Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 785 del 5 giugno 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura rogata dal notaio dott. Federico Rossi, in data 6 giugno 2006, rep. n. 50821 (doc. 2) - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, Suppl. ordinario n. 96/2006, con riferimento agli articoli: VIA, VPC, IPPC: art. 5, comma 1, lett. e), g), m); art. 12, comma 2; art. 23, comma 4; art. 24, comma 1, lett. b); art. 25, comma 1, lett. a); art. 26, comma 3; art. 28, comma 2, lettera b); art. 33; art. 35, comma 1, lett. a) e b); art. 42, comma 1; art. 51, commi 1, 3, 5; Difesa suolo, tutela acque: art. 57, commi 1, 4 e 6; art. 58; art. 59; art. 70; art. 72; art. 96; art. 101; art. 104, commi 3 e 4; art. 113, comma 1; art. 114, comma 1; art. 121; art. 124, commi 4 e 5; Servizio idrico integrato: art. 147, comma 2, lettera b); art. 150, commi 1 e 2; art. 159; art. 160; art. 166, comma 1; art. 172, comma 2; art. 176, comma 1; Rifiuti: art. 195, commi 1 e 2; art. 200; art. 201; art. 202, comma 1; art. 203; art. 204, comma 3; art. 207, comma 1; art. 214, comma 9; art. 215, comma 1; art. 238, commi 1 e 2; Emissioni in atmosfera: art. 281, comma 10; art. 287, comma 1; Allegato IV alla parte quinta (attivita' in deroga), parte I, punto 4, lett. z); per violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost., del principio di leale collaborazione, del principio di ragionevolezza, del principio di legalita', nonche' dei principi e delle norme del diritto comunitario, nei modi e per i profili di seguito indicati. Si premette che la Regione Emilia-Romagna ha gia' proposto un ricorso avverso talune disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006 per le quali essa riteneva urgente richiedere altresi' la sospensione delle norme impugnate. Tale ricorso e' pendente con il n. 56/2006 del Registro ricorsi. Gia' in sede di delibera di tale ricorso, e poi nel ricorso stesso, la regione si e' espressamente riservata di impugnare, sempre nel rispetto dei termini costituzionali, altre disposizioni lesive delle competenze regionali contenute nello stesso decreto legislativo. Il presente ricorso, anch'esso ritualmente deliberato con la deliberazione sopra menzionata, completa dunque il quadro dell'impugnazione proposta dalla Regione Emilia-Romagna avverso il decreto legislativo n. 152 del 2006. Dei due ricorsi si chiede sin d'ora la riunione, ai fini della trattazione di merito. F a t t o e d i r i t t o La parte narrativa relativa al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale» e' gia' stata svolta nel ricorso n. 56 del 2006, e ad evitare inutili duplicazioni ad essa qui ci si richiama. Ugualmente, ci si richiama a quanto esposto nel ricorso n. 56 del 2006 in relazione ai vizi procedurali che inficiano l'intero decreto legislativo, in particolare alla «Violazione della legge di delega e del principio di leale collaborazione», che nel ricorso n. 56 sono stati illustrati al punto e). Di seguito, dunque, si prospettano i motivi di impugnazione avverso le ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006, la cui impugnazione e' stata deliberata dalla ricorrente Regione con la deliberazione della Giunta regionale citata in premessa. Per maggiore chiarezza espositiva, i motivi del ricorso vengono raggruppati secondo l'articolazione delle parti maggiori del decreto legislativo. A) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della parte seconda, recante «procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC).». I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. e) e g); L'art. 5, comma 1, lett. e), definito il concetto di «progetto di un'opera od intervento» dispone che la valutazione di impatto ambientale viene eseguita sui progetti preliminari senza prevedere correlativamente un obbligo automatico di sottoposizione alle medesime procedure dei successivi progetti definitivi che contengano (rispetto ai progetti preliminari sottoposti a valutazione) modifiche progettuali o nell'utilizzo delle risorse naturali o nelle immissione di inquinanti. Tale disposizione appare in contrasto con le disposizioni delle direttive 85/337/CEE e 97/11/CE (art. 2, comma 1 ed Allegato II, punto 13), che tale obbligo invece prevedono. Si noti che tale aspetto e' gia' stato oggetto del formale avvio (con l'invio del parere motivato 2002/5170 del 18 ottobre 2005) di una procedura di infrazione della Commissione europea nei confronti delle analoghe previsioni della legge obiettivo (d.lgs. n. 190/2002, art. 20, comma 5). Si noti che la lacuna non e' affatto coperta dalla successiva lett. f), che riguarda «la modifica di un piano, programma o progetto approvato», e non il passaggio tra progetto preliminare e progetto definitivo, ne' dalla successiva lett. g), che riguarda la modifica sostanziale di un'opera o intervento. Si noti ancora che la problematica della suddivisione in fasi delle procedure di realizzazione delle opere, e dell'emergere della necessita' della valutazione d'impatto (o in questo caso di una nuova valutazione d'impatto) in fasi successive e' emersa anche all'attenzione della Corte di giustizia, la quale ha sempre ribadito l'obbligo delle procedure di valutazione in qualunque fase ne emerga la necessita' (cfr. sentenze 4 maggio 2006, causa C-290/03, e 4 maggio 2006, causa C-508/03). L'art. 5, comma 1, lett. g), definisce la «modifica sostanziale di un'opera o intervento» ed in questo contesto stabilisce che «per le opere o interventi per i quali nell'Allegato III alla parte seconda del presente decreto sono fissate soglie dimensionali, costituisce modifica sostanziale anche l'intervento di ampliamento, potenziamento o estensione qualora detto intervento, in se' considerato, sia pari o superiore al trenta per cento di tali soglie.». Tale disposizione appare direttamente confliggere con il punto 8, della Direttiva 2003/35/CE, che ha previsto l'integrazione dell'Allegato I della direttiva 85/337/CEE come modificata dalla direttiva 97/11/CE con il seguente punto «22. Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l'estensione di per se' sono conformi agli eventuali valori limite stabiliti nel presente allegato». In altre parole, risulta contrario alla normativa comunitaria prevedere che le soglie stabilite debbano essere superate di oltre il trenta per cento: se tale e' il significato della disposizione della lett. g), per vero non del tutto chiaro. II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. m) e dell'art. 12, comma 2. L'art. 5, comma 1, lett. m) definisce il «giudizio di compatibilita' ambientale» come l'atto con il quale l'organo competente conclude la procedura di valutazione ambientale strategica o di valutazione di impatto ambientale.». A sua volta, l'art. 12, comma 2, dispone che l'autorita' preposta alla valutazione ambientale entro un determinato termina «emette il giudizio di compatibilita' ambientale», il quale «costituisce presupposto per la prosecuzione del procedimento di approvazione del piano o del programma» e «puo' essere condizionato all'adozione di specifiche modifiche ed integrazioni della proposta del piano o programma valutato». Occorre ricordare che tanto l'art. 5 quanto l'art. 12 non solo valgono anche per le VAS di competenza regionale ma rientrano tra quelli che anche le future leggi regionali dovranno rispettare, a termini dell'art. 22, comma 1. Risulta dunque evidente che tali disposizioni configurano la procedura di VAS ed il suo esito in termini essenzialmente assimilati a quelli della procedura di VIA, senza tenere in debita considerazione le differenze sostanziali dei due processi decisionali, come stabilite per i due differenti strumenti nelle direttive europee. Conviene qui ricordare che la proposta direttiva avanzata dalla Commissione (GUC 129 del 25 aprile 1997, pag. 14, e GU C 83 del 25 marzo 1999, pag. 13) lasciava alla decisione dei singoli Stati membri se prevedere la VAS come procedura di ulteriore autorizzazione (dal punto di vista ambientale) del piano o programma, oppure come processo di integrazione delle tematiche ambientali nella procedura di approvazione del piano o programma. La direttiva 2001/42/CE, approvata ed oggi vigente, ha compiuto la scelta di prevedere la «Valutazione ambientale» dei piani e programmi come processo di integrazione delle tematiche ambientali nella procedura di approvazione del piano o programma, eliminando l'ipotesi di una ulteriore procedura di autorizzazione. Tale direttiva prevede in realta' - come emerge da numerose sue disposizioni una fortissima integrazione tra tematiche (ed autorita) ambientali e tematiche (ed autorita) dei settori interessati. A questa stregua, la VAS non puo' essere configurata come uno specifico provvedimento autorizzativo di una autorita' sull'altra, ma deve essere concepita come un processo decisionale della stessa pubblica amministrazione che approva il piano o programma, e lo scopo della direttiva e' garantire che il processo decisionale possa tenere conto adeguatamente dei fattori ambientali. Cio' e' evidente, ad esempio, nella stessa definizione che l'art. 2 della direttiva da' di «valutazione ambientale», come «l'elaborazione di un rapporto di impatto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell'iter decisionale e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione» a norma dei successivi articoli da 4 a 9. Come si vede, la direttiva non solo non implica, ma addirittura esclude che si possa configurare la valutazione ambientale come l'oggetto di uno specifico provvedimento autorizzatorio che una autorita' specializzata assume in relazione all'autorita' competente all'approvazione del piano. L'art. 12, comma 2, del decreto 152 individua, all'opposto, un iter in cui la valutazione ambientale e la pianificazione/programmazione non si intersecano e non si fondono, ma rimangono come fasi consequenziali e sostanzialmente separate, con una relazione sostanziale non di integrazione ma di gerarchia di una autorita' - quella che «emette» (secondo la testuale dizione della legge) il «giudizio di compatibilita' ambientale» - sull'altra quella che approva il piano o un programma, e che, ben lungi dall'essere messo in grado di formulare meglio il giudizio proprio, deve semplicemente sottostare al giudizio altrui. In quanto tale evidente scostamento della norma statale divenga norma da applicare da parte delle regioni ed addirittura vincolo (v. art. 22, comma 1) alla futura legislazione regionale, esso si traduce in immediata lesione delle garanzie costituzionali delle regioni. III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4 L'art. 23, comma 4, dispone come segue: «Possono essere esclusi dal campo di applicazione del presente titolo i progetti di ( seguito elencati che, a giudizio dell'autorita' competente, non richiedano lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale: a) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale; b) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopi di protezione civile, oppure disposti in situazioni di necessita' e d'urgenza a scopi di salvaguardia dell'incolumita' delle persone da un pericolo imminente o a seguito di calamita'; c) i progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, ivi comprese quelle necessarie esclusivamente ai fini dell'esecuzione di interventi di bonifica autorizzati». La disposizione, contrasta con la normativa comunitaria di cui alla direttiva 85/337/Cee (come modificata dalla direttiva 97/11/CE e dalla direttiva 2003/35/CE), che prevedono l'esclusione solo per i progetti relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di difesa nazionale (art. 1, comma 4). Quanto ai progetti relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di protezione civile o disposti in via d'urgenza, come pure ai progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, essi possono essere esclusi dalla VIA soltanto alle condizioni e secondo le modalita' di cui all'art. 2, comma 3 della stessa direttiva. Questa norma dispone che «gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva»: ma e' evidente che si tratta di un potere da esercitare caso per caso, e non per categorie predefinite dalla legge. Inoltre, la stessa disposizione prevede che in tali casi gli Stati membri esaminino se sia opportuna un'altra forma di valutazione, mettano a disposizione del pubblico le informazioni raccolte con le altre forme di valutazione, le informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per cui e' stata concessa e infine informino la Commissione, prima del rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione accordata e le forniscono le informazioni che mettono eventualmente a disposizione dei propri cittadini. Risulta evidente che la esenzione di cui alla normativa impugnata, disposta a priori e senza alcuna ulteriore modalita' o procedura, viola il diritto comunitario e, nella parte in cui si riferisce alle procedure regionali e pretende di vincolare il legislatore regionale (cfr. art. 43, comma 1) risulta al di la' di ogni dubbio lesiva delle garanzie costituzionali delle Regioni. IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 1, lett. b). L'art. 24, comma 1, lett. b), nel disciplinare le Finalita' della via dispone che «per ciascun progetto siano valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio e sull'interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale». La formulazione di tale disposizione viola, forse per un mero errore nel riferimento normativo, l'art. 3, comma 1, del1a direttiva 85/337/CEE come modificata dalla direttiva 97/11/CE, che prevede che la valutazione dell'interazione non sia limitata agli effetti «sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio» (cui poi si aggiungerebbe, al di fuori dell'interazione, la valutazione degli effetti sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale), ma sia estesa agli