IL GIUDICE DI PACE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Nel  proc.  n. 444/2005  Affari Non Contenziosi, promosso da Vega
Gonzalez   Gabriel   Martin,   nato  in  Ecuador  il  20 marzo  1981,
rappresentato  e difeso dagli avv. Allessandra Ballerini e Marco Vano
del  Foro di Genova e domiciliato presso il loro studio in Genova, in
Salita Salvatore viale n. 5/2, ricorrente;
    Contro prefettura di Genova in persona del vice questore aggiunto
dott.ssa  Maria  Rita  Cardillo, delegata dalla prefettura di Genova,
sia all'udienza del 28 settembre 2005 sia del 10 ottobre 2005, e, dal
funzionario   amministrativo   sig.   Davide  Verri,  delegato  dalla
prefettura  di  Genova,  all'udienza  del 5 ottobre 2005, resistente,
avverso  il  decreto di espulsione n. 055643/Cat.A.II/Uff.Imm. emesso
dal vice prefetto di Genova il 22 luglio 2005, con il quale risultava
che  il  ricorrente,  in  Italia  senza  regolare  dimora,  avente la
cittadinanza  ecuadoriana,  sedicente,  aveva dichiarato su, apposito
modulo  plurilingue,  di  essere  entrato  nel territorio dello Stato
attraversando  il  confine  di Malpensa nel periodo di 28 marzo 2002,
privo  del  prescritto visto d'ingresso, sottraendosi ai controlli di
frontiera  e  comunque  non  aveva richiesto il permesso di soggiorno
entro   otto  giorni  lavorativi,  e,  considerato  che  esigenze  di
celerita' impedivano di comunicare l'avvio del procedimento in quanto
l'interessato/a  e' privo/a di permesso di soggiorno e avrebbe potuto
rendersi  irreperibile,  e, visto l'art. 13, comma 2, lettera a) e b)
del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, decretava l'espulsione
del territorio nazionale informandolo degli obblighi e delle facolta'
spettantegli,  a  cui  faceva seguito lo stesso giorno 22 luglio 2005
l'ordine del questore della provincia di Genova con il quale rilevato
che,  ai  sensi  dell'art. 14,  comma 5-bis  del d.lgs. n. 286/1998 e
successive  modifiche,  non  era  possibile accompagnare lo straniero
alla  frontiera  per  mancanza di vettore e documento d'identita' ne'
era  possibile  trattenerlo presso un Centro di permanenza temporanea
in  quanto  non  vi  era disponibilita' di posti, come comunicato dal
Servizio   immigrazione   del  Ministero  dell'interno,  ordinava  al
ricorrente  di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di
cinque   giorni   ai   sensi  dell'art. 14,  comma 5-ter  del  d.lgs.
n. 286/1998  e successive modifiche avvisandolo delle comminatorie di
legge.
    Il   giudice   di  pace  a  scioglimento  della  riserva  assunta
all'udienza del giorno 10 ottobre 2005;
    Premesso  che  il  d.l.  14 settembre 2004, n. 231, convertito il
legge   n. 271/2004,  in  data  12 novembre  2004,  pubblicato  nella
Gazzetta  Ufficiale del 13 novembre 2004, con le modifiche apportate,
che  ha  attribuito  la  competenza in subiecta materia al giudice di
pace, ha conservato la struttura di procedimento camerale, in quanto,
pur  non  reintroducendo l'applicazione della norma corrispondente al
rito  suddetto,  ex  art. 737  c.p.c.,  inserita  dal comma 3, d.lgs.
13 aprile  1999, n. 113, poi abrogato dall'art. 12, comma 1, lett. f)
della   legge   30 luglio   2002.   n. 189,   specificamente  prevede
all'art. 13,  comma  4,  che  «la  decisione  non  e' reclamabile, ma
impugnabile  per  Cassazione»,  mutuando,  in  tal  guisa,  caratteri
costitutivi della procedura suindicata;
        che,  in  dipendenza  di cio', la decisione qui assumenda, ha
natura  di decreto a motivazione necessaria, ossia, non ampia come la
sentenza,  ne'  succinta  come  l'ordinanza,  bensi'  sommaria e, per
l'effetto,  limitata all'indicazione dei fatti posti dal pronunciante
alla  base  dell'iter  logico-giuridico  del suo convincimento (Cass.
