  lavoratore  extracomunitario  concorra in maniera determinante a
quell'inserimento  sociale che il menzionato parametro costituzionale
vuole tutelare.
    4.-  Nel  corso  di un giudizio avverso la revoca del permesso di
soggiorno di un cittadino extracomunitario, emessa in quanto a carico
dello stesso, dopo la concessione della regolarizzazione del rapporto
di  lavoro  con  conseguente  rilascio del permesso di soggiorno, era
risultata  l'esistenza di un provvedimento di espulsione eseguito con
accompagnamento  alla  frontiera  (originariamente  non emersa per un
errore   nella   trascrizione  dei  dati  nominativi),  il  Tribunale
amministrativo  regionale  del Friuli-Venezia Giulia ha sollevato, in
riferimento    all'art. 3    Cost.,    questione    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, comma 8, lettera a), del d.l. n. 195 del
2002,  convertito  con  modificazioni,  dalla  legge n. 222 del 2002,
«nelle  parti  in  cui  esclude  dalla  possibilita'  di  revoca  del
provvedimento   di  espulsione  il  lavoratore  extracomunitario  che
"risulti  destinatario  di  un  provvedimento  di espulsione mediante
accompagnamento  alla  frontiera a mezzo della forza pubblica, ovvero
abbia lasciato il territorio nazionale e si trovi nelle condizioni di
cui  all'art. 13,  comma 13,  del  testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni"» (r.o. n. 474
del 2005).
    Il  giudice  remittente, dopo aver affermato l'evidente rilevanza
della  questione  sull'assunto  che  «l'atto  di  revoca impugnato si
presenta  come  atto  dovuto»  ai  sensi della disposizione di cui si
tratta, effettua una disamina della normativa riguardante in generale
i provvedimenti di espulsione, alla luce della quale egli osserva che
la  disposizione  censurata,  al  di  la'  dell'apparente  chiarezza,
risulta   in  realta'  oscura,  in  quanto,  essendo  oggi  tutte  le
espulsioni  diverse  da  quelle  per  mancato  rinnovo di permesso di
soggiorno,  sempre  eseguite  dal  Questore  con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica, non si riesce a comprendere a
quali  ipotesi  il  legislatore abbia effettivamente inteso riferirsi
nel   prevedere   la  possibilita'  di  revoca.  Di  qui  il  rilievo
dell'assoluta     inapplicabilita'     e    quindi    dell'intrinseca
irragionevolezza  della  norma  impugnata,  sulla falsariga di quanto
affermato da questa Corte nella sentenza n. 78 del 2005.
    Ne',  d'altra parte, si potrebbe giungere ad un diverso risultato
laddove  si  ritenesse  che le ipotesi di provvedimenti di espulsione
suscettibili  di  revoca  (in  presenza  di  riscontrate  circostanze
obiettive riguardanti l'inserimento sociale) siano quelle in cui tali
provvedimenti,  per  i motivi indicati nell'art. 14 del d.lgs. n. 286
del   1998,  non  siano  stati  eseguiti  con  immediatezza  mediante
accompagnamento  alla  frontiera  ed  abbiano  poi portato unicamente
all'ordine  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  ai  sensi del
comma 5-bis dello stesso art. 14. Infatti, tale previsione rimette la
decisione  finale  circa  l'accompagnamento  immediato alla frontiera
addirittura  alla  mera  «disponibilita'  di vettore o altro mezzo di
trasporto  idoneo»,  il  che  comporterebbe l'assoluta casualita' del
discrimine    e,    «in   definitiva,   collegherebbe   l'ottenimento
dell'agevolazione   a   circostanze   che  non  sono  in  alcun  modo
collegabili ad alcun giudizio di maggiore o minore valore o disvalore
sociale riguardante i comportamenti dei destinatari degli uni o degli
altri  provvedimenti  di espulsione, rendendo non meno marcato ... il
contrasto  con  i  principi  di  ragionevolezza  della normativa e di
conseguente   parita'  di  trattamento  in  caso  di  uguaglianza  di
situazioni tutelati dall'art. 3 della Costituzione».
