Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore, autorizzato con deliberazione
della   Giunta   regionale   n. 785  del  5  giugno  2006  (doc.  1),
rappresentata  e  difesa  -  come  da procura rogata dal notaio dott.
Federico  Rossi,  in  data  6  giugno  2006, rep. n. 50821 (doc. 2) -
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco
Mastragostino  di  Bologna  e  dall'avv.  Luigi  Manzi  di  Roma, con
domicilio   eletto   in   Roma  nello  studio  dell'avv.  Manzi,  via
Confalonieri, 5;

    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   del   decreto
legislativo  3  aprile  2006,  n. 152, «Norme in materia ambientale»,
pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, Suppl.
ordinario n. 96/2006, con riferimento agli articoli:
        VIA,  VPC,  IPPC: art. 5, comma 1, lett. e), g), m); art. 12,
comma 2; art. 23, comma 4; art. 24, comma 1, lett. b); art. 25, comma
1, lett. a); art. 26, comma 3; art. 28, comma 2, lettera b); art. 33;
art.  35, comma 1, lett. a) e b); art. 42, comma 1; art. 51, commi 1,
3, 5;
        Difesa suolo, tutela acque: art. 57, commi 1, 4 e 6; art. 58;
art.  59; art. 70; art. 72; art. 96; art. 101; art. 104, commi 3 e 4;
art.  113,  comma 1; art. 114, comma 1; art. 121; art. 124, commi 4 e
5;
        Servizio  idrico  integrato:  art.  147, comma 2, lettera b);
art.  150,  commi  1 e 2; art. 159; art. 160; art. 166, comma 1; art.
172, comma 2; art. 176, comma 1;
        Rifiuti: art. 195, commi 1 e 2; art. 200; art. 201; art. 202,
comma  1;  art.  203; art. 204, comma 3; art. 207, comma 1; art. 214,
comma 9; art. 215, comma 1; art. 238, commi 1 e 2;
        Emissioni  in  atmosfera: art. 281, comma 10; art. 287, comma
1;  Allegato  IV  alla  parte  quinta (attivita' in deroga), parte I,
punto 4, lett. z); per violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost., del
principio  di  leale collaborazione, del principio di ragionevolezza,
del  principio  di  legalita', nonche' dei principi e delle norme del
diritto comunitario, nei modi e per i profili di seguito indicati.
    Si  premette  che  la  Regione Emilia-Romagna ha gia' proposto un
ricorso  avverso  talune  disposizioni del decreto legislativo n. 152
del  2006  per  le quali essa riteneva urgente richiedere altresi' la
sospensione  delle  norme  impugnate. Tale ricorso e' pendente con il
n. 56/2006 del Registro ricorsi.
    Gia'  in  sede  di  delibera  di  tale ricorso, e poi nel ricorso
stesso, la regione si e' espressamente riservata di impugnare, sempre
nel  rispetto  dei  termini costituzionali, altre disposizioni lesive
delle   competenze   regionali   contenute   nello   stesso   decreto
legislativo.
    Il  presente  ricorso,  anch'esso  ritualmente  deliberato con la
deliberazione   sopra   menzionata,   completa   dunque   il   quadro
dell'impugnazione  proposta  dalla  Regione Emilia-Romagna avverso il
decreto legislativo n. 152 del 2006.
    Dei  due  ricorsi  si chiede sin d'ora la riunione, ai fini della
trattazione di merito.

                              F a t t o

   e   d i r i t t o      La  parte  narrativa  relativa  al  decreto
legislativo  3  aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale» e'
gia'  stata  svolta  nel ricorso n. 56 del 2006, e ad evitare inutili
duplicazioni ad essa qui ci si richiama.
    Ugualmente, ci si richiama a quanto esposto nel ricorso n. 56 del
2006  in relazione ai vizi procedurali che inficiano l'intero decreto
legislativo,  in particolare alla «Violazione della legge di delega e
del  principio  di  leale collaborazione», che nel ricorso n. 56 sono
stati illustrati al punto e).
    Di  seguito,  dunque,  si  prospettano  i  motivi di impugnazione
avverso  le ulteriori disposizioni del decreto legislativo n. 152 del
2006,  la  cui  impugnazione  e'  stata  deliberata  dalla ricorrente
Regione  con  la  deliberazione  della  Giunta  regionale  citata  in
premessa.
    Per  maggiore  chiarezza espositiva, i motivi del ricorso vengono
raggruppati  secondo l'articolazione delle parti maggiori del decreto
legislativo.
    A)  Illegittimita'  costituzionale delle disposizioni della parte
seconda,  recante «procedure per la valutazione ambientale strategica
(VAS),   per   la   valutazione  d'impatto  ambientale  (VIA)  e  per
l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC).».
    I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. e) e
g);
    L'art. 5, comma 1, lett. e), definito il concetto di «progetto di
un'opera  od  intervento»  dispone  che  la  valutazione  di  impatto
ambientale  viene  eseguita  sui progetti preliminari senza prevedere
correlativamente   un   obbligo  automatico  di  sottoposizione  alle
medesime  procedure dei successivi progetti definitivi che contengano
(rispetto ai progetti preliminari sottoposti a valutazione) modifiche
progettuali o nell'utilizzo delle risorse naturali o nelle immissione
di inquinanti.
    Tale  disposizione  appare in contrasto con le disposizioni delle
direttive  85/337/CEE  e  97/11/CE  (art. 2,  comma 1 ed Allegato II,
punto  13),  che  tale  obbligo  invece  prevedono.  Si noti che tale
aspetto  e'  gia'  stato  oggetto  del formale avvio (con l'invio del
parere  motivato  2002/5170  del 18 ottobre 2005) di una procedura di
infrazione  della  Commissione  europea  nei confronti delle analoghe
previsioni  della legge obiettivo (d.lgs. n. 190/2002, art. 20, comma
5).
    Si  noti  che  la  lacuna non e' affatto coperta dalla successiva
lett. f), che riguarda «la modifica di un piano, programma o progetto
approvato»,  e  non  il passaggio tra progetto preliminare e progetto
definitivo,  ne'  dalla successiva lett. g), che riguarda la modifica
sostanziale di un'opera o intervento.
    Si  noti  ancora  che  la problematica della suddivisione in fasi
delle  procedure  di realizzazione delle opere, e dell'emergere della
necessita' della valutazione d'impatto (o in questo caso di una nuova
valutazione   d'impatto)   in   fasi   successive   e'  emersa  anche
all'attenzione  della Corte di giustizia, la quale ha sempre ribadito
l'obbligo  delle procedure di valutazione in qualunque fase ne emerga
la  necessita'  (cfr.  sentenze  4  maggio  2006, causa C-290/03, e 4
maggio 2006, causa C-508/03).
    L'art. 5,  comma  1, lett. g), definisce la «modifica sostanziale
di  un'opera  o intervento» ed in questo contesto stabilisce che «per
le  opere  o  interventi  per  i  quali  nell'Allegato III alla parte
seconda  del  presente  decreto  sono  fissate  soglie  dimensionali,
costituisce  modifica  sostanziale anche l'intervento di ampliamento,
potenziamento   o   estensione   qualora  detto  intervento,  in  se'
considerato,  sia  pari  o  superiore  al  trenta  per  cento di tali
soglie.».
    Tale disposizione appare direttamente confliggere con il punto 8,
della   Direttiva   2003/35/CE,   che   ha   previsto  l'integrazione
dell'Allegato  I  della  direttiva  85/337/CEE  come modificata dalla
direttiva  97/11/CE  con  il  seguente  punto  «22.  Ogni  modifica o
estensione  dei  progetti  elencati  nel  presente  allegato,  ove la
modifica  o  l'estensione  di  per  se'  sono conformi agli eventuali
valori limite stabiliti nel presente allegato».
    In  altre  parole,  risulta  contrario alla normativa comunitaria
prevedere che le soglie stabilite debbano essere superate di oltre il
trenta  per cento: se tale e' il significato della disposizione della
lett. g), per vero non del tutto chiaro.
    II)  Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. m)
e dell'art. 12, comma 2.
    L'art. 5,   comma   1,   lett.   m)  definisce  il  «giudizio  di
compatibilita'   ambientale»   come  l'atto  con  il  quale  l'organo
competente conclude la procedura di valutazione ambientale strategica
o di valutazione di impatto ambientale.».
    A sua volta, l'art. 12, comma 2, dispone che l'autorita' preposta
alla  valutazione  ambientale entro un determinato termina «emette il
giudizio   di   compatibilita'  ambientale»,  il  quale  «costituisce
presupposto  per la prosecuzione del procedimento di approvazione del
piano  o  del  programma» e «puo' essere condizionato all'adozione di
specifiche  modifiche  ed  integrazioni  della  proposta  del piano o
programma valutato».
    Occorre  ricordare  che  tanto l'art. 5 quanto l'art. 12 non solo
valgono  anche  per  le  VAS di competenza regionale ma rientrano tra
quelli  che  anche  le  future leggi regionali dovranno rispettare, a
termini dell'art. 22, comma 1.
    Risulta  dunque  evidente  che  tali  disposizioni configurano la
procedura di VAS ed il suo esito in termini essenzialmente assimilati
a   quelli   della   procedura   di   VIA,  senza  tenere  in  debita
considerazione   le   differenze   sostanziali   dei   due   processi
decisionali,  come  stabilite  per  i  due differenti strumenti nelle
direttive europee.
    Conviene  qui  ricordare che la proposta direttiva avanzata dalla
Commissione  (GUC  129  del 25 aprile 1997, pag. 14, e GU C 83 del 25
marzo 1999, pag. 13) lasciava alla decisione dei singoli Stati membri
se  prevedere  la VAS come procedura di ulteriore autorizzazione (dal
punto  di  vista  ambientale)  del  piano  o  programma,  oppure come
processo  di  integrazione delle tematiche ambientali nella procedura
di approvazione del piano o programma.
    La  direttiva  2001/42/CE, approvata ed oggi vigente, ha compiuto
la  scelta  di  prevedere  la  «Valutazione  ambientale»  dei piani e
programmi  come  processo  di integrazione delle tematiche ambientali
nella  procedura  di  approvazione  del piano o programma, eliminando
l'ipotesi   di   una  ulteriore  procedura  di  autorizzazione.  Tale
direttiva   prevede   in  realta'  -  come  emerge  da  numerose  sue
disposizioni  una fortissima integrazione tra tematiche (ed autorita)
ambientali e tematiche (ed autorita) dei settori interessati.
    A  questa  stregua,  la  VAS non puo' essere configurata come uno
specifico provvedimento autorizzativo di una autorita' sull'altra, ma
deve  essere  concepita  come  un  processo  decisionale della stessa
pubblica amministrazione che approva il piano o programma, e lo scopo
della direttiva e' garantire che il processo decisionale possa tenere
conto adeguatamente dei fattori ambientali.
    Cio'  e'  evidente,  ad  esempio,  nella  stessa  definizione che
l'art. 2  della  direttiva  da'  di  «valutazione  ambientale»,  come
«l'elaborazione  di un rapporto di impatto ambientale, lo svolgimento
di  consultazioni,  la  valutazione  del  rapporto  ambientale  e dei
risultati  delle  consultazioni  nell'iter  decisionale  e la messa a
disposizione   delle   informazioni  sulla  decisione»  a  norma  dei
successivi articoli da 4 a 9.
    Come  si  vede, la direttiva non solo non implica, ma addirittura
esclude  che  si  possa  configurare  la  valutazione ambientale come
l'oggetto  di  uno  specifico  provvedimento  autorizzatorio  che una
autorita'  specializzata assume in relazione all'autorita' competente
all'approvazione del piano.
    L'art. 12,  comma  2,  del decreto 152 individua, all'opposto, un
iter     in     cui     la     valutazione     ambientale     e    la
pianificazione/programmazione non si intersecano e non si fondono, ma
rimangono  come  fasi  consequenziali e sostanzialmente separate, con
una  relazione sostanziale non di integrazione ma di gerarchia di una
autorita'  -  quella  che «emette» (secondo la testuale dizione della
legge) il «giudizio di compatibilita' ambientale» - sull'altra quella
che  approva  il  piano  o un programma, e che, ben lungi dall'essere
messo  in  grado  di  formulare  meglio  il  giudizio  proprio,  deve
semplicemente sottostare al giudizio altrui.
    In  quanto  tale evidente scostamento della norma statale divenga
norma  da applicare da parte delle regioni ed addirittura vincolo (v.
art. 22, comma 1) alla futura legislazione regionale, esso si traduce
in immediata lesione delle garanzie costituzionali delle regioni.
    III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4
    L'art. 23, comma 4, dispone come segue:
        «Possono   essere  esclusi  dal  campo  di  applicazione  del
presente  titolo  i  progetti  di  ( seguito elencati che, a giudizio
dell'autorita'   competente,  non  richiedano  lo  svolgimento  della
procedura di valutazione di impatto ambientale:
          a)  i  progetti  relativi  ad opere ed interventi destinati
esclusivamente a scopi di difesa nazionale;
          b)  i  progetti  relativi  ad opere ed interventi destinati
esclusivamente  a  scopi  di  protezione  civile,  oppure disposti in
situazioni   di  necessita'  e  d'urgenza  a  scopi  di  salvaguardia
dell'incolumita'  delle  persone da un pericolo imminente o a seguito
di calamita';
        c)  i progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, ivi
comprese  quelle necessarie esclusivamente ai fini dell'esecuzione di
interventi di bonifica autorizzati».
    La  disposizione,  contrasta  con la normativa comunitaria di cui
alla direttiva 85/337/Cee (come modificata dalla direttiva 97/11/CE e
dalla  direttiva  2003/35/CE),  che prevedono l'esclusione solo per i
progetti  relativi ad opere ed interventi destinati a scopi di difesa
nazionale (art. 1, comma 4).
    Quanto  ai  progetti  relativi ad opere ed interventi destinati a
scopi  di protezione civile o disposti in via d'urgenza, come pure ai
progetti  relativi  ad  opere  di  carattere temporaneo, essi possono
essere  esclusi  dalla  VIA  soltanto  alle  condizioni  e secondo le
modalita' di cui all'art. 2, comma 3 della stessa direttiva.
    Questa  norma dispone che «gli Stati membri, in casi eccezionali,
possono  esentare  in  tutto  o  in parte un progetto specifico dalle
disposizioni  della presente direttiva»: ma e' evidente che si tratta
di  un  potere  da  esercitare  caso  per  caso,  e non per categorie
predefinite  dalla legge. Inoltre, la stessa disposizione prevede che
in  tali  casi  gli  Stati membri esaminino se sia opportuna un'altra
forma   di  valutazione,  mettano  a  disposizione  del  pubblico  le
informazioni   raccolte   con  le  altre  forme  di  valutazione,  le
informazioni  relative  alla  decisione di esenzione e le ragioni per
cui  e'  stata  concessa e infine informino la Commissione, prima del
rilascio dell'autorizzazione, dei motivi che giustificano l'esenzione
accordata e le forniscono le informazioni che mettono eventualmente a
disposizione dei propri cittadini.
    Risulta   evidente   che  la  esenzione  di  cui  alla  normativa
impugnata,  disposta  a  priori  e senza alcuna ulteriore modalita' o
procedura,  viola  il  diritto  comunitario  e, nella parte in cui si
riferisce  alle  procedure  regionali  e  pretende  di  vincolare  il
legislatore  regionale  (cfr.  art. 43, comma 1) risulta al di la' di
ogni dubbio lesiva delle garanzie costituzionali delle Regioni.
    IV)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 24, comma 1, lett.
b).
    L'art. 24, comma 1, lett. b), nel disciplinare le Finalita' della
via  dispone  che  «per  ciascun  progetto siano valutati gli effetti
diretti  ed indiretti della sua realizzazione sull'uomo, sulla fauna,
sulla  flora,  sul  suolo,  sulle  acque di superficie e sotterranee,
sull'aria,  sul  clima,  sul  paesaggio  e sull'interazione tra detti
fattori,   sui   beni   materiali   e  sul  patrimonio  culturale  ed
ambientale».