stessi fattori «beni materiali» e «patrimonio culturale ed ambientale». In effetti, il testo vigente di tale art. 3, comma 1, della direttiva 85/337, dopo la, modifica intervenuta con la direttiva 97/11, e' il seguente: «La valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l'uomo, la fauna e la flora il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio; i beni materiali ed il patrimonio culturale; l'interazione tra i fattori di cui al primo, secondo e terzo trattino.». Puo' sembrare che sia una differenza marginale, ma in realta' non lo e' o comunque il legislatore comunitario non l'ha considerata tale, avendola appositamente introdotta. Inoltre, la difformita' della normativa italiana, gia' contenuta nelle previgenti disposizioni, e' gia' stata oggetto di un avvio di procedura di infrazione, con il parere motivato 2003/2049 C(2005) 2341 del 5 luglio 2005. Tale difforme disposizione del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui si riferisce alle ( procedure regionali e pretende di vincolare il legislatore regionale (cfr. art. 43, comma 1) risulta anch'essa lesiva delle garanzie costituzionali delle regioni. V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1, lett. a), dell'art. 35, comma 1 lett. b) e dell'art. 42, comma 1, in quanto assegnano allo Stato la competenza per la VIA relativa ai progetti aventi impatto interregionale. Illegittimita' costituzionale altresi' dell'art. 35, comma 1, lett. a) ove inteso in senso estensivo. L'art. 25, comma 1, lett. a) riserva al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la competenza alla VIA «per i progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale»; precisando tale disposizione, l'art. 35 dispone che «compete al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ... la valutazione di impatto ambientale dei progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all'art. 23 nei casi in cui si tratti: a) di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione alla costruzione o all'esercizio da parte di organi dello Stato; b) di opere o interventi localizzati sul territorio di piu' regioni o che comunque possono avere impatti rilevanti su piu' regioni.». Corrispondentemente, l'art. 42, relativo ai Progetti sottoposti a VIA in sede regionale o provinciale, afferma chesono sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede regionale o provinciale i progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all'art. 23, salvo si tratti di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione statale o aventi impatto ambientale interregionale o internazionale ai sensi dell'art. 35». Risulta dunque evidente che il nuovo decreto legislativo assegna alla competenza statale non solo la VIA per le opere e gli interventi soggetti ad autorizzazione statale, ma anche quella relativa ad opere ed interventi che abbiano semplicemente un rilievo per piu' di una regione. La ricorrente regione ritiene che, alla stregua del riparto di competenze di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione dopo la riforma del 2001, la competenza per le opere e gli interventi non soggetti ad autorizzazione statale non possa che spettare alle regioni, anche se si tratti di opere che interessano piu' regioni o che comunque recano un impatto su piu' territori regionali. Infatti, se e' vero che anche il decreto legislativo n. 112 del 1998 - sempre comunque nel precedente quadro costituzionale - aveva mantenuto allo Stato la competenza alla VIA per «le opere e gli impianti il cui impatto ambientale investe piu' regioni» (art. 71, comma 1, lett. a), e' anche vero che il comma 2 precisava che con atto di indirizzo e coordinamento sarebbero state individuate le specifiche categorie di opere, interventi e attivita' attualmente sottoposti a valutazione statale di impatto ambientale da trasferire alla competenza delle regioni a condizione (come stabiliva il comma 3) della vigenza della legge regionale della VIA». Ed in realta' gia' il precedente atto di indirizzo e coordinamento di cui al d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dall'art. 40 comma 1, della legge n. 146/1994, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale) all'art. 11 (Procedure per i progetti con impatto ambientale interregionale) prevedeva che le regioni assicurassero «la definizione delle modalita' di partecipazione alla procedura di valutazione d'impatto ambientale delle regioni confinanti nel caso di progetti che possono avere impatti rilevanti anche sul loro territorio ovvero di progetti localizzati sul territorio di piu' regioni evidentemente presupponendo la perdurante competenza regionale in relazione all'impatto ambientale dell'opera o dell'intervento. Riprova se ne ha nella legislazione regionale che e' seguita ed ha continuato a seguire: in pratica tutte le normative regionali sulla VIA contengono disposizioni che garantiscono il coordinamento dellegioni direttamente interessate nel caso di impatti ambientali interregionali sia nella forma di informazione e consultazione sia nella forma di codecisione tramite una intesa tra le regioni interessate. In particolare, la legge della regione Emilia-Romagna 18 maggio 1999, n. 9 (modificata dalla l.r. 16 novembre 2000 n. 35), dedica il Titolo IV alle Procedure di V.I.A. interregionali e sovraregionali. Cosi' ad esempio - senza che si debba qui esporre l'intera disciplina - l'art. 19 disciplina le Procedure per progetti con impatti ambientali interregionali prevede l'intesa con le altre regioni interessate per il caso di «progetti che risultino localizzati sul territorio di piu' regioni» (comma 1), mentre «nel caso di progetti che possano avere impatti rilevanti sull'ambiente di altre regioni confinanti» l'autorita' competente «e' tenuta ad informare e ad acquisire anche i pareri di tali regioni nell'ambito della conferenza di servizi appositamente convocata ai sensi dell'art. 18. Ora, nel nuovo quadro costituzionale successivo al 2001 lo stesso principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma, impone di non spostare la competenza al livello statale se non nei casi in cui il carattere infrazionabile ed intrinsecamente unitario dell'interesse lo imponga; e l'art. 117, ottavo comma, prevedendo che «la legge regionale ratifica le intese della regione con altre regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni» conferma che il carattere semplicemente interregionale delle funzioni e degli interessi puo' giustificare speciali soluzioni organizzative, ma non puo' di per se' consentire l'acquisizione della competenza al livello statale. Il diretto fondamento in costituzione della rivendicazione regionale rende superfluo ricordare che, in ogni modo, il rispetto del principio di sussidiarieta' era specificamente previsto dalla legge delega n. 308/2004 (art. 8, comma 1). Si noti che la competenza regionale in materia di VIA non e' una graziosa concessione del legislatore statale, ma una precisa conseguenza sia della competenza regionale in relazione alle opere e interventi di cui si tratta, sia della competenza regionale nelle materie connesse all'ambiente o addirittura parti di esso, quale la tutela della salute ed il governo del territorio, sia della stessa competenza in materia ambientale, in quanto la competenza esclusiva statale si riferisce, come chiarito dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale, alla fissazione degli standard minimi di tutela. Risultano cosi' violati dalle disposizioni qui impugnate gli articoli 117 e 118 Cost. In via meramente cautelativa si impugnano anche l'art. 25, comma 1, lett. a) e l'art. 35, (comma 1, lett. a), nella parte in cui essi prevedono la VIA statale per opere soggette ad autorizzazione statale, per l'ipotesi in cui tale norma venisse ad includere non soltanto le autorizzazioni statali che direttamente si riferiscono al progetto dell'opera o intervento, ma anche ad eventuali autorizzazioni statali (ad esempio, dell'amministrazione militare, o a tutela dei siti archeologici) che semplicemente «incidano» nel procedimento approvativo di progetti sottoposti ad approvazione regionale o locale. In tale ipotesi, risulterebbero violati l'art. 117 e 118 Cost., non essendovi alcuna ragione di «spostare» la competenza in sede statale, dal momento che gli interessi statali sono tutelati dalla autorizzazione stessa, senza alcuna conseguenza sulla competenza alla VIA. VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 3. L'art. 26, comma 3, prevede che il proponente puo' chiedere di essere in tutto o in parte esonerato dagli «adempimenti di cui al comma 2» secondo cui «copia integrale della domanda di cui al comma 1 e dei relativi allegati deve essere trasmessa alle regioni, alle province ed ai comuni interessati e, nel caso di aree naturali protette, anche ai relativi enti di gestione»: si tratta in pratica della trasmissione del progetto e dello studio di impatto ambientale. Questa previsione lede direttamente la regione e gli enti locali, e si pone in contrasto con la direttiva 85/337/CEE (come modificata dalla direttiva 97/11/CE) che, all'art. 6, comma 1, dispone che «Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinche' le autorita' che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilita' in materia di ambiente, abbiano la possibilita' di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e sulla domanda di autorizzazione e che tali autorita' «ricevono le informazioni raccolte a norma dell'art. 5.». VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, lett. b). L'art. 28, dedicato alle Misure di pubblicita', dispone al comma 2, lett. b), che il committente o proponente del progetto o dell'opera, contestualmente alla presentazione della propria domanda, provveda alla diffusione a mezzo stampa di un annuncio dell'avvenuto deposito di quanto prescritto dalla precedente lett. a) secondo le modalita' stabilite dall'autorita' competente con apposito regolamento che assicuri criteri uniformi di pubblicita' per tutti i progetti sottoposti a valutazione d'impatto ambientale, garantendo che il pubblico interessato venga in tutti i casi adeguatamente informat La medesima disposizione prevede che lo stesso regolamento stabilisca «i casi e le modalita' per la contemporanea pubblicazione totale o parziale in internet del progetto» e che esso debba «essere emanato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio». L'art. 28 e' elencato dall'art. 43, comma 1, tra quelli che sarebbero inderogabili dalle leggi regionali, in relazione alle VIA di competenza regionale. Sembra evidente che, in relazione alle VIA regionali, una disciplina regolamentare statale delle modalita' di avviso degli avvenuti depositi non e' ammissibile a termini dell'art. 117, sesto comma, Cost., e del resto non trova giustificazione in alcuna esigenza unitaria. D'altronde, su pure potesse rinvenirsi una esigenza unitaria, e se pure questa potesse condurre ad ammettere un potere regolamentare del Ministro vincolante per le leggi regionali, cio' non potrebbe in alcun caso avvenire senza la previsione di una intesa con la Conferenza Stato-regioni. VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 33. L'art 33 e' dedicato alle Relazioni tra VAS e VIA. Esso dispone, nel suo unico comma, «che per progetti di opere ed interventi da realizzarsi in attuazione di piani o programmi gia' sottoposti a valutazione ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie per le quali e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in sede di esperimento di quest'ultima costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi positivamente valutati in sede di valutazione di impatto strategico o comunque decisi in sede di approvazione del piano o programma.». Tale disposizione appare violare le disposizioni dell'art. 11 della direttiva 2001/42/CE secondo cui la Valutazione ambientale dei piani e programmi «lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/33 7/CEE e qualsiasi altra disposizione della normativa comunitaria» e la stessa direttiva 85/337/CEE, che nel disciplinare la VIA non prevede affatto in essa una possibile pregiudiziale valutazione di elementi rilevanti per la decisione. Va precisato che quello che qui si contesta non e' la possibile introduzione nel procedimento di VIA di elementi conoscitivi gia' maturati in sede di VAS sul piano o programma che prevedesse l'opera o progetto, ma il vincolo ad una positiva valutazione di tale elementi del resto indeterminati nello stesso riferimento normativo nella nuova procedura, che finirebbe per apparire fittizia e predestinata nella sua conclusione. IX) Illegittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 3 e 5. L'art. 51 e' dedicato ai Regolamenti e norme tecniche integrative - autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese. Esso e' inserito nel Titolo IV, Norme transitorie e finali (finali, ovviamente, della Parte seconda, non dell'intero decreto), e non sembra dunque riguardare i soli procedimenti statali. Il comma 1 dispone chel fine di semplificare le procedure di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, con appositi regolamenti, emanati ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, possono essere adottate norme puntuali per una migliore integrazione di dette valutazioni negli specifici procedimenti amministrativi vigenti di approvazione o autorizzazione dei piani o programmi e delle opere o interventi sottoposti a valutazione.». In questi termini, il comma 1 prevede l'emanazione di regolamenti dal contenuto indeterminato, legato soltanto ad una finalita' di semplificazione (peraltro in contraddizione con la carattere di «ulteriore provvedimento» dato alla VAS, come sopra illustrato), con potenziale incidenza sia sui procedimenti ambientali che su quelli di programmazione. Risulta violato in primo luogo il principio di legalita' del potere regolamentare, dato