    Infine  anche  il riferimento a chi «abbia lasciato il territorio
nazionale  e  si trovi nelle condizioni di cui all'art. 13, comma 13,
del  testo  unico  di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 ...»
non   permetterebbe,   ad  avviso  del  remittente,  di  pervenire  a
conclusioni che non siano in contrasto con l'art. 3 Cost. Infatti, da
un lato il rinvio al comma 13 dell'art. 13 succitato - che identifica
coloro che dopo l'espulsione hanno fatto rientro nel territorio dello
Stato  senza  la  speciale autorizzazione del Ministro dell'interno -
sembra  porsi  «come  una  previsione ridondante e che nulla aggiunge
alla  gia' prevista situazione di espulsione con accompagnamento alla
frontiera  tramite  forza pubblica», e d'altro lato - nell'ipotesi in
cui si ritenga che siano passibili di revoca le espulsioni che non e'
stato   possibile  eseguire  mediante  accompagnamento  diretto  alla
frontiera  ai  sensi  dell'art. 14  del d.lgs. n. 286 del 1998 (e che
hanno  quindi  dato  luogo  ad  un  trattenimento presso un centro di
permanenza temporanea, da cui poi lo straniero potrebbe anche essersi
in   qualche   modo   allontanato   rientrando   nella   piu'  totale
clandestinita'  e  quindi  riuscendo  a  non lasciare l'Italia) - «si
giunge  alla  conseguenza completamente al di fuori di ogni logica di
maggiore  meritevolezza  sociale,  che  coloro che, per un insieme di
circostanze  fortuite,  non  sono stati accompagnati alla frontiera e
non  hanno  nemmeno  ottemperato all'ordine di lasciare il territorio
dello  Stato  ex  art. 14, comma 5-bis, godono di un trattamento piu'
favorevole  rispetto  a  coloro  che sono stati invece destinatari di
espulsioni,  che  hanno  potuto  essere normalmente ed immediatamente
eseguite  e  che  li hanno quindi costretti a lasciare effettivamente
l'Italia  senza potervi fare rientro a pena di incorrere nel reato di
cui all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo n. 286 del 1998».
    5.  -  Nel  corso  di un giudizio proposto per l'annullamento del
provvedimento   con   cui   era   stata   respinta   la   domanda  di
regolarizzazione di un lavoratore extracomunitario anche il Tribunale
amministrativo  regionale  della Valle d'Aosta ha sollevato questione
di  legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., del
medesimo  art. 1,  comma 8,  lettera a),  del  d.l.  n. 195 del 2002,
convertito,  con  modifiche, dalla legge n. 222 del 2002 (r.o. n. 485
del 2005).
    Osserva,  preliminarmente,  il  giudice  a  quo  che  l'impugnato
provvedimento   del   Presidente   della  Regione  e'  fondato  sulla
disposizione  censurata  ed  ha avuto come presupposto il diniego del
nulla-osta  alla  regolarizzazione della Questura di Aosta, emesso in
quanto  nei  confronti del lavoratore extracomunitario ricorrente era
stato   emanato   decreto  di  espulsione  con  accompagnamento  alla
frontiera  mediante  la forza pubblica, non essendo egli risultato in
regola  con  le norme disciplinanti il soggiorno nel territorio dello
Stato  essendo  sprovvisto del relativo permesso e presente in Italia
da piu' di otto giorni senza aver presentato la prescritta richiesta.
Conseguentemente,  era  stata  respinta  la  domanda  di  revoca  del
provvedimento  espulsivo,  sempre  sulla  base  della norma impugnata
secondo   cui  la  regolarizzazione  non  puo'  essere  concessa  nei
confronti  dello  straniero  avverso  il  quale  sia  stato emesso un
decreto  di  espulsione  per  motivi  diversi dal mancato rinnovo del
permesso  di  soggiorno,  salvo  il  caso di revoca del provvedimento
stesso,  revoca  che  pero'  non  puo'  essere  disposta  in  caso di
espulsione  mediante  accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza
pubblica.