    La  formulazione  di  tale  disposizione viola, forse per un mero
errore  nel riferimento normativo, l'art. 3, comma 1, del1a direttiva
85/337/CEE  come modificata dalla direttiva 97/11/CE, che prevede che
la   valutazione  dell'interazione  non  sia  limitata  agli  effetti
«sull'uomo,  sulla  fauna,  sulla  flora,  sul  suolo, sulle acque di
superficie  e  sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio» (cui
poi  si  aggiungerebbe,  al di fuori dell'interazione, la valutazione
degli  effetti  sui  beni  materiali  e  sul  patrimonio culturale ed
ambientale),  ma  sia  estesa  agli stessi fattori «beni materiali» e
«patrimonio culturale ed ambientale».
    In  effetti,  il  testo  vigente  di  tale art. 3, comma 1, della
direttiva  85/337,  dopo  la,  modifica  intervenuta con la direttiva
97/11, e' il seguente:
        «La valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e
valuta,  in  modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma
degli  articoli  da  4  a  11,  gli effetti diretti e indiretti di un
progetto sui seguenti fattori:
          l'uomo,  la  fauna e la flora il suolo, l'acqua, l'aria, il
clima  e  il  paesaggio; i beni materiali ed il patrimonio culturale;
l'interazione  tra  i  fattori  di  cui  al  primo,  secondo  e terzo
trattino.».
    Puo' sembrare che sia una differenza marginale, ma in realta' non
lo  e'  o  comunque  il  legislatore comunitario non l'ha considerata
tale, avendola appositamente introdotta.
    Inoltre,  la difformita' della normativa italiana, gia' contenuta
nelle  previgenti  disposizioni, e' gia' stata oggetto di un avvio di
procedura  di  infrazione,  con  il parere motivato 2003/2049 C(2005)
2341 del 5 luglio 2005.
    Tale  difforme  disposizione  del  d.lgs.  n. 152 del 2006, nella
parte  in  cui  si riferisce alle ( procedure regionali e pretende di
vincolare  il  legislatore  regionale (cfr. art. 43, comma 1) risulta
anch'essa lesiva delle garanzie costituzionali delle regioni.
    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1, lett. a),
dell'art.  35,  comma  1  lett. b) e dell'art. 42, comma 1, in quanto
assegnano  allo  Stato  la competenza per la VIA relativa ai progetti
aventi impatto interregionale. Illegittimita' costituzionale altresi'
dell'art. 35, comma 1, lett. a) ove inteso in senso estensivo.
    L'art. 25,  comma 1, lett. a) riserva al Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio la competenza alla VIA «per i progetti di
opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli
aventi   impatto   ambientale   interregionale   o   internazionale»;
precisando  tale  disposizione,  l'art. 35  dispone  che  «compete al
Ministro   dell'ambiente   e  della  tutela  del  territorio  ...  la
valutazione di impatto ambientale dei progetti di opere ed interventi
rientranti  nelle  categorie  di  cui  all'art. 23 nei casi in cui si
tratti:  a)  di  opere o interventi sottoposti ad autorizzazione alla
costruzione  o  all'esercizio  da  parte di organi dello Stato; b) di
opere  o  interventi localizzati sul territorio di piu' regioni o che
comunque   possono   avere   impatti  rilevanti  su  piu'  regioni.».
Corrispondentemente, l'art. 42, relativo ai Progetti sottoposti a VIA
in  sede  regionale  o  provinciale,  afferma  chesono  sottoposti  a
valutazione  di  impatto ambientale in sede regionale o provinciale i
progetti  di  opere  ed  interventi rientranti nelle categorie di cui
all'art.  23,  salvo  si  tratti  di opere o interventi sottoposti ad
autorizzazione  statale  o aventi impatto ambientale interregionale o
internazionale ai sensi dell'art. 35».
    Risulta  dunque evidente che il nuovo decreto legislativo assegna
alla competenza statale non solo la VIA per le opere e gli interventi
soggetti ad autorizzazione statale, ma anche quella relativa ad opere
ed  interventi  che  abbiano semplicemente un rilievo per piu' di una
regione.
    La  ricorrente  regione  ritiene che, alla stregua del riparto di
competenze  di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione
dopo la riforma del 2001, la competenza per le opere e gli interventi
non  soggetti  ad  autorizzazione statale non possa che spettare alle
regioni,  anche  se si tratti di opere che interessano piu' regioni o
che comunque recano un impatto su piu' territori regionali.
    Infatti,  se  e' vero che anche il decreto legislativo n. 112 del
1998  -  sempre comunque nel precedente quadro costituzionale - aveva
mantenuto  allo  Stato  la  competenza  alla  VIA per «le opere e gli
impianti  il  cui  impatto ambientale investe piu' regioni» (art. 71,
comma  1,  lett.  a),  e' anche vero che il comma 2 precisava che con
atto  di  indirizzo  e  coordinamento  sarebbero state individuate le
specifiche  categorie  di  opere,  interventi e attivita' attualmente
sottoposti  a valutazione statale di impatto ambientale da trasferire
alla  competenza  delle regioni a condizione (come stabiliva il comma
3) della vigenza della legge regionale della VIA».
    Ed   in   realta'   gia'   il  precedente  atto  di  indirizzo  e
coordinamento  di  cui  al d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e
coordinamento  per  l'attuazione  dall'art. 40  comma  1, della legge
n. 146/1994,  concernente  disposizioni  in materia di valutazione di
impatto ambientale) all'art. 11 (Procedure per i progetti con impatto
ambientale interregionale) prevedeva che le regioni assicurassero «la
definizione  delle  modalita'  di  partecipazione  alla  procedura di
valutazione d'impatto ambientale delle regioni confinanti nel caso di
progetti   che   possono  avere  impatti  rilevanti  anche  sul  loro
territorio  ovvero  di  progetti  localizzati  sul territorio di piu'
regioni   evidentemente   presupponendo   la   perdurante  competenza
regionale   in   relazione   all'impatto   ambientale   dell'opera  o
dell'intervento.
    Riprova  se  ne ha nella legislazione regionale che e' seguita ed
ha continuato a seguire:
        in  pratica tutte le normative regionali sulla VIA contengono
disposizioni    che    garantiscono   il   coordinamento   dellegioni
direttamente    interessate    nel   caso   di   impatti   ambientali
interregionali  sia  nella  forma di informazione e consultazione sia
nella  forma  di  codecisione  tramite  una  intesa  tra  le  regioni
interessate.
    In  particolare,  la legge della regione Emilia-Romagna 18 maggio
1999,  n. 9 (modificata dalla l.r. 16 novembre 2000 n. 35), dedica il
Titolo  IV  alle Procedure di V.I.A. interregionali e sovraregionali.
Cosi' ad esempio - senza che si debba qui esporre l'intera disciplina
-   l'art. 19  disciplina  le  Procedure  per  progetti  con  impatti
ambientali  interregionali  prevede  l'intesa  con  le  altre regioni
interessate  per  il  caso di «progetti che risultino localizzati sul
territorio  di  piu' regioni» (comma 1), mentre «nel caso di progetti
che  possano  avere  impatti rilevanti sull'ambiente di altre regioni
confinanti»  l'autorita'  competente  «e'  tenuta  ad  informare e ad
acquisire anche i pareri di tali regioni nell'ambito della conferenza
di servizi appositamente convocata ai sensi dell'art. 18.
    Ora, nel nuovo quadro costituzionale successivo al 2001 lo stesso
principio  di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma, impone
di  non  spostare la competenza al livello statale se non nei casi in
cui   il   carattere   infrazionabile   ed  intrinsecamente  unitario
dell'interesse lo imponga; e l'art. 117, ottavo comma, prevedendo che
«la  legge  regionale  ratifica  le  intese  della  regione con altre
regioni  per  il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con
individuazione   di   organi   comuni»   conferma  che  il  carattere
semplicemente  interregionale  delle  funzioni e degli interessi puo'
giustificare speciali soluzioni organizzative, ma non puo' di per se'
consentire l'acquisizione della competenza al livello statale.
    Il   diretto  fondamento  in  costituzione  della  rivendicazione
regionale  rende  superfluo  ricordare che, in ogni modo, il rispetto
del  principio  di  sussidiarieta'  era specificamente previsto dalla
legge delega n. 308/2004 (art. 8, comma 1).
    Si  noti che la competenza regionale in materia di VIA non e' una
graziosa   concessione   del  legislatore  statale,  ma  una  precisa
conseguenza  sia della competenza regionale in relazione alle opere e
interventi  di  cui  si  tratta, sia della competenza regionale nelle
materie  connesse  all'ambiente o addirittura parti di esso, quale la
tutela  della  salute  ed il governo del territorio, sia della stessa
competenza  in  materia ambientale, in quanto la competenza esclusiva
statale  si  riferisce, come chiarito dalla giurisprudenza di codesta
ecc.ma Corte costituzionale, alla fissazione degli standard minimi di
tutela.
    Risultano  cosi'  violati  dalle  disposizioni  qui impugnate gli
articoli 117 e 118 Cost.
    In  via meramente cautelativa si impugnano anche l'art. 25, comma
1,  lett. a) e l'art. 35, (comma 1, lett. a), nella parte in cui essi
prevedono  la  VIA  statale  per  opere  soggette  ad  autorizzazione
statale,  per  l'ipotesi  in  cui tale norma venisse ad includere non
soltanto le autorizzazioni statali che direttamente si riferiscono al
progetto   dell'opera   o   intervento,   ma   anche   ad   eventuali
autorizzazioni  statali (ad esempio, dell'amministrazione militare, o
a  tutela  dei  siti  archeologici)  che semplicemente «incidano» nel
procedimento  approvativo  di  progetti  sottoposti  ad  approvazione
regionale o locale.
    In  tale  ipotesi, risulterebbero violati l'art. 117 e 118 Cost.,
non  essendovi  alcuna  ragione  di  «spostare» la competenza in sede
statale,  dal  momento  che gli interessi statali sono tutelati dalla
autorizzazione stessa, senza alcuna conseguenza sulla competenza alla
VIA.
    VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 3.
    L'art. 26,  comma  3,  prevede che il proponente puo' chiedere di
essere  in  tutto  o  in parte esonerato dagli «adempimenti di cui al
comma 2» secondo cui «copia integrale della domanda di cui al comma 1
e  dei  relativi  allegati  deve  essere trasmessa alle regioni, alle
province  ed  ai  comuni  interessati  e,  nel  caso di aree naturali
protette,  anche  ai relativi enti di gestione»: si tratta in pratica
della trasmissione del progetto e dello studio di impatto ambientale.
    Questa previsione lede direttamente la regione e gli enti locali,
e  si  pone in contrasto con la direttiva 85/337/CEE (come modificata
dalla  direttiva 97/11/CE) che, all'art. 6, comma 1, dispone che «Gli
Stati membri adottano le misure necessarie affinche' le autorita' che
possono  essere  interessate  al  progetto,  per  la  loro  specifica
responsabilita'  in  materia  di ambiente, abbiano la possibilita' di
esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e
sulla  domanda  di  autorizzazione  e che tali autorita' «ricevono le
informazioni raccolte a norma dell'art. 5.».
    VII)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 2, lett.
b).
    L'art. 28,  dedicato alle Misure di pubblicita', dispone al comma
2,  lett.  b),  che  il  committente  o  proponente  del  progetto  o
dell'opera, contestualmente alla presentazione della propria domanda,
provveda  alla diffusione a mezzo stampa di un annuncio dell'avvenuto
deposito  di  quanto  prescritto dalla precedente lett. a) secondo le
modalita'    stabilite   dall'autorita'   competente   con   apposito
regolamento  che assicuri criteri uniformi di pubblicita' per tutti i
progetti  sottoposti  a  valutazione d'impatto ambientale, garantendo
che  il  pubblico  interessato  venga  in  tutti i casi adeguatamente
informat  La  medesima disposizione prevede che lo stesso regolamento
stabilisca  «i casi e le modalita' per la contemporanea pubblicazione
totale  o parziale in internet del progetto» e che esso debba «essere
emanato  con  decreto  del  Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio».
    L'art. 28  e'  elencato  dall'art. 43,  comma  1,  tra quelli che
sarebbero  inderogabili  dalle leggi regionali, in relazione alle VIA
di competenza regionale.
    Sembra  evidente  che,  in  relazione  alle  VIA  regionali,  una
disciplina  regolamentare  statale  delle  modalita'  di avviso degli
avvenuti  depositi  non e' ammissibile a termini dell'art. 117, sesto
comma,  Cost.,  e  del  resto  non  trova  giustificazione  in alcuna
esigenza unitaria.
    D'altronde,  su  pure potesse rinvenirsi una esigenza unitaria, e
se  pure questa potesse condurre ad ammettere un potere regolamentare
del  Ministro vincolante per le leggi regionali, cio' non potrebbe in
alcun  caso  avvenire  senza  la  previsione  di  una  intesa  con la
Conferenza Stato-regioni.
    VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 33.
    L'art  33 e' dedicato alle Relazioni tra VAS e VIA. Esso dispone,
nel  suo  unico  comma,  «che  per progetti di opere ed interventi da
realizzarsi  in  attuazione  di  piani  o programmi gia' sottoposti a
valutazione  ambientale  strategica, e che rientrino tra le categorie
per  le  quali e' prescritta la valutazione di impatto ambientale, in
sede  di  esperimento  di  quest'ultima  costituiscono dati acquisiti
tutti  gli  elementi positivamente valutati in sede di valutazione di
impatto  strategico  o  comunque  decisi  in sede di approvazione del
piano o programma.».
    Tale  disposizione  appare  violare  le disposizioni dell'art. 11
della  direttiva 2001/42/CE secondo cui la Valutazione ambientale dei
piani  e  programmi  «lascia  impregiudicate  le  disposizioni  della
direttiva  85/33 7/CEE e qualsiasi altra disposizione della normativa
comunitaria»  e  la stessa direttiva 85/337/CEE, che nel disciplinare
la  VIA  non  prevede  affatto  in  essa  una possibile pregiudiziale
valutazione di elementi rilevanti per la decisione.
    Va  precisato  che quello che qui si contesta non e' la possibile
introduzione  nel  procedimento  di  VIA di elementi conoscitivi gia'
maturati  in sede di VAS sul piano o programma che prevedesse l'opera
o  progetto,  ma  il  vincolo  ad  una  positiva  valutazione di tale
elementi  del  resto indeterminati nello stesso riferimento normativo
nella   nuova  procedura,  che  finirebbe  per  apparire  fittizia  e
predestinata nella sua conclusione.
    IX) Illegittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 3 e 5.
    L'art. 51 e' dedicato ai Regolamenti e norme tecniche integrative
-  autorizzazione  unica  ambientale  per le piccole imprese. Esso e'
inserito   nel   Titolo  IV,  Norme  transitorie  e  finali  (finali,
ovviamente,  della  Parte  seconda,  non  dell'intero decreto), e non
sembra dunque riguardare i soli procedimenti statali.
    Il  comma  1  dispone  chel  fine di semplificare le procedure di
valutazione   ambientale   strategica   e   valutazione   di  impatto
ambientale,  con appositi regolamenti, emanati ai sensi dell'art. 17,
comma  2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, possono essere adottate
norme  puntuali  per  una  migliore integrazione di dette valutazioni
negli specifici procedimenti amministrativi vigenti di approvazione o
autorizzazione  dei  piani  o  programmi  e  delle opere o interventi
sottoposti a valutazione.».
    In questi termini, il comma 1 prevede l'emanazione di regolamenti
dal  contenuto  indeterminato,  legato  soltanto  ad una finalita' di
semplificazione  (peraltro  in  contraddizione  con  la  carattere di
«ulteriore  provvedimento» dato alla VAS, come sopra illustrato), con
potenziale incidenza sia sui procedimenti ambientali che su quelli di
programmazione.  Risulta  violato  in  primo  luogo  il  principio di
legalita' del potere regolamentare, dato che la sola precisazione che
la  legge  contiene  -  oltre al fine che tali regolamenti contengano
«norme puntuali».
