ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 8,
lettera c),  del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro  irregolare  di
extracomunitari),   convertito,   con   modificazioni,   dalla  legge
9 ottobre   2002,   n. 222,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale dell'Emilia-Romagna, sezione staccata di Parma, sul ricorso
proposto  da  V.  C.  contro  il Ministero dell'interno ed altro, con
ordinanza  del  12 gennaio  2005  iscritta  al  n. 224  del  registro
ordinanze   2005   e   pubblicata   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica, n. 17 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 17 maggio 2006 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio relativo all'impugnativa
di  un  provvedimento prefettizio di rigetto della domanda presentata
da  un  datore di lavoro al fine di legalizzare un rapporto di lavoro
irregolare  con  un dipendente di nazionalita' albanese, il Tribunale
amministrativo  regionale  dell'Emilia-Romagna,  sezione  staccata di
Parma,   con   ordinanza   del  12 gennaio  2005,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 8,  lettera c), del
decreto-legge  9 settembre  2002,  n. 195  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222,
nella  parte  in  cui fa derivare automaticamente dalla mera denuncia
per  uno  dei  reati  indicati  negli  artt. 380  e 381 del codice di
procedura  penale  il  rigetto  della domanda di regolarizzazione del
lavoratore  extracomunitario,  salvo  che il relativo procedimento si
sia  concluso  con  un provvedimento assolutorio perche' il fatto non
sussiste  o  non  costituisce  reato  o  perche' l'imputato non lo ha
commesso ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'art. 411 cod.
proc. pen.;
        che il giudice remittente precisa, in fatto, che nella specie
il   provvedimento   impugnato   -   emesso   in  applicazione  della
disposizione  censurata  - e' fondato unicamente sul diniego di nulla
osta   adottato  dalla  Questura  di  Parma,  perche'  il  lavoratore
straniero  risultava  essere  stato  denunciato  per  il reato di cui
all'art. 624  del  codice  penale,  ricompreso tra quelli per i quali
l'art. 381  cod.  proc. pen. prevede l'arresto facoltativo in caso di
flagranza;
        che,  ancorche' successivamente il GIP del Tribunale di Parma
abbia  accolto  la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura
della  Repubblica, tuttavia il provvedimento impugnato risulta immune
da  vizi  in quanto nel momento in cui e' stato adottato non solo non
era ancora stata disposta l'archiviazione, ma neppure si era conclusa
la  fase delle indagini preliminari successiva all'acquisizione della
notitia criminis;
        che,  ad avviso del remittente, sia la formulazione letterale
sia  la  ratio  della disposizione censurata portano ad escludere che
essa    possa    essere    interpretata    nel   senso   di   imporre
all'Amministrazione  - ove si accerti che il lavoratore straniero sia
stato  denunciato  e  sia quindi semplicemente indagato per una delle
ipotesi  di reato previste dagli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. - di
sospendere  il  procedimento  amministrativo riguardante l'istanza di
legalizzazione fino alla conclusione della vicenda penale;
        che,  conseguentemente,  la  sollevata questione e' rilevante
per  il giudizio a quo in quanto il relativo esito dipende unicamente
dal  vaglio  di  conformita' o meno della disposizione censurata alla
Carta costituzionale che viene richiesto a questa Corte;
        che,   quanto   al   merito  della  questione,  il  Tribunale
amministrativo   regionale,   dopo   aver   ricordato   la  normativa
codicistica disciplinante le notizie di reato e la relativa immediata
iscrizione  nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., osserva
che  la semplice denuncia penale - alla cui esistenza la disposizione
impugnata  collega  automaticamente  il diniego di regolarizzazione -
non  puo',  di  per  se',  offrire alcun elemento utile all'autorita'
amministrativa    che    si   occupa   dell'esame   dell'istanza   di
legalizzazione,  dal  momento  che, quanto meno fino al termine della
fase  delle indagini preliminari, non e' prevista alcuna approfondita
valutazione, da parte dell'autorita' giudiziaria, dell'attendibilita'
e  della  fondatezza  della  denuncia  stessa  e della sussistenza di
consistenti   elementi   indiziari  in  ordine  alla  responsabilita'
dell'indagato;
        che,  d'altra  parte,  la  delimitazione  normativa alle sole
ipotesi  di  reato  di  cui  agli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. non
comporta  una maggiore attendibilita' della denuncia, visto che per i
suddetti  casi  non  sono  previste particolari procedure cautelative
antecedenti l'iscrizione nel registro di cui si e' detto;
        che,   pertanto,   e'   evidente  che  quello  prescelto  dal
legislatore e' un elemento assolutamente inidoneo a differenziare, in
modo  ragionevole,  i  soggetti  che  sono  meritevoli di ottenere il
beneficio  della  regolarizzazione rispetto a quelli che, invece, non
lo  meritano,  e cio' porrebbe la disposizione censurata in contrasto
con  il  principio  di  uguaglianza  formale  espresso  dall'invocato
art. 3, primo comma, della Costituzione.
    Considerato    che    il   Tribunale   amministrativo   regionale
dell'Emilia-Romagna,   sezione   staccata   di   Parma,   dubita,  in
riferimento   all'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 8,  lettera c), del
decreto-legge  9 settembre  2002,  n. 195  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222,
nella  parte  in  cui fa derivare automaticamente dalla mera denuncia
per  uno  dei  reati  indicati  negli  artt. 380  e 381 del codice di
procedura  penale  il  rigetto  della domanda di regolarizzazione del
lavoratore extracomunitario;
        che   questa   Corte,  investita  medio  tempore  di  analoga
questione   avente  ad  oggetto  anche  la  disposizione  attualmente
impugnata,  ha  concluso nel senso dell'illegittimita' costituzionale
della stessa (sentenza n. 78 del 2005);
        che  in  tale  decisione  questa  Corte  ha,  in particolare,
affermato che «nel nostro ordinamento la denuncia, comunque formulata
e   ancorche'   contenga  l'espresso  riferimento  a  una  o  a  piu'
fattispecie   criminose,  e'  atto  che  nulla  prova  riguardo  alla
colpevolezza  o  alla pericolosita' del soggetto indicato come autore
degli  atti che il denunciante riferisce», sicche' la norma di cui si
tratta  si  pone  in contrasto con il principio di ragionevolezza, in
quanto  fa  derivare «dalla denuncia conseguenze molto gravi in danno
di  chi  della  medesima  e'  soggetto  passivo, imponendo il rigetto
dell'istanza  di  regolarizzazione  che lo riguarda e l'emissione nei
suoi  confronti  dell'ordinanza di espulsione, conseguenze tanto piu'
gravi qualora s'ipotizzino denunce non veritiere per il perseguimento
di  finalita'  egoistiche  del  denunciante  e si abbia riguardo allo
stato  di  indebita  soggezione  in  cui,  nella  vigenza delle norme
stesse, vengono a trovarsi i lavoratori extracomunitari»;
        che,  dunque, alla stregua di tale sopravvenuta decisione gli
atti vanno restituiti al giudice rimettente.