Rirocorso ta la Regione Puglia (c.f. 80017210727), in persona del
presidente  della giuinta regionale dott. Nicola Vendola, difeso - in
forza  di  procure  speciali a margine del primo e del secondo foglio
del  presente  atto,  distintamente  conferite  in  ragione delle due
deliberazioni  della  giunta  regionale  n. 653  del 23 maggio 2006 e
n. 740  del  6 giugno 2006 - dall'avv. Fabrizio Lofoco, con studio in
Roma,  in  viale G. Mazzini n. 6, presso cui elettivamente domicilia,
ricorrente;
    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri, difeso ex lege
dall'Avvocatura generale dello Stato in Roma, per la dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  del  decreto legislativo n. 152 del 3
aprile  2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006,   avente   ad   oggetto  «Norme  in  materia  ambientale»,  con
particolare riferimento agli articoli (contenuti nella parte seconda,
la  cui  entrata  in  vigore  e' stata differita di centoventi giorni
rispetto alla pubblicazione):
        6,  relativo  alla  «Commissione  tecnico-consultiva  per  le
valutazioni   ambientali»;   15,   relativo  ai  «Piani  e  programmi
sottoposti  a  vas  in  sede  statale»,  comma  1;  19, relativo alla
«Procedura  di  verifica  preventiva»,  comma  2;  25,  relativo alle
«Competenze  e  procedure» in materia di V.I.A., comma 1, lettera a);
26,  relativo  alla  «Fase  introduttiva del procedimento» di V.I.A.,
comma 3; 42, relativo ai «Progetti sottoposti a via in sede regionale
o provinciale», comma 3;
    Nonche'  per  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
previa sospensione dell'esecuzione, degli articoli:
        58,  relativo  alle  «Competenze del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del territorio» in materia di difesa del suolo e lotta
alla  desertificazione,  comma  3, lettere a) e b); 59, relativo alle
Competenze  della  conferenza Stato-Regioni» in materia di difesa del
suolo  e di lotta alla desertificazione; 63, relativo alla «Autorita'
di   bacino  distrettuale»,  comma  3;  64,  relativo  ai  «Distretti
idrografici»;  91,  relativo  alle  «Aree  sensibili»,  in materia di
tutela  dei  corpi  idrici e disciplina degli scarichi, comma 2; 101,
relativo  ai «Criteri generali della discilina degli scarichi», comma
7;  104,  relativo  agli  «Scarichi  nel  sottosuolo  e  nelle  acque
sotterranee»;  121,  relativo ai «Piani di tutela delle acque», comma
2;  154,  relativo alla «Tariffa del servizio idrico integrato»; 155,
relativo alla «Tariffa del seivizio di fognatura e depurazione»; 181,
relativo  al  «Recupero  dei rifiuti», commi da 7 a 11; 183, relativo
alle «Definizioni» in materia di rifiuti, comma 1; 186, relativo alle
«Terre  e  rocce  da  scavo»; 189, relativo al «Catasto dei rifiuti»,
comma  3;  214, relativo alla «Determinazione delle attivita' e delle
caratteristiche   dei   rifiuti   per   l'ammissione  alle  procedure
semplificate»,   commi   3  e  5;  281  relativo  alle  «Disposizioni
transitorie  e finali», comma 10, in materia di tutela dell'aria e di
riduzione   delle   emissioni   in   atmosfera;  299,  relativo  alle
«Competenze  ministeriali»  in  materia  di tutela risarcitoria per i
danni  all'ambiente,  comma  5;  300, relativo al «Danno ambientale»,
comma  1;  306,  relativo  alla  «Determinazione  delle misure per il
ripristino  ambientale»,  commi  1,  2  e  5, per la violazione degli
artt. 5,  76,  117,  118,  119 della Costituzione, e del principio di
leale collaborazione.

                              Premessa

    A) Con  legge  n. 308  del  15  dicembre  2004, il Governo veniva
delegato  ad  adottare,  entro diciotto mesi dalla data di entrata in
vigore,   uno   o  piu'  decreti  legislativi  per  il  riordino,  il
coordinamento   e   l'integrazione   della  legislazione  in  materia
ambientale,  che  avrebbero  dovuto  conformarsi,  «nel  rispetto dei
principi  e  delle  norme  comunitarie e delle competenze per materia
delle  amministrazioni  statali,  nonche'  delle  attribuzioni  delle
regioni  e  degli  enti  locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della  Costituzione,  della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo  31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie
e  le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e
delle  Province  autonome  di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarieta»,  ai  criteri  direttivi  generali fissati al comma 8,
dell'art. 1 della legge medesima.
    In particolare, tra tali criteri direttivi veniva indicato quello
di  «riaffermazione  del  ruolo delle regioni, ai sensi dell'art. 117
della  Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi
ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un
quadro,   anche   procedurale,   unitario,  alla  valorizzazione  del
controllo  preventivo  del  sistema  agenziale  e  rispetto al quadro
sanzionatorio  amministrativo e penale, nonche' alla promozione delle
componenti  ambientali  nella  formazione e nella ricerca» (punto «m»
del comma 8, dell'art. 1 della legge n. 308/2004).
    B) Orbene,  nella  seduta  del  Consiglio  dei  ministri  del  18
novembre  2005,  veniva  approvato uno schema di decreto legislativo,
avente  ad oggetto «Norme in materia ambientale», il cui testo veniva
trasmesso alle regioni in data 29 novembre 2005.
    C) In relazione a tale schema, e con riferimento sia al contenuto
che al metodo utilizzato, nella seduta della Conferenza unificata del
26  gennaio  2006  veniva  espresso  dalle  regioni  e dalle Province
autonome di Trento e Bolzano un parere nettamente negativo, in cui si
evidenziava  il rischio di «... problemi di certezza del diritto e la
sostanziale  paralisi  dell'azione pubblica in campo ambientale, data
l'incompatibilita'  delle  norme  regionali  vigenti con quelle dello
schema di decreto in assenza di norme transitorie e di salvaguardia».
    Tuttavia,   malgrado   il  parere  sfavorevole  delle  regioni  e
l'assenza  del  parere  obbligatorio  del  Consiglio di Stato (di cui
all'art. 17,  comma  25,  della legge n. 127/1997), che determinavano
una   richiesta   di   chiarimenti  da  parte  del  Presidente  della
Repubblica,   il  decreto,  con  alcune  modifiche,  veniva  comunque
approvato  dal  Consiglio dei ministri, e quindi promulgato in data 3
aprile 2006.