    Ma  tale  precisazione,  mentre  da  un  lato  non precisa nulla,
dall'altro  conferma  e  aggrava  l'illegittimita'  della previsione,
nella  parte  in  cui  essa  si  riferisce  a  procedure di VAS e VIA
regionali,  o  comunque  ai  procedimenti di programmazione. Infatti,
trattandosi  di  ambiti  che  rientrano  nella  potesta'  legislativa
regionale,  lo Stato non puo' disciplinarli con regolamento, ai sensi
dell'art. 117,  sesto comma, Cost.: e la specificazione che si tratti
di norme «puntuali» non fa che aggravare il vizio.
    Naturalmente,  il vizio non vi sarebbe (o, sotto il profilo della
legalita',  non  vi  sarebbe  l'interesse  a  farlo valere) qualora i
regolamenti   in  questione  non  fossero  destinati  a  disciplinare
procedimenti   ambientali   o  di  programmazione  gia'  disciplinati
nell'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale:  e cosi', in
effetti,  dovrebbe  essere,  se  si tiene fermo quanto gia' affermato
dalla  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma Corte costituzionale nella
sentenza  «fondante»  per  la materia) n. 376 del 2002. Se invece, al
contrario  di  quanto affermato da tale giurisprudenza, i regolamenti
in  questione fossero destinati ad applicarsi agli ambiti di potesta'
legislativa  regionale, andrebbe ulteriormente lamentato in subordine
alle censure gia' formulate la mancata previsione di una procedura di
intesa con le regioni.
    A  sua volta, il comma 3 dell'art. 51 prevede che «norme tecniche
integrative della disciplina di cui al titolo III della parte seconda
del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto
ambientale  e  la  formulazione  dei  giudizi  di  compatibilita'  in
relazione  a  ciascuna categoria di opere» siano «emanate con decreto
del  Presidente  del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del
Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio, di concerto con i Ministri competenti
per materia e sentita la Commissione di cui all'art. 6».
    Anche  in  questo  caso  e'  palese  l'invasione della competenza
regionale  per  quanto  riguarda le VIA di carattere regionali: vizio
che  invece  non  vi  sarebbe  se si dovesse intendere che tali norme
tecniche  integrative non riguardano le procedure regionali. Se poi -
in  denegata  ipotesi  -  il  potere  pararegolamentare  qui previsto
potesse  giustificarsi  per esigenze di unitarieta', non potrebbe non
essere  prevista,  ai  sensi di nota giurisprudenza costituzionale (a
partire  dalla  sentenza  n. 303 del 2003), l'intesa della Conferenza
Stato-regioni.
    Ancora,   il  comma  5  prevede  che  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  (di concerto con il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  e  con  il Ministro delle
attivita'  produttive)  «si  provvedera'  ad  accorpare  in  un unico
provvedimento,  indicando  l'autorita'  unica  competente, le diverse
autorizzazioni  ambientali  nel  caso  di impianti non rientranti nel
campo  di  applicazione  del  decreto  legislativo  18 febbraio 2005,
n. 59,  ma  sottoposti  a  piu'  di  una autorizzazione ambientale di
settore».
    Anche  per tale decreto non e prevista - con conseguente vizio di
legittimita  costituzionale alcuna procedura di collaborazione con le
regioni,  nonostante  che  molte  autorizzazioni ambientali rientrino
nella  competenza  regionale  (alcune  del  resto in base allo stesso
d.lgs. n. 152).
    Si  noti  che l'obiettivo di «accorpare in un unico provvedimento
le  diverse  autorizzazioni  ambientali» era posto dalla legge delega
n. 308  del  2004  allo stesso legislatore delegato (art. 1, comma 9,
lett.  f)  ultimo  periodo): mentre qui il legislatore delegato a sua
volta  illegittimamente  delega  la potesta' normativa ricevuta ad un
decreto ministeriale che per «accorpare» le autorizzazioni ambientali
dovrebbe  necessariamente  incidere su provvedimenti autoritativi, in
violazione non solo dell'art. 76 Cost., quanto all'eccesso di delega,
ma dello stesso principio di legalita'.
    Anche  sotto  tali  profili  dunque la norma in questione risulta
costituzionalmente illegittima.
    B)  Illegittimita'  costituzionale delle disposizioni della parte
terza,  recante  «Norme  in  materia di difesa del suolo e lotta alla
desertificazione,  di  tutela  delle  acque  dall'inquinamento  e  di
gestione delle risorse idriche
    Si  ricorda  in  primo  luogo che gli articoli 63 e 64 hanno gia'
formato  oggetto  di  impugnazione  nel  ricorso  n. 56  del 2006. La
presente  impugnazione  si  riferisce  dunque ad alcuni dei rimanenti
articoli.
    I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 57, commi 1, 4 e 6.
    L'art. 57,  comma  1,  lett. a), stabilisce che il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  Comitato dei ministri, previa deliberazione
del  Consiglio dei ministri, approva con proprio decreto (su proposta
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio):
        «1) Le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche
tecnici, per lo svolgimento delle attivita' di cui agli articoli 55 e
56, nonche' per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei
programmi di intervento;
        2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-regioni;
        3)  gli  atti  volti  a provvedere in via sostitutiva, previa
diffida,  in  caso  di  persistente inattivita' dei soggetti ai quali
sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione;
        4)  ogni  altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore
disciplinato  dalla  presente  sezione)»  (il  successivo art. 58, ad
esempio,  menziona  specificamente  gli «indirizzi» e i «criteri» per
«lo  svolgimento  del  servizio  di polizia idraulica, di navigazione
interna e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e
degli impianti e la conservazione dei beni».
    Inoltre  (lett.  b), su proposta del Comitato dei ministri di cui
al comma 2, esso approva il programma nazionale di intervento.
    Il  comma  4  dispone  a  sua volta che «al fine di assicurare il
necessario  coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate,
il  Comitato  dei  ministri  propone  gli  indirizzi  delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i  contenuti  della  pianificazione  di  distretto  e  ne verifica la
coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti».
    Il  comma  6 stabilisce che «i principi degli atti di indirizzo e
coordinamento  di  cui  al presente articolo sono definiti sentita la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano».
    Ad  avviso  della ricorrente regione, va affermato in primo luogo
che nel nuovo quadro dei rapporti tra lo Stato e le regioni non vi e'
piu'  spazio  costituzionale  per  la funzione statale di indirizzo e
coordinamento,  come del resto espressamente riconosciuto dalla legge
n. 131  del  2003,  secondo  cui  «nelle materie di cui all'art. 117,
terzo  e quarto comma, della Costituzione non possono essere adottati
gli  atti  di  indirizzo  e  di coordinamento di cui all'art. 8 della
legge  15  marzo 1997, n. 59, e all'art. 4 del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112».
    Inoltre, la riemersione generalizza della funzione di indirizzo e
coordinamento   realizza   esattamente   il   contrario   di   quella
«riaffermazione  del  ruolo  delle  regioni»  che secondo la lett. m)
dell'art. 1,  comma  8,  della legge di delega avrebbe dovuto formare
uno   dei  criteri  direttivi  (di  qui  l'illegittimita'  anche  per
violazione della legge di delega).
    Se  poi,  in  singoli  ed eccezionali casi, tale funzione potesse
essere  ammessa,  e'  evidente  che  non  potrebbe esserlo che previa
intesa  con  la  Conferenza  Stato-regioni, secondo quella che era la
disciplina   legislativa  della  funzione  gia  prima  della  riforma
costituzionale del 2001. Di qui l'illegittimita' costituzionale della
previsione  della  funzione  di indirizzo (comma 1, n. 4), ed in ogni
caso del semplice parere richiesto alla Conferenza dal comma 6.
    Si  noti  che  gia'  l'art. 52 del d.lgs. n. 112 prevedeva che il
disegno   delle   linee   fondamentali  dell'assetto  del  territorio
nazionali  con  riferimento  ai  valori  naturali e ambientali e alla
difesa  del suolo fosse compito di rilievo nazionale (comma 1), ma al
tempo  stesso  che  dovesse essere esercitato attraverso intese nella
Conferenza  Unificata  (comma  3).  La  nuova  disposizione contrasta
dunque anche con il principio di delega del rispetto delle competenze
regionali di cui a tale decreto (art. 1, comma 8).
    Il  comma  1 risulta ulteriormente illegittimo nella parte in cui
prevede  (n. 1)  «criteri  e metodi statali, di cui e' detto che sono
«anche  tecnici» in relazione allo svolgimento delle attivita' di cui
agli   artt. 55   e   56,   cioe'  delle  attivita'  conoscitive,  di
pianificazione, di programmazione e di attuazione.
    Tale  conferimento di potere viola in primo luogo il principio di
legalita':  non  puo' sfuggire infatti che l'oggetto del conferimento
e' del tutto indeterminato, considerando da un lato che non si tratta
di sole norme tecniche, ma di norme anche tecniche, dall'altro che il
conferimento   riguarda   la   disciplina   dell'intero  ciclo  della
conoscenza e della pianificazione, programmazione ed attuazione.
    In  secondo  luogo,  tale  conferimento  da'  luogo ad un abnorme
potere normativo, che non si presta ad essere inquadrato negli schemi
costituzionali  dei  rapporti  tra  legge  statale e legge regionale,
violando  cosi'  in  modo evidente l'art. 117, secondo, terzo, quarto
comma,  e  violando  al tempo stesso, in quanto potere regolamentare,
l'art. 117, sesto comma.
    Se  anche  in denegata ipotesi un siffatto potere normativo fosse
ammissibile,  sarebbe  (  comunque  palesemente  illegittimo  il  suo
esercizio   senza   il   coinvolgimento  delle  regioni  nella  forma
dell'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.
    Si   noti  che  d.lgs.  n. 112  del  1998  gia'  aveva  stabilito
all'art. 54,  comma  2, che le funzioni relative alla identificazione
dei  criteri  per  la  raccolta  e  l'informatizzazione  di  tutto il
materiale  cartografico  ufficiale esistente e per quello in corso di
elaborazione fossero esercitate d'intesa con la conferenza unificata,
con  conseguente  violazione,  sotto  questo profilo, dei principi di
delega e lesione delle competenze regionali.
    Naturalmente,  la censura verrebbe meno ove dovesse ritenersi che
le  norme  relative ai criteri e metodi sono destinati a disciplinare
soltanto  le attivita' di cui agli art. 55 e 56, in quanto essi siano
svolte da organi statali.
    Anche  il  n. 2,  relativo  alla approvazione dei piani di bacino
«sentita  la Conferenza Stato-regioni» e' ad avviso della ricorrente,
regione  illegittimo  a  prescindere  dalle conseguenze delle censure
gia'  rivolte avverso il nuovo sistema dei bacini idrografici e delle
relative  autorita'  istituito dagli artt. 63 e 64 nella parte in cui
non prevede l'intesa anziche' il semplice parere della Conferenza. La
censura  si estende all'art. 66, nella parte in cui tale articolo non
prevede  l'intesa  della  Conferenza  per l'approvazione dei piani di
bacino.
    Per  le  censure  parzialmente  corrispondenti  in  relazione  ai
programmi  di  intervento  si  consideri  quanto esposto in relazione
all'impugnazione degli artt. 70 e 72.
    Va  considerato  che gli interventi previsti dai piani di bacini,
in quanto opere pubbliche, ricadono (o dovrebbero ricadere) come tali
nella  competenza regionale, salvo che si tratti di speciali opere di
interesse  strategico  (l3  del 2001): sicche', anche nella misura in
cui  sia legittima l'assunzione della competenza di programmazione al
livello   statale,   cio'   non  puo'  avvenire  senza  lo  strumento
dell'intesa,  in  base  alle  note  regole  fissate  a  partire dalla
sentenza n. 303 del 2003.
    Anche   il   potere   sostitutivo   previsto   dal  n. 3  risulta
illegittimo, ove non lo si intenda - come peraltro il principio della
interpretazione   costituzionalmente   conforme   imporrebbe  -  come
meramente attributivo della competenza presidenziale, e riferito alle
ipotesi  in  cui  tale  potere e' gia' legittimamente istituito dalla
disciplina sostanziale.
    Ove invece tale si volesse intendere tale disposizione come norma
di  conferimento  di  effettivi poteri sostitutivi, essa risulterebbe
costituzionalmente   illegittima   sia   in  quanto  essa  nella  sua
indeterminatezza  e  generalita' viola il principio di legalita', sia
in  quanto  non  sono  previste  le modalita' di collaborazione delle
regioni.
    Illegittimo  risulta anche il comma 4, ove si debba intendere che
il Comitato dei ministri nel «proporre» gli indirizzi delle politiche
settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e
i  contenuti della pianificazione di distretto e nel «verificarne» la
coerenza  nella  fase  di  approvazione dei relativi atti esercita in
qualunque modo un potere sovraordinato all'esercizio delle competenze
regionali  di  programmazione  o  comunque di approvazione di atti di
propria competenza.
    In  effetti, una tale supremazia del Comitato dei ministri non ha
alcun  fondamento costituzionale, e viola sia la potesta' legislativa
che l'autonomia amministrativa delle regioni.
    Infine,  contrasta  con  il  principio  di sussidiarieta', con le
regole  della  leale collaborazione e con il criterio direttivo sopra
citato  anche  la  disposizione  contenuta  nel comma 1, lett. b) che
attribuisce  al  Presidente del Consiglio dei ministri l'approvazione
del  programma  nazionale  degli  interventi  senza  prevedere  alcun
coinvolgimento effettivo delle regioni.
    Anche in questo caso l'intesa con la Conferenza Stato-regioni era
gia'  prevista  dall'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 (secondo cui
la  programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa
del   suolo   era   «da   definirsi   di  intesa  con  la  Conferenza
Stato-regioni».
    Inoltre,  l'art. 89,  comma  1, lett. h), dello stesso decreto ha
conferito  alle  regioni  e  agli  enti  locali  la  programmazione e
pianificazione degli interventi di difesa della costa e degli abitati
costieri, mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di
rilevante  importanza  e suscettibili di interessare il territorio di
piu'  regioni  lo Stato e le regioni interessate stipulino accordi di
programma  con  i  quali sono definite le appropriate modalita' anche
organizzative di gestione.
    La violazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 si traduce,
come  sopra  illustrato,  in  violazione  della legge di delega ed in
lesione delle competenze costituzionali delle regioni.
    II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58.
    Per  ragioni  analoghe  a quelle esposte in relazione all'art. 57
risultano illegittime ed invasive delle competenze regionali anche le
corrispondenti previsioni che nell'art. 58 identificano le competenze
del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.
    In  particolare,  risulta  illegittimo  e lesivo il comma 3 nella
parte  in  cui affida alla competenza del Ministro le funzioni di cui
alle  lettere  a)  (programmazione,  finanziamento  e controllo degli
interventi   in   materia   di  difesa  del  suolo),  b)  previsione,
prevenzione  e  difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni
di   dissesto   idrogeologico),   d)   (identificazione  delle  linee
fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai
valori  naturali  e  ambientali  e alla difesa del suolo, nonche' con
riguardo all'impatto ambientale dell'articolazione territoriale delle
reti  infrastrutturali,  delle  opere  di  competenza statale e delle
trasformazioni  territoriali),  ad  esclusione  di quanto riguarda le
opere  di competenza statale, e) (determinazione di criteri, metodi e
standard  di  raccolta, elaborazione, da parte del Servizio geologico
d'Italia   -  Dipartimento  difesa  del  suolo  dell'Agenzia  per  la
protezione  dell'ambiente  e  per  i  servizi  tecnici  (APAT),  e di
consultazione  dei  dati, definizione di modalita' di coordinamento e
di  collaborazione  tra  i  soggetti  pubblici  operanti nel settore,
nonche'  definizione  degli  indirizzi per l'accertamento e lo studio
degli  elementi  dell'ambiente  fisico e delle condizioni generali di
rischio),  g)  coordinamento  dei  sistemi cartografici: in quanto si
intendano  tutti tali disposizioni non come riferite genericamente al
ruolo  che  in  tali  ambiti al Ministro spetta in relazione ad altre
legittime  norme,  ma  come  diretta  attribuzione  di una competenza
propria del Ministro.