    Cio'  posto,  il  Tribunale  amministrativo regionale della Valle
d'Aosta, dopo aver precisato di aver accolto l'istanza incidentale di
sospensione   del  provvedimento  impugnato,  ricorda  di  aver  gia'
sollevato  la  medesima  questione  e  quindi  la propone nuovamente,
integrando  la  descrizione  della  fattispecie  sub  iudice  con gli
elementi  ritenuti  da  questa Corte, nell'ordinanza n. 126 del 2005,
necessari ai fini della valutazione sulla rilevanza.
    Quanto  al  merito della questione, il giudice remittente afferma
che  la  disposizione  in  oggetto  e'  in contrasto col principio di
uguaglianza  in  quanto  tratta  allo  stesso modo - negando cioe' la
possibilita'  della  regolarizzazione - sia lo straniero destinatario
di un decreto di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a
mezzo  di forza pubblica per motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello  Stato,  sia lo straniero che subisca il medesimo provvedimento
soltanto  perche'  si  e' trattenuto nel territorio italiano oltre il
termine  di  quindici  giorni fissato nell'intimazione di espulsione,
senza essere in alcun modo pericoloso. Secondo il remittente, poi, la
norma  violerebbe  anche  il  generale  principio  di ragionevolezza,
perche' finirebbe col concedere la regolarizzazione a coloro i quali,
per motivi casuali, non abbiano subito controlli e, quindi, non siano
stati effettivamente espulsi.
    Oltre  a cio', il giudice a quo rileva che l'accompagnamento alla
frontiera  «costituisce il naturale esito attuativo del provvedimento
in  tutti i casi di mancata osservanza spontanea del provvedimento di
espulsione»,  sicche'  escludere  la  regolarizzazione  in assenza di
specifiche ragioni di pericolosita' appare del tutto irragionevole; e
l'irragionevolezza  della  norma  si  palesa anche nella conseguenza,
evidentemente  paradossale,  per  cui lo straniero che abbia lasciato
spontaneamente  il  territorio dello Stato puo', in teoria, usufruire
della  sanatoria,  che  gli viene pero' ugualmente preclusa dal fatto
che  in  tale  ipotesi  egli  certamente  non  presta  piu' attivita'
lavorativa dipendente, cosi' come richiesto dalla normativa in esame.
    6.   -   Nel  corso  di  un  giudizio  avverso  il  provvedimento
prefettizio  di  rigetto  della  domanda  di  regolarizzazione  di un
lavoratore   extracomunitario   anche   il  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Veneto  ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale della medesima
norma  gia'  denunciata  dalle  precedenti ordinanze (r.o. n. 588 del
2005).
    Il  giudice  remittente,  dopo  aver  precisato  di  aver accolto
temporaneamente  la  domanda incidentale di sospensiva presentata dal
ricorrente, rileva che il solo motivo per cui la domanda di sanatoria
e'  stata  respinta  e'  costituito  dall'esistenza,  a  carico dello
straniero,   di   un   precedente  provvedimento  di  espulsione  con
accompagnamento coattivo alla frontiera.
    Cio'  posto, il Tribunale amministrativo regionale osserva che il
testo  della norma censurata - del quale il provvedimento prefettizio
impugnato   costituisce  mera  applicazione  -  pone  seri  dubbi  di
conformita'  all'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo del principio
di eguaglianza e del principio di ragionevolezza, in quanto «equipara
ai  fini  dell'esclusione  dalla regolarizzazione [...] la differente
posizione   dell'extracomunitario   che   sia  stato  colpito  da  un
provvedimento  di  espulsione  eseguito  coattivamente  per motivi di
ordine  pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato o perche' socialmente
pericoloso  a  quella  del lavoratore extracomunitario che sia stato,
invece,   espulso   coattivamente   [...]   solo  in  quanto  entrato
clandestinamente  nello  Stato  ovvero si sia ivi trattenuto oltre il
termine canonico fissato dal decreto di espulsione».
    Quanto  alla  rilevanza,  il  giudice  a  quo sottolinea che gia'
nell'attuale  fase  cautelare  della  controversia la decisione sulla
sollevata  questione appare determinante al fine di confermare o meno
il provvedimento di sospensiva adottato.