    D) Dunque,  il  d.lgs.  n. 152/2006,  cosi'  come predisposto dal
Governo,  risulta,  sia  sotto  l'aspetto della procedura seguita per
l'approvazione,  sia  sotto  l'aspetto  contenutistico, profondamente
lesivo  del  ruolo  e  delle competenze legislative ed amministrative
riconosciute   alle   regioni   in  materia  ambientale,  e  comunque
discordante  con  quanto al riguardo prescritto nella legge di delega
n. 308/2004,  oltre che con i fondamentali principi di sussidiarieta'
e di leale collaborazione.
    Cio'  si riscontra, in particolare, con riferimento agli articoli
indicati   in  epigrafe,  di  cui  si  chiede  che  venga  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale alla stregua dei seguenti

                             M o t i v i

    1) Illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 6, 15, comma 1, e
19, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76
e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.
    1.a.) L'art. 6, relativo alla «Commissione tecnico-consultiva per
le valutazioni ambientali», prescrive che «Con decreto del Presidente
del  Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio,  e'  istituita,  presso  il Ministero
dell'ambiente   e   della   tutela  del  territorio,  la  Commissione
tecnico-consultiva  per  le  valutazioni  ambientali. Con il medesimo
decreto  sono stabilite la durata e le modalita' per l'organizzazione
ed il funzionamento della Commissione stessa».
    Tale   Commissione   provvede  in  via  generale  ad  istruire  i
procedimenti  e  quindi  ad  emettere tutte le valutazioni in materia
ambientale  (ovvero la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.), la
Valutazione   di   Impatto  Ambientale  (V.I.A.)  e  l'autorizzazione
ambientale  strategica  (I.P.P.C.)  relative  a  piani,  programmi  e
progetti di opere ed interventi di competenza statale.
    Deve  pero'  rilevarsi  che  l'articolo in questione non prevede,
nell'ambito dei suddetti procedimenti, alcuna forma di partecipazione
o  di  coinvolgimento delle regioni il cui territorio sia di volta in
volta direttamente interessato dai piani e progetti medesimi.
    Cio'  in  quanto  la stessa Commissione opera di norma attraverso
sottocommissioni, la cui composizione ordinaria non risulta integrata
da  rappresentanti  regionali, essendo previsto, al comma 6, che solo
qualora   siano   riscontrati   «...  specifici  interessi  regionali
coinvolti  dall'esercizio  di un'attivita' soggetta alle norme di cui
alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione
e'   integrata  dall'esperto  designato  da  ciascuna  delle  regioni
direttamente interessate per territorio dall'attivita».
    Qualora  poi  le regioni non provvedano a tale designazione, «...
la  sottocommissione  e'  costituita  nella  composizione ordinaria e
procede comunque all'istruttoria affidatale».
    Dunque, gli esperti designati dalle regioni assumono un ruolo del
tutto  marginale,  in  quanto  l'intervento  di  tali  esperti  viene
previsto soltanto in via eventuale (tenendo presente che le procedure
in  oggetto  coinvolgono  sempre  ed in ogni caso gli interessi delle
regioni  sul  cui  territorio  esse ricadono), ed inoltre perche', in
mancanza  della  designazione  da parte delle regioni interessate, la
commissione  ministeriale  puo'  portare a termine il procedimento di
propria  competenza  anche  senza  che queste abbiano in qualche modo
espresso il proprio parere in merito.
    Deve  allora  dedursi  che  manchi del tutto la previsione di una
forma  di  intesa  o di collaborazione con le regioni coinvolte, dato
che  cio'  non  puo'  ritenersi comunque garantito dalla composizione
della  Commissione,  cosi' come introdotta dall'art. 6, che e' dunque
costituzionalmente illegittimo.
    1.b.) L'assoluta  mancanza  di  partecipazione delle regioni puo'
evincersi anche dalla formulazione dell'art. 15, comma 1, del decreto
in  oggetto,  relativo ai «Piani e programmi sottoposti a vas in sede
statale»,   che   si   limita  a  prevedere  la  sottoposizione  alla
valutazione  ambientale  strategica dei «... piani e programmi di cui
all'art. 7  la cui approvazione compete ad organi dello Stato», senza
minimamente  contemplare  un  intervento  regionale nel procedimento,
malgrado  gli  indiscutibili  effetti  sul  territorio  dei  piani  e
programmi in questione.
    Inoltre,  l'art. 19,  comma  2,  relativamente alla «Procedura di
verifica  preventiva» in materia di valutazione ambientale strategica
in  sede statale, dispone che «La verifica e' eseguita dall'autorita'
competente all'approvazione dei piani o dei programmi, su istanza del
proponente   ed   acquisito   il  parere  della  Commissione  di  cui
all'art. 6».
    Dunque,  nell'ipotesi di piani e programmi di competenza statale,
anche  la fase di verifica dei presupposti per la loro sottoposizione
alla  procedura  di  valutazione ambientale strategica viene affidata
unicamente   al  Ministro  dell'ambiente,  cosi'  eludendo  qualsiasi
possibile partecipazione delle regioni interessate.
    Cio'   e'   confermato  anche  dalla  composizione  della  stessa
Commissione  tecnico-consultiva  di  cui  deve  essere  acquisito  il
parere,   dato   che  questa,  come  gia'  evidenziato,  non  prevede
necessariamente la presenza degli esperti di nomina regionale.
    Le norme impugnate, pertanto, si pongono in contrasto:
        con  l'art. 5  della  Costituzione,  in  quanto non risultano
idonee  a  soddisfare  le esigenze specifiche delle autonomie locali,
mancando totalmente la previsione di un'effettiva consultazione delle
stesse;
        con  l'art. 76  della  Costituzione,  per  eccesso di delega,
posto  che  la legge n. 308/2004, che delegava il Governo ad adottare
una  normativa  di riordino, coordinamento ed integrazione in materia
ambientale,  aveva  espressamente  prescritto  il rispetto «... delle
attribuzioni  delle  regioni  e  degli  enti locali, come definite ai
sensi  dell'art. 117  della  Costituzione, della legge 15 marzo 1997,
n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve
le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a
statuto  speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e
del principio di sussidiarieta», ed aveva imposto, tra i principi e i
criteri  direttivi  generali,  la riaffermazione del ruolo regionale,
nonche',  tra i principi e i criteri specifici, la valorizzazione del
ruolo  e delle competenze svolti dagli organismi a composizione mista
statale e regionale (cfr. art. 8, punto m, ed art. 9, punto c);
        con  l'art. 118  della Costituzione, che prevede l'assunzione
da  parte  dello  Stato  di  determinate funzioni amministrative solo
qualora sia palesemente ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario
delle funzioni medesime.
    Infatti,  e'  evidente  che  la gestione degli interessi pubblici
debba  essere  generalmente  affidata  ai soggetti istituzionali piu'
vicini  ai  portatori  di  tali  interessi,  essendo essi in grado di
attuarla in modo piu' adeguato ed efficace.
    Cio' manca del tutto nel caso di specie, perche' e' innegabile la
necessita'  di  tener  conto  delle specifiche esigenze delle singole
regioni interessate.