    Specificamente  in  relazione  alla  lettera a), gia' si e' sopra
ricordato  che l'art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 112 stabiliva che la
programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del
suolo fosseda definirsi di intesa con la Conferenza Stato-regioni», e
che  l'art. 89,  comma 1, lett. h), dello stesso decreto ha conferito
alle  regioni  e  agli enti locali la programmazione e pianificazione
degli  interventi  di  difesa  della  costa e degli abitati costieri,
mentre l'art. 89, comma 5, ha stabilito che per le opere di rilevante
importanza  e  suscettibili  di  interessare  il  territorio  di piu'
regioni  lo  Stato  e  le  regioni  interessate  stipulino accordi di
programma  con  i  quali sono definite le appropriate modalita' anche
organizzative di gestione.
    Specificamente  in  relazione  alla  lettera  d),  che assegna al
Ministro  l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del
territorio  nazionale  con  riferimento alla difesa si ricorda ancora
che  a  termini  dell'art. 52,  comma 3  del  d.lgs.  n. 112 che tale
identificazione  e'  compito  di  rilievo  nazionale  ma  deve essere
compiuta attraverso intese nella conferenza unificata.
    III) Illegittimita' costituzionale dell'art 59.
    L'art. 59    disciplina    le    Competenze    della   conferenza
Stato-regioni.
    Secondo   tale   disposizione,  la  Conferenza  formula  «pareri,
proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni
di  indirizzo  e coordinamento di cui all'articolo 57, in ordine alle
attivita'  ed  alle  finalita'  di cui alla presente sezione, ed ogni
qualvolta  ne  e' richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio.».
    Le  successive  lettere  da  a)  ad  e) dettagliano tale funzione
generale  in relazione a singoli ambiti, senza mutare la qualita' del
ruolo  cosi'  individuato.  E'  di  tutta  evidenza  che  nell'intero
articolo  la parola intesa, che dovrebbe identificare il centro delle
funzioni   della   Conferenza,  non  figura  neppure  una  volta.  Al
contrario,   essa   appare   formulare  «proposte»  (lett.  a  e  b),
«osservazioni»  lett.  c,  sui  piani  di  bacino, ai fini della loro
conformita'  ad  indirizzi  e  criteri  che  non  hanno  condiviso!),
esprimere «pareri» (lett. d, e lett. e).
    E'  chiaro  che  la  Conferenza,  ben  al  contrario  che  essere
valorizzata, subisce un netto depotenziamento delle proprie funzioni,
e  viene persino caratterizzata in termini generali come un organismo
meramente consultivo.
    Risulta  paradossale,  e costituzionalmente illegittimo, che dopo
la  riforma  del  Titolo  V  operata  nel 2001 il legislatore statale
pretenda  di  ridurre  la  Conferenza  Stato-regioni ad un mero ruolo
consultivo.  Tra  l'altro,  questa  riduzione viola in modo palese la
lettera  e  lo  spirito  della legge di delega, che, accanto ad altri
criteri di garanzia per le regioni gia' ricordati, tra l'altro poneva
il vincolo della di valorizzazione del ruolo e delle competenze degli
organismi  a  composizione  mista  statale e regionale lettera c) del
comma 9 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del 2004).
    IV)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 70, commi 1 e 3, e
dell'art. 72, comma 4.
    L'art. 70  disciplina  i  programmi  di  intervento.  Il  comma 1
prevede  che  essi  siano  (adottati  dalla  Conferenza istituzionale
permanente  di  cui  all'art.  63, comma 4». Il comma 3 dispone che i
nuovi  programmi  di  intervento  relativi  al  triennio  successivo,
adottati  secondo le modalita' di cui al comma 1, siano «trasmessi al
Ministro  dell'ambiente  e della tutela del territorio, affinche' ...
sulla  base  delle  previsioni  contenute  nei programmi e sentita la
Conferenza Stato-regioni, trasmetta al Ministro dell'economia e delle
finanze  l'indicazione  del  fabbisogno finanziario per il successivo
triennio,   ai  fini  della  predisposizione  del  disegno  di  legge
finanziaria».
    L'art. 72,  comma  4,  prevede  che  «il  programma  nazionale di
intervento e la ripartizione degli stanziamenti, ivi inclusa la quota
di  riserva  a  favore dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e
per  i  servizi  tecnici  (APAT),  sono  approvati dal Presidente del
Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 57».
    I   due   commi  sopra  riportati  dell'art. 70  ed  il  comma  4
dell'art. 72  si connettono al riparto di compiti di cui all'art. 57,
gia' sopra contestato.
    Anche  da  essi  risulta  evidente che le regioni sono private di
poteri  decisionali  anche  in  relazione  alla  pianificazione degli
interventi  attuativi  del  piano.  In  effetti, vi e' solo un parere
della  Conferenza Stato-regioni, anziche' una intesa, e per giunta il
parere  si  riferisce  soltanto, a quel che sembra, alla (indicazione
del fabbisogno finanziario per il successivo triennio.».
    Le  disposizioni  appaiono dunque illegittime, per violazione del
principio   di   leale  collaborazione  e  lesione  delle  competenze
regionali,  nella parte in cui prevedono il parere anziche' l'intesa,
e nella parte in cui non prevedono l'intesa in relazione all'adozione
ed alla approvazione del programma.
    Si  noti  tuttavia  che anche lo strumento dell'intesa in sede di
Conferenza  non  soddisfa  completamente  le esigenze di tutela delle
competenze  regionali.  Occorre infatti considerare che non si tratta
qui  di  decisioni  indivisibili  di livello nazionale, alle quali le
regioni  collaborano  come  un insieme, ma di decisioni di interventi
che in definitiva interessa ciascuna singola regione come tale.
    Di  qui  la  necessita', ad avviso della ricorrente regione, che,
secondo  la  stessa logica del piano di opere di interesse strategico
di  cui  alla  legge  n. 443  del  2001,  sia stabilita la necessita'
dell'intesa  della  singola  regione,  in  relazione  alle  opere  da
eseguire  nel proprio territorio: a tutela sia degli interessi propri
del  sistema  idrico, sia degli altri interessi connessi in genere al
governo  del territorio, che rientrano nella responsabilita' precipua
delle regioni.
    Ne   risulta   che  l'art. 70,  comma  1,  e'  costituzionalmente
illegittimo  per  le  ragioni  indicate  anche nella parte in cui non
prevede  sul  programma  di  interventi  l'intesa di ciascuna regione
territorialmente interessata.
    Specificamente  in relazione all'art. 72, comma 4, si osserva che
tale  disposizione contrasta anche con l'art. 86, comma 3, del d.lgs.
n. 112 del 1998, che prevede la «definizione della programmazione dei
finanziamenti dello stato in materia di difesa del suolo d'intesa con
la  Conferenza  Stato-regioni». E' conseguentemente violata la delega
che  dispone la salvaguardia delle competenze regionali gia' previste
da tale decreto.
    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 96.
    Il   comma  1  dell'art. 96  riscrive  l'art. 7  del  T.U.  delle
disposizioni  sulle  acque  e  impianti  elettrici, apportando alcune
modificazioni  al  testo  introdotto dal d.lgs. n. 152/1999 (art. 23,
primo  comma),  che  incidono  sul procedimento per il rilascio delle
concessioni di acqua pubblica.
    Il  nuovo  testo  dispone che le domande relative sia alle grandi
sia  alle  piccole  (  derivazioni  siano trasmesse alle Autorita' di
bacino    territorialmente   competenti   che,   entro   il   termine
rispettivamente  di  novanta  e  di  quaranta  giorni»  comunicano il
proprio  parere vincolante ai competente Ufficio istruttore in ordine
alla  compatibilita'  della utilizzazione con le previsioni del Piano
di  tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio idrico
o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto.».
    Dispone  ancora  che  «decorsi  i  predetti termini senza che sia
intervenuta  alcuna  pronuncia,  il  Ministro  dell'ambiente  e della
tutela  del  territorio  nomina  un  Commissario ad acta che provvede
entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».
    Si  deve osservare che le competenze della Regione Emilia-Romagna
sono  concretamente incise dalla norma contestata: infatti la regione
ha  adottato  una  propria  disciplina  procedimentale  con  la legge
n. 3/1999  e  con  il successivo regolamento regionale n. 41/2001, in
attuazione  del  conferimento  di  funzioni  operato  con  il  d.lgs.
n. 112/1998.
    In  particolare,  la previsione che le nuove Autorita' di Bacino,
ora  connotate  da una composizione a predominanza statale, esprimano
sulle  grandi  derivazioni  il  parere  in un termine che passa da 40
giorni  a  90  giorni  e  che  esso  sia vincolante, e che in caso di
mancata espressione del parere non operi piu' il silenzio assenso, ma
si proceda alla nomina di un commissario ad acta che ha altri novanta
giorni per esprimersi da un lato sottrae alle regioni competenze gia'
loro spettanti, dall'altro comporta una enorme dilatazione dei tempi,
in  aperto  contrasto  quindi  con  gli  obiettivi di semplificazione
indicati dalla legge di delega (art. 1, comma 9, lett. b).
    Nonostante  la  materia  della  gestione di tali procedimenti sia
gia'   stata   delegata   alle   regioni   (art. 86,  89  del  d.lgs.
n. 112/1998),  le  competenze  regionali  sono completamente ignorate
dalla  disciplina  impugnata, sicche' anche sotto questo profilo essa
appare  lesiva della stessa legge di delega che impone al legislatore
delegato  il  rispetto  del riparto di competenze fissato dal decreto
112.
    Quanto  osservato  in  relazione  al  comma  1 vale ugualmente in
relazione  agli  altri  commi  dell'art. 96,  i  quali contengono una
disciplina  analitica e dettagliata, quasi si trattasse di riscrivere
il testo unico del 1933 con la logica di allora.
    Ma,  come ha osservato codesta ecc. Corte nella sent. n. 31/2006,
a  proposito  della gestione del demanio idrico, «alla luce del nuovo
testo  dell'art. 118  Cost., dopo la riforma del Titolo V della Parte
II,  l'attribuzione  alle  Regioni ed agli enti locali delle funzioni
amministrative    in   materia   e'   sorretta   dal   principio   di
sussidiarieta'.».  Non appare percio' legittimo che lo Stato emani in
materia  norme  legislative che entrano analiticamente nel dettaglio,
sono   autoapplicative   sino   al  punto  di  svuotare  l'ambito  di
discrezionalita'   della   regione,  sottopongono  l'uso  dei  poteri
normativi  che  residuano alla regione a direttive delle quali non si
indicano  neppure l'autorita' competente e le modalita' di emanazione
(a  tacere  dell'obbligo  di  rispettare  nella formazione di esse il
principio di leale cooperazione: cfr. comma 11).
    Inoltre,   la   disciplina   delle  derivazioni  d'acqua  non  e'
contemplata  nell'oggetto  della delega, e l'attenuazione del livello
di   protezione   ambientale   (si  veda  la  sanatoria  degli  abusi
contemplata dal comma 6) contraddice uno dei principi direttivi della
delega stessa.
    Per  queste  ragioni, e salvi i piu' specifici rilievi mossi alle
sue  singole disposizioni, l'art. 96 risulta dunque illegittimo nella
sua interezza per violazione degli artt. 117, 118 e 76 Cost.
    VI)  Illegittimita'  costituzionale degli articoli 104, commi 3 e
4, 113, comma 1, e 114 comma 1.
    Le  disposizioni degli articoli 104, 113 e 114 riguardano diverse
misure  di  tutela  delle  acque.  Esse  sono pero' accomunate da una
identica   illegittima   impostazione   dei  rapporti  tra  autonomia
legislativa  e  amministrativa regionale e «direzionestatale» come di
seguito specificato.
    L'art. 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) al
comma  3  attrae al livello ministeriale compiti di autorizzazione di
scarichi  risultanti  dall'estrazione di idrocarburi nelle unita' del
sottosuolo  da  cui sono stati estratti, laddove l'art. 89 del d.lgs.
n. 112/l998,  lett.  i)  ne prevedeva l'attribuzione alle regioni. Ne
risultano percio' violati sia il riparto di attribuzioni gia' fissato
dal  legislatore  statale  precedente alla riforma costituzionale del
2001,  sia  il  preciso  criterio  direttivo stabilito dalla legge di
delega,  al comma 8 dell'art. 1, che richiama appunto l'assetto delle
competenze di cui al d.lgs. n. 112 e ne prescrive l'inderogabilita'.
    Per  parte  sua  il  comma 4, laddove prescrive che, «l'autorita'
competente,  dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica
dell'assenza  di  sostanze  estranee,  puo'  autorizzare gli scarichi
nella  stessa  falda  delle  acque  utilizzate  per  il lavaggio e la
lavorazione  degli inerti, purche' i relativi fanghi siano costituiti
esclusivamente  da  acqua  ed  inerti naturali ed il loro scarico non
comporti  danneggiamento  alla  falda acquifera» risulta in contrasto
con l'art. 4, comma 3, della direttiva 1980/68/CEE, che consente agli
Stati   membri   di   autorizzare   gli  scarichi  consistenti  nella
reiniezione nella stessa falda solo «delle acque utilizzate per scopi
geotermici,  delle  acque di infiltrazione di miniere o cave, o delle
acque  pompate  nel corso di determinati lavori di ingegneria civile)
non  anche  delle  acque  utilizzate per il lavaggio e la lavorazione
degli inerti.
    L'art. 113  (Acque  meteoriche  di  dilavamento  e acque di prima
pioggia)   al   comma   1,   assegna   alle  regioni  il  compiti  di
«disciplinare» e di «attuare» a) le forme di controllo degli scarichi
di  acque  meteoriche  di  dilavamento  provenienti  da reti fognarie
separate,  e b) i casi in cui puo' essere richiesto che le immissioni
delle  acque  meteoriche  di  dilavamento,  effettuate  tramite altre
condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni.
    Tuttavia,  l'esercizio delle funzioni regionali viene subordinato
al  «previo  parere  del  Ministero  dell'ambiente  della  tutela del
territorio».  Si  realizza  cosi' un'inconsueta quanto illegittimita'
sottoposizione della regione, anche nell'esercizio delle sue funzioni
normative,  ad  ingerenze  esercitate  dall'autorita'  amministrativa
statale: il che e' palesemente contrario all'assetto delle competenze
posto  dagli  artt. 117  e 118, nonche' agli stessi limiti prescritti
dalla legge di delega. Ne' si puo' salvare la disposizione attraverso
un'interpretazione  adeguatrice che riporti il «previo parere» ad una
funzione  di  ausilio  meramente  tecnico: se anche non mancano nella
legislazione  esempi  di  funzioni amministrative il cui esercizio da
parte  delle  regioni e' sottoposto al parere di organismi tecnici, e
cio'  a  protezione degli specifici interessi che essi hanno in cura,
nel  presente  caso cio' non e' in alcun modo sostenibile. Il «previo
parere» e' espresso dal Ministero, senza alcuna ulteriore indicazione
soggettiva  o  oggettiva  che  possa ridurre l'ingerenza di un organo
caratteristicamente  dotato  di funzioni politico-amministrative alla
dimensione della mera discrezionalita' tecnica o tecnico-scientifica.
    Di  qui l'illegittimita' costituzionale di tale vincolo posto dal
comma 1.
    L'art. 114   (Dighe)   si  occupa  nel  primo  comma,  a  cui  e'
circoscritta   la   presente   (impugnazione,   esclusivamente  della
restituzione  delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica:
anche  in questo caso l'autonomia normativa regionale e' riconosciuta
ma  sottoposta  al  «previo parere» del ministero. Valgono percio' le
stesse censure mosse all'articolo precedente.
    VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 121, comma 2.