    7.  -  Con  ordinanza  del  13 marzo  2005  il Giudice di pace di
Ferrara  -  in  sede  di  giudizio  di convalida del provvedimento di
espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera emesso dal Questore
della  medesima  citta'  nei  confronti  di un cittadino ucraino - ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
all'art. 3 Cost., della stessa norma impugnata negli altri menzionati
giudizi (r.o. n. 547 del 2005).
    Il  giudice  a  quo  compie  una  breve  premessa  storica  sulla
normativa  in materia di sanatoria dei lavoratori stranieri e ricorda
che,  in  base  al  condono  di cui al d.l. n. 195 del 2002, numerosi
extracomunitari  hanno potuto sanare la loro posizione lavorativa. In
occasione  del  rinnovo  dei  permessi  di  soggiorno per l'anno 2004
emergeva  in  parecchi  casi, a seguito dei rilievi dattiloscopici di
cui  all'art. 5,  comma 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, che alcuni
soggetti, gia' destinatari della sanatoria, avevano subito in passato
provvedimenti  di  espulsione  di  vario  genere,  alcuni  dei  quali
mediante   accompagnamento  coattivo  alla  frontiera.  Nel  caso  di
espulsione   con   accompagnamento   la   norma  in  esame  vieta  la
possibilita'  della  sanatoria, con la conseguenza che agli stranieri
che  si  trovano  in  tale  situazione  viene revocato il permesso di
soggiorno con conseguente nuova espulsione.
    Tale automatica conseguenza pare al Giudice di pace di Ferrara in
contrasto   col   principio   di   eguaglianza   e   con   quello  di
ragionevolezza,  per  motivi  ampiamente  coincidenti con quelli gia'
evidenziati    dalle   altre   ordinanze   dei   menzionati   giudici
amministrativi;   in   particolare,   il   remittente  evidenzia  che
l'espulsione  eseguita  con  accompagnamento  alla  frontiera  e'  un
provvedimento non diverso, nella sostanza, dall'ordine di lasciare il
territorio  dello  Stato  entro  15  giorni e che chi e' rientrato in
Italia  dopo tale accompagnamento ha commesso una violazione in tutto
paragonabile  a  quella  di chi si e' trattenuto clandestinamente nel
nostro territorio dopo essere stato espulso.
    Il  remittente,  quindi,  chiede  che la norma in questione venga
dichiarata  costituzionalmente  illegittima  «nella  parte in cui non
prevede  che la revoca del provvedimento di espulsione in presenza di
circostanze   obiettive   riguardanti   l'inserimento  sociale  possa
estendersi  anche  allo  straniero  che  risulti  destinatario  di un
provvedimento di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a
mezzo della forza pubblica».
    8.  -  Nei  giudizi  introdotti  dalle  ordinanze  del  Tribunale
amministrativo   regionale   della   Valle   d'Aosta,  del  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia,  del TRGA del
Trentino-Alto  Adige (relativamente ad una delle tre ordinanze) e del
Giudice di pace di Ferrara e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o
infondate   e   riservandosi  di  compiere  ulteriori  deduzioni  con
successive memorie.
    In  particolare,  l'Avvocatura dello Stato nota che la situazione
dello  straniero  reintrodottosi nel territorio nazionale dopo essere
stato  espulso con accompagnamento alla frontiera non e' paragonabile
a  quella dello straniero destinatario di un ordine di allontanamento
dal territorio italiano entro quindici giorni.