civ., sez. I 25 agosto 1997, n. 7958, Vari c. Rampini-RV507071=);
        che,   tale   normativa,   esemplifica,   precipuamente,   un
provvedimento,  la  cui materia del contendere e' afferente la tutela
di  un  diritto  soggettivo  incardinato  nell'ambito  di  una  causa
devoluta  al G.O., in quanto inerente a questione di diritto civile o
politico  (ineunte la persona), indipendentemente dalla posizione del
titolare  della stessa «comunque possa essere interessata la pubblica
amministrazione»  (art. 2,  legge 20 marzo 1865. n. 2248 all. E). Nel
caso  in  esame  il  decreto  di  espulsione  rientra  nel novero dei
provvedimenti  amministrativi  (segnati  dai  requisiti  loro  propri
dell'autoritarieta'  e  dell'esecutorieta)  definiti  quali ordini di
polizia;
        che,  in  ragione  di quel che si e' appena detto, la disputa
circa  la  prospettata  violazione di una norma di azione - mirante a
disciplinare  i  rapporti  intersoggettivi,  delimitando  le funzioni
stesse,  in  correlazione  con  posizioni  giuridiche  altrui  -  non
sottende  la  configurabilita' di un giudizio «sul rapporto» (proprio
del   diritto   civile),  bensi'  «sull'atto»  (specifico  di  quello
amministrativo)  avente  -  ossia  -  natura  inpugnatoria,  di  tipo
«demolitorio» del provvedimento in oggetto;
        che,  cio'  comporta, ineluttabilmente, il restringimento sia
dell'attivita' istruttoria, sia di quella decisoria del pronunciante,
per  cui  il  di lui sindacato no puo' fuoriuscire dai confini in cui
opera, in tema di valutazione o meno dei presupposti per l'emanazione
dell'atto    controverso,   perche'   diversamente   agendo,   ossia,
esorbitando  dai  cardini  impostigli  dal  rispetto  della  sfera di
giurisdizione  spettantegli,  ed,  esondando dagli argini in cui deve
incanalarsi  la  giudiziale verifica espletanda, egli valicherebbe le
barriere  de  quibus  e  sarebbe  censurabile  per  «straripamento di
potere» per aver invaso un campo riservato ad altra autorita' (quella
amministrativa); prova di cio' e' incarnata, indefettibilmente, dalla
previsione  della  novellata disciplina, qui applicanda, che permette
al  g.d.p.  di far luogo, solo, all'eventuale annullamento dell'atto,
e, non, alla riforma di esso;
        che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  debbono
essere  risolte,  per  quanto  possibile,  in  via preliminare (sent.
C.cost. 279/2001);
        che  l'accertamento della pregiudiziale e' il risultato di un
delicato «itinerario logico» (sent. C.cost. 137/1983);
        che  per la proposizione delle questioni di costituzionalita'
debbono coesistere questi requisiti;
        la rilevanza;
        la non manifesta infondatezza;
        l'impossibilita'  -  all'esito  del  tentativo  esperito - di
pervenire ad un'interpretazione «adeguatrice»;
        che   la   «rilevanza»,   definibile  come  probabilita'  che
l'eventauale  pronuncia della Corte sia in grado di incidere/influire
sul  processo  principale  concretamente  (cd.  «assenza  del difetto
relativo  di  rilevanza»),  viene,  sempre  piu',  considerata  sotto
l'aspetto  -  innanzi  a  tutto  -  dell'accertamento  del  requisito
relativo        all'applicabilita'       della       norma       (nn.