    L'art. 121  disciplina  i piani di tutela delle acque. Il comma 2
dispone  che «le Autorita' di bacino, nel contesto delle attivita' di
pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento,
sentite   le  province  e  le  Autorita'  d'ambito,  definiscono  gli
obiettivi  su  scala  di  distretto  cui  devono attenersi i piani di
tutela  delle acque, nonche' le priorita' degli interventi.». Dispone
inoltre  che «le regioni, sentite le province e previa adozione delle
eventuali  misure  di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle
acquee  lo  trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio  nonche'  alle  competenti  Autorita'  di  bacino,  per le
verifiche di competenza».
    In  questi  termini,  il  piano  adottato  dalla  regione risulta
sottoposto  alla  «supervisione»  del  Ministero,  a  cui il Piano va
trasmesso   «per   le  verifiche  di  competenza».  La  norma  appare
palesemente  lesiva  delle  prerogative  costituzionali delle regioni
come stabilite dagli artt. 117 e 118 Cost.
    Inoltre,  la previsione eccede i limiti della delega legislativa,
essendo   in  chiara  contraddizione  con  l'assetto  delle  funzioni
amministrative  che  vigeva  prima  della  riforma costituzionale del
Titolo  V,  e  precisamente con l'art. 44 del d.lgs. n. 152/1999, ora
abrogato,   secondo   cui  il  Piano  deliberato  dalle  regioni  non
soggiaceva ad alcun controllo ministeriale.
    Non  appare  consentito  allo  Stato  modificare  in  senso  meno
favorevole  alle  regioni  il  quadro  delle competenze legislative e
amministrative  vigente  prima  della  riforma  costituzionale,  come
codesta  ecc. Corte ha avuto gia' modo di affermare esplicitamente in
relazione   ai  rapporti  finanziari  (sent.  320/2004):  e  cio'  in
particolare  modo quando, come nel presente caso - e' la stessa legge
di  delega  che  impone  di  valorizzare, e non restringere, il ruolo
delle regioni.
    VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 124, commi 4 e 5.
    L'art. 124  disciplina  i  criteri generali per le autorizzazioni
agli scarichi.
    I  commi  4  e  5  attribuiscono  all'Autorita'  d'ambito  poteri
autorizzatori  che  sono  del  tutto impropri, in quanto le Autorita'
d'ambito non sono munite di strutture tecniche che possano far fronte
a  questa  competenza.  Oltre  ad  essere irragionevole, dunque, tale
scelta   legislativa   viola,  trattandosi  di  scarichi  nella  rete
fognaria,  la  competenza del comune, cosi' come fissata dall'art. 45
del  d.lgs.  n. 152/1999  e  dalla stessa legislazione regionale, che
viene di conseguenza indebitamente contraddetta.
    Risultano dunque violati gli artt. 117 e 118 Cost.
    C)  Illegittimita'  costituzionale  di  disposizioni  della parte
terza, sezione III, Titolo II (Servizio idrico integrato).
    Nell'ambito   della   parte   terza   del  decreto  impugnato  il
legislatore  statale  disciplina,  alla  Sezione  Terza, la «Gestione
delle  risorse  idriche»,  ivi  compreso,  al Titolo II, il «Servizio
idrico integrato».
    La  disciplina  di  tale  servizio, come e' noto e come meglio si
dira',  spetta  alle regioni, secondo il riparto di competenze di cui
all'art. 117  Cost.  Ed infatti, nel tentativo di dare individuare il
fondamento costituzionale della potesta' legislativa cosi' esercitata
il  legislatore  statale  precisa subito che la propria disciplina e'
limitata  ai  «profili che concernono la tutela dell'ambiente e della
concorrenza   e   la  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  del  servizio idrico integrato e delle relative funzioni
fondamentali  di  comuni, province e citta' metropolitane» (art. 141,
comma 1, d.lgs. n. 152/2006).
    Sennonche',  se  dall'astratta enunciazione dell'art. 141 cit. si
passano  ad  esaminare in concreto le successive disposizioni dettate
dal  legislatore  statale,  ci  si  avvede  immediatamente  che  esse
travalicano di gran lunga i legittimi ambiti di intervento statale.
    Appare  infatti  del  tutto  evidente come la normativa statale -
quando non risulta ictu oculi del tutto estranea rispetto agli ambiti
indicate  all'art. 141,  comma  1  - sia stata comunque emanata senza
tenere  nel  dovuto  conto  il riparto costituzionale, come precisato
dalla  giurisprudenza  di  codesta ecc. ma Corte costituzionale: cio'
tanto  -  in  via  generale  -  con riguardo alla ricostruzione delle
«materie»   di   cui   all'art. 117,  secondo  comma  Cost.  (evocate
all'art. 141,  comma  1,  d l.gs. n. l52/2006: ambiente, concorrenza,
livelli  essenziali  della  prestazioni) operata dalla giurisprudenza
costituzionale  nel  corso  di questi ultimi anni, quanto - a livello
particolare    -    con   riferimento   specifico   all'inquadramento
costituzionale  del  servizio idrico integrato, del quale la Corte ha
avuto recentemente occasione di occuparsi.
    Con   riferimento   al   primo   dei  due  profili  indicati  (la
ricostruzione  delle materie), va infatti innanzitutto osservato come
i  titoli  di  competenza invocati dal legislatore statale consistano
non  gia'  in  «normali  materie» di cui all' art. 117, secondo comma
Cost.  (le  quali legittimerebbero una competenza statale legislativa
esclusiva)  ma  piuttosto in «materie trasversali», le quali come ben
noto se da un lato consentono un intervento statale con riferimento a
qualunque  materia,  ivi comprese quelle riservate ex art. 117, comma
quarto  alla  competenza esclusiva regionale, dall'altro, proprio per
tale   ragione,  impongono  che  l'intervento  statale  sia  limitato
tassativamente  alla  disciplina di quanto e' strettamente necessario
al conseguimento della finalita' cui la clausola trasversale medesima
e'  preordinata:  pena,  in  caso  contrario,  il fin troppo evidente
sostanziale svuotamento di qualunque prerogativa costituzionale delle
regioni.
    Tali  principi  sono gia' stati bene e chiaramente evidenziati da
parte di codesta Corte.
    Cosi',  innanzitutto,  con riferimento alla materia della «tutela
dell'ambiente»  (art. 117,  secondo  comma,  lettera  s), la Corte ha
chiarito  inequivocabilmente  come  sia  da  escludere  che  essa  si
configuri  come  «"materia"  in  senso  tecnico» riconducibile ad una
«sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con  altri  interessi  e  competenze».  Secondo  la Corte, e' agevole
ricavare    una    configurazione    dell'ambiente    come   "valore"
costituzionalmente  protetto,  che, in quanto tale, delinea una sorta
di   materia  "trasversale"  in  ordine  alla  quale  si  manifestano
competenze  diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato  le  determinazioni  che  rispondono  ad esigenze meritevoli di
disciplina  uniforme  sull'intero  territorio nazionale» (Corte cost.
n. 407-2002,  punto  3.2  in  diritto).  Tale conclusione, del resto,
emerge  anche  dai  lavori preparatori della legge cost. n. 3/2001, i
quali inducono «a considerare che l'intento del legislatore sia stato
quello  di  riservare  comunque  allo  Stato  il  potere  di  fissare
standards  di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza
peraltro  escludere  in  questo  settore la competenza regionale alla
cura  di  interessi  funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali»  di  modo  che  si puo' quindi ritenere che riguardo alla
protezione  dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare
la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per interventi
regionali  diretti  a  soddisfare  contestualmente, nell'ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere
unitario  definite dallo Stato) (ancora Corte cost. n. 407 2002, cit.
punto 3.2 in diritto).
    Considerazioni  analoghe  valgono  anche  per  quanto riguarda la
«tutela  della  concorrenza» (art. 117, lett. e), Cost.), la quale e'
stata    parimenti    qualificata   da   codesta   Corte   come   una
«materia-funzione», caratterizzata da un'estensione non rigorosamente
circoscritta  e determinata, ma piuttosto trasversale dal momento che
«si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi
- alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o
residuale  delle  Regioni»:  dal  che  consegue  la necessita' di «di
basarsi  sul  criterio  di  proporzionalita'  -adeguatezza al fine di
valutare,  nelle  diverse  ipotesi,  se  la  tutela della concorrenza
legittimi  o  meno  determinati  interventi legislativi dello Stato»,
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
    Quanto   alla   «determinazione   dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma,
lett.  m), Cost.) essa appare del tutto estranea rispetto all'oggetto
delle  disposizioni  statali relative al servizio idrico: e del resto
codesta  Corte  ha  gia'  pacificamente escluso che essa possa essere
invocata  per  giustificare  una  competenza  statale  in  materia di
servizi  pubblici  locali  quale  e' appunto il servizio idrico (cfr.
Corte  cost. 272-2004). Le motivazioni di tale esclusione si adattano
perfettamente  al  caso  presente:  anche  la  disciplina dei servizi
idrici  recata  dalle  disposizioni  qui  impugnate infatti come gia'
quella  di cui all'art. 113, comma 7, secondo e terzo periodo, d.lgs.
n. 267/2000  - «riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica
e  comunque  non  attiene  alla  determinazione di livelli essenziali
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
    A conclusioni corrispondenti si deve giungere per quanto riguarda
la materia relativa «alle funzioni fondamentali di comuni, province e
citta'  metroolitane»  di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.,
pure  invocata  dal  decreto legislativo: considerato che la gestione
dei servizi pubblici locali «non puo' certo considerarsi esplicazione
di  una  funzione  propria ed indefettibile dell'ente locale» (ancora
Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
    Quanto  allo  specifico  profilo  relativo  all'inquadramento del
servizio  idrico,  va  osservato  come - nel corso dello scrutinio di
costituzionalita' di una legge regionale avente ad oggetto proprio il
servizio  idrico  integrato  - la Corte abbia avuto recentissimamente
modo  di  stabilire in modo assolutamente chiaro come «la materia dei
servizi  pubblici  locali  ...  appartiene  alla competenza residuale
delle regioni» (Corte cost. n. 29/2006, punto 7 in diritto).
    Risulta  pertanto  inesatta nel decreto legislativo qui impugnato
anche  la collocazione della competenza regionale - nei limiti in cui
essa  e'  riconosciuta  nel  solo ambito del «governo del territorio»
(cfr.  art. 142,  comma  2).  Tale  disposizione,  se  pure mostra la
consapevolezza  dell'impossibilita'  di  ricondurre l'intero fenomeno
del servizio idrico integrato alla sola competenza esclusiva statale,
risulta  anch'essa,  come e' evidente dal confronto con quanto appena
illustrato estremamente riduttiva della competenza regionale.
    In  tale  contesto,  risulta  dunque ampiamente confermato quanto
sopra  indicato:  cioe'  che  e' innegabile la presenza di competenze
legislative  regionali  costituzionalmente riconosciute in materia di
servizio  idrico integrato (per di piu', competenze di tipo esclusivo
di  cui  all'art. 117,  quarto  comma  Cost.,  con la conseguenza che
l'operativita'    delle    richiamate   «clausole   trasversali»,   o
«materie-funzione»  di  cui all'art. 117, secondo comma, cost., se da
un  lato  e'  ben  in grado di fondare una concorrente legittimazione
normativa  statale,  deve tuttavia tenere necessariamente conto delle
intrecciate competenze regionali, e deve dunque essere esercitata nel
rispetto dei principi di proporzionalita' e adeguatezza, dunque nella
misura  strettamente  necessaria  ad assicurare le finalita' indicate
dalle citate «clausole trasversali».
    Ad  avviso  della  ricorrente  regione,  i limiti dell'intervento
statale  sono  stati  superati  in  particolare nelle disposizioni di
seguito indicate.
    I)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 147, comma 2, lett.
b), e art. 150, comma 1.
    L'art. 147,   comma  2,  lett.  b),  impone  inderogabilmente  la
«unicita'  della gestione» del servizio idrico all'interno di ciascun
ambito territoriale.
    Tale  previsione risulta innanzitutto incostituzionale in quanto,
come  dinanzi  appena  esposto,  essa  non trova fondamento in alcuna
delle materie richiamate all'art. 141, comma 1, del d.lgs. n. 52/2006
(ne',  peraltro,  in  nessun'altra  di quelle elencate nell'art. 117,
secondo  comma,  risultando  al contrario assorbita nell'ambito della
competenza  residuale esclusiva regionale in tema di servizi pubblici
locali  ex  art. 117,  quarto comma cost. (come statuito dalla citata
sentenza n. 29/2006 della Corte cost.).
    La  disposizione  dunque  compie  scelte  che  sono  riservate al
legislatore regionale.
    Si  aggiunga  che  tali scelte costituiscono anche violazione del
principio  di  ragionevolezza  (ex  art. 3 Cost.), in quanto adottata
senza  tenere  conto  dei  potenziali effetti negativi che essa e' in
grado di produrre.
    Al riguardo si consideri come l'imposizione - sempre e comunque -
di  una  gestione  unica  del  servizio  idrico mal si concili con le
particolari   esigenze   e  le  peculiarita'  delle  singole  realta'
territoriali,  le  quali  ben potrebbero invece consigliare - in casi
particolari - una soluzione differente.
    Ed   al  riguardo  si  osservi  come  di  tale  realta'  era  ben
consapevole  il  legislatore della legge Galli (legge n. 36/1994), il
quale non a caso aveva previsto il diverso criterio della unitarieta'
attraverso   il   superamento  della  frammentazione  delle  gestioni
esistenti:  ma  non la rigida necessaria unicita' della gestione. Nel
medesimo senso, peraltro, si era mosso anche il legislatore regionale
il  quale,  con  l.r.  n. 25/1999,  aveva  fatto  proprio il criterio
dell'unitarieta', ma non della unicita' della gestione.
    Di   conseguenza,   oltre  a  confermare  la  compressione  delle
attribuzioni legislative regionali gia' legittimamente esercitate con
la  l.r.  n. 25/1999  cit., la disposizione in parola risulta inoltre
ulteriormente incostituzionale per eccesso di delega (art. 76 cost.),
poiche'   introduce   in  un  decreto  delegato  di  mero  «riordino,
coordinamento  e  integrazione  della  materia (cfr. art. 1, comma 1,
legge  n. 308/2004)  una  previsione  del  tutto  nuova,  che  innova
radicalmente rispetto al sistema della legge Galli (legge n. 36/1994)
senza  che  nel  testo  della delega sia possibile rinvenire un reale
fondamento a tale potere.
    Per  le  medesime  ragioni  e'  incostituzionale pure l'art. 150,
comma  1, nella parte in cui presuppone quale principio cui informare
la   gestione  del  servizio  idrico  quello  della  «unicita'  della
gestioni».
    II) illegittimita' costituzionale dell'art. 150, comma 2.
    La  disposizione  in  questione  stabilisce  che l'aggiudicazione
della   gestione   del   servizio  idrico  integrato  sia  effettuata
dall'Autorita'   d'ambito   -   nel   rispetto  dei  criteri  di  cui
all'art. 113,  comma 7, del d.lgs. n. 67/2000, - «secondo modalita' e
termini  stabiliti  con  decreto  del  Ministro dell'ambiente e della
tutela  del  territorio  nel  rispetto  delle competenze regionali in
materia».
    La disposizione risulta incostituzionale, per diverse ragioni.
    Innanzitutto,  essa si pone in evidente contrasto con quanto gia'
chiaramente affermato da codesta Corte, la quale - nel richiamarsi ai
principi   di   proporzionalita'   ed   adeguatezza  quali  parametri
indispensabili  ai fini della conformazione dei limiti della potesta'
esclusiva  statale  in  materia di tutela della concorrenza - ha gia'
avuto  modo  di  dichiarare  l'incostituzionalita'  del secondo e del
terzo  periodo  dell'art. 113,  comma  7,  d.lgs. n. 267/2000, per la
ragione che tali previsioni, per l'indicazione dell'estremo dettaglio
dei  criteri  di  aggiudicazione, vanno «al di la' della pur doverosa
tutela  degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara», realizzando
una   «illegittima  compressione  dell'autonomia  regionale,  poiche'
risulta  ingiustificato  e  non  proporzionato rispetto all'obiettivo
della  tutela  della  concorrenza  l'intervento  legislativo statale»
(Corte cost. n. 272/2004, punto 3, in fine).
