IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza collegiale nel procedimento civile iscritto al n. 10295/2005 R.G., avente ad oggetto ricorso avverso delibera di decadenza dalla carica di consigliere comunale, promosso da Trovato Santo, nato a San Giovanni La Punta il 27 luglio 1959, ed ivi residente in via della Regione n. 256, elettoralmente domicilato in Catania, via Crociferi n. 60, presso lo studio dell'avv. prof. Michele Ali', che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso introduttivo, attore; Contro Comune di San Giovanni La Punta, in persona del sindaco pro tempore, autorizzato a costituirsi in giudizio, giusta determina sindacale n. 49 del 28 ottobre 2005 e delibera di Giunta municipale n. 40 del 24 ottobre 2005, elettivamente domicilato in Catania, via V. Giuffrida n. 37, presso lo studio dell'avv. Andrea Scuderi, che lo rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione, convenuto, e con l'intervento del p.m., sede, in persona del Sostituto Procuratore della Repubblica di Catania di turno; All'udienza di discussione del 9 dicembre 2005, udita la relazione del giudice relatore, sentite le parti, sentito il p.m., il tribunale dispone la sospensione del procedimento e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza letta in udienza. Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 10 ottobre 2005, Trovato Santo chiedeva a questo tribunale l'annullamento della delibera adottata dal Consiglio comunale del Comune di San Giovanni La Punta in data 27 luglio 2005, con cui era stata dichiarata la sua decadenza dalla carica di consigliere comunale del predetto comune, per l'esistenza di una lite pendente, ai sensi dell'art. 10, n. 4 della legge Reg. Sic. 24 giugno 1986, n. 31. Deduceva di essere stato eletto consigliere comunale all'esito delle elezioni tenutesi in data 15 e 16 maggio 2005 per il rinnovo del Consiglio comunale di San Giovanni La Punta; deduceva che, con una prima deliberazione, la n. 3 del 20 giugno 2005, il consiglio comunale gli aveva contestato la causa d'incompatibilita' prevista dall'art. 10, comma 1, n. 4 della legge Reg. Sic. sopraccitata - sul presupposto che il comune si era costituito parte civile nel procedimento penale pendente a carico del Trovato nell'ambito del quale quest'ultimo era stato condannato dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Catania, con sentenza del 13 giugno 2005, per il delitto di abuso d'ufficio aggravato previsto e punito dall'art. 323 c.p., alla pena di un anno di reclusione, al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare ed al pagamento di una provvisionale in favore del comune di Euro 10.000,00, - intimandogli di versare nelle casse del comune l'importo della provvisionale al fine di rimuovere la causa d'incompatibilita'; deduceva che, pur avendo richiesto al comune di prendere atto delle modifiche all'art. 63 decr. legisl. 267/2000 introdotte con l'art. 3-ter del d.l. 13/2002 conv. con legge 75/2002, e con riserva di ripetizione, aveva provveduto a versare l'importo della provvisionale pari ad Euro 10.000,00 oltre accessori; deduceva che, con successiva delibera n. 9 del 7 luglio 2005, il consiglio comunale gli aveva nuovamente contestato la causa d'incompatibilita', rilevando che, ai fini della rimozione della causa di decadenza, il Trovato avrebbe dovuto versare la somma di Euro 500.000,00 occorrente all'integrale risarcimento dei danni arrecati al comune; deduceva che, infine, con deliberazione n. 15 del 27 luglio 2005, il consiglio comunale aveva dichiarato la sua decadenza dalla carica di consigliere comunale; deduceva di essere in procinto di appellare la sentenza del g.u.p. depositata in data 29 agosto 2005; deduceva l'illegittimita' della delibera impugnata, perche' il Consiglio comunale non aveva tenuto conto della modifica apportata dal legislatore statale al novero delle cause d'incompatibilita' previste per i consiglieri comunali; deduceva che il legislatore nazionale aveva circoscritto l'ambito di operativita' della causa d'incompatibilita' derivante da «lite pendente», integrando l'art. 63, comma primo, n. 4 del d.P.R. n. 267/2000 e prevedendo espressamente che «la lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina l'incompatibilita' soltanto in caso di affermazione di responsabilita' con sentenza passata in cosa giudicata. La costituzione di parte civile nel processo penale non costituisce causa d'incompatibilita'. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso»; deduceva che la disposizione in esame doveva trovare immediata applicazione anche nel territorio della Regione Sicilia, perche' avente natura non sostanziale ma processuale - alla stregua dell'inciso finale, a norma del quale la disposizione trovava applicazione anche ai processi in corso, - con conseguente esclusione della potesta' legislativa primaria regionale e sussistenza della riserva statale di legge in materia di giurisdizione e di norme processuali; eccepiva, in subordine, la illegittiniita' costituzionale dell'art. 10, comma primo, n. 4 della legge Reg. Sic. n. 31/1986, per violazione degli artt. 3 e 51 Cost., data l'ingiustificata disparita' di trattamento esistente in ordine all'accesso alla carica di consigliere comunale tra la disciplina vigente in Sicilia e quella vigente nel restante territorio nazionale, non giustificata da alcuna peculiarita'; chiedeva, quindi, l'annullamento della delibera adottata nei suoi confronti dal Consiglio comunale del comune convenuto, previa eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma primo, n. 4 della legge Reg. Sic. n. 31/1986, con il favore delle spese. Con provvedimento del 19 ottobre 2005, il Presidente fissava l'udienza di discussione innanzi al Collegio per il successivo 9 dicembre 2005 assegnando termine al ricorrente per la notifica del ricorso al comune resistente. Instauratosi ritualmente il contraddittorio, il Comune di San Giovanni La Punta si costituiva in giudizio contestando la fondatezza del ricorso; deduceva l'inapplicabilita' dell'art. 63 del decr. legisl. n. 267/2000, come modificato dall'art. 3 del d.l. n. 13/2002 convertito con la legge n. 75/2002 nel territorio della Regione Siciliana, data l'esistenza della potesta' legislativa esclusiva in materia elettorale spettante alla Regione Sicilia ai sensi dell'art. 14 dello statuto; contestava la asserita natura processuale della norma nazionale invocata dal ricorrente alla quale, al contrario, doveva attribuirsi natura di norma sostanziale; deduceva la manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' prospettata dal ricorrente, trovando la differente disciplina normativa nazionale e regionale ragionevole giustificazione nell'esigenza, particolarmente avvertita nel territorio siciliano a fronte dei gravi fenomeni di criminalita' organizzata e della strutturale debolezza degli apparati amministrativi regionali, di una maggiore e piu' rigorosa tutela degli organi consiliari rispetto a quelle ragioni di contrasto derivanti dalla pendenza di procedimenti penali nei quali le amministrazioni locali si siano costituite parti civili; chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso, con vittoria di spese e compensi. All'udienza di discussione del 9 dicembre 2005, sentite le parti, udita la relazione del giudice relatore, sentito il p.m., che ha chiesto il rigetto del ricorso, il Tribunale ha dato lettura della seguente ordinanza. Motivi della decisione La questione di costituzionalita' dell'art. 10, primo comma, n. 4 della legge Reg. Sic. 24 giugno 1986, n. 31 - in rapporto alla diversa disciplina dettata dal legislatore nazionale nell'art. 63, primo comma, n. 4 del decr. legisl., 18 agosto 2000, n. 267, come novellato dall'art. 3-ter del d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, convertito nella legge 24 aprile 2002, n. 75, aventi entrambi ad oggetto la disciplina dell'incompatibiita' per lite pendente dettata per i consiglieri comunali, rispettivamente, nella Regione Siciliana e nel restante territorio nazionale - per contrasto con gli artt. 3, 27 e 51 della Costituzione, ad avviso del Collegio, e' rilevante ai fini della decisione e non appare manifestamente infondata. Per quanto attiene alla rilevanza della questione nel procedimento in esame, osserva il tribunale che, in punto di fatto, e' documentalmente provato ed e' incontroverso inter partes che il ricorrente - eletto alla carica di consigliere comunale all'esito delle elezioni tenutesi in data 15 e 16 giugno 2005 per l'elezione del Consiglio comunale del comune di San Giovanni La Punta - e' stato dichiarato decaduto dalla carica con delibera del Consiglio comunale n. 