che la sola precisazione che la legge contiene - oltre al fine che tali regolamenti contengano «norme puntuali». Ma tale precisazione, mentre da un lato non precisa nulla, dall'altro conferma e aggrava l'illegittimita' della previsione, nella parte in cui essa si riferisce a procedure di VAS e VIA regionali, o comunque ai procedimenti di programmazione. Infatti, trattandosi di ambiti che rientrano nella potesta' legislativa regionale, lo Stato non puo' disciplinarli con regolamento, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, Cost.: e la specificazione che si tratti di norme «puntuali» non fa che aggravare il vizio. Naturalmente, il vizio non vi sarebbe (o, sotto il profilo della legalita', non vi sarebbe l'interesse a farlo valere) qualora i regolamenti in questione non fossero destinati a disciplinare procedimenti ambientali o di programmazione gia' disciplinati nell'esercizio della potesta' legislativa regionale: e cosi', in effetti, dovrebbe essere, se si tiene fermo quanto gia' affermato dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza «fondante» per la materia) n. 376 del 2002. Se invece, al contrario di quanto affermato da tale giurisprudenza, i regolamenti in questione fossero destinati ad applicarsi agli ambiti di potesta' legislativa regionale, andrebbe ulteriormente lamentato in subordine alle censure gia' formulate la mancata previsione di una procedura di intesa con le regioni. A sua volta, il comma 3 dell'art. 51 prevede che «norme tecniche integrative della disciplina di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilita' in relazione a ciascuna categoria di opere» siano «emanate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti per materia e sentita la Commissione di cui all'art. 6». Anche in questo caso e' palese l'invasione della competenza regionale per quanto riguarda le VIA di carattere regionali: vizio che invece non vi sarebbe se si dovesse intendere che tali norme tecniche integrative non riguardano le procedure regionali. Se poi - in denegata ipotesi - il potere pararegolamentare qui previsto potesse giustificarsi per esigenze di unitarieta', non potrebbe non essere prevista, ai sensi di nota giurisprudenza costituzionale (a partire dalla sentenza n. 303 del 2003), l'intesa della Conferenza Stato-regioni. Ancora, il comma 5 prevede che con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio (di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle attivita' produttive) «si provvedera' ad accorpare in un unico provvedimento, indicando l'autorita' unica competente, le diverse autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, ma sottoposti a piu' di una autorizzazione ambientale di settore». Anche per tale decreto non e prevista - con conseguente vizio di legittimita costituzionale alcuna procedura di collaborazione con le regioni, nonostante che molte autorizzazioni ambientali rientrino nella competenza regionale (alcune del resto in base allo stesso d.lgs. n. 152). Si noti che l'obiettivo di «accorpare in un unico provvedimento le diverse autorizzazioni ambientali» era posto dalla legge delega n. 308 del 2004 allo stesso legislatore delegato (art. 1, comma 9, lett. f) ultimo periodo): mentre qui il legislatore delegato a sua volta illegittimamente delega la potesta' normativa ricevuta ad un decreto ministeriale che per «accorpare» le autorizzazioni ambientali dovrebbe necessariamente incidere su provvedimenti autoritativi, in violazione non solo dell'art. 76 Cost., quanto all'eccesso di delega, ma dello stesso principio di legalita'. Anche sotto tali profili dunque la norma in questione risulta costituzionalmente illegittima. B) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della parte terza, recante «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche Si ricorda in primo luogo che gli articoli 63 e 64 hanno gia' formato oggetto di impugnazione nel ricorso n. 56 del 2006. La presente impugnazione si riferisce dunque ad alcuni dei rimanenti articoli. I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 57, commi 1, 4 e 6. L'art. 57, comma 1, lett. a), stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri Comitato dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, approva con proprio decreto (su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio): «1) Le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attivita' di cui agli articoli 55 e 56, nonche' per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei programmi di intervento; 2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-regioni; 3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa diffida, in caso di persistente inattivita' dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione; 4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente sezione)» (il successivo art. 58, ad esempio, menziona specificamente gli «indirizzi» e i «criteri» per «lo svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni». Inoltre (lett. b), su proposta del Comitato dei ministri di cui al comma 2, esso approva il programma nazionale di intervento. Il comma 4 dispone a sua volta che «al fine di assicurare il necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate, il Comitato dei ministri propone gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto e ne verifica la coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti». Il comma 6 stabilisce che «i principi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al presente articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». Ad avviso della ricorrente regione, va affermato in primo luogo che nel nuovo quadro dei rapporti tra lo Stato e le regioni non vi e' piu' spazio costituzionale per la funzione statale di indirizzo e coordinamento, come del resto espressamente riconosciuto dalla legge n. 131 del 2003, secondo cui «nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». Inoltre, la riemersione generalizza della funzione di indirizzo e coordinamento realizza esattamente il contrario di quella «riaffermazione del ruolo delle regioni» che secondo la lett. m) dell'art. 1, comma 8, della legge di delega avrebbe dovuto formare uno dei criteri direttivi (di qui l'illegittimita' anche per violazione della legge di delega). Se poi, in singoli ed eccezionali casi, tale funzione potesse essere ammessa, e' evidente che non potrebbe esserlo che previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, secondo quella che era la disciplina legislativa della funzione gia prima della riforma costituzionale del 2001. Di qui l'illegittimita' costituzionale della previsione della funzione di indirizzo (comma 1, n. 4), ed in ogni caso del semplice parere richiesto alla Conferenza dal comma 6. Si noti che gia' l'art. 52 del d.lgs. n. 112 prevedeva che il disegno delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionali con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo fosse compito di rilievo nazionale (comma 1), ma al tempo stesso che dovesse essere esercitato attraverso intese nella Conferenza Unificata (comma 3). La nuova disposizione contrasta dunque anche con il principio di delega del rispetto delle competenze regionali di cui a tale decreto (art. 1, comma 8). Il comma 1 risulta ulteriormente illegittimo nella parte in cui prevede (n. 1) «criteri e metodi statali, di cui e' detto che sono «anche tecnici» in relazione allo svolgimento delle attivita' di cui agli artt. 55 e 56, cioe' delle attivita' conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione. Tale conferimento di potere viola in primo luogo il principio di legalita': non puo' sfuggire infatti che l'oggetto del conferimento e' del tutto indeterminato, considerando da un lato che non si tratta di sole norme tecniche, ma di norme anche tecniche, dall'altro che il conferimento riguarda la disciplina dell'intero ciclo della conoscenza e della pianificazione, programmazione ed attuazione. In secondo luogo, tale conferimento da' luogo ad un abnorme potere normativo, che non si presta ad essere inquadrato negli schemi costituzionali dei rapporti tra legge statale e legge regionale, violando cosi' in modo evidente l'art. 117, secondo, terzo, quarto comma, e violando al tempo stesso, in quanto potere regolamentare, l'art. 117, sesto comma. Se anche in denegata ipotesi un siffatto potere normativo fosse ammissibile, sarebbe ( comunque palesemente illegittimo il suo esercizio senza il coinvolgimento delle regioni nella forma dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Si noti che d.lgs. n. 112 del 1998 gia' aveva stabilito all'art. 54, comma 2, che le funzioni relative alla identificazione dei criteri per la raccolta e l'informatizzazione di tutto il materiale cartografico ufficiale esistente e per quello in corso di elaborazione fossero esercitate d'intesa con la conferenza unificata, con conseguente violazione, sotto questo profilo, dei principi di delega e lesione delle competenze regionali. Naturalmente, la censura verrebbe meno ove dovesse ritenersi che le norme relative ai criteri e metodi sono destinati a disciplinare soltanto le attivita' di cui agli art. 55 e 56, in quanto essi siano svolte da organi statali. Anche il n. 2, relativo alla approvazione dei piani di bacino «sentita la Conferenza Stato-regioni» e' ad avviso della ricorrente, regione illegittimo a prescindere dalle conseguenze delle censure gia' rivolte avverso il nuovo sistema dei bacini idrografici e delle relative autorita' istituito dagli artt. 63 e 64 nella parte in cui non prevede l'intesa anziche' il semplice parere della Conferenza. La censura si estende all'art. 66, nella parte in cui tale articolo non prevede l'intesa della Conferenza per l'approvazione dei piani di bacino. Per le censure parzialmente corrispondenti in relazione ai programmi di intervento si consideri quanto esposto in relazione all'impugnazione degli artt. 70 e 72. Va considerato che gli interventi previsti dai piani di bacini, in quanto opere pubbliche, ricadono (o dovrebbero ricadere) come tali nella competenza regionale, salvo che si tratti di speciali opere di interesse strategico (l3 del 2001): sicche', anche nella misura in cui sia legittima l'assunzione della competenza di programmazione al livello statale, cio' non puo' avvenire senza lo strumento dell'intesa, in base alle note regole fissate a partire dalla sentenza n. 303 del 2003. Anche il potere sostitutivo previsto dal n. 3 risulta illegittimo, ove non lo si intenda - come peraltro il principio della interpretazione costituzionalmente conforme imporrebbe - come meramente attributivo della competenza presidenziale, e riferito alle ipotesi in cui tale potere e' gia' legittimamente istituito dalla disciplina sostanziale. Ove invece tale si volesse intendere tale disposizione come norma di conferimento di effettivi poteri sostitutivi, essa risulterebbe costituzionalmente illegittima sia in quanto essa nella sua indeterminatezza e generalita' viola il principio di legalita', sia in quanto non sono previste le modalita' di collaborazione delle regioni. Illegittimo risulta anche il comma 4, ove si debba intendere che il Comitato dei ministri nel «proporre» gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto e nel «verificarne» la coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti esercita in qualunque modo un potere sovraordinato all'esercizio delle competenze regionali di programmazione o comunque di approvazione di atti di propria competenza. In effetti, una tale supremazia del Comitato dei ministri non ha alcun fondamento costituzionale, e viola sia la potesta' legislativa che l'autonomia amministrativa delle regioni. Infine, contrasta con il principio di sussidiarieta', con le regole della leale collaborazione e con il criterio direttivo sopra citato anche la disposizione contenuta nel comma 1, lett. b) che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l'approvazione del programma nazionale degli interventi senza prevedere alcun coinvolgimento effettivo delle regioni. Anche in questo caso l'intesa con la Conferenza Stato-regioni era gia' prevista dall'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 (secondo cui la programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del suolo era «da definirsi di intesa con la Conferenza Stato-regioni». Inoltre, l'art. 89, comma 1, lett. h), dello stesso decreto ha conferito alle regioni e agli enti locali la programmazione e pianificazione degli interventi di difesa della costa e degli abitati costieri, mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di piu' regioni lo Stato e le regioni interessate stipulino accordi di programma con i quali sono definite le appropriate modalita' anche organizzative di gestione. La violazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 si traduce, come sopra illustrato, in violazione della legge di delega ed in lesione delle competenze costituzionali delle regioni. II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58. Per ragioni analoghe a quelle esposte in relazione all'art. 57 risultano illegittime ed invasive delle competenze regionali anche le corrispondenti previsioni che nell'art. 58 identificano le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. In particolare, risulta illegittimo e lesivo il comma 3 nella parte in cui affida alla competenza del Ministro le funzioni di cui alle lettere a) (programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo), b) previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni di dissesto idrogeologico), d) (identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonche' con riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali), ad esclusione di quanto riguarda le opere di competenza statale, e) (determinazione di criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione, da parte del Servizio geologico d'Italia - Dipartimento difesa del