    In  tale  contesto, e' evidente che la disposizione qui impugnata
opera  una  analoga  -  illegittima  - compressione di quella operata
dalla  disposizione  gia'  caducata  dalla Corte, con il riservare al
livello  statale  la  determinazione  delle  modalita'  e dei termini
d'aggiudicazione.
    Ne'  si  obietti  che  la definizione deve avvenire «nel rispetto
delle  competenze  regionali  in materia»: posto infatti che la Corte
con  la  sentenza  n. 272/2004  ha  gia'  chiarito  che  gli «aspetti
concorrenziali  inerenti  alla  gara  ...  appaiono  sufficientemente
garantiti dalla puntuale indicazione, nella prima parte del comma, di
una serie di standard - coerenti con quelli contenuti nella direttiva
2004/18/CE  - nel cui rispetto la gara appunto deve essere indetta ed
aggiudicata»,  ne  consegue  che ogni previsione ulteriore si colloca
con  tutta  evidenza  al  di la' di quanto consentito e richiesto dai
principi  di  adeguatezze  e proporzionalita', in palese compressione
delle  legittime  facolta' delle Regioni., 2 Se cio' non bastasse, la
disposizione  e'  ulteriormente  incostituzionale  in quanto anziche'
disciplinare  modalita'  e  termini  di  aggiudicazione  con  un atto
legislativo,  ne  rimanda  sorprendentemente  la  definizione  ad  un
«decreto del Ministero dell'ambiente».
    Siamo  cioe'  in  presenza  di  un atto normativo sostanzialmente
regolamentare  che  interviene  in  materia riservata alla competenza
esclusiva  residuale  delle  regioni  in  materia di servizi pubblici
locali  ex  art. 117,  in  palese  violazione dell'art. 117, comma 6,
Cost.
    Ne'   si   potrebbe   salvare   la  disposizione  affermando  che
l'intervento  sarebbe  comunque  affidato  ad  un  atto  che  non  e'
formalmente  denominato  «regolamento». E' infatti del tutto evidente
che,  cosi'  ragionando,  si ottiene l'effetto fin troppo scoperto di
rendere  tamquam non esset la citata previsione costituzionale: basta
che  il  legislatore  statale  stia  attento  a  non  usare  il  nome
«sbagliato» (o forse, corretto...) di «regolamento».
    D'altra  parte,  la prevalenza della forma sulla sostanza ai fini
del  riconoscimento  della  natura  degli  atti e' gia' pacificamente
affermata da codesta Corte (cfr. sentenza n. 88/2003 e n. 12/2004).
    Fermi  restando  i  motivi  dinanzi  esposti - ciascuno dei quali
autonomamente  assorbente  ed invalidante - per completezza va notato
come  la  disposizione  sia  comunque  ulteriormente  illegittima per
eccesso   di   delega   (art. 76   cost),  in  quanto  introduce  una
disposizione  innovativa  in violazione da un lato dell'art. 1, comma
1,  legge  n. 308/2004  che impone il solo «riordino, coordinamento e
integrazione» della materia (mentre la previsione innova radicalmente
rispetto  al  sistema  della  legge  Galli),  dall'altro  del  d.lgs.
n. 112/1998  (il cui rispetto e' invece imposto dall'art. 1, comma 8,
della  legge  di delega), il cui art. 88 non riserva certo al livello
di  governo  statale  il  compito  di  disciplinare le modalita' ed i
termini  per  l'aggiudicazione  della  gestione  del  servizio idrico
integrato.
    III) Illegittimita' costituzionale degli articoli 159-160.
    Gli artt. 159 e 160 dispongo la costituzione di una «Autorita' di
vigilanza  sulle  risorse  idriche e sui rifiuti» - in realta', nella
sostanza,  un  apparato  ministeriale,  - e ne disciplinano i molti e
penetranti poteri.
    Anch'essi  tuttavia  risultano  incostituzionali  per le medesime
ragioni gia' esposte.
    In   primo  luogo,  ad  essere  illegittima  e'  innanzitutto  la
costituzione in se' dell'Autorita', in quanto di essa non vi e' alcun
traccia  nella  legge  di delega: che risulta dunque sotto tale punto
violata.
    Sotto  altro  profilo,  non  si  spiega  come  sia  possibile  la
istituzione  di un organismo centrale di tal sorta con riferimento ad
un  ambito  -  quello  del  servizio idrico integrato - che in quanto
rientrante  nel novero dei «servizi pubblici locali» e' affidato alla
competenza  esclusiva regionale ex art. 117, quarto comma Cost. (cfr.
Corte  cost.,  29/2006;  272/2004).  Del  resto,  sotto tale profilo,
l'intervento  statale risulta manifestamente lesivo delle prerogative
della  ricorrente,  posto  che  la  Regione Emilia-Romagna aveva gia'
proceduto  ad  istituire una propria autorita' regionale di vigilanza
(cfr. artt. 20 e 21 l.r. n. 25/l999).
    Del resto, l'attribuzione di funzioni amministrative ad un organo
statale in assenza di reali motivi che ne giustifichino un'attrazione
a  livello  statale costituisce al contempo violazione dell'art. 118,
primo  comma  Cost.,  oltre ad essere radicalmente da escludere anche
alla  luce  dei contenuti del d.lgs. n. 112/l998, che a tali funzioni
non  fa  alcun  accenno  nel  suo  art. 88: con conseguente ulteriore
eccesso    di   delega   per   violazione   dell'art. 1,   comma   8,
legge n. l08/2004.
    E'  al  contrario  evidente  che  una  realta'  quale  quella del
servizio   idrico  integrato  si  riferisce  ad  una  dimensione  che
trascende  l'ambito  puramente  locale,  ma e' pienamente compresa in
quello  regionale,  e  non  richiede affatto un esercizio unitario di
funzioni   amministrative   a   livello   statale.   In   ogni  caso,
un'attrazione  di  tali potesta' ad opera della Stato potrebbe essere
consentita  - ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non e'
nel  presente  caso)  -  previo  reale  coinvolgimento  delle regioni
nell'esercizio  del  potere,  in ossequio al principi indicati con la
nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.
    Infine  sotto  un  diverso  profilo,  le  disposizioni  impugnate
appaiono   incostituzionali   per   violazione   del   principio   di
ragionevolezza   in  quanto  costituiscono  un  organismo  denominato
«Autorita»  pur  in  assenza dei caratteri di indipendenza, capacita'
tecnica e terzieta' che dovrebbero caratterizzare le «Autorita».
    IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 166, comma 1.
    L'art. 166, comma 1, disciplina gli «usi delle acque irrigue e di
bonifica».
    La  materia rientra, tuttavia, in parte nell'ambito della materia
agricoltura,  in  parte  nell'ambito dei lavori pubblici di interesse
regionale:  entrambi  affidati  alla competenza legislativa esclusiva
delle regioni ex art. 117, quarto comma, Cost.
    Di qui l'illegittimita' dell'intervento normativo statale.
    In   particolare,   la   normativa   poi  prevede  una  forma  di
silenzio-assenso  da  parte  dell'Autorita'  di bacino per l'utilizzo
delle acque. Ma non spetta allo Stato di disciplinare il procedimento
nelle  materie regionali, come e' reso evidente dallo stesso art. 29,
commi  1 e 2, della legge statale n. 241 del 1990, legge generale sul
procedimento amministrativo.
    Sotto  altro  profilo, l'affidamento della competenza decisionale
ad  un  organo  non appartenete alla regione concreta al contempo una
violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.: nella palesa assenza di
una  fondata  ragione di attrazione a livello statale, per di piu' in
assenza  dell'imprescindibile  concorso  regionale  come  da sentenza
303/2003  Corte  cost.) e del d.lgs. n. 112/1998 (artt. 88 e 89): con
conseguente violazione sotto tale profilo dell'art. 1, comma 8, legge
n. 308/2004   e   conseguente   incostituzionalita'   per  violazione
dell'art. 76 Cost.
    In  ogni caso, l'eccesso di delega emerge anche in considerazione
della  circostanza  che la disposizione appare innovativa, risultando
al contempo sfornita di qualunque copertura nella legge n. 308/2004.
    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 172, comma 2.
    La  disposizione dell'art. 172, comma 2, risulta incostituzionale
nella  parte  in  cui subisce negativamente il riflesso degli effetti
della  previsione  di  cui  all'art. 147, comma 2, lett. b), la quale
impone  -  come  visto  - l'obbligo della unicita' della gestione del
servizio idrico integrato all'interno di ciascun Ambito territoriale.
    Venendo  infatti  ad insistere in una realta' che - normata dalla
legge  Galli  e  dalle  leggi regionali di settore - ammetteva invece
anche  la  possibilita'  di  piu'  gestioni  all'interno del medesimo
ambito,  nell'ipotesi di scadenze differenziate a seguito del termine
di   cui   all'art. 113,   comma   15-bis,   d.lgs.   n. 267/2000  si
realizzerebbe  la situazione paradossale della inapplicabilita' della
gestione  unica,  ovvero  della  lesione  dei diritti dei gestori con
scadenze differenziate.
    Di qui, un'ulteriore conferma della illegittimita' dell'art. 147,
comma 2, per violazione del principio di ragionevolezza.
    VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 176, comma 1.
    L'art. 176,  comma 1, stabilisce che «le disposizioni di cui alla
parte   terza   del   presente  decreto  che  concernono  materie  di
legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi
dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione.
    E'  tuttavia  giurisprudenza  costituzionale  costante quella che
nega  la  legittimita'  di un'autoqualificazione di disposizioni come
«di  principio»  a  prescindere  dai  loro  concreti  contenuti e dal
rigoroso rispetto dei criteri di riparto di cui all'art. 117 Cost.
    Di  conseguenza,  la  qualificazione  «in  blocco»  di  tutte  le
disposizioni  di  cui alla Parte Terza - in gran parte peraltro, come
esposto  nei  punti  precedenti,  relative  a materie attribuite alla
competenza  legislativa  regionale  -  come «di principio», appare in
realta' del tutto arbitraria ed illegittima.
    Di  qui  la richiesta di declaratoria d'incostituzionalita' della
disposizione,   per   violazione  dell'art. 117,  terzo  comma  della
Costituzione.
    D)  Illegittimita'  costituzionale delle disposizioni della Parte
quarta,  recante «Norme in materia di gestione dei rifiuti e bonifica
dei siti inquinanti».
    Del  Titolo I (Gestione dei rifiuti) della Parte quarta (Norme in
materia  di  gestione dei rifiuti e di bonfica dei siti inquinati) la
regione  ricorrente  ha  gia'  impugnato,  in  separato  ricorso, gli
artt. 181,  commi  da  7  a  11  (concernente  il  c.d.  recupero dei
rifiuti);  183, comma 1 (concernente la definizione dei rifiuti); 186
(concernente  le  terre  e rocce da scavo); 189, comma 3 (concernente
gli obblighi di comunicazione relativi a certe categorie di rifiuti):
chiedendone,  in  applicazione  dell'art. 35  della legge n. 87/1953,
come  modificato  dall'art. 9,  comma  4, della legge n. 131/2003, la
sospensione  in  quanto  hanno  decorrenza  immediata  e rischiano di
provocare  danni  gravi  e  irreparabili  all'interesse pubblico alla
tutela dell'ambiente, all'ordinamento giuridico nazionale e regionale
nonche'  ai  diritti  dei  cittadini  alla  salute  e alla salubrita'
dell'ambiente.
    Altre  disposizioni  della  Parte  quarta  presentano  pero' vizi
rilevanti   di   legittimita'  costituzionale  per  violazione  delle
competenze regionali.
    I) Illegittimita' dell'art. 195, commi 1-2.
    L'art. 195   (Competenze   dello  Stato)  riscrive  integralmente
l'art. 18 del d.lgs. n. 22/1997, recante la medesima rubrica.
    Gia'  questo  suscita  sorpresa,  dato  che  la  legge  di delega
n. 308/2004  prescrive che i decreti delegati devono essere formulati
«nel  rispetto...,  delle  attribuzioni  delle  regioni  e degli enti
locali,  come definite ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione,
della  legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo
1998,   n. 112»:   e  l'art. 85  del  d.lgs.  n. 112/l998  (contenuto
significativamente  nella  Sezione intitolata anch essa «Gestione dei
rifiuti»  a  sua volta richiama espressamente il d.lgs. n. 22/l997 (e
successiva  modifica)  per  affermare  che le competenze che «restano
attribuite  allo  Stato, in materia di rifiuti» sono «esclusivamente»
le funzioni e i compiti indicati in esso.
    In  sintesi,  l'art. 195 del decreto delegato riscrive proprio la
norma che era tenuto a rispettare per espressa previsione della legge
di delega!
    Naturalmente non si muoverebbero obiezioni al nuovo testo se esso
fosse  stato  formulato  allo  scopo di adeguare l'elenco dei compiti
trattenuti  dallo  Stato  alla  successiva riforma costituzionale del
2001. Ma non e' affatto cosi', come si puo' riscontrare esaminando in
particolare  alcune  specifiche  competenze riservate allo Stato come
individuate  dall'elenco contenuto nel primo comma della disposizione
impugnata, come segue:
        1)  La  lettera  f), si occupa degli impianti di smaltimento.
Mentre la lett. l) del d.lgs. n. 22/1997 riservava allo Stato la sola
competenza   di  «indicazione  dei  criteri  generali  relativi  alle
caratteristiche  delle  aree  non  idonee  alla  localizzazione degli
impianti di smaltimento dei rifiuti», l'attuale lett. f) riserva allo
Stato    «l'individuazione,    nel    rispetto   delle   attribuzioni
costituzionali  delle  regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di
smaltimento  di  preminente  interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese».
    La  ricorrente  non  contesta  che lo Stato possa attrarre a se',
agendo  in  sussidiarieta',  funzioni  di  coordinamento per una piu'
idonea  localizzazione  degli impianti di ricupero e di smaltimento e
per  rispondere  ad  esigenze  che si manifestano su scala nazionale;
tuttavia non sembra legittimo che:
        a)  l'autorizzazione  a  «chiamare  in  sussidiarieta»  nuove
funzioni   amministrative   sia  contenuta  in  un  decreto  delegato
vincolato  a  rispettare  il  precedente  riparto  delle  competenze,
anziche'  in un autonomo atto legislativo, necessariamente sottoposto
ai   vincoli   procedurali   derivanti   dal   principio   di   leale
collaborazione (sent. n. 303/2003);
          b)  l'individuazione sia operata «sentita» anziche' «previa
intesa»  con la Conferenza unficata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281», dovendosi trattare, come codesta
ecc.ma   Corte   ha  ripetutamente  indicato,  di  un  coinvolgimento
collettivo delle regioni tramite «intesa forte», e non limitato ad un
semplice  parere  (cfr.  sentt n.303/2003, 6/2004, 31/2005, 242/2005,
213 e 214/2006);
        c)  l'individuazione  del  singolo impianto sia operata dallo
Stato  dopo  aver  consultato  la  Conferenza,  e  non  a  seguito di
un'intesa  con  la  singola  regione  interessata come ha chiaramente
espresso  la sent. 303/2003, secondo cui «diviene elemento valutativo
essenziale  la  previsione  di  un'intesa  fra  lo Stato e le regioni
interessate,   alla   quale   sia  subordinata  l'operativita'  della
disciplina».
