Il  giudice  per  l'udienza preliminare del Tribunale di Potenza,
dott.  Alberto  Iannuzzi,  letti  gli  atti  del  procedimento penale
n. 3107/01 R.G.N.R. e 1244/02 R.G. GIP a carico di Loreto Rocco;
    Vista   la   richiesta   del   difensore  dell'imputato  proposta
all'odierna  udienza preliminare, nella quale si chiede di dichiarare
l'insindacabilita'  dei  fatti  contestati,  per  essere  gli  stessi
espressione delle opinioni di un parlamentare;
    Sentito  il  p.m.  ed  il  difensore  della  parte civile, che ha
chiesto  la sospensione del procedimento penale e la proposizione del
ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri dello Stato in
relazione  alla  delibera  in  data  28 maggio  2003, con la quale il
Senato  della  Repubblica  ha dichiarato, a norma dell'art. 68, primo
comma  della  Costituzione,  la  insindacabilita'  delle affermazioni
contenute  nelle  denunce  presentate dal Loreto, all'epoca dei fatti
senatore,  rispettivamente  in data 6 aprile 2000, 31 maggio 2000 e 2
giugno 2000 alla Procura della Repubblica di Taranto;

                            O s s e r v a

    Nei  confronti del Loreto il p.m. di Potenza chiedeva il rinvio a
giudizio per il reato di cui all'art. 368 perche':
        in  esecuzione  di  un  medesimo  disegno  criminoso,  con le
denunce  in  data  6  aprile  2000,  31  maggio  2000 e 2 giugno 2000
incolpava,  pur  sapendo  innocente,  il  dott.  Matteo  Di  Giorgio,
sostituto  procuratore in servizio presso la Procura della Repubblica
di  Taranto,  dei  reati  riconducibili  alle fattispecie di cui agli
artt. 323 e 326 c.p., assumendo in particolare:
          che  il  predetto magistrato avrebbe usato le indagini «per
orientare il voto del 16 aprile»;
          che  il  predetto  magistrato  avrebbe  partecipato  ad  un
incontro segreto con il rag. Giuseppe Brizio e con Francesco Perrone,
comandante  dei  vigili  urbani  di  Castellaneta, nel quale «sarebbe
stato  concordato  un  piano  per distruggere politicamente lo stesso
Loreto»;
          che   il  predetto  magistrato  avrebbe  divulgato  notizie
coperte  dal  segreto  istruttorio,  scrivendo testualmente nella sua
denuncia:   «gia'   da   martedi'   anche   nei  supermercati  veniva
pubblicamente  annunciato  da signore amiche di famiglia del dott. Di
Giorgio  che  tra  giovedi' e venerdi' sarebbe scoppiato un botto che
avrebbe spazzato via dalla citta' lo scrivente»;
          che  il  predetto  magistrato avrebbe fatto uso strumentale
della  Giustizia  attraverso  un  inaudito  accanimento  persecutorio
«espressione  di  una  volonta'  di  vendetta, che e' cosa diversa ed
estranea ad un corretto uso della giustizia».
    Ritiene  questo giudice che per effetto della delibera del Senato
della  Repubblica  sopra indicata sia stata illegittimamente menomata
la  propria  sfera di attribuzioni, costituzionamente garantita dagli
artt. 101 e segg. della Costituzione.
    Invero,  le  condotte  ascritte al Loreto, integranti gli estremi
del   reato   di   calunnia,   non  risultano  rientrare  nell'ambito
applicativo   dell'art. 68,   primo   comma   Cost.,   che  esenta  i
parlamentari  da ogni responsabilita' penale civile o amministrativa,
che  potrebbe  sorgere  da un'opinione espressa o da un voto dato, al
fine  di  consentire  loro la piu' ampia liberta' di valutazione e di
decisione nell'esercizio del mandato parlamentare.
    Al  riguardo,  la Corte costituzionale ha piu' volte chiarito che
detta  riconducibilita'  va  intesa non come semplice collegamento di
argomento  o  di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione,
ma   come   identificabilita'   della   dichiarazione   stessa  quale
espressione   di  attivita'  parlamentare,  cioe'  quale  sostanziale
corrispondenza   di   contenuti   tra   le   dichiarazioni  e  l'atto
parlamentare tipico.
    Nel caso di specie difettano i presupposti per invocare l'art. 68
cit.,  poiche' il Loreto non ha espresso opinioni o manifestato voti,
ma  ha  posto  in  essere  un  comportamento  materiale,  che  non e'
espressione  di atti parlamentari tipici, ne' ha funzione divulgativa
degli   stessi.   Invero,   i   suddetti  esposti  non  costituiscono
divulgazione   di   attivita'   parlamentare,   poiche'   l'autorita'
giudiziaria  non puo' essere destinataria di tale funzione, bensi' di
notizie  di  reato,  sicche'  chi  si  rivolge ad essa per comunicare
notizie  di  reato  e'  consapevole  di  non esprimere delle semplici
opinioni.
    Peraltro,  il  termine  «opinione», nella sua corretta accezione,
indica  l'interpretazione  di  un fatto, ovvero la formulazione di un
giudizio personale.
    La   calunnia,   invece,   si  perfeziona  con  la  presentazione
dell'esposto  (denuncia  o  altro)  all'a.g.  o  a  quella  che abbia
comunque  l'obbligo  di riferirne, attivita' connotata da un'indubbia
materialita'.
    In  ogni  caso,  ammesso  che  si sia trattato di un'opinione, la
stessa   deve   essere   espressa   nell'esercizio  di  una  funzione
parlamentare,   che   si   manifesta   con  atti  tipici,  del  tutto
insussistenti nel caso di specie.
    Le   suddette   osservazioni   non   mutano   nemmeno  a  seguito
dell'entrata   in   vigore   dell'art. 3,  primo  comma  della  legge
n. 140/2003,   a  mente  del  quale  «L'art. 68,  primo  comma  della
Costituzione  si applica in ogni caso per la presentazione di disegni
o  proposte  di  legge,  emendamenti,  ordini  del  giorno, mozioni e
risoluzioni,  per  le  interpellanze  e  le  interrogazioni,  per gli
interventi  nelle  Assemblee  o  negli altri organi delle Camere, per
qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto
parlamentare, per ogni altra attivita' di ispezione, di divulgazione,
di  critica  e  di  denuncia  politica,  connessa  alla  funzione  di
parlamentare, espletata anche fuori del parlamento».
    Invero,  non  si  comprende  in  tal  caso  quale sia l'attivita'
parlamentare  tipica  nell'esercizio  della  quale  il Loreto avrebbe
posto in essere le condotte incriminate.
    Del  resto  la  stessa  Corte  costituzionale, con riferimento ai
reati  di  opinione,  tra  i  quali  sono  ricomprese l'ingiuria e la
diffamazione,   e   non   certamente  la  calunnia,  ha  ritenuto  di
qualificare  le  dichiarazioni espresse fuori della sede parlamentare
come  divulgazione  di attivita' parlamentare, solo quando vi sia una
sostanziale  corrispondenza  di  significato  con  opinioni  espresse
nell'esercizio   delle  funzioni  parlamentari  tipiche  (ad  es.  la
funzione ispettiva, alla quale sono riconducibili le interrogazioni e
le interpellanze).
    Per queste ragioni deve essere ritenuta illegittimamente menomata
la  sfera,  di attribuzioni costituzionalmente garantita, per effetto
della  delibera  del  Senato  della Repubblica che ha stabilito che i
fatti   ascritti  al  Loreto  nel  presente  procedimento  concernono
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue funzioni.