Rirocorso ta la Regione Puglia (c.f. 80017210727), in persona del presidente della giuinta regionale dott. Nicola Vendola, difeso - in forza di procure speciali a margine del primo e del secondo foglio del presente atto, distintamente conferite in ragione delle due deliberazioni della giunta regionale n. 653 del 23 maggio 2006 e n. 740 del 6 giugno 2006 - dall'avv. Fabrizio Lofoco, con studio in Roma, in viale G. Mazzini n. 6, presso cui elettivamente domicilia, ricorrente; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato in Roma, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, avente ad oggetto «Norme in materia ambientale», con particolare riferimento agli articoli (contenuti nella parte seconda, la cui entrata in vigore e' stata differita di centoventi giorni rispetto alla pubblicazione): 6, relativo alla «Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali»; 15, relativo ai «Piani e programmi sottoposti a vas in sede statale», comma 1; 19, relativo alla «Procedura di verifica preventiva», comma 2; 25, relativo alle «Competenze e procedure» in materia di V.I.A., comma 1, lettera a); 26, relativo alla «Fase introduttiva del procedimento» di V.I.A., comma 3; 42, relativo ai «Progetti sottoposti a via in sede regionale o provinciale», comma 3; Nonche' per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, previa sospensione dell'esecuzione, degli articoli: 58, relativo alle «Competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio» in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, comma 3, lettere a) e b); 59, relativo alle Competenze della conferenza Stato-Regioni» in materia di difesa del suolo e di lotta alla desertificazione; 63, relativo alla «Autorita' di bacino distrettuale», comma 3; 64, relativo ai «Distretti idrografici»; 91, relativo alle «Aree sensibili», in materia di tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichi, comma 2; 101, relativo ai «Criteri generali della discilina degli scarichi», comma 7; 104, relativo agli «Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee»; 121, relativo ai «Piani di tutela delle acque», comma 2; 154, relativo alla «Tariffa del servizio idrico integrato»; 155, relativo alla «Tariffa del seivizio di fognatura e depurazione»; 181, relativo al «Recupero dei rifiuti», commi da 7 a 11; 183, relativo alle «Definizioni» in materia di rifiuti, comma 1; 186, relativo alle «Terre e rocce da scavo»; 189, relativo al «Catasto dei rifiuti», comma 3; 214, relativo alla «Determinazione delle attivita' e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate», commi 3 e 5; 281 relativo alle «Disposizioni transitorie e finali», comma 10, in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera; 299, relativo alle «Competenze ministeriali» in materia di tutela risarcitoria per i danni all'ambiente, comma 5; 300, relativo al «Danno ambientale», comma 1; 306, relativo alla «Determinazione delle misure per il ripristino ambientale», commi 1, 2 e 5, per la violazione degli artt. 5, 76, 117, 118, 119 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione. Premessa A) Con legge n. 308 del 15 dicembre 2004, il Governo veniva delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore, uno o piu' decreti legislativi per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale, che avrebbero dovuto conformarsi, «nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta», ai criteri direttivi generali fissati al comma 8, dell'art. 1 della legge medesima. In particolare, tra tali criteri direttivi veniva indicato quello di «riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nell'attuazione dei principi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale e rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e penale, nonche' alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca» (punto «m» del comma 8, dell'art. 1 della legge n. 308/2004). B) Orbene, nella seduta del Consiglio dei ministri del 18 novembre 2005, veniva approvato uno schema di decreto legislativo, avente ad oggetto «Norme in materia ambientale», il cui testo veniva trasmesso alle regioni in data 29 novembre 2005. C) In relazione a tale schema, e con riferimento sia al contenuto che al metodo utilizzato, nella seduta della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006 veniva espresso dalle regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano un parere nettamente negativo, in cui si evidenziava il rischio di «... problemi di certezza del diritto e la sostanziale paralisi dell'azione pubblica in campo ambientale, data l'incompatibilita' delle norme regionali vigenti con quelle dello schema di decreto in assenza di norme transitorie e di salvaguardia». Tuttavia, malgrado il parere sfavorevole delle regioni e l'assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato (di cui all'art. 17, comma 25, della legge n. 127/1997), che determinavano una richiesta di chiarimenti da parte del Presidente della Repubblica, il decreto, con alcune modifiche, veniva comunque approvato dal Consiglio dei ministri, e quindi promulgato in data 3 aprile 2006. D) Dunque, il d.lgs. n. 152/2006, cosi' come predisposto dal Governo, risulta, sia sotto l'aspetto della procedura seguita per l'approvazione, sia sotto l'aspetto contenutistico, profondamente lesivo del ruolo e delle competenze legislative ed amministrative riconosciute alle regioni in materia ambientale, e comunque discordante con quanto al riguardo prescritto nella legge di delega n. 308/2004, oltre che con i fondamentali principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Cio' si riscontra, in particolare, con riferimento agli articoli indicati in epigrafe, di cui si chiede che venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale alla stregua dei seguenti M o t i v i 1) Illegittimita' costituzionale degli artt. 6, 15, comma 1, e 19, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. 