15, adottata in data 27 luglio 2005, sul rilievo dell'esistenza della causa d'incompatibilita' prevista dall'art. 10, primo comma, n. 4, legge reg. Sic. n. 31/1986, e cioe' per l'esistenza di una lite pendente tra il Trovato ed il comune. Cio', in quanto il Comune di San Giovanni La Punta si e' costituito parte civile nel procedimento penale instaurato a carico del Trovato e definito in primo grado con la sentenza emessa in data 13 giugno 2005 dal G.u.p. del tribunale di Catania e depositata in data 29 agosto 2005, con cui il ricorrente e' stato condannato per il reato previsto e punito dall'art. 323 c.p. ed al pagamento di una provvisionale in favore del comune resistente parte civile. E', altresi', incontroverso tra le parti che il Trovato ha proposto appello avverso la suddetta sentenza penale, sicche' il procedimento penale a carico del ricorrente e' tutt'ora in corso e non si e' formato il giudicato penale. Cio' premesso, va, innanzitutto, osservato che, nel caso in esame, la delibera adottata dal comune resistente appare corretta e legittimamente emessa, alla stregua del disposto di cui all'art. 10, primo comma, n. 4, della legge Reg. Sic. n. 31/1986 - secondo cui non puo' ricoprire la carica di consigliere provinciale, comunale o di quartiere colui che ha lite pendente, in quanto parte in un procedimento civile o amministrativo rispettivamente con la provincia o con il comune - sussistendo la causa d'incompatibilita' per «lite pendente» con l'ente d'appartenenza in capo al Trovato, cosi' come contemplata dalla disciplina normativa regionale sopraccitata, che e' l'unica norma applicabile alla fattispecie in esame. Com'e' noto, invero, la competenza normativa della Regione Siciliana, in materia di requisiti d'accesso alle cariche elettorali e di incompatibiita' elettorali dei consiglieri comunali e provinciali, costituisce espressione di una potesta' normativa primaria, ai sensi dell'art. 15 dello statuto, sicche' la materia in esame e' riservata alla competenza normativa esclusiva della Regione Sicilia, ed in Sicilia non puo' trovare applicazione la normativa statale. L'unica fonte normativa applicabile alla materia in esame nell'ambito della Regione Siciliana e', pertanto, quella regionale posta a base della delibera impugnata, e non gia' la normativa nazionale contenuta nell'art. 63, d.P.R. 267/2000, invocata dal ricorrente, che disciplina la materia delle incompatibilita' elettorali nel restante territorio nazionale e costituisce, all'evidenza, norma materiale e non gia' norma di carattere processuale come tale riservata alla competenza normativa statale. Contrariamente all'assunto del ricorrente, infatti, non puo' in alcun modo attribuirsi natura di norma processuale all'art. 63, primo comma, n. 4, del decr. legisl. n. 267/2000, atteso che, come correttamente osservato dal comune resistente, la definizione ed individuazione delle cause d'incompatibilita' elettorali e' ontologicamente riferita al contenuto ed alle limitazioni dei diritti elettorali passivi, mentre l'inciso contenuto nell'ultima parte dell'articolo in esame - secondo cui «la presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso» - e' evidentemente destinato a regolare esclusivamente l'efficacia nel tempo della legge statale, senza incidere minimamente sulla natura sostanziale della norma di cui si limita a disciplinare la retroattivita'. E', altresi', opportuno rilevare che - secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, sia di merito sia di legittimita', formatasi in relazione alla causa d'incompatibilita' per lite pendente di cui all'art. 10, n. 4, legge Reg. Sic. n. 31/1986, ed a quella di contenuto analogo, contemplata dal legislatore statale alla stregua della previgente formulazione dell'art. 63 del decr. legisl. n. 267/2000 - nel concetto di «lite pendente» rientra anche la costituzione di parte civile dell'ente pubblico in un procedimento penale pendente nei confronti dell'eletto, atteso che l'azione civile esercitata in sede penale ha, comunque, natura di azione civile non diversa da quella proposta sin dall'inizio innanzi ad un giudice civile (cfr., in tal senso, gia' Trib. Roma 9 ottobre 1995, in Foro it. 1996, I, 2917). Inoltre, va certamente escluso che, nella fattispecie in esame, si tratti di lite meramente formale tra l'ente ed il consigliere