ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
3 ottobre  2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto
societario)  e  degli  articoli  da  2  a  17 del decreto legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia  bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2 della legge
3 ottobre  2001,  n. 366), promossi con ordinanze del 18 ottobre 2004
dal  Tribunale  di  Brescia,  del  6 aprile  (due ordinanze), dell'11
maggio,  del  26  (due  ordinanze) e del 13 aprile, del 4 maggio, del
19 aprile   e   del   7   giugno 2005   dal   Tribunale   di  Napoli,
rispettivamente  iscritte ai numeri 269, 320, 422, da 439 a 444 e 571
del  registro  ordinanze  2005  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  numeri  21,  26,  37,  38 e 49, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005;
    Visti  gli  atti  di  costituzione di Massimiliano Pellicano e di
Gennaro  Salvato  ed  altri,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 2 maggio 2006 e nella camera di
consiglio del 3 maggio 2006 il giudice relatore Franco Bile;
    Uditi gli avvocati Astolfo Di Amato per Gennaro Salvato ed altri,
e  l'avvocato  dello  Stato  Antonio Palatiello per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
    Ritenuto  che  il Tribunale di Napoli, nel corso di nove processi
in   materia  societaria,  con  altrettante  ordinanze  di  contenuto
sostanzialmente  identico,  emesse il 6 (due ordinanze), il 13, il 19
ed  il  26 aprile  (due  ordinanze),  il  5  e  l'11 maggio  ed  il 7
giugno 2005  (r.o.  numeri 320, 422, da 439 a 444 e 571 del 2005), ha
sollevato d'ufficio - in riferimento all'art. 76 della Costituzione -
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 12 della legge
3 ottobre  2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto
societario),  «nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario
di primo grado in materia societaria, non indica i principi e criteri
direttivi  che  avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore
delegato  e,  per  derivazione», degli articoli da 2 a 17 del decreto
legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche'  in  materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 2
della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
        che  ad  avviso  del  rimettente  -  considerato il contenuto
dell'impugnato  art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  - «la prima
opzione  interpretativa,  sia  in  ordine logico sia di scelta [...],
piu'  consona  allo  spirito del complesso normativo costituito dalla
legge  delega e dal decreto legislativo, e' quella di ritenere che il
legislatore    delegante   non   abbia   indicato   con   sufficiente
determinazione  i  principi  e criteri normativi che avrebbero dovuto
guidare  l'operato  del  legislatore delegato», che di conseguenza e'
stato  lasciato  libero  di  creare  un  nuovo  modello  processuale,
completamente  diverso  dal  procedimento  ordinario disciplinato dal
codice di procedura civile;
        che  il  rimettente ritiene la questione rilevante, in quanto
«dalla  pronunzia della Corte costituzionale dipende l'applicabilita'
dell'intera nuova disciplina processuale alla concreta fattispecie»;
        che,  inoltre, il Tribunale di Napoli - «in via subordinata e
per  l'ipotesi  in  cui  la Corte dovesse ritenere costituzionalmente
legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001» - ha sollevato d'ufficio
questione  di legittimita' costituzionale «degli artt. 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8, 9, l0, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5
del  2003,  per  contrasto con l'art. 76 della Costituzione in quanto
emanati  eccedendo  dai  principi  e  criteri direttivi dettati dalla
legge n. 366 del 2001»;
        che  - secondo quanto afferma al riguardo il rimettente - per
evitare  il sospetto di incostituzionalita' della legge di delega per
indeterminatezza   e  genericita'  si  dovrebbe  compiere  lo  sforzo
interpretativo,   «gia'  compiuto  da  altri  giudici  ordinari»,  di
leggerla  nel  senso  che  il  legislatore  delegante,  indicando  il
principio  di «concentrazione del procedimento», si sia riferito alle
scansioni   previste   nel  processo  ordinario,  articolato  in  una
successione   di   piu'   udienze  fisse  ed  obbligatorie;  onde  il
legislatore   delegato   avrebbe   potuto   «riempire»  il  principio
ispiratore  della  delega  solo  riducendo  i  termini  previsti  nel
giudizio  di cognizione ordinario per la fissazione di tali udienze e
per il deposito di memorie e comparse difensive;
        che,   viceversa,   il   decreto   legislativo  -  lungi  dal
«concentrare»  l'attuale  rito  ordinario  - ha in realta' introdotto
nell'ordinamento  il diverso rito prefigurato dal testo redatto dalla
commissione ministeriale per la riforma del processo civile;
        che,  a  sua  volta, il Tribunale di Brescia, nel corso di un
procedimento  civile  in  materia societaria, con ordinanza emessa il
18 ottobre 2004 (r.o. n. 269 del 2005), ha sollevato - in riferimento
agli  artt. 3, 76, 98 [recte: 97] e 111, primo e secondo comma, della
Costituzione  -  questione di legittimita' costituzionale del decreto
legislativo  n. 5  del  2003, «limitatamente al titolo II capo I agli
articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17»;
        che il rimettente - premesso che l'art. 12 della legge n. 366
del  2001  ha  delegato il Governo ad «emanare norme [...] dirette ad
assicurare  una piu' rapida ed efficace definizione dei procedimenti»