1.a.) L'art. 6, relativo alla «Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali», prescrive che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, e' istituita, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, la Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. Con il medesimo decreto sono stabilite la durata e le modalita' per l'organizzazione ed il funzionamento della Commissione stessa». Tale Commissione provvede in via generale ad istruire i procedimenti e quindi ad emettere tutte le valutazioni in materia ambientale (ovvero la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.), la Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e l'autorizzazione ambientale strategica (I.P.P.C.) relative a piani, programmi e progetti di opere ed interventi di competenza statale. Deve pero' rilevarsi che l'articolo in questione non prevede, nell'ambito dei suddetti procedimenti, alcuna forma di partecipazione o di coinvolgimento delle regioni il cui territorio sia di volta in volta direttamente interessato dai piani e progetti medesimi. Cio' in quanto la stessa Commissione opera di norma attraverso sottocommissioni, la cui composizione ordinaria non risulta integrata da rappresentanti regionali, essendo previsto, al comma 6, che solo qualora siano riscontrati «... specifici interessi regionali coinvolti dall'esercizio di un'attivita' soggetta alle norme di cui alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione e' integrata dall'esperto designato da ciascuna delle regioni direttamente interessate per territorio dall'attivita». Qualora poi le regioni non provvedano a tale designazione, «... la sottocommissione e' costituita nella composizione ordinaria e procede comunque all'istruttoria affidatale». Dunque, gli esperti designati dalle regioni assumono un ruolo del tutto marginale, in quanto l'intervento di tali esperti viene previsto soltanto in via eventuale (tenendo presente che le procedure in oggetto coinvolgono sempre ed in ogni caso gli interessi delle regioni sul cui territorio esse ricadono), ed inoltre perche', in mancanza della designazione da parte delle regioni interessate, la commissione ministeriale puo' portare a termine il procedimento di propria competenza anche senza che queste abbiano in qualche modo espresso il proprio parere in merito. Deve allora dedursi che manchi del tutto la previsione di una forma di intesa o di collaborazione con le regioni coinvolte, dato che cio' non puo' ritenersi comunque garantito dalla composizione della Commissione, cosi' come introdotta dall'art. 6, che e' dunque costituzionalmente illegittimo. 1.b.) L'assoluta mancanza di partecipazione delle regioni puo' evincersi anche dalla formulazione dell'art. 15, comma 1, del decreto in oggetto, relativo ai «Piani e programmi sottoposti a vas in sede statale», che si limita a prevedere la sottoposizione alla valutazione ambientale strategica dei «... piani e programmi di cui all'art. 7 la cui approvazione compete ad organi dello Stato», senza minimamente contemplare un intervento regionale nel procedimento, malgrado gli indiscutibili effetti sul territorio dei piani e programmi in questione. Inoltre, l'art. 19, comma 2, relativamente alla «Procedura di verifica preventiva» in materia di valutazione ambientale strategica in sede statale, dispone che «La verifica e' eseguita dall'autorita' competente all'approvazione dei piani o dei programmi, su istanza del proponente ed acquisito il parere della Commissione di cui all'art. 6». Dunque, nell'ipotesi di piani e programmi di competenza statale, anche la fase di verifica dei presupposti per la loro sottoposizione alla procedura di valutazione ambientale strategica viene affidata unicamente al Ministro dell'ambiente, cosi' eludendo qualsiasi possibile partecipazione delle regioni interessate. Cio' e' confermato anche dalla composizione della stessa Commissione tecnico-consultiva di cui deve essere acquisito il parere, dato che questa, come gia' evidenziato, non prevede necessariamente la presenza degli esperti di nomina regionale. Le norme impugnate, pertanto, si pongono in contrasto: con l'art. 5 della Costituzione, in quanto non risultano idonee a soddisfare le esigenze specifiche delle autonomie locali, mancando totalmente la previsione di un'effettiva consultazione delle stesse; con l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, posto che la legge n. 308/2004, che delegava il Governo ad adottare una normativa di riordino, coordinamento ed integrazione in materia ambientale, aveva espressamente prescritto il rispetto «... delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarieta», ed aveva imposto, tra i principi e i criteri direttivi generali, la riaffermazione del ruolo regionale, nonche', tra i principi e i criteri specifici, la valorizzazione del ruolo e delle competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale (cfr. art. 8, punto m, ed art. 9, punto c); con l'art. 118 della Costituzione, che prevede l'assunzione da parte dello Stato di determinate funzioni amministrative solo qualora sia palesemente ravvisabile un'esigenza di esercizio unitario delle funzioni medesime. Infatti, e' evidente che la gestione degli interessi pubblici debba essere generalmente affidata ai soggetti istituzionali piu' vicini ai portatori di tali interessi, essendo essi in grado di attuarla in modo piu' adeguato ed efficace. Cio' manca del tutto nel caso di specie, perche' e' innegabile la necessita' di tener conto delle specifiche esigenze delle singole regioni interessate. A tale riguardo, codesta sovrana Corte ha gia' ritenuto che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza sanciti dalla suddetta norma costituzionale (art. 118) impongono che l'esercizio statale di funzioni regionali sia proporzionato e ragionevole, e che comunque implichi il coinvolgimento della regione interessata. Infatti, «Per giudicare se una legge statale ... sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina» (da ultimo, sentenza Corte cost. n. 214 del 1° giugno 2006). Pertanto, sotto tali profili, e con riferimento al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, le disposizioni impugnate sono da ritenersi costituzionalmente illegittime, per il fatto che non solo non prevedono alcuna preventiva concertazione con le regioni, ma non esprimono neanche l'esigenza della loro consultazione. 