comunale, come tale idonea ad escludere nel concreto la causa d'incompatibilita' (cfr. da ultimo Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305 ), sussistendo, al contrario, un effettivo conflitto d'interessi tra il ricorrente ed il comune resistente. L'unica norma applicabile per la definizione della controversia in esame e', pertanto, quella contenuta nell'art. 10, primo comma, n. 4, della legge Reg. Sic. 24 giugno 1986, n. 31, sicche' la verifica relativa alla sua conformita' alla Costituzione Repubblicana, e segnatamente ai principi contenuti negli artt. 3, 27 e 51, e' manifestamente rilevante nel giudizio a quo. Per quanto attiene alla non manifesta infondatezza della questione, va osservato che, in seguito alla novella dell'art. 63, primo comma, n. 4 del d.P.R. 18 agosto 2000, n. 267 - operata dall'art. 3-ter del d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, convertito nella legge 24 aprile 2002, n. 75 - la normativa nazionale dettata in tema d'incompatibilita' dalla carica dei consiglieri comunali per «lite pendente» con l'ente d'appartenenza, nel caso di costituzione di parte civile dell'ente pubblico nel procedimento penale instaurato a carico dell'eletto, ovvero nel caso di azione civile esercitata in sede civile in seguito alla commissione di un fatto reato, diverge radicalmente rispetto alla disciplina dettata dal legislatore regionale nella norma piu' volte richiamata, che non e' stata modificata dalla Regione Sicilia in seguito alla novella della legge nazionale. Da un lato, la norma statale afferma espressamente che: «La lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilita' soltanto in caso di affermazione di responsabilita' con sentenza passata in giudicato. La costituzione di parte civile nel processo penale non costituisce causa d'incompatibilita». Dall'altro, la norma regionale continua a prevedere la causa d'incompatibiita' per lite pendente, anche se la lite e' promossa a seguito di sentenza di condanna non definitiva, e non esclude la costituzione di parte civile nel processo penale dal novero delle cause d'incompatibilita'. Sussiste, quindi, una evidente diversita' di disciplina normativa tra situazioni che, ad avviso del Collegio, appaiono del tutto analoghe, con riferimento a categorie del tutto omogenee di soggetti, e, cioe', tra i consiglieri comunali eletti in Sicilia e quelli eletti nel resto del territorio dello Stato italiano. In proposito, va osservato che, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, l'esistenza della potesta' normativa primaria della Regione Siciliana in materia elettorale implica che la legislazione regionale deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa dell'esigenza di uniformita' in tutto il territorio nazionale, discendente dall'identita' di interessi che comuni e province rappresentano rispetto alle loro comunita' locali, quale che sia la Regione d'appartenenza. Com'e' stato ripetutamente chiarito, e' proprio il principio di cui all'art. 51 Cost. a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri d'inviolabilita' (ex art. 2 Cost.), e tale principio si pone come riserva di legge rafforzata che obbliga il legislatore statale ad assicurarne il godimento in condizioni di eguaglianza. Secondo la Corte costituzionale, e' caratteristica propria dei diritti inviolabili di essere sistematicamente incorporati, quantomeno nel loro contenuto essenziale, anche negli ordinamenti giuridici autonomi, speciali o comunque diversi da quelli statali; il che non degrada la potesta' legislativa regionale esclusiva a competenza concorrente, ma la limita e la impegna al rispetto del principio costituzionale che esige l'uniforme garanzia per tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale, del diritto (fondamentale per uno Stato democratico) di elettorato attivo e passivo (cfr. testualmente Corte cost. sentenze n. 105/1957, n. 26 del 1965, n. 171 del 1984, n. 20 del 1985, n. 253 del 1988, n. 162 del 1995 e n. 539 del 2000). Inoltre, la Corte costituzionale ha piu' volte riconosciuto alla Regione Siciliana il potere di stabilire causa d'ineleggibilita' ovvero di incompatibilita' non previste dalla legislazione statale, ma soltanto allorquando esse trovino giustificazione in condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali, proprie della