    Nell'atto   di  intervento  relativo  al  giudizio  promosso  dal
Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, poi, la parte
pubblica  osserva  che  si  tratta di una questione gia' proposta nel
medesimo giudizio e dichiarata manifestamente inammissibile da questa
Corte   con  ordinanza  n. 126  del  2005.  La  riproposizione  della
questione,  peraltro,  non  sarebbe affiancata da quella integrazione
della  descrizione  della  fattispecie  che  la Corte ha sollecitato,
perche'  il  giudice  a quo nulla dice in ordine ai precedenti penali
dello  straniero  (in particolare per il reato di ricettazione), che,
in  concreto,  avevano  gia'  condotto  alla  sua  espulsione, il che
dovrebbe determinare l'inammissibilita' anche della questione oggi in
esame.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Consiglio  di  Stato  con due ordinanze (r.o. n. 309 e
n. 555   del  2005),  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia,  sezione  staccata  di  Brescia (r.o. n. 319 del 2005), il
TRGA  del  Trentino-Alto  Adige, sede di Trento, con tre ordinanze di
identico  contenuto  (r.o.  n. 466,  n. 562  e  n. 563  del 2005), il
Tribunale  amministrativo  regionale  del Friuli-Venezia Giulia (r.o.
n. 474  del  2005), il Tribunale amministrativo regionale della Valle
d'Aosta (r.o. n. 485 del 2005), il Tribunale amministrativo regionale
del  Veneto  (r.o.  n. 588  del  2005), il Giudice di pace di Ferrara
(r.o.  n. 547  del 2005), sollevano, tutti, questione di legittimita'
costituzionale  -  in  riferimento  all'art. 3 della Costituzione, il
Tribunale   amministrativo  regionale  della  Lombardia,  anche  agli
artt. 24  e  111  Cost.  ed  il  TRGA  del  Trentino-Alto Adige anche
all'art. 35,  primo  comma, Cost. - dell'art. 1, comma 8, lettera a),
del  decreto-legge  9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in
materia  di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222,
nella  parte  in  cui non consente di procedere alla regolarizzazione
dei  lavoratori  extracomunitari  in  posizione  irregolare che siano
stati destinatari di provvedimenti di espulsione da eseguire mediante
accompagnamento alla frontiera; il Tribunale amministrativo regionale
del  Friuli-Venezia  Giulia  dubita  della medesima norma anche nella
parte  in  cui  esclude  dalla  regolarizzazione  coloro  che abbiano
lasciato il territorio nazionale e si trovino nelle condizioni di cui
all'art. 13, comma 13, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).
    Si  sostiene  dai giudici a quibus che la disposizione violerebbe
l'art. 3  Cost.,  sia  perche'  in  contrasto  con  il  principio  di
eguaglianza,   in   quanto   stabilisce  lo  stesso  trattamento  per
situazioni    sostanzialmente    diverse,    sia    per    intrinseca
irragionevolezza.
    Riguardo  al  primo aspetto, si rileva che l'accompagnamento alla
frontiera  puo'  essere  stato disposto sia dal Ministro dell'interno
nei  confronti  di  soggetti  effettivamente  pericolosi per l'ordine
pubblico   e   la   sicurezza  dello  Stato,  sia  dal  prefetto  per
inosservanza   della   disciplina   amministrativa  dell'immigrazione
(ingresso  nel  territorio  dello Stato con elusione dei controlli di
frontiera,  permanenza  nel territorio dello Stato, senza permesso di
soggiorno, oltre il termine in cui cio' e' consentito).
    L'irragionevolezza  consisterebbe  nel far discendere conseguenze
gravi da un provvedimento dal quale il soggetto era stato colpito nel
passato,  in un'epoca in cui nei confronti del medesimo gli immigrati
non  godevano di adeguati rimedi idonei a consentire efficacemente il
diritto  di  difesa,  il  tutto  senza  alcuna  valutazione  del loro
inserimento sociale in Italia.
    Gli  artt. 24  e  111  Cost.  sarebbero  violati,  inoltre, anche
perche'  la disposizione censurata ricollega ad un evento del passato
conseguenze  attuali  gravi,  «rendendo  palese  solo a posteriori un
ulteriore (e piu' consistente) interesse all'impugnazione».
    Infine, la censura di contrasto con l'art. 35, primo comma, Cost.
si  sostanzia  nel  rilievo  che  la  regolarizzazione del lavoratore
extracomunitario  e'  una  manifestazione  del  diritto  al  lavoro e
concorre in maniera determinante a quell'inserimento sociale che tale
parametro costituzionale vuole tutelare.