    A  tale  riguardo,  codesta  sovrana Corte ha gia' ritenuto che i
principi  di  sussidiarieta'  e di adeguatezza sanciti dalla suddetta
norma  costituzionale (art. 118) impongono che l'esercizio statale di
funzioni  regionali  sia  proporzionato e ragionevole, e che comunque
implichi il coinvolgimento della regione interessata.
    Infatti,  «Per  giudicare  se  una legge statale ... sia invasiva
delle  attribuzioni  regionali  o non costituisca invece applicazione
dei   principi  di  sussidiarieta'  e  adeguatezza  diviene  elemento
valutativo  essenziale  la  previsione di un'intesa fra lo Stato e le
regioni  interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della
disciplina»  (da  ultimo,  sentenza  Corte cost. n. 214 del 1° giugno
2006).
    Pertanto,  sotto  tali profili, e con riferimento al principio di
leale  collaborazione  tra Stato e regioni, le disposizioni impugnate
sono  da  ritenersi  costituzionalmente illegittime, per il fatto che
non  solo  non  prevedono  alcuna  preventiva  concertazione  con  le
regioni,   ma   non   esprimono   neanche   l'esigenza   della   loro
consultazione.
    2) Illegittimita' costituzionale degli artt. 25, comma 1, lettera
a),  26,  comma  3,  e  42,  comma  3,  del  d.lgs.  n. 152/2006, per
violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione.
    2.a.) L'art. 25,   relativo  alle  «Competenze  e  procedure»  in
materia  di  valutazione  di impatto ambientale, dispone, al comma 1,
lettera a), che questa compete «per i progetti di opere ed interventi
sottoposti  ad  autorizzazione  statale  e  per quelli aventi impatto
ambientale interregionale o internazionale, al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni
e  le attivita' culturali, secondo le disposizioni di cui al presente
capo I ed al capo II».
    Anche  in  ordine  a  tale disposizione dunque, possono svolgersi
considerazioni  analoghe  a  quelle  in  precedenza  dedotte, essendo
evidente  che,  malgrado  la  (notevole)  incidenza  dei  progetti in
questione  sul territorio di piu' regioni, queste risultano del tutto
pretermesse dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, che
viene affidata interamente al potere statale.
    2.b.) Inoltre,  l'art. 26,  relativo  alla «Fase introduttiva del
procedimento»   di   V.I.A.,   pur   prescrivendo   la   trasmissione
dell'apposita  domanda  e  dello  studio  di  impatto ambientale alle
regioni  ed  agli  enti  locali interessati, nonche', in caso di aree
naturali  protette,  agli  enti  di gestione, che devono esprimere il
loro  parere  entro sessanta giorni, tuttavia, al comma 3, stabilisce
che  «In  ragione  delle  specifiche  caratteristiche  dimensionali e
funzionali  dell'opera o intervento progettato, ovvero in ragione del
numero   degli   enti   locali  potenzialmente  interessati  e  della
dimensione  documentale del progetto e del relativo studio di impatto
ambientale,  il  committente  o  proponente, attivando a tal fine una
specifica  fase  preliminare,  puo'  chiedere di essere in tutto o in
parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2 ...».
    Diviene cosi' possibile, in considerazione delle «dimensioni» del
progetto,  eludere  del tutto l'obbligo (anche solo) di informare gli
enti  locali  direttamente coinvolti dal progetto medesimo, e perfino
gli enti di gestione delle aree naturali protette.
    Cio' e' vieppiu' contraddittorio, perche' proprio un progetto che
coinvolga  piu'  regioni dovrebbe essere il frutto di concertazione e
coordinamento tra di esse.
    Per  di  piu',  anche  nel caso dei «Progetti sottoposti a via in
sede  regionale o provinciale», disciplinati dall'art. 42 del decreto
in  oggetto,  si  dispone,  al  comma  3,  che qualora «... l'opera o
intervento   progettato   puo'  avere  impatti  rilevanti  anche  sul
territorio  di  altre  regioni  o  province autonome o di altri Stati
membri   dell'Unione  europea,  l'autorita'  competente  con  proprio
provvedimento  motivato  si  dichiara incompetente e rimette gli atti
alla  Commissione  tecnico-consultiva  di  cui all'art. 6 per il loro
eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale».
    Si  giunge  quindi  a  prevedere un'ipotesi di piena sostituzione
dello  Stato  agli  organi regionali, con la rimessione coattiva alla
Commissione ministeriale degli atti relativi a progetti di competenza
regionale o provinciale, che e' da ritenere del tutto ingiustificata,
dal  momento che, in alternativa, si puo' comunque ricorrere, in caso
di  interventi  riguardanti  il  territorio  di diverse regioni, alla
conclusione di accordi diretti tra queste ultime.
    Cio'   comporta   di  fatto  un  automatico  accentramento  delle
competenze  in  materia in capo al Ministero dell'ambiente, in palese
contrasto  con  il decentramento amministrativo e con il principio di
sussidiarieta'.
    Deve allora eccepirsi, anche riguardo alle disposizioni in esame,
la  violazione  degli  artt. 5 e 76 della Costituzione - in relazione
alla  mancata  previsione  di qualsiasi forma di partecipazione delle
regioni  al procedimento in questione, ed alla mancata valorizzazione
del ruolo di queste ultime, che costituiva uno dei principi direttivi
della  legge  di  delega  n. 308/2004  -  oltre che la violazione dei
principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.
    Inoltre,   occorre  tenere  presente  che  le  diverse  normative
regionali  in  materia  di  V.I.A.  gia' garantivano il coordinamento
delle regioni direttamente interessate dai progetti aventi un impatto
ambientale   interregionale,   attraverso  forme  di  informazione  e
consultazione, o di vera e propria intesa tra le stesse regioni.
    In  particolare,  la legge n. 11 del 12 aprile 2001 della Regione
Puglia,  all'art. 19, prevede che «Nel caso di progetti che risultino
localizzati  sul  territorio  di  piu'  regioni,  la giunta regionale
effettua  la procedura di V.I.A. e delibera la valutazione di impatto
ambientale d'intesa con le regioni cointeressate.
    Nel   caso  di  progetti  che  possono  avere  impatti  rilevanti
sull'ambiente  di altre regioni confinanti, l'autorita' competente e'
tenuta  a  informare  e  ad  acquisire  anche  i pareri delle regioni
interessate».
    Alla  luce  di  cio', le disposizioni impugnate sono in contrasto
anche  con l'art. 117 della Costituzione, in quanto, nel disciplinare
una  materia che puo' ricondursi a quelle di «governo del territorio»
e  di  valorizzazione  dei beni ambientali, rientranti nella potesta'
legislativa  concorrente  delle  regioni,  non  si limita a dettare i
principi  fondamentali,  come  sancito dal terzo comma della suddetta
norma  costituzionale,  ma regolano analiticamente il procedimento di
V.I.A.,  ponendo  nel  nulla  quanto gia' stabilito al riguardo dalle
leggi regionali.