suolo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), e di consultazione dei dati, definizione di modalita' di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore, nonche' definizione degli indirizzi per l'accertamento e lo studio degli elementi dell'ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio), g) coordinamento dei sistemi cartografici: in quanto si intendano tutti tali disposizioni non come riferite genericamente al ruolo che in tali ambiti al Ministro spetta in relazione ad altre legittime norme, ma come diretta attribuzione di una competenza propria del Ministro. Specificamente in relazione alla lettera a), gia' si e' sopra ricordato che l'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 stabiliva che la programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del suolo fosseda definirsi di intesa con la Conferenza Stato-regioni», e che l'art. 89, comma 1, lett. h), dello stesso decreto ha conferito alle regioni e agli enti locali la programmazione e pianificazione degli interventi di difesa della costa e degli abitati costieri, mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di piu' regioni lo Stato e le regioni interessate stipulino accordi di programma con i quali sono definite le appropriate modalita' anche organizzative di gestione. Specificamente in relazione alla lettera d), che assegna al Ministro l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento alla difesa si ricorda ancora che a termini dell'art. 52, comma 3 del d.lgs. n. 112 che tale identificazione e' compito di rilievo nazionale ma deve essere compiuta attraverso intese nella conferenza unificata. III) Illegittimita' costituzionale dell'art 59. L'art. 59 disciplina le Competenze della conferenza Stato-regioni. Secondo tale disposizione, la Conferenza formula «pareri, proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 57, in ordine alle attivita' ed alle finalita' di cui alla presente sezione, ed ogni qualvolta ne e' richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.». Le successive lettere da a) ad e) dettagliano tale funzione generale in relazione a singoli ambiti, senza mutare la qualita' del ruolo cosi' individuato. E' di tutta evidenza che nell'intero articolo la parola intesa, che dovrebbe identificare il centro delle funzioni della Conferenza, non figura neppure una volta. Al contrario, essa appare formulare «proposte» (lett. a e b), «osservazioni» lett. c, sui piani di bacino, ai fini della loro conformita' ad indirizzi e criteri che non hanno condiviso!), esprimere «pareri» (lett. d, e lett. e). E' chiaro che la Conferenza, ben al contrario che essere valorizzata, subisce un netto depotenziamento delle proprie funzioni, e viene persino caratterizzata in termini generali come un organismo meramente consultivo. Risulta paradossale, e costituzionalmente illegittimo, che dopo la riforma del Titolo V operata nel 2001 il legislatore statale pretenda di ridurre la Conferenza Stato-regioni ad un mero ruolo consultivo. Tra l'altro, questa riduzione viola in modo palese la lettera e lo spirito della legge di delega, che, accanto ad altri criteri di garanzia per le regioni gia' ricordati, tra l'altro poneva il vincolo della di valorizzazione del ruolo e delle competenze degli organismi a composizione mista statale e regionale lettera c) del comma 9 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del 2004). IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 70, commi 1 e 3, e dell'art. 72, comma 4. L'art. 70 disciplina i programmi di intervento. Il comma 1 prevede che essi siano (adottati dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all'art. 63, comma 4». Il comma 3 dispone che i nuovi programmi di intervento relativi al triennio successivo, adottati secondo le modalita' di cui al comma 1, siano «trasmessi al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, affinche' ... sulla base delle previsioni contenute nei programmi e sentita la Conferenza Stato-regioni, trasmetta al Ministro dell'economia e delle finanze l'indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio, ai fini della predisposizione del disegno di legge finanziaria». L'art. 72, comma 4, prevede che «il programma nazionale di intervento e la ripartizione degli stanziamenti, ivi inclusa la quota di riserva a favore dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), sono approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 57». I due commi sopra riportati dell'art. 70 ed il comma 4 dell'art. 72 si connettono al riparto di compiti di cui all'art. 57, gia' sopra contestato. Anche da essi risulta evidente che le regioni sono private di poteri decisionali anche in relazione alla pianificazione degli interventi attuativi del piano. In effetti, vi e' solo un parere della Conferenza Stato-regioni, anziche' una intesa, e per giunta il parere si riferisce soltanto, a quel che sembra, alla (indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio.». Le disposizioni appaiono dunque illegittime, per violazione del principio di leale collaborazione e lesione delle competenze regionali, nella parte in cui prevedono il parere anziche' l'intesa, e nella parte in cui non prevedono l'intesa in relazione all'adozione ed alla approvazione del programma. Si noti tuttavia che anche lo strumento dell'intesa in sede di Conferenza non soddisfa completamente le esigenze di tutela delle competenze regionali. Occorre infatti considerare che non si tratta qui di decisioni indivisibili di livello nazionale, alle quali le regioni collaborano come un insieme, ma di decisioni di interventi che in definitiva interessa ciascuna singola regione come tale. Di qui la necessita', ad avviso della ricorrente regione, che, secondo la stessa logica del piano di opere di interesse strategico di cui alla legge n. 443 del 2001, sia stabilita la necessita' dell'intesa della singola regione, in relazione alle opere da eseguire nel proprio territorio: a tutela sia degli interessi propri del sistema idrico, sia degli altri interessi connessi in genere al governo del territorio, che rientrano nella responsabilita' precipua delle regioni. Ne risulta che l'art. 70, comma 1, e' costituzionalmente illegittimo per le ragioni indicate anche nella parte in cui non prevede sul programma di interventi l'intesa di ciascuna regione territorialmente interessata. Specificamente in relazione all'art. 72, comma 4, si osserva che tale disposizione contrasta anche con l'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998, che prevede la «definizione della programmazione dei finanziamenti dello stato in materia di difesa del suolo d'intesa con la Conferenza Stato-regioni». E' conseguentemente violata la delega che dispone la salvaguardia delle competenze regionali gia' previste da tale decreto. V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 96. Il comma 1 dell'art. 96 riscrive l'art. 7 del T.U. delle disposizioni sulle acque e impianti elettrici, apportando alcune modificazioni al testo introdotto dal d.lgs. n. 152/1999 (art. 23, primo comma), che incidono sul procedimento per il rilascio delle concessioni di acqua pubblica. Il nuovo testo dispone che le domande relative sia alle grandi sia alle piccole ( derivazioni siano trasmesse alle Autorita' di bacino territorialmente competenti che, entro il termine rispettivamente di novanta e di quaranta giorni» comunicano il proprio parere vincolante ai competente Ufficio istruttore in ordine alla compatibilita' della utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto.». Dispone ancora che «decorsi i predetti termini senza che sia intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nomina un Commissario ad acta che provvede entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina». Si deve osservare che le competenze della Regione Emilia-Romagna sono concretamente incise dalla norma contestata: infatti la regione ha adottato una propria disciplina procedimentale con la legge n. 3/1999 e con il successivo regolamento regionale n. 41/2001, in attuazione del conferimento di funzioni operato con il d.lgs. n. 112/1998. In particolare, la previsione che le nuove Autorita' di Bacino, ora connotate da una composizione a predominanza statale, esprimano sulle grandi derivazioni il parere in un termine che passa da 40 giorni a 90 giorni e che esso sia vincolante, e che in caso di mancata espressione del parere non operi piu' il silenzio assenso, ma si proceda alla nomina di un commissario ad acta che ha altri novanta giorni per esprimersi da un lato sottrae alle regioni competenze gia' loro spettanti, dall'altro comporta una enorme dilatazione dei tempi, in aperto contrasto quindi con gli obiettivi di semplificazione indicati dalla legge di delega (art. 1, comma 9, lett. b). Nonostante la materia della gestione di tali procedimenti sia gia' stata delegata alle regioni (art. 86, 89 del d.lgs. n. 112/1998), le competenze regionali sono completamente ignorate dalla disciplina impugnata, sicche' anche sotto questo profilo essa appare lesiva della stessa legge di delega che impone al legislatore delegato il rispetto del riparto di competenze fissato dal decreto 112. Quanto osservato in relazione al comma 1 vale ugualmente in relazione agli altri commi dell'art. 96, i quali contengono una disciplina analitica e dettagliata, quasi si trattasse di riscrivere il testo unico del 1933 con la logica di allora. Ma, come ha osservato codesta ecc. Corte nella sent. n. 31/2006, a proposito della gestione del demanio idrico, «alla luce del nuovo testo dell'art. 118 Cost., dopo la riforma del Titolo V della Parte II, l'attribuzione alle Regioni ed agli enti locali delle funzioni amministrative in materia e' sorretta dal principio di sussidiarieta'.». Non appare percio' legittimo che lo Stato emani in materia norme legislative che entrano analiticamente nel dettaglio, sono autoapplicative sino al punto di svuotare l'ambito di discrezionalita' della regione, sottopongono l'uso dei poteri normativi che residuano alla regione a direttive delle quali non si indicano neppure l'autorita' competente e le modalita' di emanazione (a tacere dell'obbligo di rispettare nella formazione di esse il principio di leale cooperazione: cfr. comma 11). Inoltre, la disciplina delle derivazioni d'acqua non e' contemplata nell'oggetto della delega, e l'attenuazione del livello di protezione ambientale (si veda la sanatoria degli abusi contemplata dal comma 6) contraddice uno dei principi direttivi della delega stessa. Per queste ragioni, e salvi i piu' specifici rilievi mossi alle sue singole disposizioni, l'art. 96 risulta dunque illegittimo nella sua interezza per violazione degli artt. 117, 118 e 76 Cost. VI) Illegittimita' costituzionale degli articoli 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114 comma 1. Le disposizioni degli articoli 104, 113 e 114 riguardano diverse misure di tutela delle acque. Esse sono pero' accomunate da una identica illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia legislativa e amministrativa regionale e «direzionestatale» come di seguito specificato. L'art. 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) al comma 3 attrae al livello ministeriale compiti di autorizzazione di scarichi risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unita' del sottosuolo da cui sono stati estratti, laddove l'art. 89 del d.lgs. n. 112/l998, lett. i) ne prevedeva l'attribuzione alle regioni. Ne risultano percio' violati sia il riparto di attribuzioni gia' fissato dal legislatore statale precedente alla riforma costituzionale del 2001, sia il preciso criterio direttivo stabilito dalla legge di delega, al comma 8 dell'art. 1, che richiama appunto l'assetto delle competenze di cui al d.lgs. n. 112 e ne prescrive l'inderogabilita'. Per parte sua il comma 4, laddove prescrive che, «l'autorita' competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, puo' autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purche' i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera» risulta in contrasto con l'art. 4, comma 3, della direttiva 1980/68/CEE, che consente agli Stati membri di autorizzare gli scarichi consistenti nella reiniezione nella stessa falda solo «delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave, o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile) non anche delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti. L'art. 113 (Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia) al comma 1, assegna alle regioni il compiti di «disciplinare» e di «attuare» a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate, e b) i casi in cui puo' essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni. Tuttavia, l'esercizio delle funzioni regionali viene subordinato al «previo parere del Ministero dell'ambiente della tutela del territorio». Si realizza cosi' un'inconsueta quanto illegittimita' sottoposizione della regione, anche nell'esercizio delle sue funzioni normative, ad ingerenze esercitate dall'autorita' amministrativa statale: il che e' palesemente contrario all'assetto delle competenze posto dagli artt. 117 e 118, nonche' agli stessi limiti prescritti dalla legge di delega. Ne' si puo' salvare la disposizione attraverso un'interpretazione adeguatrice che riporti il «previo parere» ad una funzione di ausilio meramente tecnico: se anche non mancano nella legislazione esempi di funzioni amministrative il cui esercizio da parte delle regioni e' sottoposto al parere di organismi tecnici, e cio' a protezione degli specifici interessi che essi hanno in cura, nel presente caso cio' non e' in alcun modo sostenibile. Il «previo parere» e' espresso dal Ministero, senza alcuna ulteriore indicazione soggettiva o oggettiva che possa ridurre l'ingerenza di un organo caratteristicamente dotato di funzioni politico-amministrative alla dimensione della mera discrezionalita' tecnica o