115-125-149-180-255/2001,240/2002),  e, solo dopo, sotto quello della
«concreta  rilevanza» in senso stretto; da cio' deriva la valutazione
della  rilevanza  sotto  due  aspetti:  come  applicabilita'  e  come
influenza  (sent. n. 65/1999), richiedendo di talche': I) una congrua
motivazione in fatto (sent. nn. 194/1999 e 255/2003 ex multis), e, in
diritto  -  sia  dell'una  che dell'altra a pena d'inammissibilita' -
(sentt.      nn.      19-25-37-53-72-93-211-282-300-317-455-460/1999,
21-251/2003  ex  plurimis.  Tenuto  conto  del carattere «istantaneo»
dell'accertamento  della  rilevanza  e'  preferibile  ritenere che il
giudice  a quo sia convinto - almeno - della ragionevole probabilita'
che la norma costituzionalmente dubbia venga applicata, e, motivi, in
tali  guisa,  la di lui decisione; per cio' la Corte parla, in punto,
di «ragionevole possibilita» (sent. n. 277/1998);
        che  la  lettura  dell'art. 23  comma  2, legge n. 87/1953 fa
esplicito riferimento all'ipotesi che il caso non possa essere deciso
indipendentemente dalla risoluzione della questione principale;
        che  la  «non  manifesta infondatezza», dapprima racchiusa in
termini  che  richiamano il dubbio, carico di sospetto ed incertezza,
del  vulnus  al  dettato  costituzionale  (sent.  n. 171/1977), quale
condizione  psicologica,  pur minima, per l'emanazione dell'ordinanza
di  rinvio,  oggi, allo stato, e' - invece - contraddistinta - sempre
piu'  frequentemente  -  da  espressioni  quali:  «certo»,  «palese»,
«evidente», «insanabile»;
        che    l'impossiblita'    a    giungere   all'interpretazione
adeguatrice,  da  parte del giudice a quo, e' sussumibile quando egli
non  sia  in  grado  di  «a  tanto provvedere», anche in presenza del
«diritto vivente»;
        che, anche quando la questione di legittimita' costituzionale
sia   avanzata   dalla   parte,  e,  non,  ex  officio  dal  giudice,
quest'ultimo   conserva   la   funzione   di   «soggetto  di  impulso
processuale»,   ben   potendo  modificare  e  trasformare  (in  senso
riduttivo  o  ampliativo),  anche  -  all'occorrenza  - attraverso la
«reinterpretazione»  del  contenuto  della  domanda de qua, l'oggetto
dell'impugnativa adeguandola a «parametro» della violazione;
        Cio'   premesso  rilevato  che,  questo  g.d.p.,  ritiene  la
questione sollevanda munita dei requisiti della rilevanza e della non
manifesta  infondatezza,  e, che, non ritiene possibile sciogliere il
nodo  in  punto mediante un'«interpretazione adeguatrice», come infra
spiegando,   per   cui  fin  d'ora  indica  quanto  oggetto  del  suo
provvedimento, ossia:
        a)    solleva    d'ufficio,    questione    di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19 comma 2 lett. d) del d.lgs. n. 286/1998 e
successive  modifiche,  in  relazione  agli artt. 2 e 30 cost., nella
parte  in  cui  la  norma  denunciata non prevede anche che non debba
essere  eseguito  -  al fine di permettere l'adempimento del dovere e
l'esercizio del diritto dei genitori di mantenere ed educare i figli,
anche  se  nati  fuori  dal  matrimonio - il decreto di espulsione di
straniero legato alla donna che richiesto permesso di soggiorno anche
se  solo  per  salute in quanto, appunto, in stato di gravidanza - da
una  relazione  effettiva,  e,  con  la  quale sia stato concepito il
nascituro;
        b)    solleva,    d'ufficio,    questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 19, comma 2 lett. d) del d.lgs. n. 286/1998
e  successive  modifiche, in relazione agli artt. 2 e 31 Cost., nella
parte  in  cui  la  norma  denunciata non prevede anche che non debba
essere  eseguito  -  al  fine di garantire il diritto alla formazione
della  famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, alla protezione
della  maternita'  e  dell'infanzia  -  il  decreto  di espulsione di
straniero  legato alla donna - che ha richiesto permesso di soggiorno
anche se solo per salute in quanto, appunto, in stato di gravidanza -
da  una  relazione  affettiva, e, con la quale sia stato concepito il
nascituro;
        c)   solleva,   d'ufficio,   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 19 comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998
e  successive  modifiche, in relazione agli artt. 2 e 32 Cost., nella
parte  in  cui  la  norma  denunciata non prevede anche che non debba
essere  eseguito  -  al  fine  di  assicurare  tutela  ed  assistenza
materiale al nascituro - il decreto di espulsione di straniero legato
alla donna - che ha richiesto permesso di soggiorno anche se solo per
salute  in quanto, appunto, in stato di gravidanza - da una relazione
effettiva, e, con la quale sia stato concepito il nascituro.
    In  linea  di  risulta  che  l'interessata: Pico Barzola Maria De
Monserrate,  di  nazionalita'  ecuadoriana, ha dichiarato (in atto di
cui all'incarto in questione), di essere fidanzata con il ricorrente,
ed  e'  stato,  altresi', allegato dall'opponente certificato in data
11 agosto   2005   dell'Azione   sanitaria  genovese  -  Dipartimento
assistenza  e  riabilitazione,  da  cui  evincesi  che, alla data del
rilascio   di  esso,  la  donna  era  in  stato  di  gravidanza  alla
diciassettesima settimana;
        che  la  resistente  -  in  sede  d'ultima udienza a quo - ha
confermato che la straniera ha richiesto il permesso di soggiorno per
salute  ed,  a  domanda  del  difensore  del  ricorrente, ha risposto
affermativamente  al  fatto che per tale motivo dovesse intendersi lo
stato di gravidanza dell'interessata.
