IL TRIBUNALE Nel procedimento penale n. 309/04 r.g. trib., a carico di Urrata Ciro e Sanfilippo Francesca, difesi di fiducia dall'avv. Fernando Bello, imputati del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente consumato in Biella il 21 marzo 1991; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza dibattimentale del 10 gennaio 2006 ha pronunciato la seguente ordinanza avente ad oggetto il rilievo d'ufficio della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238-bis c.p.p., per violazione dell'art. 111, commi quarto e quinto Cost.; In punto di fatto e secondo la specifica contestazione operata dall'accusa nel capo di imputazione (art. 521 c.p.p.), deve preliminarmente evidenziarsi come agli odierni imputati venga addebitato di avere illecitamente detenuto «50 grammi di sostanza stupefacente del tipo eroina, ricevuti da Guerriero Egidio». All'udienza del 10 gennaio 2006 (nella contumacia di entrambi gli imputati e previa formale dichiarazione di apertura del dibattimento), il p.m. esponeva i fatti oggetto di prova e, in sede di richieste ex art. 493 c.p.p., avanzava istanza di esame dei testi indicati nella lista ritualmente depositata, ivi compreso l'esame di Guerriero Egidio da espletarsi con le modalita' e le garanzie difensive previste dall'art. 197-bis, comma 1, c.p.p. (in relazione all'art. 371, comma 2, lett. b) avendo il Guerriero definito la propria posizione processuale di imputato di reato collegato a quello contestato agli odierni imputati con sentenza di condanna pronunciata in data 11 marzo 1992 nei suoi confronti dal g.i.p. di Biella a seguito di giudizio abbreviato, divenuta irrevocabile il 27 aprile 1992 (sentenza che, pertanto, veniva inizialmente esibita dal p.m. ai soli fini' processuali in parola, ex art. 187, comma 2 c.p.p.). Espletato l'esame del teste/assistito Guerriero e del teste Gervini Luciano, il p.m. - previa rinuncia, con il consenso della difesa (art. 495 comma 4-bis c.p.p.), all'esame del teste Tartaglia Daniele (con consequenziale revoca da parte di questo giudice della relativa ordinanza di ammissione, stante la ravvisata effettiva irrilevanza del predetto mezzo di prova) - avanzava, quale conclusiva richiesta istruttoria, formale istanza di acquisizione, a norma dell'art. 238-bis c.p.p., della citata sentenza di condanna pronunciata nei confronti del Guerriero, e cio' al palesato fine di una sua utilizzazione «diretta», in chiave probatoria, nel presente processo. A fronte di detta richiesta - rispetto alla quale, comunque, la difesa degli imputati/contumaci non manifestava il proprio consenso (come, del resto, confermato all'odierna udienza) - questo giudice, con riferimento alla concreta fattispecie sottoposta al suo vaglio giurisdizionale, ritiene di sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita' dell'art. 238-bis c.p.p., ravvisando una violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova desumibile dal combinato-disposto dei commi quarto e quinto dell'art. 111 Cost. Ed invero, in punto di rilevanza della questione deve osservarsi come la indubbia «pertinenza probatoria» - rispetto al thema decidendum del presente processo (secondo il generale parametro previsto dall'art. 187 comma 1 c.p.p.) - dell'acquisizione della citata sentenza irrevocabile si ricolleghi, in primo luogo, alla riscontrata sussistenza di un effettivo «collegamento», processualmente rilevante ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p., tra il fatto-reato contestato agli odierni imputati e quello «autonomamente» e definitivamente accertato a carico del Guerriero: collegamento nella specie ulteriormente «qualificato» dall'applicabilita' - quale criterio di valutazione del risultato probatorio rappresentato dall'espletato esame dibattimentale del Guerriero - del disposto di cui all'art. 197-bis, comma 6 c.p.p.; prospettandosi il «fatto accertato» nella predetta sentenza irrevocabile (v. in particolare, il reato contestato al capo 10) quale elemento «esterno» di conferma della (emersa) attendibilita' intrinseca delle dichiarazioni contra se 1) ed eteroaccusatorie rese, appunto, dal Guerriero nel contraddittorio dibattimentale nel presente processo: e cio' con