2) Illegittimita' costituzionale degli artt. 25, comma 1, lettera a), 26, comma 3, e 42, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione. 2.a.) L'art. 25, relativo alle «Competenze e procedure» in materia di valutazione di impatto ambientale, dispone, al comma 1, lettera a), che questa compete «per i progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attivita' culturali, secondo le disposizioni di cui al presente capo I ed al capo II». Anche in ordine a tale disposizione dunque, possono svolgersi considerazioni analoghe a quelle in precedenza dedotte, essendo evidente che, malgrado la (notevole) incidenza dei progetti in questione sul territorio di piu' regioni, queste risultano del tutto pretermesse dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, che viene affidata interamente al potere statale. 2.b.) Inoltre, l'art. 26, relativo alla «Fase introduttiva del procedimento» di V.I.A., pur prescrivendo la trasmissione dell'apposita domanda e dello studio di impatto ambientale alle regioni ed agli enti locali interessati, nonche', in caso di aree naturali protette, agli enti di gestione, che devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni, tuttavia, al comma 3, stabilisce che «In ragione delle specifiche caratteristiche dimensionali e funzionali dell'opera o intervento progettato, ovvero in ragione del numero degli enti locali potenzialmente interessati e della dimensione documentale del progetto e del relativo studio di impatto ambientale, il committente o proponente, attivando a tal fine una specifica fase preliminare, puo' chiedere di essere in tutto o in parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2 ...». Diviene cosi' possibile, in considerazione delle «dimensioni» del progetto, eludere del tutto l'obbligo (anche solo) di informare gli enti locali direttamente coinvolti dal progetto medesimo, e perfino gli enti di gestione delle aree naturali protette. Cio' e' vieppiu' contraddittorio, perche' proprio un progetto che coinvolga piu' regioni dovrebbe essere il frutto di concertazione e coordinamento tra di esse. Per di piu', anche nel caso dei «Progetti sottoposti a via in sede regionale o provinciale», disciplinati dall'art. 42 del decreto in oggetto, si dispone, al comma 3, che qualora «... l'opera o intervento progettato puo' avere impatti rilevanti anche sul territorio di altre regioni o province autonome o di altri Stati membri dell'Unione europea, l'autorita' competente con proprio provvedimento motivato si dichiara incompetente e rimette gli atti alla Commissione tecnico-consultiva di cui all'art. 6 per il loro eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale». Si giunge quindi a prevedere un'ipotesi di piena sostituzione dello Stato agli organi regionali, con la rimessione coattiva alla Commissione ministeriale degli atti relativi a progetti di competenza regionale o provinciale, che e' da ritenere del tutto ingiustificata, dal momento che, in alternativa, si puo' comunque ricorrere, in caso di interventi riguardanti il territorio di diverse regioni, alla conclusione di accordi diretti tra queste ultime. Cio' comporta di fatto un automatico accentramento delle competenze in materia in capo al Ministero dell'ambiente, in palese contrasto con il decentramento amministrativo e con il principio di sussidiarieta'. Deve allora eccepirsi, anche riguardo alle disposizioni in esame, la violazione degli artt. 5 e 76 della Costituzione - in relazione alla mancata previsione di qualsiasi forma di partecipazione delle regioni al procedimento in questione, ed alla mancata valorizzazione del ruolo di queste ultime, che costituiva uno dei principi direttivi della legge di delega n. 308/2004 - oltre che la violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione. Inoltre, occorre tenere presente che le diverse normative regionali in materia di V.I.A. gia' garantivano il coordinamento delle regioni direttamente interessate dai progetti aventi un impatto ambientale interregionale, attraverso forme di informazione e consultazione, o di vera e propria intesa tra le stesse regioni. In particolare, la legge n. 11 del 12 aprile 2001 della Regione Puglia, all'art. 19, prevede che «Nel caso di progetti che risultino localizzati sul territorio di piu' regioni, la giunta regionale effettua la procedura di V.I.A. e delibera la valutazione di impatto ambientale d'intesa con le regioni cointeressate. Nel caso di progetti che possono avere impatti rilevanti sull'ambiente di altre regioni confinanti, l'autorita' competente e' tenuta a informare e ad acquisire anche i pareri delle regioni interessate». Alla luce di cio', le disposizioni impugnate sono in contrasto anche con l'art. 117 della Costituzione, in quanto, nel disciplinare una materia che puo' ricondursi a quelle di «governo del territorio» e di valorizzazione dei beni ambientali, rientranti nella potesta' legislativa concorrente delle regioni, non si limita a