    D'altra  parte, in materia di tutela dell'ambiente, codesta Corte
ha  gia' piu' volte affermato che: «... l'evoluzione legislativa e la
giurisprudenza   costituzionale   portano   ad   esdudere  che  possa
identificarsi  una  "materia"  in  senso  tecnico, quafificabile come
"tutela  dell'ambiente" dal momento che non sembra configurabile come
sfera  di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata,
giacche'  al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente
con   altri   interessi   e   competenze.   In   particolare,   dalla
giurisprudenza  della  Corte  antecedente alla nuova formulazione del
titolo  V  della  Costituzione e' agevole ricavare una configurazione
dell'ambiente  come  "valore"  costituzionalmente  protetto,  che, in
quanto  tale,  delinea  una sorta di materia "trasversale", in ordine
alla  quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali,  spettando  allo  Stato  il compito di fissare standard di
tutela  uniformi  sull'intero  territorio  nazionale, sicche' in tale
settore  la competenza esclusiva dello Stato non e' incompatibile con
interventi  specifici del legislatore regionale che si attengano alle
proprie  competenze  ...» (per tutte, sentenze Corte cost. n. 407 del
26 luglio 2002, e n. 259 del 22 luglio 2004).
    In  ogni  caso,  anche  senza  porre  in discussione la scelta di
dettare, nel caso di progetti destinati ad avere effetti in un ambito
sovraregionale,   una  normativa  uniforme  su  tutto  il  territorio
nazionale,   tuttavia  non  appare  giustificabile,  sulla  base  del
disposto   dell'art. 118   della   Costituzione  e  dei  principi  di
sussidiarieta',  differenziazione  ed adeguatezza, l'esclusione delle
regioni interessate da qualunque forma di cooperazione, dato che «...
l'esigenza  di  esercizio  unitario che consente di attrarre, insieme
alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare
a  superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza
di  una  disciplina  che  prefiguri un iter in cui assumano il dovuto
risalto  le  attivita'  concertative  e di coordinamento orizzontale,
ovverosia  le intese, che devono essere condotte in base al principio
di lealta» (sentenza Corte cost. n. 303 del 1° ottobre 2003).
    Le  norme  qui gravate sono dunque costituzionalmente illegittime
perche'   comprimono   qualsiasi   possibilita'   di   partecipazione
regionale.
    3) Illegittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 3, lettere
a)  e  b), 59 e 281, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione
degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione.
    L'art. 58, relativo alle «Competenze del Ministro dell'ambiente e
della  tutela  del  territorio»  in  materia di difesa del suolo e di
lotta  alla  desertificazione, indica, al comma 3, lettere a)e b), le
funzioni  svolte  dal Ministero in tale materia, che consistono nella
programmazione,  finanziamento  e controllo degli interventi, nonche'
nella  previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni
ed altri fenomeni di dissesto idrogeologico.
    Anche  con  riferimento a tale disposizione puo' riscontrarsi una
illegittima  concentrazione  di funzioni in capo al Ministero, ed una
marcata  riduzione  del  ruolo delle regioni, tenendo presente che si
tratta  di  una  materia  senz'altro  riconducibile  al  «governo del
territorio»,  che  il  terzo  comma  dell'art. 117  Cost. affida alla
potesta' legislativa concorrente delle regioni medesime.
    Non   puo'  infatti  escludersi,  anche  in  questo  settore,  la
sussistenza  di  una  serie  di  insopprimibili competenze regionali,
finalizzate  alla  cura  di interessi «costituzionalmente rilevanti e
funzionalmente  collegati  con  quelli  inerenti in via primaria alla
tutela  dell'ambiente»  (cfr.  la  gia'  citata  sentenza della Corte
costituzionale n. 407 del 26 luglio 2002).
    Inoltre,   in   base  alla  previsione  del  successivo  art. 59,
l'intervento regionale nella materia in questione si riduce alla mera
formulazione  di  pareri,  proposte  ed  osservazioni, da esercitarsi
esclusivamente  in  sede  di  Conferenza  Stato-regioni,  della quale
peraltro  non  si  individuano specificamente le modalita' operative,
ne' la valenza da attribuire ai contributi da essa forniti.
    Le  regioni,  in  sostanza,  non hanno alcuna voce in capitolo, e
quand'anche  la  esprimessero, non sarebbe determinante ai fini delle
valutazioni in sede legislativa.
    D'altra  parte,  tale generale propensione del decreto in oggetto
ad   assegnare   un   ruolo  preminente  ed  esclusivo  al  Ministero
dell'ambiente,  anche  con  finalita'  di  controllo delle competenze
regionali, puo' evincersi anche dalla disposizione di cui al comma 10
dell'art. 281,  (contenuta  nella  parte quinta, relativa alla tutela
dell'aria  e  della  riduzione  delle  emissioni  in  atmosfera)  che
prevede,  perfino  in  sede  di  adozione  dei piani o programmi e di
rilascio delle autorizzazioni da parte delle regioni e delle province
autonome,   la   necessita'  di  un'intesa  con  lo  stesso  Ministro
dell'ambiente  e  con il Ministro della salute, allo scopo di fissare
limiti piu' restrittivi alle emissioni.
    Pertanto,   si   rileva  la  violazione  dell'art. 76  Cost.  per
contrasto con i principi generali richiamati dalla legge di delega, e
degli artt. 117, comma 3, e 118, a causa della assoluta preponderanza
dei poteri riconosciuti al Ministero dell'ambiente, il quale gestisce
tutte  le fasi del procedimento diretto alla tutela ed al risanamento
del suolo e del sottosuolo, nonche' controlla l'esercizio di funzioni
amministrative  prettamente  regionali, in senso opposto al principio
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza.
    4) Illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 63, comma 3, 64 e
121,  comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76,
117, comma 3, e 118 della Costituzione.
    4.a.) L'art. 63  istituisce,  nei  diversi  distretti idrografici
indicati   dal   successivo   art. 64,   le   «Autorita'   di  Bacino
distrettuali»,  limitandosi  ad  individuarne  gli  organi, ovvero la
Conferenza  istituzionale  permanente,  il  Segretario  generale,  la
Segreteria  tecnico-operativa  e  la Conferenza operativa di servizi,
senza  pero' specificare le modalita' operative, nonche' i tempi e le
procedure di nomina di tali Autorita', e senza definire in alcun modo
i compiti spettanti alla Conferenza operativa di servizi.