tecnico-scientifica. Di qui l'illegittimita' costituzionale di tale vincolo posto dal comma 1. L'art. 114 (Dighe) si occupa nel primo comma, a cui e' circoscritta la presente (impugnazione, esclusivamente della restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica: anche in questo caso l'autonomia normativa regionale e' riconosciuta ma sottoposta al «previo parere» del ministero. Valgono percio' le stesse censure mosse all'articolo precedente. VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 121, comma 2. L'art. 121 disciplina i piani di tutela delle acque. Il comma 2 dispone che «le Autorita' di bacino, nel contesto delle attivita' di pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento, sentite le province e le Autorita' d'ambito, definiscono gli obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonche' le priorita' degli interventi.». Dispone inoltre che «le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acquee lo trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nonche' alle competenti Autorita' di bacino, per le verifiche di competenza». In questi termini, il piano adottato dalla regione risulta sottoposto alla «supervisione» del Ministero, a cui il Piano va trasmesso «per le verifiche di competenza». La norma appare palesemente lesiva delle prerogative costituzionali delle regioni come stabilite dagli artt. 117 e 118 Cost. Inoltre, la previsione eccede i limiti della delega legislativa, essendo in chiara contraddizione con l'assetto delle funzioni amministrative che vigeva prima della riforma costituzionale del Titolo V, e precisamente con l'art. 44 del d.lgs. n. 152/1999, ora abrogato, secondo cui il Piano deliberato dalle regioni non soggiaceva ad alcun controllo ministeriale. Non appare consentito allo Stato modificare in senso meno favorevole alle regioni il quadro delle competenze legislative e amministrative vigente prima della riforma costituzionale, come codesta ecc. Corte ha avuto gia' modo di affermare esplicitamente in relazione ai rapporti finanziari (sent. 320/2004): e cio' in particolare modo quando, come nel presente caso - e' la stessa legge di delega che impone di valorizzare, e non restringere, il ruolo delle regioni. VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 124, commi 4 e 5. L'art. 124 disciplina i criteri generali per le autorizzazioni agli scarichi. I commi 4 e 5 attribuiscono all'Autorita' d'ambito poteri autorizzatori che sono del tutto impropri, in quanto le Autorita' d'ambito non sono munite di strutture tecniche che possano far fronte a questa competenza. Oltre ad essere irragionevole, dunque, tale scelta legislativa viola, trattandosi di scarichi nella rete fognaria, la competenza del comune, cosi' come fissata dall'art. 45 del d.lgs. n. 152/1999 e dalla stessa legislazione regionale, che viene di conseguenza indebitamente contraddetta. Risultano dunque violati gli artt. 117 e 118 Cost. C) Illegittimita' costituzionale di disposizioni della parte terza, sezione III, Titolo II (Servizio idrico integrato). Nell'ambito della parte terza del decreto impugnato il legislatore statale disciplina, alla Sezione Terza, la «Gestione delle risorse idriche», ivi compreso, al Titolo II, il «Servizio idrico integrato». La disciplina di tale servizio, come e' noto e come meglio si dira', spetta alle regioni, secondo il riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost. Ed infatti, nel tentativo di dare individuare il fondamento costituzionale della potesta' legislativa cosi' esercitata il legislatore statale precisa subito che la propria disciplina e' limitata ai «profili che concernono la tutela dell'ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane» (art. 141, comma 1, d.lgs. n. 152/2006). Sennonche', se dall'astratta enunciazione dell'art. 141 cit. si passano ad esaminare in concreto le successive disposizioni dettate dal legislatore statale, ci si avvede immediatamente che esse travalicano di gran lunga i legittimi ambiti di intervento statale. Appare infatti del tutto evidente come la normativa statale - quando non risulta ictu oculi del tutto estranea rispetto agli ambiti indicate all'art. 141, comma 1 - sia stata comunque emanata senza tenere nel dovuto conto il riparto costituzionale, come precisato dalla giurisprudenza di codesta ecc. ma Corte costituzionale: cio' tanto - in via generale - con riguardo alla ricostruzione delle «materie» di cui all'art. 117, secondo comma Cost. (evocate all'art. 141, comma 1, d l.gs. n. l52/2006: ambiente, concorrenza, livelli essenziali della prestazioni) operata dalla giurisprudenza costituzionale nel corso di questi ultimi anni, quanto - a livello particolare - con riferimento specifico all'inquadramento costituzionale del servizio idrico integrato, del quale la Corte ha avuto recentemente occasione di occuparsi. Con riferimento al primo dei due profili indicati (la ricostruzione delle materie), va infatti innanzitutto osservato come i titoli di competenza invocati dal legislatore statale consistano non gia' in «normali materie» di cui all' art. 117, secondo comma Cost. (le quali legittimerebbero una competenza statale legislativa esclusiva) ma piuttosto in «materie trasversali», le quali come ben noto se da un lato consentono un intervento statale con riferimento a qualunque materia, ivi comprese quelle riservate ex art. 117, comma quarto alla competenza esclusiva regionale, dall'altro, proprio per tale ragione, impongono che l'intervento statale sia limitato tassativamente alla disciplina di quanto e' strettamente necessario al conseguimento della finalita' cui la clausola trasversale medesima e' preordinata: pena, in caso contrario, il fin troppo evidente sostanziale svuotamento di qualunque prerogativa costituzionale delle regioni. Tali principi sono gia' stati bene e chiaramente evidenziati da parte di codesta Corte. Cosi', innanzitutto, con riferimento alla materia della «tutela dell'ambiente» (art. 117, secondo comma, lettera s), la Corte ha chiarito inequivocabilmente come sia da escludere che essa si configuri come «"materia" in senso tecnico» riconducibile ad una «sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze». Secondo la Corte, e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale" in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (Corte cost. n. 407-2002, punto 3.2 in diritto). Tale conclusione, del resto, emerge anche dai lavori preparatori della legge cost. n. 3/2001, i quali inducono «a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» di modo che si puo' quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato) (ancora Corte cost. n. 407 2002, cit. punto 3.2 in diritto). Considerazioni analoghe valgono anche per quanto riguarda la «tutela della concorrenza» (art. 117, lett. e), Cost.), la quale e' stata parimenti qualificata da codesta Corte come una «materia-funzione», caratterizzata da un'estensione non rigorosamente circoscritta e determinata, ma piuttosto trasversale dal momento che «si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni»: dal che consegue la necessita' di «di basarsi sul criterio di proporzionalita' -adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato», (Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto). Quanto alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.) essa appare del tutto estranea rispetto all'oggetto delle disposizioni statali relative al servizio idrico: e del resto codesta Corte ha gia' pacificamente escluso che essa possa essere invocata per giustificare una competenza statale in materia di servizi pubblici locali quale e' appunto il servizio idrico (cfr. Corte cost. 272-2004). Le motivazioni di tale esclusione si adattano perfettamente al caso presente: anche la disciplina dei servizi idrici recata dalle disposizioni qui impugnate infatti come gia' quella di cui all'art. 113, comma 7, secondo e terzo periodo, d.lgs. n. 267/2000 - «riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali (Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto). A conclusioni corrispondenti si deve giungere per quanto riguarda la materia relativa «alle funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metroolitane» di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., pure invocata dal decreto legislativo: considerato che la gestione dei servizi pubblici locali «non puo' certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale» (ancora Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto). Quanto allo specifico profilo relativo all'inquadramento del servizio idrico, va osservato come - nel corso dello scrutinio di costituzionalita' di una legge regionale avente ad oggetto proprio il servizio idrico integrato - la Corte abbia avuto recentissimamente modo di stabilire in modo assolutamente chiaro come «la materia dei servizi pubblici locali ... appartiene alla competenza residuale delle regioni» (Corte cost. n. 29/2006, punto 7 in diritto). Risulta pertanto inesatta nel decreto legislativo qui impugnato anche la collocazione della competenza regionale - nei limiti in cui essa e' riconosciuta nel solo ambito del «governo del territorio» (cfr. art. 142, comma 2). Tale disposizione, se pure mostra la consapevolezza dell'impossibilita' di ricondurre l'intero fenomeno del servizio idrico integrato alla sola competenza esclusiva statale, risulta anch'essa, come e' evidente dal confronto con quanto appena illustrato estremamente riduttiva della competenza regionale. In tale contesto, risulta dunque ampiamente confermato quanto sopra indicato: cioe' che e' innegabile la presenza di competenze legislative regionali costituzionalmente riconosciute in materia di servizio idrico integrato (per di piu', competenze di tipo esclusivo di cui all'art. 117, quarto comma Cost., con la conseguenza che l'operativita' delle richiamate «clausole trasversali», o «materie-funzione» di cui all'art. 117, secondo comma, cost., se da un lato e' ben in grado di fondare una concorrente legittimazione normativa statale, deve tuttavia tenere necessariamente conto delle intrecciate competenze regionali, e deve dunque essere esercitata nel rispetto dei principi di proporzionalita' e adeguatezza, dunque nella misura strettamente necessaria ad assicurare le finalita' indicate dalle citate «clausole trasversali». Ad avviso della ricorrente regione, i limiti dell'intervento statale sono stati superati in particolare nelle disposizioni di seguito indicate. I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 147, comma 2, lett. b), e art. 150, comma 1. L'art. 147, comma 2, lett. b), impone inderogabilmente la «unicita' della gestione» del servizio idrico all'interno di ciascun ambito territoriale. Tale previsione risulta innanzitutto incostituzionale in quanto, come dinanzi appena esposto, essa non trova fondamento in alcuna delle materie richiamate all'art. 141, comma 1, del d.lgs. n. 52/2006 (ne', peraltro, in nessun'altra di quelle elencate nell'art. 117, secondo comma, risultando al contrario assorbita nell'ambito della competenza residuale esclusiva regionale in tema di servizi pubblici locali ex art. 117, quarto comma cost. (come statuito dalla citata sentenza n. 29/2006 della Corte cost.). La disposizione dunque compie scelte che sono riservate al legislatore regionale. Si aggiunga che tali scelte costituiscono anche violazione del principio di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.), in quanto adottata senza tenere conto dei potenziali effetti negativi che essa e' in grado di produrre. Al riguardo si consideri come l'imposizione - sempre e comunque - di una gestione unica del servizio idrico mal si concili con le particolari esigenze e le peculiarita' delle singole realta' territoriali, le quali ben potrebbero invece consigliare - in casi particolari - una soluzione differente. Ed al riguardo si osservi come di tale realta' era ben consapevole il legislatore della legge Galli (legge n. 36/1994), il quale non a caso aveva previsto il diverso criterio della unitarieta' attraverso il superamento della frammentazione delle gestioni esistenti: ma non la rigida necessaria unicita' della gestione. Nel medesimo senso, peraltro, si era mosso anche il legislatore regionale il quale, con l.r. n. 25/1999, aveva fatto proprio il criterio dell'unitarieta', ma non della unicita' della gestione. Di conseguenza, oltre a confermare la compressione delle attribuzioni legislative regionali gia' legittimamente esercitate con la l.r. n. 25/1999 cit., la disposizione in parola risulta inoltre ulteriormente incostituzionale per eccesso di delega (art. 76 cost.), poiche' introduce in un decreto delegato di mero «riordino, coordinamento e integrazione della materia (cfr. art. 1, comma 1, legge n. 308/2004) una previsione del tutto nuova, che innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994) senza che nel testo della delega sia possibile rinvenire un reale fondamento a tale potere. Per le medesime ragioni e' incostituzionale pure l'art. 150, comma 1, nella parte in cui presuppone quale principio cui informare la gestione del servizio idrico quello della «unicita' della gestioni». II) illegittimita' costituzionale dell'art. 150, comma 2. La disposizione in questione stabilisce che l'aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato sia effettuata dall'Autorita' d'ambito - nel rispetto dei criteri di cui all'art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 67/2000, - «secondo modalita' e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». La disposizione risulta incostituzionale, per diverse ragioni. Innanzitutto, essa si pone in evidente contrasto con quanto gia' chiaramente affermato da codesta Corte, la quale - nel richiamarsi ai principi di proporzionalita' ed adeguatezza quali parametri indispensabili ai fini della conformazione dei limiti della potesta' esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza - ha gia' avuto modo di dichiarare l'incostituzionalita' del secondo e del terzo periodo dell'art. 113, comma 7, d.lgs. n. 267/2000, per la ragione che tali previsioni, per l'indicazione dell'estremo dettaglio dei criteri di aggiudicazione, vanno «al di la' della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara», realizzando una «illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiche' risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza l'intervento legislativo statale» (Corte cost. n. 272/2004, punto 3, in fine). In tale contesto, e' evidente che la disposizione qui impugnata opera una analoga - illegittima - compressione di quella operata dalla disposizione gia' caducata dalla Corte, con il riservare al livello statale la determinazione delle modalita' e dei termini d'aggiudicazione. Ne' si obietti che la definizione deve avvenire «nel rispetto delle competenze regionali in materia»: posto infatti che la Corte con la sentenza n. 272/2004 ha gia' chiarito che gli «aspetti concorrenziali inerenti alla gara ... appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di una serie di standard - coerenti con quelli contenuti nella direttiva 2004/18/CE - nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed aggiudicata», ne consegue che ogni previsione ulteriore si colloca con tutta evidenza al di la' di quanto consentito e richiesto dai principi di adeguatezze e proporzionalita', in palese compressione delle legittime facolta' delle Regioni., 2 Se cio' non bastasse, la disposizione e' ulteriormente incostituzionale in quanto anziche' disciplinare modalita' e termini di aggiudicazione con un atto legislativo, ne rimanda sorprendentemente la definizione ad un «decreto del Ministero dell'ambiente». Siamo cioe' in presenza di un atto normativo sostanzialmente regolamentare che interviene in materia riservata alla competenza esclusiva residuale delle regioni in materia di servizi pubblici locali ex art. 117, in palese violazione dell'art. 117, comma 6, Cost. Ne' si potrebbe salvare la disposizione affermando che l'intervento sarebbe comunque affidato ad un atto che non e' formalmente denominato «regolamento». E' infatti del tutto evidente che, cosi' ragionando, si ottiene l'effetto fin troppo scoperto di rendere tamquam non esset la citata previsione costituzionale: basta che il legislatore statale stia attento a non usare il nome «sbagliato» (o forse, corretto...) di «regolamento». D'altra parte, la prevalenza della forma sulla sostanza ai fini del riconoscimento della natura degli atti e' gia' pacificamente affermata da codesta Corte (cfr. sentenza n. 88/2003 e n. 12/2004). Fermi restando i motivi dinanzi esposti - ciascuno dei quali autonomamente assorbente ed invalidante - per completezza va notato come la disposizione sia comunque ulteriormente illegittima per eccesso di delega (art. 76 cost), in quanto introduce una disposizione innovativa in violazione da un lato dell'art. 1, comma 1, legge n. 308/2004 che impone il solo «riordino, coordinamento e integrazione» della materia (mentre la previsione innova radicalmente rispetto al sistema della legge Galli), dall'altro del d.lgs. n. 112/1998 (il cui rispetto e' invece imposto dall'art. 1, comma 8, della legge di delega), il cui art. 88 non riserva certo al livello di governo statale il compito di disciplinare le modalita' ed i termini per l'aggiudicazione della gestione del servizio idrico integrato. III) Illegittimita' costituzionale degli articoli 159-160. Gli artt. 159 e 160 dispongo la costituzione di una «Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti» - in realta', nella sostanza, un apparato ministeriale, - e ne disciplinano i molti e penetranti poteri. Anch'essi tuttavia risultano incostituzionali per le medesime ragioni gia' esposte. In primo luogo, ad essere illegittima e' innanzitutto la costituzione in se' dell'Autorita', in quanto di essa non vi e' alcun traccia nella legge di delega: che risulta dunque sotto tale punto violata. Sotto altro profilo, non si spiega come sia possibile la istituzione di un organismo centrale di tal sorta con riferimento ad un ambito - quello del servizio idrico integrato - che in quanto rientrante nel novero dei «servizi pubblici locali» e' affidato alla competenza esclusiva regionale ex art. 117, quarto comma Cost. (cfr. Corte cost., 29/2006; 272/2004). Del resto, sotto tale profilo, l'intervento statale risulta manifestamente lesivo delle prerogative della ricorrente, posto che la Regione Emilia-Romagna aveva gia' proceduto ad istituire una propria autorita' regionale di vigilanza (cfr. artt. 20 e 21 l.r. n. 25/l999). Del resto, l'attribuzione di funzioni amministrative ad un organo statale in assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione a livello statale costituisce al contempo violazione dell'art. 118, primo comma Cost., oltre ad essere radicalmente da escludere anche alla luce dei contenuti del d.lgs. n. 112/l998, che a tali funzioni non fa alcun accenno nel suo art. 88: con conseguente ulteriore eccesso di delega per violazione dell'art. 1, comma 8, legge n. l08/2004. E' al contrario evidente che una realta' quale quella del servizio idrico integrato si riferisce ad una dimensione che trascende l'ambito puramente locale, ma e' pienamente compresa in quello regionale, e non richiede affatto un esercizio unitario di funzioni amministrative a livello statale. In ogni caso, un'attrazione di tali potesta' ad opera della Stato potrebbe essere consentita - ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non e' nel presente caso) - previo reale coinvolgimento delle regioni nell'esercizio del potere, in ossequio al principi indicati con la nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost. Infine sotto un diverso profilo, le disposizioni impugnate appaiono incostituzionali per violazione del principio di ragionevolezza in quanto costituiscono un organismo denominato «Autorita» pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacita' tecnica e terzieta' che dovrebbero caratterizzare le «Autorita». IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 166, comma 1. L'art. 166, comma 1, disciplina gli «usi delle acque irrigue e di bonifica». La materia rientra, tuttavia, in parte nell'ambito della materia agricoltura, in parte nell'ambito dei lavori pubblici di interesse regionale: entrambi affidati alla competenza legislativa esclusiva delle regioni ex art. 117, quarto comma, Cost. Di qui l'illegittimita' dell'intervento normativo statale. In particolare, la normativa poi prevede una forma di silenzio-assenso da parte dell'Autorita' di bacino per l'utilizzo delle acque. Ma non spetta allo Stato di disciplinare il procedimento nelle materie regionali, come e' reso evidente dallo stesso art. 29, commi 1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul procedimento amministrativo. Sotto altro profilo, l'affidamento della competenza decisionale ad un organo non appartenete alla regione concreta al contempo una violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.: nella palesa assenza di una fondata ragione di attrazione a livello statale, per di piu' in assenza dell'imprescindibile concorso regionale come da sentenza 303/2003 Corte cost.) e del d.lgs. n. 112/1998 (artt. 88 e 89): con conseguente violazione sotto tale profilo dell'art. 1, comma 8, legge n. 308/2004 e conseguente incostituzionalita' per violazione dell'art. 76 Cost. In ogni caso, l'eccesso di delega emerge anche in considerazione della circostanza che la disposizione appare innovativa, risultando al contempo sfornita di qualunque copertura nella legge n. 308/2004. V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 172, comma 2. La disposizione dell'art. 172, comma 2, risulta incostituzionale nella parte in cui subisce negativamente il riflesso degli effetti della previsione di cui all'art. 147, comma 2, lett. b), la quale impone - come visto - l'obbligo della unicita' della gestione del servizio idrico integrato all'interno di ciascun Ambito territoriale. Venendo infatti ad insistere in una realta' che - normata dalla legge Galli e dalle leggi regionali di settore - ammetteva invece anche la possibilita' di piu' gestioni all'interno del medesimo ambito, nell'ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine di cui all'art. 113, comma 15-bis, d.lgs. n. 267/2000 si realizzerebbe la situazione paradossale della inapplicabilita' della gestione unica, ovvero della lesione dei diritti dei gestori con scadenze differenziate. Di qui, un'ulteriore conferma della illegittimita' dell'art. 147, comma 2, per violazione del principio di ragionevolezza. VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 176, comma 1. L'art. 176, comma 1, stabilisce che «le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione. E' tuttavia giurisprudenza costituzionale costante quella che nega la legittimita' di un'autoqualificazione di disposizioni come «di principio» a prescindere dai loro concreti contenuti e dal rigoroso rispetto dei criteri di riparto di cui all'art. 117 Cost. Di conseguenza, la qualificazione «in blocco» di tutte le disposizioni di cui alla Parte Terza - in gran parte peraltro, come esposto nei punti precedenti, relative a materie attribuite alla competenza legislativa regionale - come «di principio», appare in realta' del tutto arbitraria ed illegittima. Di qui la richiesta di declaratoria d'incostituzionalita' della disposizione, per violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione. D) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della Parte quarta, recante «Norme in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinanti». Del Titolo I (Gestione dei rifiuti) della Parte quarta (Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonfica dei siti inquinati) la regione ricorrente ha gia' impugnato, in separato ricorso, gli artt. 181, commi da 7 a 11 (concernente il c.d. recupero dei rifiuti); 183, comma 1 (concernente la definizione dei rifiuti); 186 (concernente le terre e rocce da scavo); 189, comma 3 (concernente gli obblighi di comunicazione relativi a certe categorie di rifiuti): chiedendone, in applicazione dell'art. 35 della legge n. 87/1953, come modificato dall'art. 9, comma 4, della legge n. 131/2003, la sospensione in quanto hanno decorrenza immediata e rischiano di provocare danni gravi e irreparabili all'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, all'ordinamento giuridico nazionale e regionale nonche' ai diritti dei cittadini alla salute e alla salubrita' dell'ambiente. Altre disposizioni della Parte quarta presentano pero' vizi rilevanti di legittimita' costituzionale per violazione delle competenze regionali. I) Illegittimita' dell'art. 195, commi 1-2. L'art. 195 (Competenze dello Stato) riscrive integralmente l'art. 18 del d.lgs. n. 22/1997, recante la medesima rubrica. Gia' questo suscita sorpresa, dato che la legge di delega n. 308/2004 prescrive che i decreti delegati devono essere formulati «nel rispetto..., delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112»: e l'art. 85 del d.lgs. n. 112/l998 (contenuto significativamente nella Sezione intitolata anch essa «Gestione dei rifiuti» a sua volta richiama espressamente il d.lgs. n. 22/l997 (e successiva modifica) per affermare che le competenze che «restano attribuite allo Stato, in materia di rifiuti» sono «esclusivamente» le funzioni e i compiti indicati in esso. In sintesi, l'art. 195 del decreto delegato riscrive proprio la norma che era tenuto a rispettare per espressa previsione della legge di delega! Naturalmente non si muoverebbero obiezioni al nuovo testo se esso fosse stato formulato allo scopo di adeguare l'elenco dei compiti trattenuti dallo Stato alla successiva riforma costituzionale del 2001. Ma non e' affatto cosi', come si puo' riscontrare esaminando in particolare alcune specifiche competenze riservate allo Stato come individuate dall'elenco contenuto nel primo comma della disposizione impugnata, come segue: 1) La lettera f), si occupa degli impianti di smaltimento. Mentre la lett. l) del d.lgs. n. 22/1997 riservava allo Stato la sola competenza di «indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti», l'attuale lett. f) riserva allo Stato «l'individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese». La ricorrente non contesta che lo Stato possa attrarre a se', agendo in sussidiarieta', funzioni di coordinamento per una piu' idonea localizzazione degli impianti di ricupero e di smaltimento e per rispondere ad esigenze che si manifestano su scala nazionale; tuttavia non sembra legittimo che: a) l'autorizzazione a «chiamare in sussidiarieta» nuove funzioni amministrative sia contenuta in un decreto delegato vincolato a rispettare il precedente riparto delle competenze, anziche' in un autonomo atto legislativo, necessariamente sottoposto ai vincoli procedurali derivanti dal principio di leale collaborazione (sent. n. 303/2003); b) l'individuazione sia operata «sentita» anziche' «previa intesa» con la Conferenza unficata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», dovendosi trattare, come codesta ecc.ma Corte ha ripetutamente indicato, di un coinvolgimento collettivo delle regioni tramite «intesa forte», e non limitato ad un semplice parere (cfr. sentt n.303/2003, 6/2004, 31/2005, 242/2005, 213 e 214/2006); c) l'individuazione del singolo impianto sia operata dallo Stato dopo aver consultato la Conferenza, e non a seguito di un'intesa con la singola regione interessata come ha chiaramente espresso la sent. 303/2003, secondo cui «diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina». 