    2)  La  lett. g) riserva allo Stato «la definizione, nel rispetto
delle   attribuzioni   costituzionali  delle  regioni,  di  un  piano
nazionale  di  comunicazione e di conoscenza ambientale... sentita la
Conferenza  unificata».  Non  e'  ben  chiaro  quali possano essere i
contenuti di questo piano, ma una tale competenza statale e' comunque
aggiuntiva  rispetto  all'elenco  del d.lgs. n, 22/l997 e, in secondo
luogo,   se   essa   serve   a  coordinare  le  attivita'  di  tutela
dell'ambiente  svolte  dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali
appare  indispensabile  che  regioni  e enti locali siano coinvolti a
pieno  titolo  nella  sua elaborazione, e non solo attraverso la mera
consultazione. Anche in questo caso, dunque, la violazione dei limiti
della  delega legislativa si sovrappone alla violazione del principio
costituzionale di leale collaborazione.
    3)  La  lett.  n)  attribuisce  allo  Stato  «la  determinazione,
relativamente  all'assegnazione della concessione del servizio per la
gestione   integrata   dei   rifiuti   d'intesa   con  la  Conferenza
Stato-regioni,  delle  linee  guida  per  la  definizione  delle gare
d'appalto  ed  in  particolare  dei  requisiti  di  ammissione  delle
imprese,  e  dei  relativi  capitolati,  anche  con  riferimento agli
elementi economici relativi agli impianti esistenti».
    Ora,  la  gestione  integrata  dei  rifiuti rientra nella materia
«servizi  pubblici  locali che», che e' pacificamente attribuita alla
potesta'  legislativa residuale delle regioni dalla giurisprudenza di
codesta  ecc.ma  Corte  (da ultimo sent. n. 29/2006). La disposizione
impugnata  risulta  percio'  illegittima  non solo perche' «aggiunge»
competenze   statali  all'elenco  contenuto  dal  d.lgs.  n. 22/1997,
violando  i limiti della delega legislativa, ma anche perche' assegna
allo  Stato  compiti  normativi di tipo regolamentare (con violazione
dell'art. 117, sesto comma).
    Del   resto,   neppure   fondandone   la   giustificazione  sulle
attribuzioni  «esclusive»  dello  Stato  in  materia  di tutela della
concorrenza,   la   disposizione  si  salverebbe  dalla  censura:  la
disciplina  delle gare d'appalto per l'assegnazione della concessione
dei  servizi  pubblici,  infatti, e' gia' soggetta a regolamentazione
comunitaria  e  alla  legislazione statale di attuazione. Sono quindi
queste le fonti normative che le regioni devono tenere presenti nella
loro attivita' di regolazione delle procedure, essendo ogni ulteriore
intervento  regolamentare o para-regolamentare ingiustificato, lesivo
della  loro  attribuzione  legislativa  costituzionalmente tutelata e
anche   controproducente   sul   piano   della  stessa  tutela  della
concorrenza:  infatti  esso  provocherebbe  una restrizione ulteriore
all'accesso  dei  concorrenti, senza offrire alle imprese la certezza
derivante dall'indicazione con legge della disciplina regolativa.
    La  previsione  di  questo  potere  statale  appare percio' anche
lesiva  dei  canoni di ragionevolezza, proporzionalita' e adeguatezza
che  questa  codesta  ecc.ma  Corte  ha posto a limite e parametro di
giudizio degli interventi legislativi che lo Stato dispone in materia
di  servizi  pubblici  locali  in nome della tutela della concorrenza
(sent.  n. 272/2004);  infatti  non si individuano le ragioni per cui
sia  necessario  attrarre  al  centro,  «chiamate  in  sussidiarieta»
funzioni  lato  sensu  normative  (le  «linee guida» sono infatti poi
richiamate  dal  successivo  art. 200) che avrebbero l'unico scopo di
rendere omogenei criteri di formulazione dei bandi di gara che invece
ben  piu'  opportunamente andrebbero modulati in considerazione delle
specificita' della concreta situazione, ovviamente nel pieno rispetto
delle  regole  generali  stabilite  dalla  legislazione  comunitaria,
statale e regionale.
        4)  La  lett.  o)  attribuisce allo Stato «la determinazione,
d'intesa  con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida inerenti
le  forme ed i modi della cooperazione fra gli enti locali, anche con
riferimento   alla  riscossione  della  tariffa  sui  rifiuti  urbani
ricadenti  nel medesimo ambito territoriale ottimale, secondo criteri
di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicita».
    Anche  questa  e'  una  competenza  «aggiunta»  all'elenco  della
funzioni  attribuite  allo Stato dal d.lgs. n. 22/1997, in violazione
quindi dei criteri della delega legislativa. Per di piu' si tratta di
una  evidente  invasione  delle  competenze  regionali  residuali  in
materia   di   tariffazione   dei   servizi  pubblici  locali  (sent.
n. 272/2004),   nonche'   anche   nella  promozione  delle  forme  di
cooperazione tra gli enti locali (sentt. 244 e 456/2005).
    In  sintesi,  le  disposizioni  impugnate  sono  illegittime  per
violazione  dell'art. 76  Cost.,  con compressione delle attribuzioni
regionali   e   violazione   dell'art. 117   Cost.  e  del  principio
costituzionale di leale collaborazione.
    II) Illegittimita' degli articoli 200, 201 e 203.
    Le  disposizioni  degli  articoli  200, 201 e 203 disciplinano il
servizio   di  gestione  integrata  dei  rifiuti  urbani,  attraverso
l'individuazione  di  ambiti territoriali ottimali e l'istituzione di
Autorita'   d'ambito  cui  vengono  assegnate  le  funzioni  relative
all'organizzazione,  l'affidamento  e  il  controllo  del servizio di
gestione  integrata  dei  rifiuti,  la  formulazione del contratto di
servizio tra ATO e gestore.
    La  scelta  di  organizzare  il  servizio  per  ambiti  ottimali,
assegnando  alle  corrispondenti  Autorita' le funzioni relative alla
gestione  dei rifiuti, non e' affatto una scelta criticabile, tant'e'
che  la  Regione  Emilia-Romagna  l'ha  gia' accolta e attuata con la
legge regionale 25/1999 (e successive modifiche).
    Tuttavia  alla  ricorrente  non  appare  accettabile che lo Stato
legiferi  in  una  materia  riservata alla competenza residuale delle
regioni.  Come gia' si e' rilevato in relazione all'art. 195 (punto 3
del  motivo  di  ricorso), il servizio di gestione dei rifiuti urbani
rientra   nella   materia   «servizi   pubblici   locali»,  di  certa
appartenenza  alle  materie  attribuite  residualmente  alla potesta'
legislativa regionale (sentt. 272/2004 e 29/2006). In tale materia la
legislazione  statale  puo'  insinuarsi  qualora  muova  da specifici
titoli  abilitativi,  quali  la tutela della concorrenza, la garanzia
dei  livelli  essenziali, la tutela dell'ambiente ecc., oppure agisca
«in  sussidiarieta»  ma  in  tutti questi casi, l'intromissione della
legge  statale  -  come  la  giurisprudenza  costituzionale  ha ormai
solidamente  affermato  -  e'  vincolata al rispetto, da un lato, dei
principi   di   ragionevolezza,  proporzionalita'  e  adeguatezza  e,
dall'altro,  delle  regole della leale cooperazione, le quali pongono
obblighi  sempre  piu'  intensi  man mano che la legge statale incida
piu'  profondamente  nelle  attribuzioni  regionali;  per  di piu' la
legislazione statale deve mantenersi a livello di principi generali e
di  definizione  di  obiettivi,  non  invece addentrasi nel dettaglio
della  disciplina organizzativa (cfr., tra le tante, le sentt. 6, 345
e 390/2004, 285/2005).
    Ora,  nessuno dei titoli abilitativi elencati tra le attribuzioni
legislative   esclusive   o   concorrenti  dello  Stato  puo'  essere
appropriatamente   invocato   a  giustificazione  delle  disposizioni
impugnate, le quali quindi potrebbero cercare una base costituzionale
soltanto   invocando   il  principio  di  sussidiarieta':  ma  questo
principio   puo'  giustificare  interventi  volti  ad  assicurare  il
risultato - in termini di efficienza ed economicita' - della gestione
di  un  servizio  pubblico  locale,  non certo anche le sue modalita'
organizzative, che non possono che appartenere al nucleo piu' interno
della competenza legislativa regionale.
    Le disposizioni impugnate, invece, sia attraverso le norme poste,
sia  attraverso  il richiamo alle «Linee guida» contenute nelle lett.
m),  n),  e  o)  del  precedente  art. 195  (se  ne  vedano sopra gli
specifici  motivi  di  impugnazione),  entrano  nello specifico della
disciplina  degli  ATO, sino ad occuparsi dell'assetto impiantistico,
assegnando   alle   Regioni  compiti  specifici,  indicando  tempi  e
modalita'  con  cui  esse  li  devono svolgere, regolando (ancora una
volta  con  richiamo a «linee guida») anche le condizioni rispettando
le  quali le regioni possono derogare alla disciplina generale. Tutto
cio'  appare  esorbitare  dalle  attribuzioni  legislative statali ed
incidere indebitamente nell'autonomia legislativa regionale.
    Altrettanto  puo'  dirsi  della  disciplina dello schema tipo del
contratto  di  servizio  da stipularsi con il gestore aggiudicatario,
contenuta  nell'art. 203: con l'osservazione aggiuntiva che per altro
la  Regione  Emilia-Romagna  ha  gia'  provveduto  a  disciplinare  i
contenuti  delle convenzioni tipo e dei relativi disciplinari tecnici
con  la  propria  legge regionale 25/1999 e che tali convenzioni sono
tutt'ora operanti sul territorio regionale.
    III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 202, commi 1 e 4.
    Le  disposizioni  contenute nei commi 1 e 4 dell'art. 202 sono in
palese   contrasto  con  il  riparto  della  potesta'  legislativa  e
regolamentare  definito dall'art. 117 Cost. Infatti, come si e' sopra
illustrato,  la  disciplina  dei servizi pubblici locali e' di sicura
attribuzione  alla  potesta'  legislativa  residuale delle regioni e,
pertanto, e' escluso da essa il potere regolamentare dello Stato.
    Viceversa  il  comma  1  dell'art. 202  prevede  che «l'Autorita'
d'ambito  aggiudica  il  servizio  di  gestione integrata dei rifiuti
urbani  mediante  gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni
comunitarie, in conformita' ai criteri di cui all'articolo 113, comma
7,  del  decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' con
riferimento  all'ammontare  del corrispettivo per la gestione svolta,
tenuto  conto  delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti
esperienze  specfiche  dei  concorrenti  secondo  modalita' e termini
definiti  con  decreto  dal Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia».
    La  poco  lineare  scrittura  della disposizione potrebbe lasciar
intendere  che  il  potere ministeriale sia limitato alla definizione
dei criteri per fissare l'ammontare del corrispettivo per la gestione
svolta:  ma  tale  interpretazione  restrittiva  non sarebbe comunque
sufficiente  a  eliminare  il  vizio  di incompetenza che inficerebbe
l'attribuzione   di   poteri  normativi  all'autorita'  ministeriale.
Tuttavia  tale  interpretazione e' platealmente smentita dallo stesso
atto  di  attuazione  della  disposizione  in questione: infatti, con
inconsueta   tempestivita',   e'  stato  emanato  il  2  maggio  2006
(pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  11  maggio 2006, n. 108), il
quale  gia'  dal  titolo  «Modalita'  per  l'aggiudicazione, da parte
dell'Autorita'  d'ambito,  del  servizio  di  gestione  integrata dei
rifiuti  urbani,  ai  sensi  dell'articolo 202, comma 1, del d.lgs. 3
aprile  2006,  n. 152»)  preannuncia  una  disciplina analitica, e in
parte   anche   innovativa   rispetto   alla   legislazione  vigente,
dell'aggiudicazione  del  servizio.  Incautamente  il  preambolo  del
decreto  ministeriale  richiama  l'art. 117  («il quale, fra l'altro,
stabilisce  che  lo  Stato  ha  legislazione  esclusiva in materia di
tutela  della  concorrenza»), dimenticando che in nessun caso sarebbe
ammesso  il  ricorso  ad  un  atto  regolamentare emanato dallo Stato
unilateralmente  -  senza  cioe'  le dovute procedure ispirate ad una
lettura   «forte»   del  principio  di  leale  collaborazione  -  per
esercitare   competenze   «trasversali»  che  trovano  la  loro  base
costituzione  nei  titoli  di  competenza esclusiva dello Stato ma la
loro  applicazione nelle attribuzioni residuali (o concorrenti) delle
regioni (sentt. 88/2003, 390/2004, 279/2005, 134/2006).
    Il  comma 4 dell'art. 202, prevede il conferimento in comodato ai
gestori  aggiudicatari  del  servizio  degli  impianti  e delle altre
dotazioni  patrimoniali  in  proprieta' degli enti locali. Essendo il
comodato,   ai   sensi   dell'art. 1803,  comma  2,  del  cod.  civ.,
«essenzialmente  gratuito»,  la  mancata  previsione  dell'accollo al
gestore  degli oneri e della passivita' (per esempio, eventuali ratei
di mutui in essere relativi alle opere e agli impianti) appare lesiva
delle   attribuzioni   comunali   e   del   principio  di  equilibrio
finanziario,  perche' non consente ai comuni di stabilire un canone a
carico   del  gestore  con  cui  ricuperare  i  costi  relativi  agli
investimenti effettuati.
    In  definitiva,  le  disposizioni  dell'art. 202,  commi 1 e 4 si
rivelano costituzionalmente illegittimi per violazione dell'art. 117,
commi 4 e 6.
    IV) Illegittimita' costituzionale dell'art. 204, comma 3.
    Le  norme  che disciplinano le gestioni esistenti del servizio di
gestione  dei  rifiuti  e,  in  particolare,  il  comma 3, che regola
attraverso   meccanismi   particolarmente   complessi  e  macchinosi,
l'esercizio  del  potere  sostituivo  da  parte  del presidente della
giunta  regionale,  rappresentano una regolamentazione analitica e di
dettaglio  che lo Stato non ha titolo di emanare in materia riservata
alla potesta' residuale delle regioni.
    Lo  Stato  infatti e' indubbiamente legittimato a disciplinare il
proprio  procedimento di sostituzione degli enti inadempienti, ma non
puo'  intromettersi  nella  formulazione  delle  regole  con  cui  la
regione,  anche  in attuazione del proprio statuto, disciplina, anche
attraverso  la  delega  di funzioni agli enti locali, le attivita' di
vigilanza, di controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei
servizi pubblici locali.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 204, comma 3,
per violazione dell'art. 117, quarto comma Cost.
    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 207, comma 1.
    L'art. 207,  comma  1,  attribuisce  all'«Autorita'  di vigilanza
sulle  risorse  idriche  e  sui  rifiuti» il compito di «garantire» e
«vigilare» «in merito all'osservanza dei principi ed al perseguimento
delle  finalita'  di  cui alla parte quarta del presente decreto, con
particolare      riferimento      all'efficienza,      all'efficacia,
all'economicita'  ed  alla  trasparenza del servizio» Come gia' si e'
evidenziato  sub art. 159, l'Autorita' e' un apparato ministeriale la
cui istituzione risulta illegittimita' sotto diversi profili:
        innanzitutto  perche'  di essa non vi e' alcuna traccia nella
legge di delega: che risulta dunque sotto tale punto violata;
        in  secondo  luogo,  perche'  l'istituzione  di  un organismo
centrale  in materia di «servizi pubblici locali» qual e' il servizio
di  gestione  dei  rifiuti  (come  gia' si e' ampiamente argomentato,
anche  in  riferimento  alle sentt. 29/2006; 272/2004 di codesta ecc.