dettare i principi fondamentali, come sancito dal terzo comma della suddetta norma costituzionale, ma regolano analiticamente il procedimento di V.I.A., ponendo nel nulla quanto gia' stabilito al riguardo dalle leggi regionali. D'altra parte, in materia di tutela dell'ambiente, codesta Corte ha gia' piu' volte affermato che: «... l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad esdudere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, quafificabile come "tutela dell'ambiente" dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacche' al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, sicche' in tale settore la competenza esclusiva dello Stato non e' incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze ...» (per tutte, sentenze Corte cost. n. 407 del 26 luglio 2002, e n. 259 del 22 luglio 2004). In ogni caso, anche senza porre in discussione la scelta di dettare, nel caso di progetti destinati ad avere effetti in un ambito sovraregionale, una normativa uniforme su tutto il territorio nazionale, tuttavia non appare giustificabile, sulla base del disposto dell'art. 118 della Costituzione e dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, l'esclusione delle regioni interessate da qualunque forma di cooperazione, dato che «... l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta» (sentenza Corte cost. n. 303 del 1° ottobre 2003). Le norme qui gravate sono dunque costituzionalmente illegittime perche' comprimono qualsiasi possibilita' di partecipazione regionale. 3) Illegittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 3, lettere a) e b), 59 e 281, comma 10, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione. L'art. 58, relativo alle «Competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio» in materia di difesa del suolo e di lotta alla desertificazione, indica, al comma 3, lettere a)e b), le funzioni svolte dal Ministero in tale materia, che consistono nella programmazione, finanziamento e controllo degli interventi, nonche' nella previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni ed altri fenomeni di dissesto idrogeologico. Anche con riferimento a tale disposizione puo' riscontrarsi una illegittima concentrazione di funzioni in capo al Ministero, ed una marcata riduzione del ruolo delle regioni, tenendo presente che si tratta di una materia senz'altro riconducibile al «governo del territorio», che il terzo comma dell'art. 117 Cost. affida alla potesta' legislativa concorrente delle regioni medesime. Non puo' infatti escludersi, anche in questo settore, la sussistenza di una serie di insopprimibili competenze regionali, finalizzate alla cura di interessi «costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente» (cfr. la gia' citata sentenza della Corte costituzionale n. 407 del 26 luglio 2002). Inoltre, in base alla previsione del successivo art. 59, l'intervento regionale nella materia in questione si riduce alla mera formulazione di pareri, proposte ed osservazioni, da esercitarsi esclusivamente in sede di Conferenza Stato-regioni, della quale peraltro non si individuano specificamente le modalita' operative, ne' la valenza da attribuire ai contributi da essa forniti. Le regioni, in sostanza, non hanno alcuna voce in capitolo, e quand'anche la esprimessero, non sarebbe determinante ai fini delle valutazioni in sede legislativa. D'altra parte, tale generale propensione del decreto in oggetto ad assegnare un ruolo preminente ed esclusivo al Ministero dell'ambiente, anche con finalita' di controllo delle competenze regionali, puo' evincersi anche dalla disposizione di cui al comma 10 dell'art. 281, (contenuta nella parte quinta, relativa alla tutela dell'aria e della riduzione delle emissioni in atmosfera) che prevede, perfino in sede di adozione dei piani o programmi e di rilascio delle autorizzazioni da parte delle regioni e delle province autonome, la necessita' di un'intesa con lo stesso Ministro dell'ambiente e con il Ministro della salute, allo scopo di fissare limiti piu' restrittivi alle emissioni. Pertanto, si rileva la violazione dell'art. 76 Cost. per contrasto con i principi generali richiamati dalla legge di delega, e degli artt. 117, comma 3, e 118, a causa della assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministero dell'ambiente, il quale gestisce tutte le fasi del procedimento diretto alla tutela ed al risanamento del suolo e del sottosuolo, nonche' controlla l'esercizio di funzioni amministrative prettamente regionali, in senso opposto al principio di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 4) Illegittimita' costituzionale degli artt. 63, comma 3, 64 e 121, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, comma 3, e 118 della Costituzione. 4.a.) L'art. 63 istituisce, nei diversi distretti idrografici indicati dal successivo art. 64, le «Autorita' di Bacino distrettuali», limitandosi ad individuarne gli organi, ovvero la Conferenza istituzionale permanente, il Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi, senza pero' specificare le modalita' operative, nonche' i tempi e le procedure di nomina di tali Autorita', e senza definire in alcun modo i compiti spettanti alla Conferenza operativa di servizi. Lo stesso art. 63 poi, al comma 3, dispone che «Le autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla terza parte del presente decreto» (ovvero la stessa parte in cui la norma e' inserita). Orbene, la previsione della soppressione delle Autorita' di Bacino di cui alla legge n. 183/1989 a partire dal 30 aprile 2006, ovvero prima che potessero essere istituite le nuove Autorita' di Bacino distrettuali (quindi in assenza di una disciplina transitoria che evitasse un pericoloso vuoto di potere e di conseguenza una sospensione delle attivita' svolte dalle prime), rappresenta senza dubbio una fonte di grave rischio per gli interessi pubblici ambientali. D'altra parte, a tale riguardo, la disposizione impugnata prevede unicamente che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, «sentita la Conferenza permanente Stato-regioni», vengano definiti «i criteri e le modalita' per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie...», ma non quelli per la nomina degli stessi organi. Cio' oltretutto fa ritenere che si tratti di soggetti designati dal Governo, senza alcuna intesa o partecipazione regionale, non essendo espressamente contemplata, in sede di nomina, l'emissione di un parere da parte della Conferenza Stato-regioni. Cio' comprime vieppiu' le potesta' regionali, che non trovano alcuno spazio di applicazione. 