    In  punto  di diritto e' sussumibile che l'art. 16, dichiarazione
universale   dei  diritti  dell'uomo  (New  York  10 dicembre  1948),
riconosce   il   diritto   dell'individuo  a  fondare  una  famiglia,
considerando - a riguardo il matrimonio come una scelta possibile, in
assenza  della  quale,  non  e' pretermesso alcun diritto alla tutela
della  famiglia,  definita,  semplicemente,  quale «nucleo naturale e
fondamentale  della societa» avente «diritto ad essere protetta dalla
societa' e dallo Stato» senz'altra «enunciazione tassativa» afferente
afferente il vincolo matrimoniale;
        che  l'art. 8  della  Convenzione europea per la salvaguardia
dei  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - firmata a Roma
il  4 novembre  1950  e ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955,
n. 848  -  sancendo  il  diritto  al  rispetto  della  vita privata e
famigliare  amplia  la  sfera  di  tutela  dell'individuo rispetto al
modello di cui al regime matrimoniale;
        che  l'art. 2  Cost.  garantisce i diritti fondamentali dello
straniero  (C.  Cost.  18 luglio  1986, n. 189, in Foro it., 1988, I,
2803);
        che,   in   relazione   all'art. 30  Cost.,  la  Costituzione
garantisce  al  figlio  naturale  (riconosciuto o dichiarato) non una
generica  difesa,  ma «ogni tutela giudica e sociale» e cio' non puo'
intendersi  altrimenti  che  come  tutela  adeguata alla posizione di
figlio  (C.  Cost. 14 aprile 1969, n. 79, in Foro it., 1969, I, 1033;
Giur.  cost.  1969,  1133;  C. cost. 30 aprile 1973, n. 50, Foro it.,
1973, I, 1684);
        che  la  riforma del diritto di famiglia del '75, nell'intero
di  equiparare  la filiazione legittima e naturale, pur non potendosi
ritenere   la  qual  cosa  -  completamente  -  realizzata,  ha  dato
ragguardevole protezione al figlio naturale;
        che    l'art. 30   Cost.   tende   ad   eliminare   posizioni
giuridicamente e socialmente deteriori per i figli naturali (C. cost.
16 febbraio 1963, I, 471);
        che  la  tutela  dei  figli  nati  fuori  dal  matrimonio  e'
assicurata   -   proprio  -  dal  cennato  art. 30  Cost.  (C.  cost.
28 dicembre  1970, n. 205, in Foro it., 1971, I, I, Giur. cost. 1970,
2257);
        che, in relazione a quanto espresso, e' motivata la questione
di legittimita' costituzionale di cui al capo a);
        che  in relazione all'art. 31 Cost. la «tutela dei minori» si
colloca  tra  gli  interessi  costituzionalmente  garantiti (C. Cost.
8 giugno 1983, n. 149, in Foro it., 1983, I, 2062);
        che  l'art. 31 sunnominato facendo carico della Repubblica di
agevolare con misure economiche e «altre provvidenze», l'assolvimento
dei  compiti  della  famiglia  -  tra  i  quali  e'  compreso  quello
dell'istruzione  ed  educazione  dei figli (art. 30 Cost.), (C. Cost.
8 giugno  1987, n. 215, in Foro it., 1987, I, 2935; Giur. cost. 1987,
I, 1615, Cons. Stato, 1987, II, 934);
        che,  in virtu' di quanto riportato, e' motivata la questione
di legittimita' costituzionale di cui al capo b);
        che, in relazione all'art. 32 Cost., il valore costituzionale
della salute, come diritto inviolabile, non puo' soffrire limitazioni
od  esclusioni del corrispondente dovere inderogabile di solidarieta'
(cfr.  sul  principio  generale:  C.  Cost.,  17 giugno 1987, n. 226;
Giust. civ. 1987, I, 2547);
        che,  in  base  a  quanto  esposto, l'espulsione in questione
costituisce nocumento per la madre del nascituro;
        che,  operando un giudizio di bilanciamento tra gli interessi
in  contesa: quelli dello Stato e quelli dell'individuo, si da' corpo
al   problema   che   giustifica   la   questione   di   legittimita'
costituzionale di cui al capo c);
        considerato  che,  ai sensi dell'art. 295 c.p.c., l'incidente
di  legittimita'  costituzionale  determina la sospensione necessaria
del  processo nel quale il medesimo e' sollevato (cass. civ. sez. un.
3 giugno 1983, n. 3783, Minarelli c. Inadel);
        che,  per  cio',  e'  adottabile  la misura della sospensione
dell'esecuzione del decreto espulsivo opposto.