2) La lett. g) riserva allo Stato «la definizione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, di un piano nazionale di comunicazione e di conoscenza ambientale... sentita la Conferenza unificata». Non e' ben chiaro quali possano essere i contenuti di questo piano, ma una tale competenza statale e' comunque aggiuntiva rispetto all'elenco del d.lgs. n, 22/l997 e, in secondo luogo, se essa serve a coordinare le attivita' di tutela dell'ambiente svolte dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali appare indispensabile che regioni e enti locali siano coinvolti a pieno titolo nella sua elaborazione, e non solo attraverso la mera consultazione. Anche in questo caso, dunque, la violazione dei limiti della delega legislativa si sovrappone alla violazione del principio costituzionale di leale collaborazione. 3) La lett. n) attribuisce allo Stato «la determinazione, relativamente all'assegnazione della concessione del servizio per la gestione integrata dei rifiuti d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida per la definizione delle gare d'appalto ed in particolare dei requisiti di ammissione delle imprese, e dei relativi capitolati, anche con riferimento agli elementi economici relativi agli impianti esistenti». Ora, la gestione integrata dei rifiuti rientra nella materia «servizi pubblici locali che», che e' pacificamente attribuita alla potesta' legislativa residuale delle regioni dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (da ultimo sent. n. 29/2006). La disposizione impugnata risulta percio' illegittima non solo perche' «aggiunge» competenze statali all'elenco contenuto dal d.lgs. n. 22/1997, violando i limiti della delega legislativa, ma anche perche' assegna allo Stato compiti normativi di tipo regolamentare (con violazione dell'art. 117, sesto comma). Del resto, neppure fondandone la giustificazione sulle attribuzioni «esclusive» dello Stato in materia di tutela della concorrenza, la disposizione si salverebbe dalla censura: la disciplina delle gare d'appalto per l'assegnazione della concessione dei servizi pubblici, infatti, e' gia' soggetta a regolamentazione comunitaria e alla legislazione statale di attuazione. Sono quindi queste le fonti normative che le regioni devono tenere presenti nella loro attivita' di regolazione delle procedure, essendo ogni ulteriore intervento regolamentare o para-regolamentare ingiustificato, lesivo della loro attribuzione legislativa costituzionalmente tutelata e anche controproducente sul piano della stessa tutela della concorrenza: infatti esso provocherebbe una restrizione ulteriore all'accesso dei concorrenti, senza offrire alle imprese la certezza derivante dall'indicazione con legge della disciplina regolativa. La previsione di questo potere statale appare percio' anche lesiva dei canoni di ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza che questa codesta ecc.ma Corte ha posto a limite e parametro di giudizio degli interventi legislativi che lo Stato dispone in materia di servizi pubblici locali in nome della tutela della concorrenza (sent. n. 272/2004); infatti non si individuano le ragioni per cui sia necessario attrarre al centro, «chiamate in sussidiarieta» funzioni lato sensu normative (le «linee guida» sono infatti poi richiamate dal successivo art. 200) che avrebbero l'unico scopo di rendere omogenei criteri di formulazione dei bandi di gara che invece ben piu' opportunamente andrebbero modulati in considerazione delle specificita' della concreta situazione, ovviamente nel pieno rispetto delle regole generali stabilite dalla legislazione comunitaria, statale e regionale. 4) La lett. o) attribuisce allo Stato «la determinazione, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida inerenti le forme ed i modi della cooperazione fra gli enti locali, anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti nel medesimo ambito territoriale ottimale, secondo criteri di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicita». Anche questa e' una competenza «aggiunta» all'elenco della funzioni attribuite allo Stato dal d.lgs. n. 22/1997, in violazione quindi dei criteri della delega legislativa. Per di piu' si tratta di una evidente invasione delle competenze regionali residuali in materia di tariffazione dei servizi pubblici locali (sent. n. 272/2004), nonche' anche nella promozione delle forme di cooperazione tra gli enti locali (sentt. 244 e 456/2005). In sintesi, le disposizioni impugnate sono illegittime per violazione dell'art. 76 Cost., con compressione delle attribuzioni regionali e violazione dell'art. 117 Cost. e del principio costituzionale di leale collaborazione. II) Illegittimita' degli articoli 200, 201 e 203. Le disposizioni degli articoli 200, 201 e 203 disciplinano il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, attraverso l'individuazione di ambiti territoriali ottimali e l'istituzione di Autorita' d'ambito cui vengono assegnate le funzioni relative all'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti, la formulazione del contratto di servizio tra ATO e gestore. La scelta di organizzare il servizio per ambiti ottimali, assegnando alle corrispondenti Autorita' le funzioni relative alla gestione dei rifiuti, non e' affatto una scelta criticabile, tant'e' che la Regione Emilia-Romagna l'ha gia' accolta e attuata con la legge regionale 25/1999 (e successive modifiche). Tuttavia alla ricorrente non appare accettabile che lo Stato legiferi in una materia riservata alla competenza residuale delle regioni. Come gia' si e' rilevato in relazione all'art. 195 (punto 3 del motivo di ricorso), il servizio di gestione dei rifiuti urbani rientra nella materia «servizi pubblici locali», di certa appartenenza alle materie attribuite residualmente alla potesta' legislativa regionale (sentt. 272/2004 e 29/2006). In tale materia la legislazione statale puo' insinuarsi qualora muova da specifici titoli abilitativi, quali la tutela della concorrenza, la garanzia dei livelli essenziali, la tutela dell'ambiente ecc., oppure agisca «in sussidiarieta» ma in tutti questi casi, l'intromissione della legge statale - come la giurisprudenza costituzionale ha ormai solidamente affermato - e' vincolata al rispetto, da un lato, dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza e, dall'altro, delle regole della leale cooperazione, le quali pongono obblighi sempre piu' intensi man mano che la legge statale incida piu' profondamente nelle attribuzioni regionali; per di piu' la legislazione statale deve mantenersi a livello di principi generali e di definizione di obiettivi, non invece addentrasi nel dettaglio della disciplina organizzativa (cfr., tra le tante, le sentt. 6, 345 e 390/2004, 285/2005). Ora, nessuno dei titoli abilitativi elencati tra le attribuzioni legislative esclusive o concorrenti dello Stato puo' essere appropriatamente invocato a giustificazione delle disposizioni impugnate, le quali quindi potrebbero cercare una base costituzionale soltanto invocando il principio di sussidiarieta': ma questo principio puo' giustificare interventi volti ad assicurare il risultato - in termini di efficienza ed economicita' - della gestione di un servizio pubblico locale, non certo anche le sue modalita' organizzative, che non possono che appartenere al nucleo piu' interno della competenza legislativa regionale. Le disposizioni impugnate, invece, sia attraverso le norme poste, sia attraverso il richiamo alle «Linee guida» contenute nelle lett. m), n), e o) del precedente art. 195 (se ne vedano sopra gli specifici motivi di impugnazione), entrano nello specifico della disciplina degli ATO, sino ad occuparsi dell'assetto impiantistico, assegnando alle Regioni compiti specifici, indicando tempi e modalita' con cui esse li devono svolgere, regolando (ancora una volta con richiamo a «linee guida») anche le condizioni rispettando le quali le regioni possono derogare alla disciplina generale. Tutto cio' appare esorbitare dalle attribuzioni legislative statali ed incidere indebitamente nell'autonomia legislativa regionale. Altrettanto puo' dirsi della disciplina dello schema tipo del contratto di servizio da stipularsi con il gestore aggiudicatario, contenuta nell'art. 203: con l'osservazione aggiuntiva che per altro la Regione Emilia-Romagna ha gia' provveduto a disciplinare i contenuti delle convenzioni tipo e dei relativi disciplinari tecnici con la propria legge regionale 25/1999 e che tali convenzioni sono tutt'ora operanti sul territorio regionale. III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 202, commi 1 e 4. Le disposizioni contenute nei commi 1 e 4 dell'art. 202 sono in palese contrasto con il riparto della potesta' legislativa e regolamentare definito dall'art. 117 Cost. Infatti, come si e' sopra illustrato, la disciplina dei servizi pubblici locali e' di sicura attribuzione alla potesta' legislativa residuale delle regioni e, pertanto, e' escluso da essa il potere regolamentare dello Stato. Viceversa il comma 1 dell'art. 202 prevede che «l'Autorita' d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformita' ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' con riferimento all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specfiche dei concorrenti secondo modalita' e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia». La poco lineare scrittura della disposizione potrebbe lasciar intendere che il potere ministeriale sia limitato alla definizione dei criteri per fissare l'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta: ma tale interpretazione restrittiva non sarebbe comunque sufficiente a eliminare il vizio di incompetenza che inficerebbe l'attribuzione di poteri normativi all'autorita' ministeriale. Tuttavia tale interpretazione e' platealmente smentita dallo stesso atto di attuazione della disposizione in questione: infatti, con inconsueta tempestivita', e' stato emanato il 2 maggio 2006 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 maggio 2006, n. 108), il quale gia' dal titolo «Modalita' per l'aggiudicazione, da parte dell'Autorita' d'ambito, del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, ai sensi dell'articolo 202, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152») preannuncia una disciplina analitica, e in parte anche innovativa rispetto alla legislazione vigente, dell'aggiudicazione del servizio. Incautamente il preambolo del decreto ministeriale richiama l'art. 117 («il quale, fra l'altro, stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di tutela della concorrenza»), dimenticando che in nessun caso sarebbe ammesso il ricorso ad un atto regolamentare emanato dallo Stato unilateralmente - senza cioe' le dovute procedure ispirate ad una lettura «forte» del principio di leale collaborazione - per esercitare competenze «trasversali» che trovano la loro base costituzione nei titoli di competenza esclusiva dello Stato ma la loro applicazione nelle attribuzioni residuali (o concorrenti) delle regioni (sentt. 88/2003, 390/2004, 279/2005, 134/2006). Il comma 4 dell'art. 202, prevede il conferimento in comodato ai gestori aggiudicatari del servizio degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali in proprieta' degli enti locali. Essendo il comodato, ai sensi dell'art. 1803, comma 2, del cod. civ., «essenzialmente gratuito», la mancata previsione dell'accollo al gestore degli oneri e della passivita' (per esempio, eventuali ratei di mutui in essere relativi alle opere e agli impianti) appare lesiva delle attribuzioni comunali e del principio di equilibrio finanziario, perche' non consente ai comuni di stabilire un canone a carico del gestore con cui ricuperare i costi relativi agli investimenti effettuati. In definitiva, le disposizioni dell'art. 202, commi 1 e 4 si rivelano costituzionalmente illegittimi per violazione dell'art. 117, commi 4 e 6. IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 3. Le norme che disciplinano le gestioni esistenti del servizio di gestione dei rifiuti e, in particolare, il comma 3, che regola attraverso meccanismi particolarmente complessi e macchinosi, l'esercizio del potere sostituivo da parte del presidente della giunta regionale, rappresentano una regolamentazione analitica e di dettaglio che lo Stato non ha titolo di emanare in materia riservata alla potesta' residuale delle regioni. Lo Stato infatti e' indubbiamente legittimato a disciplinare il proprio procedimento di sostituzione degli enti inadempienti, ma non puo' intromettersi nella formulazione delle regole con cui la regione, anche in attuazione del proprio statuto, disciplina, anche attraverso la delega di funzioni agli enti locali, le attivita' di vigilanza, di controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei servizi pubblici locali. Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 3, per violazione dell'art. 117, quarto comma Cost. V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 207, comma 1. L'art. 207, comma 1, attribuisce all'«Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti» il compito di «garantire» e «vigilare» «in merito all'osservanza dei principi ed al perseguimento delle finalita' di cui alla parte quarta del presente decreto, con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia, all'economicita' ed alla trasparenza del servizio» Come gia' si e' evidenziato sub art. 159, l'Autorita' e' un apparato ministeriale la cui istituzione risulta illegittimita' sotto diversi profili: innanzitutto perche' di essa non vi e' alcuna traccia nella legge di delega: che risulta dunque sotto tale punto violata; in secondo luogo, perche' l'istituzione di un organismo centrale in materia di «servizi pubblici locali» qual e' il servizio di gestione dei rifiuti (come gia' si e' ampiamente argomentato, anche in riferimento alle sentt. 