particolare riferimento all'accertata effettiva disponibilita' da parte del Guerriero del quantitativo di sostanza stupefacente (50 grammi di eroina) corrispondente a quello oggetto della successiva cessione illecita operata in favore degli odierni imputati, correlativamente accusati nel presente processo di detenzione a fini di spaccio del medesimo quantitativo di droga; con inevitabili ed evidenti riflessi processuali in termini di «circolarita' e complementarita' probatoria» anche per cio' che concerne il relativo regime di valutazione, ex art. 192, comma 3 c.p.p., espressamente richiamato sia dall'art. 238-bis c.p.p. che dal citato art. 197-bis, comma 6 c.p.p. 2). In tale prospettiva di inquadramento processuale della fattispecie, se, da un lato ed a fronte della richiesta avanzata dal p.m., alcuna questione si pone in ordine all'individuazione (ex art. 23, comma l, legge 11 marzo 1953, n. 87) dell'art. 238-bis c.p.p. quale «disposizione normativa» applicabile, dall'altro emerge, a parere di questo giudice, un dubbio sulla compatibilita' della norma in parola con quanto previsto dall'art. 111 commi 4 e 5 Cost., la cui non manifesta infondatezza investe (e va, quindi, rapportata) alla stessa fase di ammissione (rectius: acquisitiva) del peculiare «elemento di prova» rappresentato dalla sentenza irrevocabile pronunciata in diverso procedimento, risultando infatti detta facolta' acquisitiva probatoria - nella struttura normativa del citato art. 238-bis c.p.p. - indissolubilmente correlata alla potenzialita' gnoseologica rispetto al «fatto» documentato (rectius: accertato giudizialmente con efficacia di giudicato) nella sentenza oggetto di acquisizione: inequivocabile il tenore letterale della norma, secondo cui «Fermo quanto previsto dall'articolo 236, le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3». Cio' posto, risulta evidente come la norma in esame, consentendo al giudice di acquisire elementi di prova formati in assenza del contraddittorio con il soggetto contro il quale possono essere utilizzati, rappresenti un insanabile vulnus del principio («costituzionalizzato» dall'art. 111 quarto comma, primo periodo Cost.) secondo cui nel processo penale la formazione della prova avviene nel contraddittorio delle parti. Il percorso inteso a chiarire il predetto profilo di illegittimita' costituzionale non puo' non prendere le mosse da una ricostruzione della ratio e della reale portata applicativa dell' art. 238-bis c.p.p. incentrata tanto sulla genesi storica della norma, quanto sulla sua collocazione sistematica tra i mezzi di prova documentali (Libro III, Titolo II, Capo VII del codice di rito). Com'e' noto, l'art. 238-bis c.p.p. e' stato introdotto dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (di conversione del d.l. 8 giugno 1992, n. 306) con il chiaro intento (del legislatore) di attuare una sorta di semplificazione probatoria (soprattutto per i processi di criminalita' organizzata 3) e di economia processuale, dispensando il giudice (e le parti) dall'onere di dovere, di volta in volta e in ogni successivo giudizio, riaffrontare e sviluppare temi (e questioni) probatori relativi a fatti gia' oggetto di accertamento irrevocabile in altri e precedenti giudizi; limitando, nel contempo, il rischio di possibili contrasti di giudicato (e fermo restando, in ogni caso, il principio del libero convincimento del giudice del processo ad quem). In piena sintonia logica con la predetta finalita' dell'intervento legislativo deve ritenersi la consolidata opzione interpretativa (affermatasi nella giurisprudenza della Suprema Corte) laddove, valorizzando il tenore letterale della norma in esame, riconosce come sia del tutto ininfluente, ai fini della sua concreta applicabilita', il contenuto degli elementi probatori utilizzati e valutati nella sentenza irrevocabile, con l'ulteriore precisazione che il materiale probatorio utilizzabile attraverso l'acquisizione della sentenza/documento 4), ex art. 238-bis c.p.p., non puo' non individuarsi in tutte le risultanze di fatto emergenti dalla motivazione del provvedimento giudiziario acquisito. Ed invero, l'espresso richiamo all'art. 236 c.p.p. - il