    Lo  stesso  art. 63 poi, al comma 3, dispone che «Le autorita' di
bacino  previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a
far  data  dal  30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate
dalle  Autorita'  di  bacino distrettuale di cui alla terza parte del
presente  decreto»  (ovvero  la  stessa  parte  in  cui  la  norma e'
inserita).
    Orbene,  la  previsione  della  soppressione  delle  Autorita' di
Bacino  di  cui  alla legge n. 183/1989 a partire dal 30 aprile 2006,
ovvero  prima  che  potessero  essere istituite le nuove Autorita' di
Bacino  distrettuali (quindi in assenza di una disciplina transitoria
che  evitasse  un  pericoloso  vuoto  di  potere e di conseguenza una
sospensione  delle  attivita'  svolte dalle prime), rappresenta senza
dubbio  una  fonte  di  grave  rischio  per  gli  interessi  pubblici
ambientali.
    D'altra parte, a tale riguardo, la disposizione impugnata prevede
unicamente   che,  con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  «sentita  la Conferenza permanente Stato-regioni», vengano
definiti   «i   criteri  e  le  modalita'  per  l'attribuzione  o  il
trasferimento   del   personale   e   delle  risorse  patrimoniali  e
finanziarie...», ma non quelli per la nomina degli stessi organi.
    Cio'  oltretutto  fa ritenere che si tratti di soggetti designati
dal  Governo,  senza  alcuna  intesa  o partecipazione regionale, non
essendo  espressamente contemplata, in sede di nomina, l'emissione di
un parere da parte della Conferenza Stato-regioni.
    Cio'  comprime  vieppiu'  le  potesta' regionali, che non trovano
alcuno spazio di applicazione.
    4.b.) Inoltre,    l'art. 64    suddivide   «l'intero   territorio
nazionale» in otto Distretti idrografici, comprensivi dei bacini gia'
definiti  dalla  legge  n. 183/1989  come nazionali, interregionali e
regionali,  e  di  dimensioni  tali da non consentire di tenere conto
delle  notevoli  differenze morfologiche esistenti tra i territori in
essi accorpati.
    Le  zone  create  sono molto piu' ampie di quanto disposto prima,
con aggravio delle necessita' organizzative e di coordinamento.
    Tale  suddivisione  appare  dunque  disomogenea ed arbitraria, in
quanto,  ancora  una volta, stabilita in assenza del contributo delle
regioni,  che  peraltro  svolgevano  in  precedenza tutte le funzioni
relative alla gestione dei bacini interregionali e regionali.
    Deve anche considerarsi che la direttiva 2000/60/CE, contenente i
principi  per  l'azione  comunitaria in materia di acque, al punto 13
del  preambolo, prescrive espressamente che «le diverse condizioni ed
esigenze   riscontrabili   all'interno   della  Comunita'  richiedono
l'adozione  di soluzioni specifiche. E' opportuno tener conto di tale
diversita'  nella  programmazione  e nell'esecuzione di misure atte a
garantire  la  protezione  ed  un  utilizzo  sostenibile  delle acque
nell'ambito  del  bacino  idrografico. Le decisioni dovrebbero essere
adottate  al  livello  piu'  vicino  possibile  ai luoghi di utilizzo
effettivo  o  di  degrado  delle acque. Si dovrebbero privilegiare le
azioni che rientrino fra le competenze degli Stati membri, attraverso
programmi di misure adeguati alle condizioni regionali e locali».
    Eppure,   in  ambito  europeo,  si  riconosce  alle  regioni  una
peculiare   situazione  di  necessario  intervento  ai  fini  che  ci
occupano:  di  tale  traccia  il decreto impugnato non tiene adeguato
conto.
    4.c.) Sotto  diverso  profilo, l'art. 121 del decreto in oggetto,
relativo  ai  «Piani  di tutela delle acque» (contenuto nella sezione
II,  riguardante la «Tutela delle acque dall'inquinamento»), al comma
2,  dopo  aver  disposto  che  le Autorita' di Bacino definiscono gli
obiettivi  cui  devono  attenersi  i piani di tutela delle acque e le
priorita'  degli  interventi, prevede che «Entro il 31 dicembre 2007,
le  regioni,  sentite  le  province e previa adozione delle eventuali
misure  di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acque e lo
trasmettono  al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio
nonche'  alle  competenti  Autorita'  di  Bacino, per le verifiche di
competenza».
    Dunque,   anche   le   basilari   potesta'  di  pianificazione  e
programmazione,   spettanti  in  via  esclusiva  alle  regioni,  sono
sottoposte  alla  verifica  ed  al controllo del Ministero, oltre che
delle stesse Autorita' di Bacino.
    Pertanto,  con riferimento a tali disposizioni, deve farsi valere
la   violazione   della   legge   di  delega  n. 308/2004,  anche  in
considerazione  della completa revisione delle competenze in materia,
operata  con  l'introduzione  delle  nuove  Autorita'  di Bacino e la
determinazione  dei  nuovi distretti idrografici, che va ben oltre il
riordino,   il   coordinamento   e  la  semplice  integrazione  della
disciplina gia' esistente.
    In  ogni caso, tale revisione avrebbe richiesto il rispetto delle
attribuzioni  delle  regioni  e degli enti locali e del ruolo da essi
assunto  in  materia ambientale, cosi' come prescritto dalla suddetta
legge.
    D'altra  parte,  la  legge  delega,  tra  i  principi  e  criteri
specifici  indicati  al  comma  9  dell'art. 1,  prescriveva anche di
«rimuovere  i  problemi  di  carattere  organizzativo,  procedurale e
finanziario  che ostacolino il conseguimento della piena operativita'
degli  organi  amministrativi  e  tecnici  preposti  alla tutela e al
risanamento  del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione
tra  i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli
con i piani urbanistici».
    Le  disposizioni  in  esame sembrano invece seguire una direzione
esattamente  opposta a quella della semplificazione amministrativa ed
organizzativa,  e  del  conseguimento  della piena operativita' degli
organi  amministrativi  gia'  esistenti,  attraverso l'ingiustificata
soppressione  di  questi  e  l'arbitraria  creazione  di  nuovi enti,
nonche'  la totale sottoposizione al controllo statale di poteri gia'
riservati alle regioni.
    Le  stesse  disposizioni  sono poi da ritenere costituzionalmente
illegittime  ai  sensi  dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118 della
Costituzione.
    Esse  infatti,  risultano  inserite  nelle  sezioni relative alla
difesa  del suolo e delle acque dall'inquinamento, riconducibili alla
funzione  di  governo  del  territorio,  certamente  attribuita  alla
potesta'  legislativa  concorrente  delle  regioni,  che,  come  gia'
evidenziato,  implica  comunque  la possibilita' per queste ultime di
intervenire   con   norme   specifiche   nell'ambito   delle  proprie
competenze.
