IL TRIBUNALE Letti gli atti e l'istanza di fissazione di udienza, osserva I n f a t t o Con citazione regolarmente notificata l'attrice ha agito nei confronti della Banca Intesa per ottenere; 1) la dichiarazione di nullita' dell'acquisto di titoli Bond Argentina effettuati dal proprio dante causa Vittorio Del Giudice; 2) la restituzione della somma di Euro 2.776.119,74; 3) il risarcimento dei danni da qunticarsi in via equitativa. La convenuta si e' costituita contestando la domanda eccependo l'infondatezza nel merito delle pretese di parte attrice. A seguito di scambio di note l'attrice ha successivamente depositato istanza di fissazione dell'udienza. I n d i r i t t o L'articolo 1 del decreto legislativo n. 5 del 2003 recita: si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a: (Omissis). d) rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari vendita di rapporti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa; La controversia pertanto, concernendo al responsabilita' delle convenute quali intermediatori finanziari, e' stata correttamente instaurata secondo le forme previste dal suddetto decreto legislativo. L'art. 12 del decreto legislativo n. 5 del 2003 prevede inoltre che: 1. - Decorsi dieci giorni dal deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza, il cancelliere, nei tre giorni successivi, forma, il fascicolo contenente tutti gli atti e documenti depositati dalle parti e lo presenta senza indugio al Presidente. 2. - Il Presidente, entro il secondo giorno successivo alla presentazione del fascicolo, designa il giudice relatore. Questi, entro cinquanta giorni dalla designazione, sottoscrive e deposita in cancelleria il decreto di fissazione dell'udienza, da comunicare alle parti costituite. Per comprovate ragioni, il Presidente puo' prorogare il termine a norma dell'articolo 154 del codice di procedura civile. Preliminare all'applicazione di tale norma e all'emissione del decreto di fissazione dell'udienza, pero', va affrontata la questione di costituzionalita' del decreto legislativo n. 5 del 2003 che questo giudice quale relatore in fase collegiale ha gia' sollevato in precedenti giudizi. L'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che: «1. - Il Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2. Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltativita' della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitivita' degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerita' ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o piu' procedimenti cameraili, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidita' di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle Corti di appello e dalla Corte di cassazione». In relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che concernono profili non rilevanti in questo giudizio - dal disposto dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001 sono estrapolabili i seguenti principi: 1) divieto di modifica della competenza territoriale e per materia; 2) necessita' di assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti; 3) possibilita' di dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad indicare le materie nelle quali il governo poteva intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento. L'assoluta genericita' e parzialita' dell'indicazione relativa alle modalita' da seguire, per la realizzazione dell'obiettivo dichiarato di voler assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle materie individuate, ha di fatto lasciato libero il legislatore delegato di creare un nuovo modello processuale che esula completamente dallo schema del procedimento ordinario disciplinato dal codice di procedura civile. A fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi direttivi che avrebbero dovuto ispirare il legislatore delegato e dall'altro un decreto legislativo che crea un nuovo modello processuale, sovvertendo, nelle materie indicate dalla legge di delega, i tradizionali canoni che governano il processo civile, a questo giudice si pongono due opzioni interpretative che in ogni caso conducono ad un dubbio di costituzionalita' in relazione all'art. 76 della Costituzione. La prima opzione interpretativa, sia in ordine logico sia di scelta che questo giudice reputa piu' consona allo spirito del complesso normativo costituito dalla legge delega e dal decreto legislativo, e' quella di ritenere che il legislatore delegante non abbia indicato con sufficiente determinazione i principi e criteri normativi che avrebbero dovuto guidare l'operato del legislatore delegato e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi il precetto dell'art. 76 della Costituzione che consente la delega dell'esercizio della funzione legislativa al Governo solo previa determinazione di principi e criteri direttivi. Non ignora questo giudice come, per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, i principi direttivi che l'art. 76 Cost. richiede alla legge delega non escludono la possibilita' di lasciare al legislatore delegato un ampio margine di discrezionalita' nell'individuazione delle modalita' attraverso le quali realizzare gli obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al legislatore delegato, pero', per quanto ampio, non puo' mai travalicare il limite della discrezionalita' nel senso che, come la Corte costituzionale insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge delegante va considerata con riferimento all'art. 76 della Costituzione, per accertare se sia stato rispettato il precetto che ne legittima il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro cui puo' essere conferito al Governo l'esercizio della funzione legislativa. Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in funzione di limite per lo sviluppo dell'ulteriore attivita' legislativa del Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale puo' essere emanata la legge delegata, di oggetti definiti, servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione si da evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalita' che la determinarono; devono dall'altro consentire al potere delegato la possibilita' di valutare le particolari situazioni giuridiche della legislazione precedente, che nella legge delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la legge delegante non contiene, anche in parte, i cennati requisiti, sorge il contrasto tra norma dell'art. 76 e norma delegante, denunciabile al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo l'emanazione della legge delegata» (cfr. Corte cost. 26 gennaio 1957, n. 3). In particolare, per quel che rileva in questa sede, nulla ha detto la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale, ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal contenuto del decreto legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile. Il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale, un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma del 1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' stabilito solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo, e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice, in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'altra parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con li effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio (di cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore... si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». Da quanto precede emerge con chiarezza che il legislatore delegato, in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Non reputa questo giudice che possa andare esente da dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione di un nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si limiti ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», tra l'altro nemmeno particolarmente qualificante in quanto comune a qualsivoglia progetto di riforma del processo civile, un divieto di «modifica della competenza territoriale e per materia», una preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di conciliazione e un'indicazione di massima a favore della «concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali». Di conseguenza ad avviso di questo giudice, in quanto non manifestamente infondata, va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12 della legge n. 336/2001 nella parte relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. La questione e' altresi' rilevante in quanto vertendosi in tema di intermediazione finanziaria il giudizio e' stato instaurato nelle forme previste dal d.lgs. n. 5 del 2003 emanato in forza della predetta legge di delega, e dalla pronunzia della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' dell'intera nuova disciplina processuale alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo giudice. In via subordinata e per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere costituzionalmente legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001 reputa questo giudice che non sia manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per contrasto con l'art. 76 della Costituzione in quanto emanati eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001. Per evitare il sospetto di incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita', si dovrebbe invero compiere lo sforzo interpretativo di leggere la legge n. 366 del 2001 facendo riferimento alla disciplina del vigente processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle controversie societarie e che il legislatore delegante aveva davanti al momento della concessione della delega; sforzo interpretativo gia' compiuto da altri giudici ordinari (cfr. Tribunale di Brescia 18 ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla Corte costituzionale). La disciplina del processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede che il processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze fisse ed obbligatorie, in particolare quella di prima comparizione (art. 180 c.p.c.), quindi la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed eventualmente un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.). Se si volesse individuare una determinatezza dei criteri direttivi nella legge di delega dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore delegante indicando il principio di «concentrazione del procedimento» abbia fatto evidentemente riferimento proprio a questa scansione prevista nel processo ordinario. Ugualmente il processo ordinario vigente prevede che tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di comparizione debbano intercorrere termini liberi non minori di sessanta giorni, fissa il termine meramente ordinatorio di quindici giorni per la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma un termine massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta per le repliche, non prestabilisce nessun termine per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c. primo comma seconda parte e prevede il termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche. Soltanto con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di contenuto la generica indicazione del legislatore delegante del principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura, estremamente riduttiva e per questo proposta in via subordinata rispetto all'altra, dei principi fissati dal legislatore delegante, altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli artt. da 2 a 17, d.lgs. 17 gennaio 2004, n. 5 con cui si e' inteso dare attuazione alla delega, contrasterebbe con i principi fissati dal legislatore delegante per «eccesso di delega», alla luce della caratteristiche del nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate. L'operazione effettuata dal decreto legislativo non e' stata quella di prevedere un rito concentrato rispetto all'attuale rito ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c., bensi' quella, che si e' gia' evidenziata, di introdurre nell'ordinamento un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Anche la questione di costituzionalita' proposta in via subordinata e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse ragioni indicate per la questione proposta in via principale Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisone sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.