quale, com'e' noto, prevede l'utilizzabilita' di sentenze irrevocabili «soltanto al fine di valutare la personalita' dell'imputato, della persona offesa o del testimone con riferimento alla sua credibilita'...» - sta a significare che le sentenze irrevocabili indicate dal citato art. 238-bis c.p.p., sono acquisibili per risultanze processuali diverse, e cioe' per le risultanze di fatto emergenti dalle motivazioni di dette sentenze e non gia' dai loro dispositivi (in tal senso, fra le tante: Cass., sez. I, 29 luglio 1995, n. 727 Ronch; Cass., sez. I, 17 giugno 1997 n. 5894, Bottaro ed altri; Cass., sez. 6, 18 marzo 1998, n. 3396, Calisse ed altri). Tale ultimo rilievo impone, tuttavia, una doverosa precisazione sul significato della locuzione «prova di fatto in esse accertato», utilizzata dal legislatore quale limite di utilizzabilita' intrinseca delle sentenze irrevocabili pronunciate in processi diversi da quello nell'ambito del quale le stesse possono essere acquisite: questione che, a ben vedere, a sua volta involge due snodi interpretativi tra loro connessi e, a parere di questo giudice, rilevanti ai fini della risoluzione del presente quesito di legittimita' costituzionale. Da un lato, va infatti chiarita l'anomala natura di «prova documentale» normativamente (ed implicitamente) assegnata alla sentenza irrevocabile, dall'altro emerge in maniera evidente, sulla base della stessa formulazione letterale delle due norme 5), l'autonoma portata applicativa dell' art. 238-bis c.p.p. rispetto all'art. 238 c.p.p. (norma quest'ultima anch'essa interessata dal citato intervento di riforma del 1992 e disciplinante un fenomeno di «circolazione probatoria» ispirato al medesimo principio informatore di economia processuale e di non dispersione di elementi conoscitivi formati in procedimenti diversi). Sotto tale profilo sembra cogliere nel segno l'ipotesi ricostruttiva (maturata in dottrina) sostanzialmente volta a negare che l'art. 238-bis c.p.p. rientri tra le prove documentali in senso stretto, nonostante l'inserimento della norma nel capo ad esse dedicato; e cio' sull'assorbente (e condivisibile) rilievo argomentativo che quando un documento scritto descrive un certo fatto si hanno due livelli di rappresentazione: «quello del documento rispetto all'enunciato descrittivo e quello di questo enunciato rispetto al fatto descritto». Il documento, invero, avrebbe valore di prova documentale quando esso provi solo la sua esistenza, e non quando cio' che rilevi sia la rappresentazione in esso documentata 6); conclusione ermeneutica che applicata al documento-sentenza preso in considerazione dall' art. 238-bis c.p.p. autorizza una differenziazione concettuale tra «fatti documentati» e «fatti documentali» e consente di ricollegare la limitata e peculiare efficacia probatoria della sentenza irrevocabile ai primi, essendo il regime probatorio dei secondi gia' disciplinato, in via generale, dagli artt. 234 7) e 236 c.p.p. In altri termini, il riferimento contenuto nell' art. 238-bis c.p.p. alla «prova di fatto accertato» non puo' non essere inteso nel senso del riconoscimento di una capacita' rappresentativa della sentenza (anche laddove restrittivamente limitata al solo fatto contestato nell'imputazione e riportato nel dispositivo) rispetto ad una valutazione di un determinato fatto-reato compiuta in altro procedimento concluso con decisione irrevocabile, e la sua acquisizione mira ad evitare che il diverso organo giudicante sia costretto a compiere un nuovo accertamento sulla medesima ipotesi di reato, pur dovendosi escludere - alla luce dell'espresso richiamo degli artt. 187 e 192 comma 3 c.p.p. - che la norma in esame finisca per configurare una surrettizia forma di pregiudiziale penale 8). Al riguardo, puo' ritenersi altrettanto consolidata (nella giurisprudenza della Suprema Corte) 9) l'affermazione secondo cui «l'art. 238-bis c.p.p. pone una chiara limitazione al principio della formazione privilegiata della prova in sede dibattimentale nel contraddittorio delle parti interessate» fornendo al giudice la possibilita' di scegliere se «ripetere operazioni di acquisizione probatoria gia' complete ed esaustive [o] servirsi dell'accertamento