ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 323 del codice
penale,  promosso  con  ordinanza  del  5 gennaio  2005  dal  giudice
dell'udienza   preliminare   presso   il  Tribunale  di  Ragusa,  nel
procedimento  penale  a  carico  di  Salvatore  Migliorisi  ed altro,
iscritta  al  n. 204  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 16,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Visti  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio del 17 maggio 2006 il giudice
relatore Luigi Mazzella.
    Ritenuto  che  con ordinanza emessa il 5 gennaio 2005, il giudice
dell'udienza  preliminare presso il Tribunale di Ragusa ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3  e 97 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 323  del codice penale, nella
parte  in  cui  tale norma viene interpretata dal diritto vivente nel
senso  di  escludere,  per  mancanza  del  dolo, la punibilita' della
condotta  diretta  a  procurare  un  danno  ingiusto  o  un  ingiusto
vantaggio  patrimoniale  ogni  qual  volta  l'agente abbia perseguito
contestualmente l'interesse pubblico affidatogli;
        che la questione veniva in rilievo nel corso di un processo a
carico  di  un  ispettore  e di un agente della polizia municipale di
Ragusa,  i  quali, dopo aver riscontrato la realizzazione da parte di
una  minore  della  contravvenzione  di  cui agli artt. 171 e l92 del
codice  della  strada  (di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285),  avevano disposto il fermo amministrativo del ciclomotore da
lei  condotto, affidando tale mezzo in custodia ad una ditta anziche'
alla  stessa minore, in violazione dell'art. 396, comma 3, del d.P.R.
16 dicembre  1992,  n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione
del  nuovo  codice della strada); in tal modo, secondo l'accusa, essi
avrebbero  procurato  al  padre della stessa minore, proprietario del
ciclomotore, l'ingiusto danno consistente nelle spese di custodia;
        che,  nel  corso  dell'udienza  preliminare,  la difesa aveva
chiesto  il  proscioglimento  degli  imputati  perche'  il  fatto non
sussiste  per  difetto di dolo, giustificando la decisione dei vigili
di attribuire la custodia a un terzo con la finalita' di prevenire la
probabile  violazione  da  parte della minore dell'art. 214, comma 8,
del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992);
        che,  in  punto di rilevanza, il rimettente reputa che per la
valutazione    dell'assunto   difensivo   degli   imputati,   fondato
sull'affermazione  di  avere  nominato custode il terzo allo scopo di
tutelare  l'efficacia  del  fermo  contro  l'asserito pericolo che la
minore   potesse   violarlo,  non  possa  prescindersi  dall'indagine
sull'elemento  soggettivo  del  delitto,  alla  luce  della regola di
giudizio  contenuta  nell'art. 425,  comma 3, del codice di procedura
penale,    che   impone   il   proscioglimento   per   insufficienza,
contraddittorieta' o inidoneita' delle risultanze accusatorie;
        che,  in  punto  di non manifesta infondatezza, il rimettente
deduce   che   secondo   l'attuale   giurisprudenza,  soprattutto  di
legittimita',   l'elemento   soggettivo   -   nella  forma  del  dolo
intenzionale  - della fattispecie dell'art. 323 del cod. pen. ricorre
se  la  condotta  abusiva  sia diretta in via immediata e esclusiva a
procurare  a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero
ad  arrecare  ad  altri  un  ingiusto danno, e purche' non risulti il
contestuale  perseguimento - accanto al fine illecito privato - di un
concorrente e legittimo interesse pubblicistico;
        che,   secondo   il   GUP  di  Ragusa,  la  predetta  esegesi
dell'art. 323  cod.  pen.,  sulla  coincidenza fra intenzionalita' ed
esclusivita'  della  finalita'  tipica, costituirebbe diritto vivente
non  tanto  per il numero limitato delle pronunce, quanto per il loro
svolgimento  logico  e  temporale  in relazione ai vari interventi di
riforma legislativa del reato avvicendatisi negli ultimi anni;
        che,  ad  avviso del rimettente, la descritta interpretazione
di  diritto vivente non sarebbe persuasiva, poiche' il dato letterale
sul quale essa si fonda, consistente nella utilizzazione da parte del
legislatore  dell'avverbio «intenzionalmente», sarebbe equivoco e non
terrebbe  conto  delle  altre molteplici fattispecie normative in cui
l'unicita' dello scopo e' espressa con formule piu' limpide, come «al
solo scopo di»;
        che,  inoltre, detto elemento non sarebbe decisivo, posto che
dalla  lettura  dei  lavori  preparatori  della legge 16 luglio 1997,
n. 234  (Modifica  dell'articolo 323 del codice penale, in materia di
abuso  di  ufficio,  e  degli  articoli 289,  416 e 555 del codice di
procedura  penale)  emergerebbe  che  il legislatore avrebbe inserito
l'avverbio  «intenzionalmente»  senza  la  consapevolezza  dei futuri
risultati applicativi;
        che,  infine,  sul piano teorico e logico, secondo il giudice
ragusano,  l'affermazione di un qualsiasi interesse pubblicistico non
dovrebbe  poter  neutralizzare  la  valenza  penale  della  condotta,
perche'  una  simile  esegesi  frustrerebbe  la scelta legislativa di
presidiare  penalmente l'art. 97, comma primo, della Costituzione, in
omaggio  ad  una concezione efficientistica del rapporto tra pubblica
amministrazione   e  cittadino,  che  sarebbe  in  contrasto  con  il
principio  della  centralita'  della  persona umana e apporrebbe alla
fattispecie  dell'art. 323  cod. pen. limiti cosi' gravi da rischiare
di vanificarla, incidendo sul bene giuridico che si vuole tutelare;
        che, cosi' interpretata, la disposizione impugnata sarebbe in
contrasto  altresi'  con  l'art. 3,  comma primo, della Costituzione,
dato  che  vi  sarebbe  disparita'  di  trattamento con riguardo alla
persona  offesa del reato, la cui posizione sarebbe identica e quindi
meritevole  di  tutela  sia che l'agente abbia perseguito soltanto il
fine privato, sia che abbia mirato anche ad un fine pubblico;
    Considerato  che  il  giudice  dell'udienza preliminare presso il
Tribunale  di  Ragusa  dubita, in riferimento agli artt. 3 e 97 della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 323 del
codice  penale,  nella parte in cui tale norma viene interpretata dal
diritto  vivente  nel  senso  di escludere, per mancanza del dolo, la
punibilita' della condotta diretta a procurare un danno ingiusto o un
ingiusto  vantaggio  patrimoniale  ogni  qual  volta  l'agente  abbia
perseguito contestualmente l'interesse pubblico affidatogli;
        che  il  rimettente chiede a questa Corte la dichiarazione di
incostituzionalita'  di  una  norma  penale  nella  parte in cui essa
esclude,  in  determinate  fattispecie,  la  rilevanza  penale  della
condotta,  in tal modo inammissibilmente invocando l'estensione della
portata  incriminatrice di una norma penale sostanziale, in contrasto
con  il  principio di legalita', fissato dall'art. 25, secondo comma,
della Costituzione;
        che,  invero,  come  e'  stato affermato piu' volte da questa
Corte  anche con specifico riguardo al reato di cui all'art. 323 cod.