    2.  -  I  giudizi  devono  essere  riuniti perche' hanno tutti ad
oggetto   la   stessa  questione,  salvo  l'ordinanza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia  che prospetta
anche una ulteriore questione, alla prima connessa.
    In  via preliminare, si rileva l'inammissibilita' delle questioni
proposte con le ordinanze n. 309, n. 474, n. 547 e n. 588 del 2005.
    Queste,  infatti,  non  precisano le ragioni dei provvedimenti di
espulsione con accompagnamento alla frontiera di cui sono destinatari
gli  extracomunitari  che  sono  parti  dei  giudizi  a quibus o che,
comunque,  hanno  determinato  il  diniego  di  regolarizzazione  dei
relativi  rapporti  di  lavoro.  Siffatta omissione non consente alla
Corte di svolgere il necessario controllo sulla rilevanza.
    Nel  caso  prospettato  dal  Giudice  di  pace  di  Ferrara, poi,
l'inammissibilita' deriva anche dal fatto che - essendo il remittente
chiamato   soltanto  alla  convalida  o  meno  del  provvedimento  di
espulsione - nel giudizio a quo la disposizione attualmente censurata
non deve essere applicata.
    3.   -   La  questione  da  scrutinare  nel  merito  e',  quindi,
circoscritta   alla   parte  della  disposizione  che  esclude  dalla
legalizzazione   del   loro   rapporto   di   lavoro  quei  cittadini
extracomunitari  che  siano  stati espulsi dal territorio dello Stato
con   provvedimento   da   eseguire   mediante  accompagnamento  alla
frontiera, essendo inammissibili, per le ragioni esposte, entrambe le
questioni   sollevate  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del
Friuli-Venezia Giulia.
    Per  individuare  la  questione  nei  suoi giusti termini occorre
inquadrare  la disposizione censurata non soltanto nell'insieme delle
norme  del  provvedimento  legislativo  di cui e' parte, ma anche nel
piu' ampio contesto legislativo in cui s'inserisce.
    A questo proposito si rileva che il d.l. n. 195 del 2002 contiene
la   disciplina   della   legalizzazione   dei   rapporti  di  lavoro
intrattenuti  illegalmente  in  Italia da imprenditori con lavoratori
extracomunitari nei tre mesi antecedenti la data della sua entrata in
vigore,  avvenuta  il  10 settembre  2002 (giorno successivo a quello
della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale del 9 settembre
2002)  e  coincidente  con  la  data di entrata in vigore della legge
30 luglio   2002,  n. 189;  ne  deriva  che,  al  fine  di  un'esatta
comprensione  della  presente  questione,  occorre aver riguardo alla
disciplina  dell'espulsione degli extracomunitari esistente prima del
10 settembre  2002  e  contenuta  nella versione originaria del testo
unico   di   cui   al  d.lgs.  n. 286  del  1998.  Infatti,  tutti  i
provvedimenti  di  espulsione  all'esame  dei  giudici  a quibus sono
anteriori a tale data.
    4. - Tutto cio' premesso, si rileva che nel sistema vigente prima
della  legge  n. 189  del  2002 la modalita' abitualmente seguita per
l'esecuzione  dell'espulsione  dal  territorio  dello  Stato  non era
l'accompagnamento alla frontiera, bensi' l'intimazione ad uscirne nel
termine  stabilito  (art. 13,  comma 6,  del d.lgs. n. 286 del 1998).
L'accompagnamento  alla  frontiera  era  previsto per chi fosse stato
espulso  dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di
sicurezza dello Stato o appartenesse a categorie soggette a misure di
prevenzione,  ed  anche  per chi non avesse ottemperato all'ordine di
lasciare  il  territorio  italiano  nel termine stabilito, o vi fosse
entrato  sottraendosi  ai controlli di frontiera, qualora fosse privo
di  documento  d'identita'  e  il  prefetto ravvisasse il pericolo di
sottrazione alla misura.