29/2006; 272/2004 di codesta ecc. Corte), lede la competenza esclusiva regionale ex art. 117, quarto comma; in terzo luogo, l'intervento statale risulta manifestamente lesivo delle prerogative della ricorrente, posto che la Regione Emilia-Romagna aveva gia' proceduto ad istituire una propria autorita' regionale di vigilanza (cfr. artt. 20 e 21, l.r. n. 25/1999); in quarto luogo perche' l'attrazione al centro di funzioni amministrative regionali, in assenza di reali motivi giustificativi, costituisce al contempo violazione del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma Cost.; in quinto luogo, perche' la centralizzazione di tali funzioni, modificando l'assetto delle competenze amministrative fissato dal d.lgs. n. 112/1998, segna un ulteriore eccesso di delega per violazione dell'art. 1, comma 8, legge n. 308/2004; in sesto luogo, perche' le disposizioni impugnate appaiono incostituzionali per violazione del principio di ragionevolezza in quanto costituiscono un organismo denominato «Autorita» pur in assenza dei caratteri di indipendenza, capacita' tecnica e terzieta' che dovrebbero caratterizzare le «Autorita». VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 214, comma 9. La disposizione impugnata, estende alle denunce, alle comunicazioni e alle domande disciplinate dalle precedenti norme di semplificazione delle procedure gli istituti della dichiarazione di inizio attivita' e del silenzio assenso, di cui ai novellati articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. A questa stregua, a condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche stabilite dai commi precedenti, l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attivita' alla sezione competente dell'Albo di cui all'art. 212. In questo modo la legge statale interviene in un ambito procedimentale riservato alla disciplina regionale, come risulta evidente dalla stessa disciplina della legge generale sul procedimento amministrativo, che all'art. 29, nel disciplinare il proprio ambito di applicazione, dispone (comma 1) che «le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali», e che (comma 2) «le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, cosi' come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». Non c'e' dunque dubbio che la scelta tra i diversi meccanismi procedimentali spetta alla competenza regionale. Inoltre, si sottolinea la grave incongruenza di estendere «in quanto applicabili» le regole del procedimento amministrativo che il richiamato art. 19, comma 1, esplicitamente esclude dalla materia «tutela dell'ambiente». Ancora, il meccanismo introdotto da tale disposizione crea una situazione di assoluta incertezza e di impossibilita' di svolgere controlli efficaci ex post, gravemente interferendo percio' con l'esercizio delle funzioni poste a carico delle amministrazioni regionale e locali. La contraddittorieta' della norme e l'effetto ricorsivo del richiamo incrociato (si estendano in quanto applicabili norme che si definiscono inapplicabili a quella materia) rendono estremamente ardua l'individuazione precisa degli obblighi posti a carico degli operatori e dei controlli che possono essere esercitati dall'autorita' pubblica, con grave pregiudizio per gli interessi ambientali e di tutela della salute gravanti sulla regione. Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 214, comma 9, per violazione degli artt. 117, 3 e 97 Cost. VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 215. L'art. 215 attribuisce all'Albo nazionale dei gestori ambientali, sezione regionale, competenze relative all'iscrizione delle imprese che effettuano la comunicazione di inizio attivita' di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti stessi (c.d. autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla vigilanza sul rispetto delle norme tecniche. Queste funzioni erano in precedenza attribuite alle province dall'art. 32 del d.lgs. n. 22/1997, richiamato - per interposizione del d.lgs. n. 112/1998 - dalla legge di delega che impone al legislatore delegato di mantenerne il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo. Le province vedono invece oggi ridimensionato il loro ruolo, poiche' la disposizione impugnata prevede che ad esse venga semplicemente data notizia dell'iscrizione delle imprese (comma 1) e che, accertato dall'Albo il mancato rispetto delle condizioni tecniche e dei requisiti prescritti, sia ancora l'Albo a proporre le relative azioni (divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attivita', salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'amministrazione). L'eccesso di delega si accompagna anche in questo caso alla violazione del riparto delle competenze amministrative fissato dal d.lgs. n. 112. Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 215 per violazione dell'art. 76 Cost. VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, per violazione degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6. Mentre la legge di delega prevedeva (art. 1, comma 9, lett. a) che il decreto delegato si occupasse della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani esclusivamente al fine di «assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una piu' razionale definizione dell'istituto» l'art. 238 contiene invece una integrale ridisciplina della tariffa, che viene trasformata anche concettualmente. Infatti viene restaurata (con abrogazione della precedente disciplina contenuta nel c.d. «decreto Ronchi») la «tassa» sui rifiuti, commisurata su indici quali l'estensione dei locali detenuti e «indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (comma 2), anziche' sul parametro della effettiva produzione dei rifiuti, come sarebbe corrispondente al principio comunitario «chi inquina paga»: sicche' resta del tutto in ombra la natura di «tariffa» commisurata quale corrispettivo della prestazione di un servizio. Inoltre, «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» vengono determinati, in base al comma 6, da un regolamento ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-regioni. Ma l'analitica disciplina statale e la espressa attribuzione di poteri normativi ministeriali, sovraordinati a quelli delle regioni (gia' da tempo esercitati dalla regione ricorrente, con la legge regionale n. 25/1999), violano la competenza legislativa propria, spettante alle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost., in quanto strettamente correlata alla disciplina e alla politica dei servizi pubblici locali, nonche' il riparto della potesta' regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma. Il metodo tariffario - se correttamente inteso - e' componente connaturata alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (qual e' il servizio di gestione dei rifiuti) ed e' di sicura spettanza regionale (cfr. le motivazioni riportate sub art. 195, al punto 4 della motivazione). Non spetta, quindi, allo Stato determinare i componenti di costo della tariffa, se la politica di regolazione e di organizzazione del servizio pubblico locale, afferente alla gestione dei rifiuti, e' demandata alla cura regionale che, anche attraverso il metodo tariffario, puo' perseguire precise scelte in materia. Ne' si vede quale sia la base costituzionale che consenta allo Stato di avocare a se' tali determinazioni: su tale presupposto, d'altronde, codesta stessa Corte ha rigettato l'impugnazione governativa proposta avverso la legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 7/2004, disciplinante il metodo tariffario regionale sul servizio idrico, in relazione alla rilevata insufficienza di argomentazioni addotte a sostegno di una competenza statale in materia (sentenza n. 335/2005). La norma impugnata non tiene in alcun conto il riparto della potesta' legislativa fra Stato e regioni fissato dall'art. 117, comma 4, in materia di disciplina dei servizi pubblici locali (e violano, altresi', l'autonomia finanziaria e tributaria delle regioni, garantita dall'art. 119, commi 1 e 2 Cost.), ricadente nella competenza regionale, ma fuoriescono anche dall'oggetto e dai limiti della delega: infatti e' del tutto evidente che la disciplina tariffaria del servizio non trova fondamento nell'art. 117, secondo comma, lett. s), che si occupa della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», non gia' del regime tariffario di un servizio pubblico. Infine, come si evince dal comma 5, nei primi quattro anni successivi all'emanazione del regolamento ministeriale, non e' affatto assicurata l'integrale copertura dei costi del servizio: il che si riflette sull'equilibrio finanziario, sul buon andamento e sulla qualita' di servizi essenziali per la collettivita'. In definitiva, la disposizione impugnata risulta illegittima per violazione degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6, Cost. E) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni della Parte quinta, recante «Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera». I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 10. La disposizione dell'art. 281 invade le competenze regionali di programmazione - pianificazione in quanto subordina ad «intesa» con il Ministero l'adozione di atti generali che stabiliscono «valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, piu' severi di quelli fissati dagli allegati al presente titolo, purche' cio' risulti necessario al conseguimento del valori limite e dei «valori bersaglio di qualita' dell'aria». Come codesta ecc. Corte ha piu' volte ribadito, la tutela dell'ambiente - nel cui ambito materiale la disposizione sicuramente rientra - e' un «valore costituzionale» che delinea una sorta di materia «trasversale», «in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (sent. 407/2002). Ovviamente spetta allo Stato fissare il «punto di equilibrio» tra interessi costituzionalmente protetti (sent. 307/2003), ma cio' si puo' realizzare attraverso norme legislative di principio (sentt. 331/2003, 212 e 216/2006), non certo imponendo alle regioni di procedere esclusivamente con uno specifico strumento pianificatorio e a sottostare ad una sorta di nulla osta da parte dell'autorita' amministrativa. Cio' equivale ad una indebita restrizione degli strumenti con cui la regione puo' perseguire obiettivi di miglioramento della qualita' dell'ambiente (in indiretta violazione dell'art. 9 Cost.) attraverso l'esercizio delle attribuzioni legislative e amministrative che le sono riconosciute dalla Costituzione, nonche' di quelle, specificamente attinenti al controllo dell'inquinamento atmosferico, conferite dall'art. 84 del d.lgs. n. 112/1998. In questo senso dispone del resto l'art. 8 del d.lgs. n. 59/2005, che da' attuazione alla direttiva 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, che correttamente consente di prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali, misure supplementari particolari piu' rigorose «se, a seguito di una valutazione dell'autorita' competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure piu' rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualita' ambientale». Mentre, per altro verso, la regione puo' essere tenuta ad intervenire con provvedimenti volti a restringere i limiti di emissione anche in applicazione di specifiche norme comunitarie, come quelle contenute nella direttiva 2001/80/CE, relativa ai grandi impianti di combustione, non ancora attuata dallo Stato benche' ormai abbondantemente scaduta. La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per violazione degli artt. 9, 117 e 118 Cost. II) Illegittimita' costituzionale dell'art 287. La disposizione censurata disciplina il «patentino» di cui deve essere munito il personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW, prevedendo che esso sia rilasciato (e revocato) dall'Ispettorato provinciale del lavoro. Da un lato questa disposizione viene ad incidere su funzioni amministrative conferite dall'art. 84 del d.lgs. n. 112/1998 alle regioni: la Regione Emilia-Romagna infatti le ha disciplinate con la legge regionale n. 3/1999 (art. 123), attribuendo le relative funzioni amministrative alle province. Percio' la norma e' viziata anche da violazione dei limiti posti dalla legge di delega, che prescrive il rispetto del riparto di competenze stabilito dal decreto 112. Dall'altro lato, l'articolo in questione, prescrivendo che il patentino sia rilasciato «al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell'esame finale» (comma 1) e che la disciplina dei corsi e degli esami di cui al comma 1 e delle revisioni dei patentini sia stabilita dal decreto ministeriale, viola le competenze residuali attribuite alle regioni dall'art. 117, comma quarto, in materia di formazione professionale. La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per violazione degli artt. 117, comma 4, 118 e 76 Cost. III) Illegittimita' costituzionale dell'Allegato IV alla Parte quinta, parte I, punto 4, lett. z). In questo parte dell'Allegato, che riguarda l'attivita' e gli impianti in deroga, di cui all'art. 272, comma 1, per escludere la necessita' di autorizzazione si ricorre ad un criterio che non ha relazione plausibile con le emissioni in atmosfera. Infatti si fa riferimento non al numero dei capi ospitati dalla azienda, ma alla estensione del terreno di cui essa dispone e in cui viene effettuata l'utilizzazione agronomica degli effluenti. Cio' comporta che anche allevamenti di ingenti dimensioni, che producono un impatto significativo sull'ambiente in termini di emissioni in atmosfera nella varie fasi di stoccaggio, spandimento ecc., non siano soggetti ad autorizzazione. La norma appare irrazionale e lesiva degli interessi ambientali in cura alla regione, con conseguente contrasto con gli stessi principi direttivi fissati dalla legge di delega: inoltre essa incide restrittivamente sulle attribuzioni legislative regionali in materia di agricoltura e zootecnia, poiche' impedisce alla Regione di perseguire efficacemente, nell'esercizio di quelle competenze, obiettivi di migliore qualita' dell'aria e di minore impatto delle attivita' dell'industria zootecnica su di essa. La disposizione impugnata risulta percio' illegittima per violazione degli artt. 3, 9, 76 e 117 Cost.