4.b.) Inoltre, l'art. 64 suddivide «l'intero territorio nazionale» in otto Distretti idrografici, comprensivi dei bacini gia' definiti dalla legge n. 183/1989 come nazionali, interregionali e regionali, e di dimensioni tali da non consentire di tenere conto delle notevoli differenze morfologiche esistenti tra i territori in essi accorpati. Le zone create sono molto piu' ampie di quanto disposto prima, con aggravio delle necessita' organizzative e di coordinamento. Tale suddivisione appare dunque disomogenea ed arbitraria, in quanto, ancora una volta, stabilita in assenza del contributo delle regioni, che peraltro svolgevano in precedenza tutte le funzioni relative alla gestione dei bacini interregionali e regionali. Deve anche considerarsi che la direttiva 2000/60/CE, contenente i principi per l'azione comunitaria in materia di acque, al punto 13 del preambolo, prescrive espressamente che «le diverse condizioni ed esigenze riscontrabili all'interno della Comunita' richiedono l'adozione di soluzioni specifiche. E' opportuno tener conto di tale diversita' nella programmazione e nell'esecuzione di misure atte a garantire la protezione ed un utilizzo sostenibile delle acque nell'ambito del bacino idrografico. Le decisioni dovrebbero essere adottate al livello piu' vicino possibile ai luoghi di utilizzo effettivo o di degrado delle acque. Si dovrebbero privilegiare le azioni che rientrino fra le competenze degli Stati membri, attraverso programmi di misure adeguati alle condizioni regionali e locali». Eppure, in ambito europeo, si riconosce alle regioni una peculiare situazione di necessario intervento ai fini che ci occupano: di tale traccia il decreto impugnato non tiene adeguato conto. 4.c.) Sotto diverso profilo, l'art. 121 del decreto in oggetto, relativo ai «Piani di tutela delle acque» (contenuto nella sezione II, riguardante la «Tutela delle acque dall'inquinamento»), al comma 2, dopo aver disposto che le Autorita' di Bacino definiscono gli obiettivi cui devono attenersi i piani di tutela delle acque e le priorita' degli interventi, prevede che «Entro il 31 dicembre 2007, le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acque e lo trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nonche' alle competenti Autorita' di Bacino, per le verifiche di competenza». Dunque, anche le basilari potesta' di pianificazione e programmazione, spettanti in via esclusiva alle regioni, sono sottoposte alla verifica ed al controllo del Ministero, oltre che delle stesse Autorita' di Bacino. Pertanto, con riferimento a tali disposizioni, deve farsi valere la violazione della legge di delega n. 308/2004, anche in considerazione della completa revisione delle competenze in materia, operata con l'introduzione delle nuove Autorita' di Bacino e la determinazione dei nuovi distretti idrografici, che va ben oltre il riordino, il coordinamento e la semplice integrazione della disciplina gia' esistente. In ogni caso, tale revisione avrebbe richiesto il rispetto delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali e del ruolo da essi assunto in materia ambientale, cosi' come prescritto dalla suddetta legge. D'altra parte, la legge delega, tra i principi e criteri specifici indicati al comma 9 dell'art. 1, prescriveva anche di «rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici». Le disposizioni in esame sembrano invece seguire una direzione esattamente opposta a quella della semplificazione amministrativa ed organizzativa, e del conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi gia' esistenti, attraverso l'ingiustificata soppressione di questi e l'arbitraria creazione di nuovi enti, nonche' la totale sottoposizione al controllo statale di poteri gia' riservati alle regioni. Le stesse disposizioni sono poi da ritenere costituzionalmente illegittime ai sensi dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118 della Costituzione. Esse infatti, risultano inserite nelle sezioni relative alla difesa del suolo e delle acque dall'inquinamento, riconducibili alla funzione di governo del territorio, certamente attribuita alla potesta' legislativa concorrente delle regioni, che, come gia' evidenziato, implica comunque la possibilita' per queste ultime di intervenire con norme specifiche nell'ambito delle proprie competenze. In sostanza, il nuovo apparato amministrativo comporta una concentrazione in capo allo Stato di nuove e complesse funzioni amministrative, che non appare supportata da esigenze di esercizio unitario, e quindi in contrasto con i principi di differenziazione e sussidiarieta'. 5.