mediante   regole  processuali  concernenti  «la  concentrazione  del
procedimento  e  la  riduzione dei termini processuali» - ritiene che
«la  sintetica  norma  contenuta  nella  legge delega, per evitare il
sospetto  di  incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita',
non   possa   non  essere  letta  e  interpretata  [se  non]  facendo
riferimento  alla  disciplina  del  vigente  processo  di  cognizione
davanti  al tribunale ed alle relative scansioni procedimentali, come
contenuta  nel  libro II, titolo I del codice di procedura civile, il
rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle
controversie  societarie e che il legislatore delegante aveva davanti
al momento della concessione della delega»;
        che,  invece, secondo il rimettente, il nuovo rito societario
previsto   per   il  processo  di  cognizione  davanti  al  tribunale
costituisce un modello processuale nuovo, che si distacca volutamente
sia  dal  modello del 1942, sia da quello del processo del lavoro del
1973,   sia   da   quello  della  riforma  del  1990,  senza  neppure
l'istituzione di sezioni specializzate;
        che,  pertanto,  secondo  il  Tribunale,  le  norme impugnate
violerebbero:  a)  l'art. 3  Cost., sia perche' «appare irragionevole
introdurre  per alcune materie un ulteriore rito speciale ispirato ad
un  modello processuale completamente diverso da quelli vigenti e che
si aggiunge ad essi, senza contestualmente prevedere l'istituzione di
giudici   specializzati,   con   evidenti   ricadute  negative  sulla
funzionalita'  del  sistema»,  sia perche' il nuovo rito, «rimettendo
totalmente  alle  parti la predisposizione del thema decidendum e del
thema  probandum, impedisce l'intervento direzionale e correttivo del
giudice  che  costituisce  lo  strumento  per  realizzare  anche  nel
processo  civile  l'eguaglianza  sostanziale  di  tutti  i  cittadini
davanti  alla legge»; b) l'art. 76 Cost. «perche' appare palese [...]
la  violazione  per  «eccesso  di  delega» dei principi e dei criteri
direttivi  contenuti  nella  norma  delegante,  interpretata  secondo
l'unica    lettura   costituzionalmente   corretta,   cioe'   facendo
riferimento   al  modello  del  processo  di  cognizione  davanti  al
tribunale  previsto  nel  codice  di  procedura  civile  vigente»; c)
l'art. 98  [recte:  97]  Cost., «perche' posto che non viene prevista
alcuna  sezione  specializzata,  appare in contrasto con il principio
del   buon  andamento  (applicabile  anche  agli  uffici  giudiziari)
prevedere  che lo stesso giudice sia chiamato ad applicare piu' riti,
fondati  su modelli completamente diversi l'uno dall'altro, a seconda
delle  materie»; d) l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., perche'
il  processo  delineato  dalle  norme impugnate «prevede che tutta la
prima fase si svolga senza che il giudice possa intervenire da subito
onde  garantire il «giusto processo» evitando inutili lungaggini e il
compimento  di atti nulli o viziati, lascia alle parti piena liberta'
di  far scattare le preclusioni connesse all'istanza di fissazione di
udienza»;  «non  prevede  alcun  termine  massimo  per  garantire sin
dall'inizio  la  ragionevole  durata  del  processo  [...], in palese
contrasto  con  il  piu'  recente orientamento in materia della Corte
europea dei diritti dell'uomo»;
        che, nei giudizi promossi con r.o. numeri 422 e 439 del 2005,
si  sono  costituite  le  parti  attrici dei processi a quibus, e, in
ciascun  giudizio,  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   e   tutti   hanno  concluso  per  l'inammissibilita'  o  per
l'infondatezza delle questioni;
    Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni in
parte  identiche,  riguardanti,  tutte,  la delega legislativa per la
riforma  dei procedimenti in materia di diritto societario, per cui i
relativi giudizi devono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
        che tutte le questioni sono manifestamente inammissibili;
        che  il  Tribunale  di  Napoli  - censurando, in primo luogo,
l'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001 (e, «per derivazione», gli
articoli  da  2  a  17 del decreto legislativo n. 5 del 2003) - muove
dalla  premessa  secondo  cui  il  legislatore  delegante non avrebbe
«indicato   con  sufficiente  determinazione  i  principi  e  criteri
normativi  che  avrebbero  dovuto  guidare  l'operato del legislatore
delegato»,  con cio' lasciando libero quest'ultimo di creare un nuovo
modello  processuale, diverso dallo schema ordinario disciplinato dal
codice di procedura civile;
        che  il denunciato difetto di idonei criteri direttivi per il
legittimo  esercizio  del potere legislativo delegato e' ritenuto dal
rimettente  come  «la  prima  opzione  interpretativa,  sia in ordine
logico  sia  di scelta [...], piu' consona allo spirito del complesso
normativo costituito dalla legge delega e dal decreto legislativo»;
        che  radicalmente  contraria e', viceversa, l'interpretazione
della  medesima  disposizione  di  delega posta dal rimettente a base
della  questione  riguardante  gli  articoli  da  2  a 17 del decreto
legislativo  n. 5  del  2003,  sollevata  «in  via  subordinata e per
l'ipotesi   in  cui  la  Corte  dovesse  ritenere  costituzionalmente
legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001»;
        che,  infatti,  in questa diversa prospettiva il rimettente -
il quale aveva in precedenza ritenuto non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale della legge di delega per
carenza dei principi e criteri direttivi richiesti dall'art. 76 Cost.