    In  sostanza,  il  nuovo  apparato  amministrativo  comporta  una
concentrazione  in  capo  allo  Stato  di  nuove e complesse funzioni
amministrative,  che  non  appare supportata da esigenze di esercizio
unitario,  e quindi in contrasto con i principi di differenziazione e
sussidiarieta'.
    5.) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  91,  comma  2, del
d.lgs.  n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117, comma 3 e
118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.
    L'art. 91,   tra   le  «Aree  richiedenti  specifiche  misure  di
prevenzione    dall'inquinamento   e   di   risanamento»,   individua
determinate   «Aree   sensibili»,   disponendo   che   «il   Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela del territorio, sentita la Conferenza
Stato-regioni,  entro  centottanta  giorni  dalla  data di entrata in
vigore  della  parte terza del presente decreto individua con proprio
decreto  ulteriori  aree  sensibili identificate secondo i criteri di
cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto».
    Tale disposizione appare del tutto illogica ed irrazionale, prima
che  costituzionalmente illegittima, in quanto l'individuazione delle
aree  territoriali che richiedono una tutela particolare ed ulteriore
non  puo'  essere affidata unicamente ad un decreto ministeriale, sia
pure  emanato  dopo aver sentito la Conferenza Stato-regioni, ma deve
scaturire  da  una  effettiva  concertazione  con  la regione nel cui
ambito territoriale tali aree sono situate.
    Deve  infatti  considerarsi  che  le leggi regionali gia' avevano
provveduto  in  tal  senso,  come  nel caso della legge della Regione
Puglia  n. 19 del 24 luglio 1997, relativa all'istituzione e gestione
delle  aree  naturali protette, che era stata dettata proprio al fine
di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale ed ambientale della stessa regione.
    Possono  dunque richiamarsi, anche in relazione alla disposizione
in  oggetto,  le  considerazioni  gia' svolte in ordine al riparto di
competenze  tra lo Stato e le regioni in materia ambientale, dato che
anche  qui si tratta di funzioni rientranti in quelle attribuite alle
regioni   dall'art. 117,  comma  3,  Cost.,  ovvero  di  governo  del
territorio e di valorizzazione dei beni ambientali, nonche' in ordine
al  contrasto  con i principi generali di e adeguatezza sanciti dagli
artt. 5 e 118 Cost., ed indicati dalla legge di delega n. 308/2004.
    6.) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  101,  comma  7,  e
dell'art.  104  del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5,
76, 117, terzo comma e 118, primo comma, della Costituzione.
    6.a.) L'art. 101, contenente i «Criteri generali della disciplina
degli  scarichi»,  al  comma 7, assimila alle acque reflue domestiche
anche  quelle  provenienti  da  imprese  zootecniche ed agricole, che
possono essere notevolmente inquinanti e dannose per l'ambiente.
    Dunque,  gli  scarichi  derivanti  dallo svolgimento di attivita'
produttive  sono  accomunati  a quelli domestici, malgrado le diverse
ripercussioni  degli  uni  e  degli altri sul livello qualitativo dei
corpi idrici.
    6.b.) L'art. 104,  poi,  pone il divieto di scarico diretto nelle
acque  sotterranee  e nel sottosuolo, introducendo pero' una serie di
importanti deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal
Ministro  dell'ambiente,  anche  senza  richiedere  il  consenso o il
parere regionale.
    Una  forma di intesa con le regioni viene prevista unicamente per
le autorizzazioni relative ai giacimenti a terra, che, in precedenza,
sulla  base  di quanto stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n. 152/1999,
rientravano tra le funzioni amministrative delle regioni medesime.
    Si  introduce  dunque  un  potere  autorizzatorio  esclusivo  del
Ministro  dell'ambiente,  da  esercitarsi  in  relazione  a qualsiasi
ipotesi di scarico diretto di acque reflue.
    Eppure  questo  monitoraggio  e  potere di controllo non puo' che
fondarsi in ambito regionale.
    Le  disposizioni impugnate appaiono anch'esse lesive dell'assetto
di  competenze  garantito  dell'art. 117 Cost., in quanto non tengono
conto  del  potere  normativo  regionale  in  materia  di governo del
territorio  e  di  tutela  della  salute,  che puo' estendersi fino a
stabilire  standards  di  tutela  piu'  rigorosi di quelli previsti a
livello statale.
    Cio'  anche  in  considerazione  della tipicita' di ogni regione,
Puglia  compresa,  che potrebbe di per se' giustificare l'adozione di
misure  diverse  da  quelle  previste  omnicomprensivamente a livello
statale.
    Inoltre,  limitandosi  le  funzioni  amministrative in precedenza
attribuite  alle  regioni  dalla  legislazione statale di settore, si
determina una violazione dei principi generali di sussidiarieta' e di
valorizzazione del ruolo delle autonomie locali.
    7.) Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 154 e dell'art. 155
del  d.lgs.  n. 152/2006,  per violazione degli artt. 76, 117, quarto
comma e 119 della Costituzione.
    7.a.) L'art. 154,   rativo  alla  «Tariffa  del  servizio  idrico
integrato»,  stabilisce che essa costituisce il corrispettivo di tale
servizio,  e  che  e'  determinata  tenendo  conto  di  una  serie di
parametri,  quali  la  qualita'  della  risorsa idrica e del servizio
fornito,  delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei
costi  di  gestione  di  queste,  in  modo da assicurare la copertura
integrale  dei  costi  di  investimento  e  di  esercizio  secondo il
principio «chi inquina paga».
    Tuttavia,  la  stessa  disposizione,  ai  commi 2 e 3, rimette al
Ministro   dell'ambiente  il  compito  di  definire  con  decreto  le
componenti  di  costo per la determinazione della tariffa relativa ai
servizi  idrici,  ed  al  Ministro dell'economia e delle finanze, «al
fine  di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale»,
il  compito di stabilire i criteri generali per la determinazione, da
parte  delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua
pubblica.
    7.b.) Inoltre, l'art. 155, relativo alla «Tariffa del servizio di
fognatura  e  depurazione»,  stabilisce in modo dettagliato i casi in
cui  gli  utenti  sono tenuti o meno a versare le quote della tariffa
medesima,  nonche'  la  destinazione che i comuni devono assegnare ai
proventi  riscossi, giungendo a prescrivere, al comma 4, che «Al fine
della  determinazione  della  quota  tariffaria  di  cui  al presente
articolo,  il  volume  dell'acqua  scaricata e' determinato in misura
pari al cento per cento del volume di acqua fornita».
    Appare  allora  evidente l'eccessiva ingerenza dello Stato in una
materia  che  non  puo' farsi rientrare tra quelle riservate alla sua
potesta'  legislativa  esclusiva,  dato  che  non attiene alla tutela
dell'ambiente  di  cui  alla  lettera  s)  del comma 1, dell'art. 117
Cost., ne' al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla
lettera  e)  dello  stesso  comma,  e  che  di  conseguenza  dovrebbe
ricondursi  alla  competenza  legislativa  residuale delle regioni ai
sensi del comma 4 di tale articolo.