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117, comma 3 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. L'art. 91, tra le «Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento», individua determinate «Aree sensibili», disponendo che «il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto individua con proprio decreto ulteriori aree sensibili identificate secondo i criteri di cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente decreto». Tale disposizione appare del tutto illogica ed irrazionale, prima che costituzionalmente illegittima, in quanto l'individuazione delle aree territoriali che richiedono una tutela particolare ed ulteriore non puo' essere affidata unicamente ad un decreto ministeriale, sia pure emanato dopo aver sentito la Conferenza Stato-regioni, ma deve scaturire da una effettiva concertazione con la regione nel cui ambito territoriale tali aree sono situate. Deve infatti considerarsi che le leggi regionali gia' avevano provveduto in tal senso, come nel caso della legge della Regione Puglia n. 19 del 24 luglio 1997, relativa all'istituzione e gestione delle aree naturali protette, che era stata dettata proprio al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale ed ambientale della stessa regione. Possono dunque richiamarsi, anche in relazione alla disposizione in oggetto, le considerazioni gia' svolte in ordine al riparto di competenze tra lo Stato e le regioni in materia ambientale, dato che anche qui si tratta di funzioni rientranti in quelle attribuite alle regioni dall'art. 117, comma 3, Cost., ovvero di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali, nonche' in ordine al contrasto con i principi generali di e adeguatezza sanciti dagli artt. 5 e 118 Cost., ed indicati dalla legge di delega n. 308/2004. 6.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 101, comma 7, e dell'art. 104 del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 5, 76, 117, terzo comma e 118, primo comma, della Costituzione. 6.a.) L'art. 101, contenente i «Criteri generali della disciplina degli scarichi», al comma 7, assimila alle acque reflue domestiche anche quelle provenienti da imprese zootecniche ed agricole, che possono essere notevolmente inquinanti e dannose per l'ambiente. Dunque, gli scarichi derivanti dallo svolgimento di attivita' produttive sono accomunati a quelli domestici, malgrado le diverse ripercussioni degli uni e degli altri sul livello qualitativo dei corpi idrici. 6.b.) L'art. 104, poi, pone il divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, introducendo pero' una serie di importanti deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal Ministro dell'ambiente, anche senza richiedere il consenso o il parere regionale. Una forma di intesa con le regioni viene prevista unicamente per le autorizzazioni relative ai giacimenti a terra, che, in precedenza, sulla base di quanto stabilito dall'art. 30 del d.lgs. n. 152/1999, rientravano tra le funzioni amministrative delle regioni medesime. Si introduce dunque un potere autorizzatorio esclusivo del Ministro dell'ambiente, da esercitarsi in relazione a qualsiasi ipotesi di scarico diretto di acque reflue. Eppure questo monitoraggio e potere di controllo non puo' che fondarsi in ambito regionale. Le disposizioni impugnate appaiono anch'esse lesive dell'assetto di competenze garantito dell'art. 117 Cost., in quanto non tengono conto del potere normativo regionale in materia di governo del territorio e di tutela della salute, che puo' estendersi fino a stabilire standards di tutela piu' rigorosi di quelli previsti a livello statale. Cio' anche in considerazione della tipicita' di ogni regione, Puglia compresa, che potrebbe di per se' giustificare l'adozione di misure diverse da quelle previste omnicomprensivamente a livello statale. Inoltre, limitandosi le funzioni amministrative in precedenza attribuite alle regioni dalla legislazione statale di settore, si determina una violazione dei principi generali di sussidiarieta' e di valorizzazione del ruolo delle autonomie locali. 7.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 154 e dell'art. 155 del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, quarto comma e 119 della Costituzione. 7.a.) L'art. 154, rativo alla «Tariffa del servizio idrico integrato», stabilisce che essa costituisce il corrispettivo di tale servizio, e che e' determinata tenendo conto di una serie di parametri, quali la qualita' della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di gestione di queste, in modo da assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio «chi inquina paga». Tuttavia, la stessa disposizione, ai commi 2 e 3, rimette al Ministro dell'ambiente il compito di definire con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici, ed al Ministro dell'economia e delle finanze, «al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale», il compito di stabilire i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica. 7.b.) Inoltre, l'art. 155, relativo alla «Tariffa del servizio di fognatura e depurazione», stabilisce in modo dettagliato i casi in cui gli utenti sono tenuti o meno a versare le quote della tariffa medesima, nonche' la destinazione che i comuni devono assegnare ai proventi riscossi, giungendo a prescrivere, al comma 4, che «Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell'acqua scaricata e' determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita». Appare allora evidente l'eccessiva ingerenza dello Stato in una materia che non puo' farsi rientrare tra quelle riservate alla sua potesta' legislativa esclusiva, dato che non attiene alla tutela dell'ambiente di cui alla lettera s) del comma 1, dell'art. 117 Cost., ne' al sistema tributario e contabile dello Stato, di cui alla lettera e) dello stesso comma, e che di conseguenza dovrebbe ricondursi alla competenza legislativa residuale delle regioni ai sensi del comma 4 di tale articolo. Si tratta infatti, nella specie, di un tributo di carattere locale, la cui determinazione spetta alle autonomie territoriali sulla base dell'art. 119 della Costituzione, che cosi' dispone «I comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni, hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Pertanto, le norme impugnate, giungendo a prevedere l'individuazione solo a livello ministeriale dei criteri per la determinazione di una tariffa da applicarsi in ambito locale, nonche' a stabilirne, nel caso di quella relativa al servizio di fognatura e depurazione, anche e addirittura le modalita' di versamento, sono costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 117, comma 4, e 119 della Costituzione, oltre che con i principi direttivi della legge di delega. 