    Anche  limitato  alle  ultime  ipotesi  ricordate  - che sono poi
quelle   su   cui   i  remittenti  sono  chiamati  a  pronunciarsi  -
l'accompagnamento   alla   frontiera   non   era  correlato  a  lievi
irregolarita'   amministrative  ma  alla  situazione  di  coloro  che
avessero  gia' dimostrato la pervicace volonta' di rimanere in Italia
in  una  posizione di irregolarita' tale da sottrarli ad ogni normale
controllo  o  di  coloro  che  tale  volonta'  lasciassero  presumere
all'esito  di una valutazione dei singoli casi condotta sulla base di
specifici  elementi (sottrazione ai controlli di frontiera e mancanza
di un documento d'identita).
    E'  opportuno,  percio',  ricordare  che  questa  Corte  ha  gia'
affermato  che  «la  regolamentazione  dell'ingresso  e del soggiorno
dello   straniero   nel   territorio   nazionale  e'  collegata  alla
ponderazione  di  svariati  interessi pubblici, quali, ad esempio, la
sicurezza  e  la  sanita'  pubblica,  l'ordine pubblico, i vincoli di
carattere   internazionale   e  la  politica  nazionale  in  tema  di
immigrazione.   E   tale  ponderazione  spetta  in  via  primaria  al
legislatore   ordinario,   il  quale  possiede  in  materia  un'ampia
discrezionalita',  limitata,  sotto  il  profilo  della conformita' a
Costituzione,  soltanto  dal  vincolo che le sue scelte non risultino
manifestamente  irragionevoli» (sentenza n. 62 del 1994, ultima parte
del  paragrafo  n. 4 del Considerato in diritto, nonche' le sentenze,
ivi citate, n. 144 del 1970 e n. 104 del 1969).
    Alla  stregua di tali principi, che si ribadiscono, la scelta del
legislatore di escludere la legalizzazione dei rapporti di lavoro dei
cittadini  extracomunitari colpiti da provvedimenti di espulsione con
accompagnamento  alla frontiera non e' manifestamente irragionevole e
la disposizione censurata, tenuto conto del complesso degli interessi
da  tutelare,  non incorre nel vizio del trattamento normativo eguale
per situazioni sostanzialmente difformi.
    Non   si   ravvisa,   pertanto,  il  denunciato  contrasto  della
disposizione censurata con l'art. 3 della Costituzione.
    5. - Inammissibile e' poi la questione con riguardo agli artt. 24
e   111   Cost.,  sollevata  soltanto  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Lombardia,  poiche'  non  risulta dall'ordinanza di
rimessione  che  vi  sia  o  vi  sia  stata alcuna impugnazione della
legittimita' del provvedimento di espulsione con accompagnamento alla
frontiera. I suddetti parametri risultano, pertanto, inconferenti.
    6.  -  Non  fondata  e' la questione con riferimento all'art. 35,
primo comma, della Costituzione.
    Il  principio  generale  secondo  il  quale la tutela dei diritti
fondamentali  viene  riconosciuta  anche  allo  straniero deve essere
applicato  con  riguardo  «alla  concreta  fattispecie  oggetto della
disciplina  normativa  contestata» (sentenza n. 62 del 1994). Piu' in
particolare,  questa  Corte  ha  affermato che, qualora «i lavoratori
extracomunitari  siano  autorizzati  al lavoro subordinato stabile in
Italia,  godendo di un permesso rilasciato a tale scopo [...] e siano
posti  a  tal  fine in condizioni di parita' con i cittadini italiani
[...]  essi  godono  di  tutti  i  diritti riconosciuti ai lavoratori
italiani»   (sentenza  n. 454  del  1998,  relativa  al  caso  di  un
extracomunitario aspirante al collocamento obbligatorio).
    Nella  materia del lavoro dei cittadini extracomunitari, rapporto
di   lavoro  e  regolarita'  della  loro  posizione  in  Italia  sono
situazioni che spesso s'intrecciano e si condizionano reciprocamente,
ma  cio' non significa che, per la tutela degli interessi pubblici di
cui  si  e'  detto,  il  legislatore  non possa subordinare la stessa
configurabilita'  di un rapporto di lavoro al fatto che la permanenza
dello  straniero nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad
alcuno di quegli interessi sulla base di una valutazione condotta con
criteri non arbitrari.