di fatto gia' contenuto in altra sentenza». Impostata nei predetti termini la questione teorica di fondo sottesa alla (autonoma, rispetto all'art. 238 c.p.p.) previsione normativa contenuta nell' art. 238-bis c.p.p. - se sia, cioe', corretto assimilare il fatto come ricostruito nella motivazione (o nel solo dispositivo) 10) di una sentenza ad una prova (per di piu', documentale) -, appare insuperabile il rilievo che l'elemento probatorio in parola non e' stato, di regola, formato in contraddittorio con il soggetto nei cui confronti puo' essere utilizzato e che la sua acquisizione prescinde totalmente dall'accertamento delle condizioni che, giusta il disposto del quinto comma dell'art. 111 Cost., consentono di derogarvi. Ed infatti, la norma oggetto di censura autorizza il giudice del processo ad quem a scegliere tra due metodi alternativi di accertamento, uno dei quali rappresentato, appunto, dalla «diretta» acquisizione (e successiva utilizzazione) del documento-sentenza formato in diverso procedimento: alternativa epistemologica che - valutata con riferimento alla fase acquisitiva della prova 11) ed in relazione, altresi', ai principi di oralita' ed immediatezza cui indubbiamente sembra ispirarsi l'attuale codice di rito - non sembra, per contro, consentita dal chiaro tenore letterale e dalla portata sistematica del principio enunciato nel quarto comma dell'art. 111 Cost. Sotto tale profilo, richiamato quanto sopra evidenziato riguardo alla peculiare natura di «documento» della sentenza - e pur a voler condividere la ricostruzione teorica patrocinata da certa dottrina secondo cui in relazione alle «prove precostituite» il rispetto del contraddittorio postula esclusivamente spazi idonei al confronto dialettico delle parti sulla prova e non gia' la partecipazione delle stesse nel momento formativo della stessa -, non appare ragionevolmente confutabile il rilievo critico nel senso della oggettiva impossibilita' per le parti di confrontarsi in relazione ad una fonte probatoria che non fornisce una rappresentazione documentata del fatto oggetto di accertamento bensi' una semplice valutazione dello stesso. «La prova-sentenza, in quanto giudizio, fornisce - per definizione - un apporto valutativo che e' insensibile alla sollecitazione di eventuali contraddittori esterni». Ne' tale palese vulnus (ricollegabile, non appare superfluo ribadirlo, alla stessa possibilita' di acquisizione della sentenza irrevocabile intervenuta inter alios) del principio di cui all'art. 111, quarto comma, primo periodo Cost. («Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.») - inteso nella sua dimensione «oggettiva», quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti (cfr. Corte cost. ord. n. 440 del 2000; ord. n. 453 del 2002; ord. n. 137 del 2005) - puo' ritenersi «sanato» (o comunque bilanciato) valorizzando la ratio della espressa previsione del criterio di valutazione di cui all'art. 192, comma 3 c.p.p. Al riguardo, non puo' revocarsi in dubbio (in sintonia con la sopra richiamata consolidata opzione interpretativa sia della suprema Corte che del giudice delle leggi 12) che il significato e la reale portata applicativa del citato criterio di valutazione probatoria vanno intesi nel senso della (mera) esclusione in capo al giudice del procedimento ad quem - una volta operato positivamente il vaglio di concreta rilevanza, ex art. 187 c.p.p., dell'acquisizione della sentenza - di sentirsi vincolato al risultato probatorio raggiunto nella sentenza irrevocabile pronunciata in altro processo, conservando infatti tale giudice integra l'autonomia e la liberta' delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (anche nel caso in cui la pronuncia emessa nell'altro processo abbia avuto un contenuto assolutorio). In tale prospettiva argomentiva, deve ancora evidenziarsi come alcuna efficacia «sanante», sotto il connesso profilo del rispetto del principio del contraddittorio in senso «soggettivo» (art. 111, terzo comma Cost.) possa riconoscersi al fatto che, in definitiva, nessuna lesione del "diritto di difendersi provando" (garantito all'imputato dalla citata norma costituzionale) sarebbe ricollegabile, in via diretta, all'applicazione