8.) Illegittimita' costituzionale degli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e 5, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, 118 della Costituzione. 8.a.) L'art. 181, relativo al «Recupero dei rifiuti», prevede, al comma 7, che «... i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e produttivi, possono stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, ... appositi accordi di programma ... per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti», definendo, ai successivi commi da 8 a 10, le modalita' procedurali per la stipulazione di tali accordi ed il contenuto di essi. In particolare poi, il comma 11 dispone che «Gli accordi di programma di cui al comma 7 sono approvati, ai fini della loro efficacia, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attivita' produttive e con il Ministro della salute, e sono successivamente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Tali accordi sono aperti all'adesione di tutti i soggetti interessati». Dunque, la norma impugnata realizza una vera e propria deregolamentazione della materia in questione, in quanto affida la disciplina del recupero dei rifiuti interamente ad accordi di programma (che come tali non hanno i caratteri di generalita' ed astrattezza, ma natura strettamente negoziale), stipulati tra il Ministro dell'ambiente ed i «soggetti economici interessati», nonche' approvati con decreto dello stesso Ministro. 8.b.) Lo strumento dell'accordo di programma e' richiamato poi dall'art. 214, comma 3, per le procedure semplificate in materia di smaltimento dei rifiuti non pericolosi, che quindi risultano anch'esse attribuite all'esclusiva competenza del Ministro dell'ambiente (lo stesso articolo peraltro, al comma 5, fa espresso rinvio al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, di cui si prevede l'applicabilita' in via transitoria, malgrado tale decreto fosse stato all'origine di una procedura d'infrazione dinanzi alla Corte di Giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato italiano del 7 ottobre 2004 - C103/02). Appare allora evidente che le regioni, alle quali la legislazione statale precedente, ed in particolare il d.lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997, riconosceva la potesta' di regolare tutta la materia, sia pure nell'ambito dei principi generali fissati dalla legislazione medesima, siano state ora esautorate di ogni potere nell'ambito del recupero dei rifiuti e delle suddette procedure semplificate, non essendo neppure prevista la partecipazione o il consenso regionale alla stipulazione dei suddetti accordi. 8.c.) Ancora, l'art. 183 esclude espressamente dall'applicazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto, riguardante la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati, i sottoprodotti delle imprese (comprese le ceneri di pirite e le polveri di ossido di ferro), sottraendo quindi materiali altamente inquinanti al regime di autorizzazioni e controlli previsto dalla legislazione precedente. 8.d.) Allo stesso modo, il successivo art. 186 stabilisce che le terre e le rocce da scavo, nonche' i residui della lavorazione della pietra «... non costituiscono rifiuti e sono, percio', esclusi, dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto», anche se contaminati, purche' non contengano una concentrazione di inquinanti superiore a determinati limiti massimi. 8.e.) Per di piu', il comma 3 dell'art. 189 impone l'obbligo di comunicare annualmente alle Camere di Commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative dei rifiuti unicamente ai produttori di «rifiuti pericolosi», esonerando cosi' da tale obbligo coloro che producono rifiuti non pericolosi, oltre che gli imprenditori agricoli con un volume di affari annuo non superiore ad ottomila euro. Tutto cio' si traduce in una sostanziale riduzione delle garanzie imposte a tutela dell'ambiente e del territorio dalla normativa comunitaria e statale di recepimento, che contenevano in materia di rifiuti una disciplina senz'altro piu' rigorosa, che si estrinsecava nelle adottande norme regionali. Infatti, deve evidenziarsi che il suddetto decreto legislativo n. 22/1997 era gia' intervenuto a regolamentare tale settore, al fine di recepire le direttive comunitarie riguardanti la gestione dei rifiuti e di fissare le disposizioni di principio per la successiva normativa regionale, stabilendo espressamente, come gia' rilevato, che «Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto delle disposizioni in esso contenute, che costituiscono principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione». Il nuovo regime di cui al decreto legislativo gravato configge apertamente con la normativa di settore (d.lgs. n. 22/1997) che invece - giustamente - aveva conferito alle regioni la potesta' di regolamentazione di dettaglio in sede locale. Si attua quindi una abrogazione tacita e/o implicita del decreto Ronchi, su un versante che invece aveva introdotto il pieno riconoscimento dei poteri degli enti territoriali. Cio' e' costituzionalmente illegittimo perche' la «nuova» tutela viola la legge delega, nella parte in cui prevede - quale fine ultimo - la garanzia della salvaguardia e tutela e del miglioramento della qualita' ambientale. Inoltre, le disposizioni in oggetto sono da ritenere costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 117, 118 e 76 della Costituzione, in relazione alla limitazione delle numerose e pregnanti competenze riconosciute alle regioni nella materia in questione, nonche' in relazione al contrasto con i principi direttivi fissati dalla legge di delega. 