pen.  (sentenza  n. 437 del 1998), in forza di tale principio solo il
legislatore  puo',  nel  rispetto  dei  principi  della Costituzione,
individuare  i  beni  da  tutelare  mediante  la sanzione penale e le
condotte,  lesive  di  tali  beni,  da  assoggettare  a pena, nonche'
stabilire  qualita' e quantita' delle relative pene edittali, secondo
il principio nullum crimen, nulla poena sine lege, cui si riconducono
sia  la  riserva di legge vigente in materia penale, sia il principio
di  determinatezza  delle  fattispecie  penali,  sia  il  divieto  di
applicazione analogica delle norme incriminatrici; e che, al di fuori
dei  confini  delle  fattispecie di reato, come definiti dalla legge,
riprende vigore il generale divieto di incriminazione;
        che  la  questione  e'  inammissibile  anche  per  difetto di
motivazione  sulla  rilevanza,  poiche' il rimettente non offre alcun
elemento  per  valutare  se  nel  giudizio  sottoposto  al  suo esame
ricorrano  le condizioni di fatto tali da giustificare l'applicazione
del diritto vivente;
        che  egli, invero, si limita a riferire la tesi sostenuta dal
pubblico  ministero  (il  quale  fonda  la  sua richiesta di rinvio a
giudizio  sulla  deduzione  del  fine  esclusivo  degli  imputati  di
provocare  un  ingiusto  danno  ai proprietari del veicolo) e la tesi
sostenuta  dalla difesa degli imputati (i quali hanno dedotto di aver
agito  esclusivamente per impedire la reiterazione dell'infrazione e,
dunque,  neppure affermano di aver perseguito contestualmente il fine
abusivo  e  quello  pubblico),  senza  dar  conto di quali fossero le
risultanze  delle  indagini  preliminari e dell'eventuale istruttoria
camerale e senza esprimere alcuna propria valutazione sulla possibile
fondatezza  dell'una  o  dell'altra  tesi,  ne'  dedurre perche' egli
ritenga invece plausibile il concorso di finalita' eterogenee; con la
conseguenza  che la pronuncia invocata interverrebbe su una questione
di  diritto  di  dubbia rilevanza, finanche alla luce della peculiare
regola  di  giudizio  di  cui  all'art. 425  del  codice di procedura
penale;
        che,  in  ogni  caso,  la  questione  deve  essere dichiarata
manifestamente  inammissibile  per erroneita' della ricostruzione del
diritto  vivente  in  materia  di  dolo nel reato di abuso di ufficio
effettuata dal rimettente;
        che,  invero,  nelle  pronunce  di  legittimita'  citate  dal
giudice  ragusano e in altre successive non e' stato affermato che la
mera compresenza di una finalita' pubblicistica basti ad escludere la
sussistenza  del  dolo (intenzionale) previsto dalla norma; ne' si e'
mai    affermato,   come   invece   sostiene   il   rimettente,   che
«intenzionalmente» significhi «al solo scopo di»;
        che  in  base  ai  principi affermati nella giurisprudenza di
legittimita'  non  e'  sufficiente che l'imputato abbia perseguito il
fine  pubblico  accanto  a  quello privato affinche' la sua condotta,
ancorche'  illecita  dal  punto  di  vista  amministrativo,  non  sia
soggetta   a  sanzione  penale,  ma  e'  necessario  che  egli  abbia
perseguito  tale fine pubblico come proprio obiettivo principale; con
conseguente  degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di
tipo   intenzionale   a   mero   dolo  diretto  (semplice  previsione
dell'evento)  od  eventuale  (mera  accettazione  del  rischio  della
verificazione dell'evento);
        che,  pertanto, la questione di costituzionalita' deve essere
dichiarata   manifestamente   inammissibile  anche  perche',  essendo
erroneo  il  presupposto  interpretativo  da  cui  muove  il  giudice
rimettente, non sussiste, nei termini prospettati, il diritto vivente
di cui si denuncia l'incostituzionalita'.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.