dell' art. 238-bis c.p.p.; e cio' sul rilievo che all'imputato sarebbe in ogni caso riconosciuto il diritto di contestare i risultati probatori a lui (in ipotesi) sfavorevoli raggiunti nel diverso processo, provando il contrario ovvero allegando l'assenza di elementi confermativi, ex art. 192 comma 3 c.p.p. La scarsa tenuta logica (prima ancora che giuridica) di tale argomentazione emerge evidente sol che si consideri che l'espletamento della predetta iniziativa processuale probatoria riconosciuta all'imputato (ma, parallelamente, anche al p.m., nelle ipotesi in cui l'acquisizione della sentenza irrevocabile sia sollecitata dall'imputato al fine di utilizzarne l'epilogo decisorio ritenuto a lui favorevole) - lungi dal prevenire un effetto pregiudizievole rilevante sul piano probatorio nel processo ad quem e derivante dalla avvenuta acquisizione degli accertamenti fattuali oggetto di valutazione nella sentenza irrevocabile resa inter alios -si colloca processualmente (e necessariamente) dopo che tale pregiudizio, eziologicamente ricollegabile alla violazione del fondamentale principio della formazione della prova in contraddittorio delle parti (art. 111, quarto comma Cost.), si e' ormai gia' in concreto verificato: essendo, infatti, il giudice comunque obbligato a confrontarsi (sia pure con i limiti valutativi indicati dall'art. 192, comma 3 c.p.p.) con un «dato probatorio» ritualmente acquisito e, quindi, pienamente utilizzabile per la decisione 13) La stretta correlazione tra il momento acquisitivo e quello valutativo - resa evidente dal chiaro tenore letterale della norma («le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate..») - ancorche' dotata di suggestiva «autoreferenzialita' normativa», a parere di questo giudice neppure puo' essere valorizzata, sul piano ermeneutico ed ai fini del riscontro della conformita' dell' art. 238-bis c.p.p. al parametro costituzionale sancito nell'art. 111, quarto comma Cost., fino al punto di «indurre» e legittimare una (speculare) lettura "incrociata" dei due periodi del citato quarto comma, dell'art. 111 Cost., finalizzata, in definitiva, ad evidenziare la sussistenza di una sorta di bilanciamento tra l'aspetto «negativo» della dimensione «soggettiva» del principio del contraddittorio (quest'ultima distintamente affermata nel terzo comma, dell'art. 111 Cost., quale diretto corollario del diritto di difesa dell'imputato) e l'accezione «oggettiva» del medesimo principio: operazione ermeneutica che non sembra trovare ragionevole aggancio ne' nella lettera della norma costituzionale ne' nella sua genesi storica. Ed invero, anche a non voler affermare che il Costituente abbia fatto propria una concezione massimalistica e totalizzante del principio del contraddittorio "genetico" della prova («..nella formazione della prova»), non appare implausibile sostenere che il quarto comma, primo periodo, dell'art. 111 Cost. debba essere inteso come generale regola di «esclusione probatoria» che rinviene l'unico limite di operativita' estrinseco («costituzionalmente vincolante» per il legislatore e, prima ancora, per l'interprete) nella previsione - nel successivo comma 5 - di tassative eccezioni al principio stesso (al riguardo, non appare casuale la «omogeneita» semantica delle due disposizioni normative: «..la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio..»); come, del resto, puntualmente recepito dal legislatore che, dando attuazione (con la legge n. 63 del 2001) alla norma costituzionale in esame, ha provveduto a riformulare norme-cardine del sistema processuale (v. ad esempio, le modifiche dell'art. 500 e dell'art. 238 c.p.p.), di guisa che risulta davvero difficile ravvisare con riferimento all' art. 238-bis c.p.p. (lasciato, invece, immutato nella sua versione originaria) la ragionevolezza (rectius: la persistente legittimita) di una «inerzia normativa» rispetto ai nuovi principi costituzionali. Restando, pur sempre, «affidato al legislatore ordinario il compito - ad esso proprio - di definire l'architettura degli istituti processuali e di calibrarne dinamica e struttura» 14) nel caso di specie adottando eventuali soluzioni (in astratto differenziabili) 