-    sostiene   invece   che   il   legislatore   delegante   avrebbe
sufficientemente determinato principi e criteri direttivi, in quanto,
con  la  specifica  menzione  del  principio  di  «concentrazione del
procedimento»,  si  sarebbe  riferito  alle  scansioni  previste  nel
processo  ordinario;  onde  il  principio  ispiratore  della legge di
delega   avrebbe  potuto  essere  attuato  dal  legislatore  delegato
esclusivamente  con la riduzione dei termini previsti nel giudizio di
cognizione  ordinario  per  la  fissazione  di  tali udienze e per il
deposito di memorie e comparse difensive;
        che  dunque  -  considerate  le modalita' con le quali le due
questioni sono state prospettate - deve ritenersi che tra di esse non
corra  il  dedotto  nesso  di  subordinazione  logico-giuridica della
seconda  alla  prima, e che, invece, l'interpretazione «subordinata»,
esposta  dal  rimettente a sostegno della legittimita' della legge di
delega  (da  esso  compiutamente argomentata e quasi «suggerita» alla
Corte),  contraddica  radicalmente  la diversa lettura della medesima
norma premessa alla questione «principale»;
        che  in  tal  modo  il  rimettente  -  non  solo  non adempie
l'obbligo    di   ricercare   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata  di  una  delle  norme impugnate - ma propone, nel medesimo
contesto  motivazionale,  due  opzioni  ermeneutiche  sostanzialmente
alternative,  cosi' inammissibilmente demandando alla Corte la scelta
fra di esse;
        che,  da  parte  sua,  il  Tribunale  di Brescia - mentre non
censura  la norma di delega, ravvisandovi un implicito riferimento al
processo  ordinario  di  cognizione  previsto dal codice di procedura
civile, e quindi una sufficiente determinazione di principi e criteri
direttivi  -  impugna  (come  il  Tribunale di Napoli nelle questioni
«subordinate»)  l'intero  complesso  normativo  della  legge delegata
diretto  a regolare il procedimento societario di primo grado davanti
al  tribunale  in  composizione  collegiale  (articoli  da 2 a 17 del
decreto legislativo n. 5 del 2003);
        che,  tuttavia,  le  norme  impugnate  -  da  un  lato - sono
caratterizzate  da  ambiti  di  applicazione  e  da effetti del tutto
eterogenei  e  -  dall'altro  -  riguardano  destinatari  differenti:
infatti  gli  articoli da 2 a 7 disciplinano l'attivita' preparatoria
delle  parti;  gli  articoli da 8 a 16 concernono la fase processuale
davanti  al  giudice;  e  l'art. 17  riguarda  le  notificazioni e le
comunicazioni da eseguire nel corso del procedimento;
        che  la  scelta  di  censurare  le  citate  norme del decreto
legislativo   avrebbe  dovuto  essere  supportata  da  una  specifica
motivazione,  riferita  sia  all'effettiva  rilevanza della questione
sulla  singola  disposizione  concretamente  applicabile nel relativo
giudizio  a  quo,  sia alla non manifesta infondatezza di ogni dubbio
proposto in riferimento a ciascuno dei parametri evocati;
        che,  inoltre,  lo scrutinio di legittimita' costituzionale -
richiesto  con  generico riferimento alle disposizioni regolatrici di
tutto  il  procedimento  societario  di  primo grado - coinvolgerebbe
anche  norme  non  piu'  (o  non  ancora) applicabili nel particolare
momento  processuale in cui la questione e' stata posta, onde essa si
presenterebbe  in  parte  tardiva,  in  parte  prematura e, comunque,
connotata da un rilevante grado di ipoteticita'.