Corte),  lede  la  competenza esclusiva regionale ex art. 117, quarto
comma;
        in  terzo  luogo, l'intervento statale risulta manifestamente
lesivo  delle  prerogative  della  ricorrente,  posto  che la Regione
Emilia-Romagna   aveva   gia'  proceduto  ad  istituire  una  propria
autorita'   regionale   di   vigilanza  (cfr.  artt. 20  e  21,  l.r.
n. 25/1999);
        in  quarto  luogo  perche' l'attrazione al centro di funzioni
amministrative  regionali, in assenza di reali motivi giustificativi,
costituisce al contempo violazione del principio di sussidiarieta' di
cui all'art. 118, primo comma Cost.;
        in   quinto   luogo,  perche'  la  centralizzazione  di  tali
funzioni,   modificando  l'assetto  delle  competenze  amministrative
fissato  dal d.lgs. n. 112/1998, segna un ulteriore eccesso di delega
per violazione dell'art. 1, comma 8, legge n. 308/2004;
        in  sesto  luogo,  perche' le disposizioni impugnate appaiono
incostituzionali  per  violazione  del principio di ragionevolezza in
quanto  costituiscono  un  organismo  denominato  «Autorita»  pur  in
assenza  dei caratteri di indipendenza, capacita' tecnica e terzieta'
che dovrebbero caratterizzare le «Autorita».
    VI) Illegittimita' costituzionale dell'art. 214, comma 9.
    La   disposizione   impugnata,   estende   alle   denunce,   alle
comunicazioni  e  alle domande disciplinate dalle precedenti norme di
semplificazione  delle  procedure gli istituti della dichiarazione di
inizio attivita' e del silenzio assenso, di cui ai novellati articoli
19  e  20  della  legge  7  agosto  1990, n. 241. A questa stregua, a
condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le
prescrizioni  specifiche  stabilite dai commi precedenti, l'esercizio
delle  operazioni  di  recupero dei rifiuti possono essere intraprese
decorsi  novanta  giorni  dalla  comunicazione di inizio di attivita'
alla sezione competente dell'Albo di cui all'art. 212.
    In   questo  modo  la  legge  statale  interviene  in  un  ambito
procedimentale  riservato  alla  disciplina  regionale,  come risulta
evidente   dalla   stessa   disciplina   della   legge  generale  sul
procedimento  amministrativo,  che  all'art. 29,  nel disciplinare il
proprio   ambito   di   applicazione,   dispone  (comma  1)  che  «le
disposizioni  della  presente  legge  si  applicano  ai  procedimenti
amministrativi  che  si  svolgono  nell'ambito  delle amministrazioni
statali e degli enti pubblici nazionali», e che (comma 2) «le regioni
e  gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano
le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale   e   delle   garanzie   del  cittadino  nei  riguardi
dell'azione   amministrativa,   cosi'   come  definite  dai  principi
stabiliti dalla presente legge». Non c'e' dunque dubbio che la scelta
tra  i  diversi  meccanismi  procedimentali  spetta  alla  competenza
regionale.
    Inoltre,  si  sottolinea  la  grave incongruenza di estendere «in
quanto  applicabili» le regole del procedimento amministrativo che il
richiamato  art. 19,  comma  1,  esplicitamente esclude dalla materia
«tutela dell'ambiente».
    Ancora,  il  meccanismo  introdotto da tale disposizione crea una
situazione  di  assoluta  incertezza  e di impossibilita' di svolgere
controlli  efficaci  ex  post,  gravemente  interferendo  percio' con
l'esercizio  delle  funzioni  poste  a  carico  delle amministrazioni
regionale  e  locali.  La  contraddittorieta' della norme e l'effetto
ricorsivo del richiamo incrociato (si estendano in quanto applicabili
norme  che  si  definiscono  inapplicabili  a quella materia) rendono
estremamente  ardua  l'individuazione  precisa degli obblighi posti a
carico  degli operatori e dei controlli che possono essere esercitati
dall'autorita'  pubblica,  con  grave  pregiudizio  per gli interessi
ambientali e di tutela della salute gravanti sulla regione.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 214, comma 9,
per violazione degli artt. 117, 3 e 97 Cost.
    VII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 215.
    L'art. 215 attribuisce all'Albo nazionale dei gestori ambientali,
sezione  regionale,  competenze relative all'iscrizione delle imprese
che effettuano la comunicazione di inizio attivita' di smaltimento di
rifiuti non pericolosi effettuato nel luogo di produzione dei rifiuti
stessi  (c.d.  autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla
vigilanza sul rispetto delle norme tecniche.
    Queste  funzioni  erano  in  precedenza  attribuite alle province
dall'art. 32  del  d.lgs. n. 22/1997, richiamato - per interposizione
del  d.lgs.  n. 112/1998  -  dalla  legge  di  delega  che  impone al
legislatore   delegato   di  mantenerne  il  riparto  delle  funzioni
amministrative  tra  i diversi livelli di governo. Le province vedono
invece  oggi  ridimensionato  il  loro ruolo, poiche' la disposizione
impugnata  prevede  che  ad  esse  venga  semplicemente  data notizia
dell'iscrizione delle imprese (comma 1) e che, accertato dall'Albo il
mancato   rispetto   delle   condizioni   tecniche  e  dei  requisiti
prescritti,  sia ancora l'Albo a proporre le relative azioni (divieto
di   inizio   ovvero   di   prosecuzione  dell'attivita',  salvo  che
l'interessato  non provveda a conformare alla normativa vigente detta
attivita'   ed   i  suoi  effetti  entro  il  termine  e  secondo  le
prescrizioni stabiliti dall'amministrazione).
    L'eccesso  di  delega  si  accompagna  anche  in questo caso alla
violazione  del  riparto  delle competenze amministrative fissato dal
d.lgs.  n. 112.  Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 215
per violazione dell'art. 76 Cost.
    VIII) Illegittimita' costituzionale dell'art. 238, per violazione
degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6.
    Mentre  la  legge  di delega prevedeva (art. 1, comma 9, lett. a)
che  il  decreto  delegato si occupasse della tariffa per la gestione
dei rifiuti urbani esclusivamente al fine di «assicurare una maggiore
certezza  della  riscossione  della tariffa sui rifiuti urbani, anche
mediante  una  piu'  razionale  definizione dell'istituto» l'art. 238
contiene  invece  una integrale ridisciplina della tariffa, che viene
trasformata  anche  concettualmente.  Infatti  viene  restaurata (con
abrogazione  della  precedente disciplina contenuta nel c.d. «decreto
Ronchi»)   la  «tassa»  sui  rifiuti,  commisurata  su  indici  quali
l'estensione  dei locali detenuti e «indici reddituali articolati per
fasce  di  utenza  e  territoriali» (comma 2), anziche' sul parametro
della  effettiva  produzione dei rifiuti, come sarebbe corrispondente
al  principio comunitario «chi inquina paga»: sicche' resta del tutto
in ombra la natura di «tariffa» commisurata quale corrispettivo della
prestazione di un servizio.
    Inoltre,  «i  criteri  generali  sulla  base  dei  quali  vengono
definite  le  componenti  dei  costi  e viene determinata la tariffa»
vengono   determinati,   in  base  al  comma  6,  da  un  regolamento
ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-regioni.
    Ma  l'analitica  disciplina statale e la espressa attribuzione di
poteri  normativi  ministeriali, sovraordinati a quelli delle regioni
(gia'  da  tempo  esercitati  dalla  regione ricorrente, con la legge
regionale  n. 25/1999),  violano  la  competenza legislativa propria,
spettante  alle  Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost.,
in  quanto strettamente correlata alla disciplina e alla politica dei
servizi   pubblici   locali,   nonche'   il  riparto  della  potesta'
regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma.
    Il  metodo  tariffario  - se correttamente inteso - e' componente
connaturata  alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica  (qual  e'  il  servizio  di gestione dei rifiuti) ed e' di
sicura   spettanza  regionale  (cfr.  le  motivazioni  riportate  sub
art. 195,  al  punto  4  della motivazione). Non spetta, quindi, allo
Stato determinare i componenti di costo della tariffa, se la politica
di  regolazione  e  di  organizzazione  del servizio pubblico locale,
afferente alla gestione dei rifiuti, e' demandata alla cura regionale
che,  anche  attraverso il metodo tariffario, puo' perseguire precise
scelte in materia.
    Ne'  si  vede  quale sia la base costituzionale che consenta allo
Stato  di  avocare  a  se'  tali determinazioni: su tale presupposto,
d'altronde,   codesta   stessa   Corte  ha  rigettato  l'impugnazione
governativa  proposta  avverso la legge regionale dell'Emilia-Romagna
n. 7/2004,  disciplinante il metodo tariffario regionale sul servizio
idrico,  in  relazione  alla rilevata insufficienza di argomentazioni
addotte  a  sostegno  di  una competenza statale in materia (sentenza
n. 335/2005).
    La  norma  impugnata  non  tiene  in alcun conto il riparto della
potesta' legislativa fra Stato e regioni fissato dall'art. 117, comma
4,  in  materia di disciplina dei servizi pubblici locali (e violano,
altresi',   l'autonomia   finanziaria  e  tributaria  delle  regioni,
garantita   dall'art. 119,  commi  1  e  2  Cost.),  ricadente  nella
competenza  regionale, ma fuoriescono anche dall'oggetto e dai limiti
della  delega:  infatti  e'  del  tutto  evidente  che  la disciplina
tariffaria  del  servizio non trova fondamento nell'art. 117, secondo
comma,   lett.   s),  che  si  occupa  della  «tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», non gia' del regime tariffario
di un servizio pubblico.
    Infine,  come  si  evince  dal  comma  5,  nei primi quattro anni
successivi   all'emanazione  del  regolamento  ministeriale,  non  e'
affatto  assicurata  l'integrale copertura dei costi del servizio: il
che  si  riflette  sull'equilibrio  finanziario, sul buon andamento e
sulla qualita' di servizi essenziali per la collettivita'.
    In  definitiva, la disposizione impugnata risulta illegittima per
violazione degli artt. 76 e 117, commi 4 e 6, Cost.
    E)  Illegittimita'  costituzionale delle disposizioni della Parte
quinta,  recante «Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione
delle emissioni in atmosfera».
    I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 10.
    La  disposizione  dell'art. 281 invade le competenze regionali di
programmazione  -  pianificazione in quanto subordina ad «intesa» con
il  Ministero  l'adozione  di  atti generali che stabiliscono «valori
limite  di  emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di
costruzione  o  di  esercizio  degli  impianti, piu' severi di quelli
fissati  dagli  allegati  al  presente  titolo,  purche' cio' risulti
necessario al conseguimento del valori limite e dei «valori bersaglio
di qualita' dell'aria».
    Come  codesta  ecc.  Corte  ha  piu'  volte  ribadito,  la tutela
dell'ambiente  - nel cui ambito materiale la disposizione sicuramente
rientra  -  e'  un  «valore  costituzionale» che delinea una sorta di
materia   «trasversale»,   «in   ordine  alla  quale  si  manifestano
competenze  diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato  le  determinazioni  che  rispondono  ad esigenze meritevoli di
disciplina     uniforme     sull'intero     territorio     nazionale»
(sent. 407/2002).  Ovviamente  spetta allo Stato fissare il «punto di
equilibrio»   tra   interessi   costituzionalmente   protetti  (sent.
307/2003), ma cio' si puo' realizzare attraverso norme legislative di
principio (sentt. 331/2003, 212 e 216/2006), non certo imponendo alle
regioni  di  procedere  esclusivamente  con  uno  specifico strumento
pianificatorio  e  a  sottostare  ad una sorta di nulla osta da parte
dell'autorita' amministrativa.
    Cio' equivale ad una indebita restrizione degli strumenti con cui
la  regione puo' perseguire obiettivi di miglioramento della qualita'
dell'ambiente  (in indiretta violazione dell'art. 9 Cost.) attraverso
l'esercizio  delle  attribuzioni  legislative e amministrative che le
sono    riconosciute   dalla   Costituzione,   nonche'   di   quelle,
specificamente  attinenti al controllo dell'inquinamento atmosferico,
conferite  dall'art. 84  del  d.lgs.  n. 112/1998.  In  questo  senso
dispone  del resto l'art. 8 del d.lgs. n. 59/2005, che da' attuazione
alla  direttiva  96/61/CE,  relativa  alla  prevenzione  e  riduzione
integrate    dell'inquinamento,   che   correttamente   consente   di
prescrivere,   nelle   autorizzazioni  integrate  ambientali,  misure
supplementari  particolari  piu'  rigorose  «se,  a  seguito  di  una
valutazione  dell'autorita'  competente,  che tenga conto di tutte le
emissioni   coinvolte,  risulta  necessario  applicare  ad  impianti,
localizzati  in  una determinata area, misure piu' rigorose di quelle
ottenibili   con   le  migliori  tecniche  disponibili,  al  fine  di
assicurare   in  tale  area  il  rispetto  delle  norme  di  qualita'
ambientale».  Mentre,  per altro verso, la regione puo' essere tenuta
ad  intervenire  con  provvedimenti  volti  a restringere i limiti di
emissione anche in applicazione di specifiche norme comunitarie, come
quelle  contenute  nella  direttiva  2001/80/CE,  relativa  ai grandi
impianti di combustione, non ancora attuata dallo Stato benche' ormai
abbondantemente scaduta.
    La   disposizione   impugnata  risulta  percio'  illegittima  per
violazione degli artt. 9, 117 e 118 Cost.
    II) Illegittimita' costituzionale dell'art 287.
    La  disposizione  censurata disciplina il «patentino» di cui deve
essere  munito  il  personale  addetto alla conduzione degli impianti
termici  civili  di  potenza  termica  nominale superiore a 0.232 MW,
prevedendo  che  esso  sia  rilasciato  (e revocato) dall'Ispettorato
provinciale del lavoro.
    Da  un  lato  questa  disposizione  viene ad incidere su funzioni
amministrative  conferite  dall'art. 84  del  d.lgs. n. 112/1998 alle
regioni:  la Regione Emilia-Romagna infatti le ha disciplinate con la
legge   regionale   n. 3/1999  (art. 123),  attribuendo  le  relative
funzioni  amministrative  alle  province. Percio' la norma e' viziata
anche  da  violazione  dei  limiti  posti  dalla legge di delega, che
prescrive  il  rispetto  del  riparto  di  competenze  stabilito  dal
decreto 112.
    Dall'altro  lato,  l'articolo  in  questione, prescrivendo che il
patentino  sia  rilasciato  «al termine di un corso per conduzione di
impianti  termici,  previo superamento dell'esame finale» (comma 1) e
che  la  disciplina dei corsi e degli esami di cui al comma 1 e delle
revisioni dei patentini sia stabilita dal decreto ministeriale, viola
le  competenze residuali attribuite alle regioni dall'art. 117, comma
quarto, in materia di formazione professionale.
    La   disposizione   impugnata  risulta  percio'  illegittima  per
violazione degli artt. 117, comma 4, 118 e 76 Cost.
    III)  Illegittimita'  costituzionale  dell'Allegato IV alla Parte
quinta, parte I, punto 4, lett. z).
    In  questo  parte  dell'Allegato,  che riguarda l'attivita' e gli
impianti  in  deroga,  di cui all'art. 272, comma 1, per escludere la
necessita'  di  autorizzazione  si  ricorre ad un criterio che non ha
relazione  plausibile  con  le  emissioni in atmosfera. Infatti si fa
riferimento  non  al  numero dei capi ospitati dalla azienda, ma alla
estensione  del terreno di cui essa dispone e in cui viene effettuata
l'utilizzazione  agronomica  degli effluenti. Cio' comporta che anche
allevamenti   di   ingenti   dimensioni,  che  producono  un  impatto
significativo  sull'ambiente  in  termini  di  emissioni in atmosfera
nella  varie fasi di stoccaggio, spandimento ecc., non siano soggetti
ad  autorizzazione.  La  norma  appare  irrazionale  e  lesiva  degli
interessi  ambientali in cura alla regione, con conseguente contrasto
con  gli  stessi  principi  direttivi  fissati dalla legge di delega:
inoltre  essa  incide restrittivamente sulle attribuzioni legislative
regionali  in  materia  di agricoltura e zootecnia, poiche' impedisce
alla  Regione  di  perseguire efficacemente, nell'esercizio di quelle
competenze,  obiettivi  di  migliore  qualita'  dell'aria e di minore
impatto delle attivita' dell'industria zootecnica su di essa.
    La   disposizione   impugnata  risulta  percio'  illegittima  per
violazione degli artt. 3, 9, 76 e 117 Cost.