ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), promosso con ordinanza del 6 maggio 2005 dal Tribunale di Modena sul ricorso proposto dall'Azienda Casa Emilia-Romagna (ACER) della Provincia di Modena, iscritta al n. 554 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2005; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 17 maggio 2006 il giudice relatore Franco Bile; Ritenuto che, con ordinanza emessa il 6 maggio 2005, il Tribunale di Modena - investito dall'Azienda Casa Emilia-Romagna della Provincia di Modena (ACER) di ricorsi per ingiunzione e sfratto, ai sensi dell'art. 32 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), contro due inquilini di alloggi di proprieta' del comune di Modena, morosi nel pagamento delle rate del canone di locazione - ha sollevato questione di legittimita' costituzionale di tale norma, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; che, in particolare, il rimettente - dopo avere rilevato che la norma impugnata attribuisce agli Istituti autonomi delle case popolari, «nelle ipotesi di mancato pagamento di rate di fitto», il diritto di chiedere, con ricorso, un decreto, che ingiunga all'inquilino moroso (sulla base di un'attestazione del presidente dell'Istituto) di pagare entro quaranta giorni dalla notificazione e che disponga, altresi', lo sfratto per il caso di inadempienza - osserva che questa Corte, nel rigettare (con sentenza n. 419 del 1991) la questione ora proposta, per la possibilita' di una temporanea interpretazione adeguatrice della norma, aveva considerato la norma stessa non perfettamente adeguata alle esigenze di tutela del diritto di abitazione ed aveva indirizzato un monito al legislatore, perche' la sostituisse con una disciplina piu' rispettosa del rilievo sociale di quel diritto; e soggiunge che, non essendo stato il monito raccolto, sarebbe «piu' che mai legittimo continuare a dubitare della legittimita' costituzionale della normativa de qua»; che, peraltro, il rimettente afferma di non condividere il ragionamento con cui la Corte, nella citata sentenza, aveva prospettato la possibile interpretazione adeguatrice; che a suo avviso - mentre ogni altro conduttore moroso, prima della pronuncia di un'ordinanza di convalida di sfratto, beneficia di congrue garanzie difensive perche' non deve opporsi ad un provvedimento pronunciato inaudita altera parte; perche' il termine di comparizione e' stato elevato da tre a venti giorni (art. 660, quarto comma, del codice di procedura civile, come modificato dal decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1995, n. 534); perche' all'udienza di comparizione egli puo' opporsi alla convalida costituendosi in giudizio tramite difensore, ovvero comparendo e difendendosi personalmente (art. 660, quarto e quinto comma) - viceversa l'inquilino di casa popolare puo' difendersi solo proponendo ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo, con l'assistenza di un difensore tecnico, sulla base di una previsione «poco giustificabile», trattandosi del titolare di un reddito modesto, che ben difficilmente potrebbe ottenere dall'apposita Commissione il riconoscimento del beneficio del gratuito patrocinio nel breve termine (quaranta giorni dalla notificazione del decreto), entro il quale l'opposizione deve esser proposta; che sarebbe quindi concreto il rischio, per una categoria «protetta», di non poter esercitare il diritto costituzionale di difesa tramite l'opposizione, tenuto conto, altresi', che non e' prevista la possibilita' di proporre l'opposizione tardiva, concessa ai conduttori di abitazioni private, nonche' di fruire della sanatoria della morosita' ex art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, come i citati conduttori; che - dopo avere cosi' riproposto le stesse argomentazioni addotte a sostegno di una identica questione decisa da questa Corte con la sentenza n. 203 del 2003 - il rimettente critica l'affermazione in essa contenuta in ordine all'inapplicabilita' della sanatoria della morosita', ai sensi dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, alle locazioni di edilizia residenziale pubblica, adducendo che, dopo la legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso di abitazione), quella norma sarebbe divenuta applicabile a tutte le locazioni ad uso abitativo. Considerato che il rimettente ripropone la stessa questione dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 203 del 2003, ripetendo integralmente e quasi testualmente, senza nulla aggiungere, le stesse argomentazioni contenute nella precedente ordinanza, e limitandosi a criticare l'argomento dell'inapplicabilita' alle locazioni di edilizia residenziale pubblica del «termine di grazia» previsto dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978; che, in particolare, secondo il rimettente, questa inapplicabilita', testualmente prevista dall'art. 26 della medesima legge, sarebbe venuta meno per effetto dell'abrogazione di tale norma da parte dell'art. 14 della successiva legge n. 431 del 1998; che, peraltro, il rimettente non considera che l'abrogazione dell'art. 26 si colloca nel quadro dell'abrogazione quasi totale delle norme sulle locazioni abitative del 1978, disposta dall'art. 14 della legge del 1998, in occasione dell'introduzione di una nuova disciplina di tali locazioni, anche essa, del resto, inapplicabile alle locazioni di edilizia residenziale pubblica (art. 1, comma 2, lettera b); che comunque il problema se - dopo l'entrata in vigore della legge del 1998 - il termine di grazia di cui all'art. 55 della legge del 1978 sia o meno applicabile al procedimento previsto dalla norma impugnata per le locazioni di edilizia residenziale pubblica, potrebbe essere posto soltanto in una sede (l'eventuale opposizione al decreto ingiuntivo previsto dalla stessa norma) del tutto estranea al giudizio a quo, nel quale il rimettente ha proposto la presente questione di legittimita' costituzionale prima di pronunciare il richiesto decreto; che, dunque, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.