    Si  tratta  infatti,  nella  specie,  di  un tributo di carattere
locale,  la  cui  determinazione  spetta  alle autonomie territoriali
sulla  base  dell'art. 119  della  Costituzione, che cosi' dispone «I
comuni,  le  province,  le  citta'  metropolitane e le regioni, hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,
in  armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario».
    Pertanto,    le    norme   impugnate,   giungendo   a   prevedere
l'individuazione  solo  a  livello  ministeriale  dei  criteri per la
determinazione di una tariffa da applicarsi in ambito locale, nonche'
a  stabilirne, nel caso di quella relativa al servizio di fognatura e
depurazione,  anche  e  addirittura  le modalita' di versamento, sono
costituzionalmente  illegittime  per  contrasto con gli articoli 117,
comma 4, e 119 della Costituzione, oltre che con i principi direttivi
della legge di delega.
    8.) Illegittimita'  costituzionale  degli artt. 181, commi da 7 a
11,  183,  comma 1, 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5, del d.lgs.
n. 152/2006,   per   violazione   degli  artt.  76,  117,  118  della
Costituzione.
    8.a.) L'art. 181, relativo al «Recupero dei rifiuti», prevede, al
comma  7, che «... i soggetti economici interessati o le associazioni
di  categoria  rappresentative  dei  settori  interessati,  anche con
riferimento   ad  interi  settori  economici  e  produttivi,  possono
stipulare   con   il   Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio, ...  appositi  accordi  di  programma  ... per definire i
metodi  di  recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie
prime  secondarie,  di  combustibili  o  di  prodotti», definendo, ai
successivi  commi  da  8  a  10,  le  modalita'  procedurali  per  la
stipulazione di tali accordi ed il contenuto di essi.
    In  particolare  poi,  il  comma  11  dispone che «Gli accordi di
programma  di  cui  al  comma  7  sono  approvati, ai fini della loro
efficacia,  con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio  di  concerto con il Ministro delle attivita' produttive e
con il Ministro della salute, e sono successivamente pubblicati nella
Gazzetta  Ufficiale. Tali accordi sono aperti all'adesione di tutti i
soggetti interessati».
    Dunque,   la   norma   impugnata  realizza  una  vera  e  propria
deregolamentazione  della  materia  in questione, in quanto affida la
disciplina  del  recupero  dei  rifiuti  interamente  ad  accordi  di
programma  (che  come  tali  non  hanno i caratteri di generalita' ed
astrattezza,  ma  natura  strettamente  negoziale),  stipulati tra il
Ministro dell'ambiente ed i «soggetti economici interessati», nonche'
approvati con decreto dello stesso Ministro.
    8.b.) Lo  strumento  dell'accordo  di programma e' richiamato poi
dall'art. 214,  comma  3, per le procedure semplificate in materia di
smaltimento   dei   rifiuti  non  pericolosi,  che  quindi  risultano
anch'esse    attribuite   all'esclusiva   competenza   del   Ministro
dell'ambiente  (lo  stesso articolo peraltro, al comma 5, fa espresso
rinvio al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, di cui si prevede
l'applicabilita'  in  via  transitoria,  malgrado  tale decreto fosse
stato all'origine di una procedura d'infrazione dinanzi alla Corte di
Giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato
italiano del 7 ottobre 2004 - C103/02).
    Appare allora evidente che le regioni, alle quali la legislazione
statale  precedente, ed in particolare il d.lgs. n. 22 del 5 febbraio
1997,  riconosceva la potesta' di regolare tutta la materia, sia pure
nell'ambito   dei   principi   generali  fissati  dalla  legislazione
medesima,  siano  state ora esautorate di ogni potere nell'ambito del
recupero  dei  rifiuti  e  delle suddette procedure semplificate, non
essendo  neppure  prevista  la partecipazione o il consenso regionale
alla stipulazione dei suddetti accordi.
     8.c.) Ancora, l'art. 183 esclude espressamente dall'applicazione
delle  disposizioni di cui alla parte quarta del decreto, riguardante
la  gestione  dei  rifiuti  e  la  bonifica  dei  siti  inquinati,  i
sottoprodotti  delle  imprese  (comprese  le  ceneri  di  pirite e le
polveri  di  ossido  di ferro), sottraendo quindi materiali altamente
inquinanti  al  regime  di  autorizzazioni e controlli previsto dalla
legislazione precedente.
    8.d.) Allo  stesso modo, il successivo art. 186 stabilisce che le
terre  e le rocce da scavo, nonche' i residui della lavorazione della
pietra  «...  non  costituiscono  rifiuti  e  sono, percio', esclusi,
dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto»,
anche  se  contaminati,  purche' non contengano una concentrazione di
inquinanti superiore a determinati limiti massimi.
    8.e.) Per  di  piu', il comma 3 dell'art. 189 impone l'obbligo di
comunicare  annualmente  alle  Camere  di Commercio le quantita' e le
caratteristiche  qualitative  dei rifiuti unicamente ai produttori di
«rifiuti  pericolosi»,  esonerando  cosi'  da tale obbligo coloro che
producono rifiuti non pericolosi, oltre che gli imprenditori agricoli
con un volume di affari annuo non superiore ad ottomila euro.
    Tutto cio' si traduce in una sostanziale riduzione delle garanzie
imposte  a  tutela  dell'ambiente  e  del  territorio dalla normativa
comunitaria  e  statale di recepimento, che contenevano in materia di
rifiuti  una disciplina senz'altro piu' rigorosa, che si estrinsecava
nelle adottande norme regionali.
    Infatti,  deve  evidenziarsi  che il suddetto decreto legislativo
n. 22/1997 era gia' intervenuto a regolamentare tale settore, al fine
di  recepire  le  direttive  comunitarie  riguardanti la gestione dei
rifiuti  e  di fissare le disposizioni di principio per la successiva
normativa  regionale,  stabilendo  espressamente, come gia' rilevato,
che  «Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata
dal   presente  decreto  nel  rispetto  delle  disposizioni  in  esso
contenute, che costituiscono principi fondamentali della legislazione
statale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione».
    Il  nuovo  regime  di cui al decreto legislativo gravato configge
apertamente  con  la  normativa  di  settore  (d.lgs. n. 22/1997) che
invece  -  giustamente  - aveva conferito alle regioni la potesta' di
regolamentazione di dettaglio in sede locale.
    Si  attua quindi una abrogazione tacita e/o implicita del decreto
Ronchi,   su  un  versante  che  invece  aveva  introdotto  il  pieno
riconoscimento dei poteri degli enti territoriali.