15) di «adeguamento» della disposizione codicistica oggetto di censura alle «eccezioni» al contraddittorio nella formazione della prova previste dal citato quinto comma dell'art. 111 Cost., allo stato (ed a fronte del chiaro tenore letterale dell' art. 238-bis c.p.p.) non raggiungibili sul piano (meramente) interpretativo: qualsiasi opzione ermeneutica - diversa da quella di ritenere la sopravvenuta illegittimita' costituzionale tout court della norma a seguito dell'introduzione nella Costituzione del principio del contraddittorio nella formazione delle prova - assumerebbe inevitabilmente connotati di carattere manipolativo-additivo in una materia riservata, appunto, alle scelte discrezionali del legislatore. 1) Quest'ultime, peraltro, sottoposte al tassativo limite «soggettivo» di utilizzabilita' previsto dal comma 5 dell'art. 197-bis c.c.p. 2) Sulla reale portata applicativa del criterio valutativo sancito nell'art. 197-bis, comma 6 c.p.p.: cfr. C. cost. ord. 22 luglio 2004, n. 265, nella quale si evidenzia «che la norma censurata trova la sua ratio fondante nella considerazione che chi e' stato imputato in un procedimento connesso o di reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p., anche dopo che e' divenuta definitiva la sentenza ex art. 444 c.p.p., non e' mai completamente «terzo» rispetto alla imputazione cui la pena applicata si riferisce; l'originario coinvolgimento nel fatto lascia infatti residuare un margine di «contiguita» rispetto al procedimento, che si riflette sulla valenza probatoria della dichiarazione; che in questa prospettiva, l'assoggettamento delle dichiarazioni del «teste assistito» alla regola della necessaria «corroborazione» con riscontri esterni, di cui all'art. 192, comma 3 c.p.p., lungi dal determinare un vulnus del principio di uguaglianza, si risolve in un esercizio - non irragionevole - della discrezionalita' che al legislatore compete nella conformazione degli istituti processuali: e cio' tanto piu' a fronte del fatto che la regola censurata si inserisce in un piu' ampio «corpo» di garanzie - quali quelle delineate dallo stesso art. 197-bis c.p.p. - che, riflettendo anch'esse la particolare relazione che lega il dichiarante alla regiudicanda, fanno in via generale del «testimone assistito» una figura significativamente differenziata, sul piano del trattamento normativo, rispetto al «teste ordinario», con la importante precisazione, tuttavia, «che la sussistenza o meno di un obbligo di verita' del dichiarante potra' essere comunque opportunamente valorizzata dal giudice, in sede di determinazione dell'entita' del riscontro esterno idoneo a confermare l'attendibilita' della dichiarazione di cui si tratta». 3) Tuttavia, avendo prevalso la scelta legislativa nel senso della mancata espressa previsione di limiti applicativi parametrati sulla tipologia di reati, la norma nella sua attuale formulazione risulta senz'altro applicabile in procedimenti aventi ad oggetto qualsiasi reato. 4) Eventualmente pronunciata all'esito di procedimenti celebrati, come nel caso di specie, con il rito abbreviato (cfr. in tale senso: Cass., sez. I, 8 agosto 2000, n. 8881, Malcangi ed altro). 5) Diversamente opinando sarebbe inevitabile la (inammissibile) conclusione nel senso della sostanziale inutilita' della previsione dell'art. 238-bis c.p.p. 6) Al riguardo, l'autorevole dottrina che si sta citando non ha mancato di osservare come «l'art. 234 c.p.p. consenta l'acquisizione di documenti come prova, ma non chiarisce quali siano di limiti li ammissibilita' ela prova documentale. Benche' la norma individui come possibili oggetti di prova documentale solo "fatti, persone o cose", escludendo cosi dall'elencazione gli "atti", la Corte costituzionale (ord. n. 142 del 1992) ha sostenuto che l'art. 234 c.p.p. identifica e definisce il documento in ragione della sua attitudine a rappresentare, senza discriminare tra i diversi mezzi di rappresentazione e le differenti realta' rappresentate e, in particolare, senza operare una distinzione tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni». Con specifico riferimento agli artt. 238 e 238-bis c.p.p. la stessa tesi dottrinaria ha evidenziato che i dati probatori menzionati in dette norme «sono collocati all'interno del capo dedicato ai documenti solo perche' si sono formati ftiori dall'ambito processuale nel quale devono essere introdotti affinche' possano acquistare rilevanza probatoria. A parte questo elemento comune, i verbali di altri procedimento e le sentenze irrevocabili sono del tutto eterogenei rispetto ai documenti in senso stretto». 