regione che se ne avvale, che possano giustificare la deroga da parte del legislatore della regione a statuto speciale rispetto alla disciplina valevole nel restante territorio nazionale, per l'ovvia considerazione che se quelle stesse peculiarita' o eccezionalita' fossero generalizzate in modo da estendersi a piu' regioni non potrebbe negarsi la competenza a provvedere da parte del legislatore statale (cfr. in particolare Corte cost. sent. n. 162 del 1995 in tema d'ineleggibilita). Alla stregua di tali consolidati principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, nel caso in esame, la diversita' di disciplina normativa non appare giustificata da nessuna esigenza peculiare della Regione Sicilia e propria di quest'ultima, ed appare suscettibile di violare sia il principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., sia il diritto fondamentale di elettorato passivo sancito dall'art. 51 Cost., come rilevato da parte ricorrente sia, infine, la presunzione d'innocenza sancita dall'art. 27 Cost. Per quanto attiene alla violazione dell'art. 3 Cost., va, invero, osservato che si disciplina in modo diseguale la posizione di cittadini italiani chiamati a rivestire le medesime funzioni di consiglieri comunali, a seconda che essi siano eletti in Sicilia ovvero nel resto del territorio nazionale, senza che possa venire in rilievo alcuna specifica ed eccezionale esigenza regionale - non esplicitata, non desumibile dalla legge e dovuta semplicemente al mancato adeguamento della legislazione regionale a quella nazionale - con conseguente ingiustificata disparita' di trattamento tra cittadini chiamati a rivestire la medesima carica e le medesime funzioni. E cio', nel caso in esame, - a differenza della fattispecie oggetto della recente decisione di manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' emessa dalla Corte cost. con l'ordinanza n. 223/2003 con riferimento alla diversa disciplina dell'incompatibiita' per lite pendente esistente tra la posizione dei consiglieri regionali e quella degli altri enti locali - non appare giustificato, data l'identita' della posizione soggettiva oggetto della diversa disciplina normativa. Per quanto attiene al principio di cui all'art. 51 Cost., va osservato che le cause d'incompatibilita' operano sul piano degli impedimenti elettorali e incidono sul diritto d'elettorato passivo, sicche' le limitazioni a tale diritto devono ritenersi legittime soltanto in quanto effettivamente indispensabili a soddisfare le contrapposte esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate in vista del necessario bilanciamento tra valori aventi eguale copertura costituzionale. Nel caso in esame, non sembra sussistere nessuna specifica esigenza di pubblico interesse, che sia propria ed esclusiva della Regione Sicilia, da bilanciare con il diritto politico fondamentale d'elettorato passivo riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilita'. Infine, per quanto attiene al principio di cui all'art. 27 Cost. - la cui violazione e' suscettibile di rilievo officioso - puo' osservarsi che, alla luce della ratio legis sottesa alla novella intervenuta relativamente al previgente decr. legisl. n. 267/2000, il legislatore nazionale, nell'esercizio del potere legislativo, ha, evidentemente, ritenuto recessive le contrapposte esigenze di pubblico interesse sottese alla incompatibiita' elettorale per «lite pendente», rispetto al principio fondamentale che assicura la presunzione d'innocenza al cittadino che si trovi ad essere imputato in un qualsiasi processo penale sino al formarsi della res iudicata - a prescindere dal tipo di reato concretamente ascrittogli - sicche', anche sotto tale profilo, appare del tutto ingiustificata la diversita' di trattamento esistente tra i consiglieri comunali eletti in Sicilia e quelli eletti nel restante territorio nazionale, tanto piu' che la norma nazionale non distingue ne' tra reati piu' o meno gravi ne' tra i beni giuridici tutelati dalla norma penale. Conclusivamente, la questione di costituzionalita' dell'art. 10, primo comma, n. 4 della legge Reg. Sic. 24 giugno 1986, n. 31, per contrasto con gli articoli 3, 27 e 51 Costituzione non appare manifestamente infondata, ed il procedimento a quo deve essere sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per la decisione.