    Cio'  e' costituzionalmente illegittimo perche' la «nuova» tutela
viola la legge delega, nella parte in cui prevede - quale fine ultimo
-  la  garanzia della salvaguardia e tutela e del miglioramento della
qualita' ambientale.
    Inoltre,   le   disposizioni   in   oggetto   sono   da  ritenere
costituzionalmente  illegittime per violazione degli artt. 117, 118 e
76 della Costituzione, in relazione alla limitazione delle numerose e
pregnanti  competenze  riconosciute  alle  regioni  nella  materia in
questione, nonche' in relazione al contrasto con i principi direttivi
fissati dalla legge di delega.
    9.) Illegittimita'   costituzionale   dell'art.   299,  comma  5,
dell'art.  300,  comma 1, e dell'art. 306, commi 1, 2 e 5, del d.lgs.
n. 152/2006,   per   violazione   degli  artt.  76,  117,  118  della
Costituzione.
    9.a.) L'art. 299,  relativo  alle  «Competenze  ministeriali»  in
materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, si limita
a  disporre  che  «L'azione  ministeriale  si  svolge  normalmente in
collaborazione  con  le  regioni, con gli enti locali e con qualsiasi
soggetto   di   diritto  pubblico  ritenuto  idoneo»,  facendo  cosi'
presumere  che  tale  collaborazione  non  sia obbligatoria, ma possa
anche,  in  determinati  casi,  essere  discrezionalmente esclusa dal
Ministro dell'ambiente.
    In ogni caso, al comma 5, si stabilisce che la determinazione dei
criteri  per  procedere  all'istruttoria diretta all'accertamento del
danno  ambientale, nonche' «per la riscossione della somma dovuta per
equivalente  patrimoniale  ai  sensi del titolo III della parte sesta
del presente decreto» avviene con decreto del Ministro dell'ambiente,
di  concerto  con  i  Ministri  dell'economia e delle finanze e delle
attivita' produttive, e quindi senza alcuna intesa con le regioni, da
ritenersi  invece  necessaria  in considerazione dell'interferenza di
tale  disciplina con funzioni e compiti da esse svolti nel settore in
oggetto.
    9.b.) D'altra  parte,  deve rilevarsi che il successivo art. 300,
secondo   cui:   «E'   danno   ambientale   qualsiasi  deterioramento
significativo  e  misurabile,  diretto  o  indiretto,  di una risorsa
naturale  o  dell'utilita'  assicurata  da  quest'ultima»,  restringe
eccessivamente  la  nozione  di  danno  ambientale,  dato  che sembra
riferirsi  unicamente  a situazioni gia' definitivamente compromesse,
con  esclusione  di  quelle in cui il danno non ha ancora assunto una
decisa connotazione (tenendo anche presente la difficolta' pratica di
misurare  e/o  di quantificare in termini economici il deterioramento
prodotto nei riguardi dell'ambiente).
    Sussiste  quindi  il rischio che fattispecie dannose ritenute non
significative  e  prettamente misurabili siano estromesse dall'ambito
di  applicazione  della  normativa,  e  che  non  possano piu' essere
oggetto di risarcimento.
    In  sede  regionale,  invece, detta valutazione potrebbe avvenire
anzitempo e comunque tempestivamente.
    9.c.) Inoltre,  anche  relativamente  alla  determinazione  delle
misure  per  il ripristino ambientale, l'art. 306, ai commi 1, 2 e 5,
prevede la competenza esclusiva del Ministro dell'ambiente, dal quale
vengono  approvate «le possibili misure per il ripristino ambientale»
individuate dagli operatori, e che «decide quali misure di ripristino
attuare,  in  modo  da garantire, ove possibile, il conseguimento del
completo ripristino ambientale, e valuta l'opportunita' di addivenire
ad  un  accordo  con  l'operatore  interessato...»  invitando anche i
soggetti  indicati  dall'art. 12  della  direttiva 2004/35/CE (ovvero
tutti coloro che siano coinvolti da un possibile danno ambientale), a
presentare  le proprie osservazioni, di cui lo stesso Ministro terra'
conto in sede di emanazione della relativa ordinanza.
    Si  riservano dunque a quest'ultimo tutte le funzioni riguardanti
le  misure  di  ripristino ambientale, compresa quella di emettere le
ordinanze   con   cui   viene   ingiunto  ai  responsabili  di  danni
all'ambiente  il  ripristino  dello  stato  dei  luoghi,  a titolo di
risarcimento in forma specifica.
    Anche nel caso delle disposizioni in esame, pertanto, l'ambito di
operativita'  riconosciuto alla competenza statale appare eccessivo e
non giustificato dall'esigenza di una disciplina uniforme su tutto il
territorio nazionale.
    Deve   allora   rilevarsi   il  contrasto  con  l'art. 117  della
Costituzione,  posto che la competenza legislativa statale in materia
di  danno ambientale si intreccia con la competenza regionale in tema
di  tutela  della salute, governo del territorio e valorizzazione dei
beni  ambientali,  nonche'  la  violazione  dei  principi generali di
sussidiarieta'   e   differenziazione   dettati  dall'art. 118  della
Costituzione  e  richiamati  dalla legge di delega, che impongono che
l'attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga sempre e
comunque   con  la  collaborazione  delle  regioni  interessate,  nel
rispetto degli specifici interessi coinvolti.
    Cio'  che  invece  il decreto impugnato non si preoccupa di fare,
comprimendo  una prerogativa affidata alle regioni e confermata dalla
legge delega.
    Istanza di sospensione in via cautelare.
    Si  chiede,  ai sensi dell'art. 9 della legge n. 131 del 5 giugno
2003,  la  sospensione dell'esecuzione delle sole norme impugnate con
il  presente ricorso, la cui entrata in vigore non e' stata differita
di  centoventi  giorni  rispetto  alla  pubblicazione,  e cioe' degli
artt.:  58,  59,  63, 64, 91, 101, 104, 121, 154, 155, 181, 183, 186,
189,  214,  281,  299,  300, 306, in considerazione del rischio di un
pregiudizio  irreparabile  all'interesse pubblico o di un pregiudizio
grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale.
    Tale  pregiudizio  deriva  in  particolare dalla previsione della
soppressione delle Autorita' di Bacino di cui alla legge n. 183/1989,
prima  ancora  di  provvedere  all'istituzione delle nuove Autorita';
dalla  sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle gia' svolte
dalle  regioni,  con  conseguenze negative in termini di certezza del
diritto  e  di efficienza dell'azione amministrativa; dalla riduzione
delle  garanzie  imposte dalle norme vigenti in materia di scarichi e
di  rifiuti;  dalla  restrizione  della nozione di danno ambientale e
delle relative ipotesi risarcitorie.