7) In particolare, l'ammissibiita' dell'acquisizione, ex art. 234 c.p.p., di sentenze anche non irrevocabili come «documento» rappresentativo degli accadimenti processuali («fatti documentali») in esso descritti (e cioe', ad esempio, che un certo imputato, in una certa data, sia stato sottoposto a procedimento penale, e che la sua posizione processuale sia stata definita in un certo modo), senza che operino le regole di cui all'art. 238-bis c.p.p. o i profili connessi al rispetto del principio del contraddittorio, risulta pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cass., 11 giugno 1992, Taurino; Cass, 5 luglio 1999, D'Alessio; da ultimo, Cass. sez. un., 20 settembre 2005 n. 33748, Mannino). 8) Cfr. al riguardo: Corte cost., ord. 20 maggio 1996, n. 159 laddove evidenzia «..che neppure puo' assegnarsi alle modifiche legislative del 1992.. una capacita' di alterazione di quel quadro sistematico, poiche' esse si muovono nella direzione di un incremento delle possibilita' di utilizzazione, in un processo, di elementi probatori acquisiti in altro processo, e dunque presuppongono la persistente validita' dell'opzione di trattazione autonoma di ciascuna res iudicanda, introducendo alcune varianti di disciplina in funzione della non-dispersione di elementi di prova; che, in particolare, la previsione dell'art. 238-bis c.p.p., ...... si limita a regolare il modo di valutazione della pronuncia irrevocabile resa in separato giudizio, in una logica di economia nella raccolta del materiale utile alla decisione che non intacca il basilare principio, gia' operante nel vigore dell'art. 18 del precedente codice, per cui ogni giudice e' tenuto a formarsi il proprio convincimento in base alle prove di cui dispone e che sono utilizzabili, senza che ad una di tali prove possa essere attribuita efficacia cogente e risolutiva dell'obbligo di apprezzamento e motivazione da parte del giudicante». 9) Cfr. da ultimo, Cass., sez. I, 28 maggio 2003, n. 23460, Rosmini. 10) Ma tale alternativa ermeneutica, ai fini che qui interessano, non assume concreta rilevanza. 11) Illuminanti sul punto le osservazioni di autorevole dottrina laddove evidenzia che «e' proprio nel momento della costituzione della prova che il contraddittorio si mostra essenziale perche' risponde a una triplice esigenza di realta', di genuinita', di scoperta dell'errore e della falsita», e cio' sul condivisibile rilievo che «ogni forma di acquisizione pone un problema di contestualizzazione del dato probatorio, in quanto cio' che circola da una sede processuale all'altra e' un dato cognitivo che rispecchia, essendone la proiezione, il contesto processuale in cui si e' formato». 12) Cfr. sent. n. 159 del 1996 cit. 13) Al riguardo, in dottrina si e' efficacemente osservato che «l'ammissibilita' o meno di una prova non puo' essere dedotta dal grado di attendibilita' della fonte o di verosimiglianza dei risultati da essa ottenibili, poiche' questo profilo attiene esclusivamente al piano della critica e della valutazione della prova», da ritenersi distinto e «cronologicamente» successivo a quello attinente, appunto, alla legittimita' dell'acquisizione probatoria rilevante ai fini della decisione. In tal senso, «se e' pur vero che le parti possono, in via differita (rispetto alla fase acquisitiva), intervenire sulla prova offerta dalla sentenza irrevocabile per interpretarla, dibattendone il significato e il valore in relazione alle altre acquisizioni probatorie, la possibilita' di interloquire sul significato probatorio di tale scrittura non pare consentire alle stesse di fornire un reale contributo all'accertamento dei fatti che da essa si vogliono desumere». 14) V. Corte cost., ord. n. 439 del 2000. 15) In ipotesi, parametrate su quanto gia' previsto dall'art. 238 c.p.p.