9.) Illegittimita' costituzionale dell'art. 299, comma 5, dell'art. 300, comma 1, e dell'art. 306, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 152/2006, per violazione degli artt. 76, 117, 118 della Costituzione. 9.a.) L'art. 299, relativo alle «Competenze ministeriali» in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, si limita a disporre che «L'azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo», facendo cosi' presumere che tale collaborazione non sia obbligatoria, ma possa anche, in determinati casi, essere discrezionalmente esclusa dal Ministro dell'ambiente. In ogni caso, al comma 5, si stabilisce che la determinazione dei criteri per procedere all'istruttoria diretta all'accertamento del danno ambientale, nonche' «per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta del presente decreto» avviene con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle attivita' produttive, e quindi senza alcuna intesa con le regioni, da ritenersi invece necessaria in considerazione dell'interferenza di tale disciplina con funzioni e compiti da esse svolti nel settore in oggetto. 9.b.) D'altra parte, deve rilevarsi che il successivo art. 300, secondo cui: «E' danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilita' assicurata da quest'ultima», restringe eccessivamente la nozione di danno ambientale, dato che sembra riferirsi unicamente a situazioni gia' definitivamente compromesse, con esclusione di quelle in cui il danno non ha ancora assunto una decisa connotazione (tenendo anche presente la difficolta' pratica di misurare e/o di quantificare in termini economici il deterioramento prodotto nei riguardi dell'ambiente). Sussiste quindi il rischio che fattispecie dannose ritenute non significative e prettamente misurabili siano estromesse dall'ambito di applicazione della normativa, e che non possano piu' essere oggetto di risarcimento. In sede regionale, invece, detta valutazione potrebbe avvenire anzitempo e comunque tempestivamente. 9.c.) Inoltre, anche relativamente alla determinazione delle misure per il ripristino ambientale, l'art. 306, ai commi 1, 2 e 5, prevede la competenza esclusiva del Ministro dell'ambiente, dal quale vengono approvate «le possibili misure per il ripristino ambientale» individuate dagli operatori, e che «decide quali misure di ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del completo ripristino ambientale, e valuta l'opportunita' di addivenire ad un accordo con l'operatore interessato...» invitando anche i soggetti indicati dall'art. 12 della direttiva 2004/35/CE (ovvero tutti coloro che siano coinvolti da un possibile danno ambientale), a presentare le proprie osservazioni, di cui lo stesso Ministro terra' conto in sede di emanazione della relativa ordinanza. Si riservano dunque a quest'ultimo tutte le funzioni riguardanti le misure di ripristino ambientale, compresa quella di emettere le ordinanze con cui viene ingiunto ai responsabili di danni all'ambiente il ripristino dello stato dei luoghi, a titolo di risarcimento in forma specifica. Anche nel caso delle disposizioni in esame, pertanto, l'ambito di operativita' riconosciuto alla competenza statale appare eccessivo e non giustificato dall'esigenza di una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. Deve allora rilevarsi il contrasto con l'art. 117 della Costituzione, posto che la competenza legislativa statale in materia di danno ambientale si intreccia con la competenza regionale in tema di tutela della salute, governo del territorio e valorizzazione dei beni ambientali, nonche' la violazione dei principi generali di sussidiarieta' e differenziazione dettati dall'art. 118 della Costituzione e richiamati dalla legge di delega, che impongono che l'attribuzione allo Stato di funzioni amministrative avvenga sempre e comunque con la collaborazione delle regioni interessate, nel rispetto degli specifici interessi coinvolti. Cio' che invece il decreto impugnato non si preoccupa di fare, comprimendo una prerogativa affidata alle regioni e confermata dalla legge delega. Istanza di sospensione in via cautelare. Si chiede, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 131 del 5 giugno 2003, la sospensione dell'esecuzione delle sole norme impugnate con il presente ricorso, la cui entrata in vigore non e' stata differita di centoventi giorni rispetto alla pubblicazione, e cioe' degli artt.: 58, 59, 63, 64, 91, 101, 104, 121, 154, 155, 181, 183, 186, 189, 214, 281, 299, 300, 306, in considerazione del rischio di un pregiudizio irreparabile all'interesse pubblico o di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti della popolazione regionale. Tale pregiudizio deriva in particolare dalla previsione della soppressione delle Autorita' di Bacino di cui alla legge n. 183/1989, prima ancora di provvedere all'istituzione delle nuove Autorita'; dalla sovrapposizione di nuove funzioni statali a quelle gia' svolte dalle regioni, con conseguenze negative in termini di certezza del diritto e di efficienza dell'azione amministrativa; dalla riduzione delle garanzie imposte dalle norme vigenti in materia di scarichi e di rifiuti; dalla restrizione della nozione di danno ambientale e delle relative ipotesi risarcitorie.