Ricorso  della  Regione Campania, in persona del presidente della
giunta regionale pro tempore on. Antonio Bassolino, rapp.to e difeso,
giusto  mandato  a  margine  ed  in  virtu' della deliberazione della
giunta  regionale  n. 507  del  28 aprile  2006,  dagli  avv.  proff.
Vincenzo  Cocozza  e  Fabrizio Criscuolo unitamente all'avv. Vincenzo
Baroni  dell'Avvocatura  regionale, insieme con i quali elettivamente
domicilia  in  Roma,  prsso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale degli artt. 63 e
64,   concernenti  le  nuove  attivita'  di  bacino;  101,  comma  7,
concernente  gli  scarichi  derivanti  dalle  imprese  agicole;  154,
concernente   la   tariffa   del   servizio  idrico  integrato;  155,
concernente  la  tariffa  del  servizio fognatura e depurazione, 181,
commi 7, 8, 9, 10, 11, concernenti il c.d. recupero dei rifiuti, 183,
comma  1, concernente la definizione dei rifiuti; 186, concernente le
terre  e le rocce da scavo; 189, comma 3, concernente gli obblighi di
comunicazione  relativi  a certe categorie di rifiuti; 214, commi 3 e
5,  concernenti  le procedure semplificate per i rifiuti, del decreto
legislativo   3  aprile  2006,  n. 152,  recante  «Norme  in  materia
ambientale»,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006,  supplemento  ordinario  n. 96/2006, per violazione degli artt.
11,  76,  117  e  118  della  Costituzione,  del  principio  di leale
cooperazione, del principio di ragionevolezza nonche' della normativa
comunitaria.

                              F a t t o

    1.  -  Il  decreto  legislativo  3 aprile 2006, n. l52, «Norme in
materia  ambientale»  e'  stato  emanato  in  attuazione della delega
legislativa   contenuta   nella   legge  15  dicembre  2004,  n. 308,
pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 302  del 27 dicembre 2004,
supplemento ordinario n. 187.
    La  delega  aveva  come  oggetto  il  «riordino,  coordinamento e
integrazione  delle  disposizioni legislative "in materia ambientale"
anche mediante la redazione di testi unici».
    La  legge  di delegazione (art. 1, comma 4) prescriveva l'obbligo
per il Governo di sentire il parere della Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
    E'  ancora  importante  notare  che  fra i principi fissati dalla
legge  di  delegazione  vi  era  anche  l'obbligo  del  «rispetto dei
principi  e  delle  norme  comunitarie e delle competenze per materia
delle  amministrazioni  statali,  nonche'  delle  attribuzioni  delle
regioni  e  degli  enti  locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della  Costituzione,  della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo  31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie
e  le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e
delle  Province  autonome  di Trento e di Bolzano, e del principio di
sussidiarieta» (art. 1, comma 8).
    Va,  a  questo  punto,  segnalata una rilevante notazione di tipo
procedimentale.
    Il  modo in cui si e' svolta l'intera vicenda di approvazione del
decreto  legislativo  con  omissioni, ritardi nella comunicazione del
testo   alla   Conferenza   Stato-regioni,   in  uno  con  la  grande
complessita'  ed  ampiezza del testo e degli allegati, hanno impedito
che  tale  organo  potesse  esprimere  il  parere,  obbligatoriamente
previsto dalla stessa legge di delegazione.
    Risulta,  infatti, che il testo del decreto legislativo sia stato
trasmesso  alle  regioni  con nota della Presidenza del Consiglio dei
ministri  solo  in  data 29 novembre 2005, e che gli allegati tecnici
siano  stati  resi  disponibili  soltanto in rete (peraltro solo il 7
dicembre).
    Con  tutta  evidenza  vi  era  una grande difficolta' a poter, in
pochi  giorni,  conoscere  seriamente la disciplina e ad esprimere il
parere.
    Ed  infatti,  nella  seduta  della  Conferenza  unificata  del 15
dicembre  2005  vi  e'  la  richiesta di «rinvio dell'espressione del
parere  per consentire al Tavolo tecnico di terminare l'istruttoria»,
in  quanto,  oggettivamente,  non vi era stato il tempo materiale per
una  consapevole  valutazione di una materia avente impatto forte con
le competenze e la politica degli Enti territoriali.
    Il  Governo  ha  manifestato  opinioni diverse sulla richiesta di
rinvio.  Di  fatto  la  stessa non viene accolta ed il parere, per le
ragioni indicate, non viene reso.
    Pur  mancando  questo  passaggio  essenziale,  il  Consiglio  dei
ministri,  il 19 gennaio 2006, approvava «in via definitiva» il testo
del decreto legislativo.
    L'anomalia,  che  ridonda  in  illegittimita',  del  procedimento
continua  nella successiva riunione della Conferenza unificata del 26
gennaio  2006.  I presidenti delle regioni e delle province autonome,
dell'ANCI,  dell'UNPI  e  dell'UNCEM, infatti, presentavano un ordine
del  giorno  recante  il  parere  negativo  sullo  schema di decreto,
motivandolo  sia nel merito che nel metodo ed evidenziando profili di
illegittimita' costituzionale. Parere del quale il rappresentante del
Governo si limitava a dichiarare di «prendere atto».
    Il tormentato e confuso procedimento continua, poi, con ulteriori
fasi che confermano e rafforzano l'illegittimita'.
    Risulta,  infatti,  che  in  una  nuova  seduta,  10 febbraio, il
Consiglio  dei  ministri riapprovava, di nuovo «in via definitiva» il
decreto legislativo.
    Ed  ancora una nuova approvazione con modifiche del Consiglio dei
ministri  il  29  marzo 2006, dopo che il Presidente della Repubblica
aveva chiesto al Governo alcuni chiarimenti nel merito e in relazione
al   procedimento  di  formazione  del  decreto  legislativo  con  la
sospensione dell'emanazione.
    La nuova approvazione e le modifiche introdotte comportano che il
testo  e'  diverso  da  quello  sottoposto all'esame della Conferenza
unificata.
    Il  decreto  legislativo, negli artt. 63 e 64; 101, comma 7; 154;
155;  181,  commi  7,  8, 9, 10, 11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3;
214, commi 3 e 5, e' illegittimo per i seguenti

                             M o t i v i

    1) Violazione   degli   artt.  117,  comma  3,  118  e  76  della
Costituzione.   Violazione   del  principio  di  leale  cooperazione.
Irragionevolezza. Violazione della normativa comunitaria.
    E' necessaria una premessa.
    La  Regione  Campania  propone  la  questione di legittimita' nei
confronti  nei  confronti  delle  singole  disposizioni indicate alle
quali le censure vengono specificamente indirizzate. Ma, e' evidente,
che  il  decreto  risulti  affetto  da  gravi  vizi  di procedimento,
attinenti,  in  particolare,  alla violazione del principio di «leale
cooperazione».   E   questo  costituisce  vizio  comune  a  tutte  le
disposizioni impugnate.
    Il  Governo non ha rispettato, infatti, tale essenziale principio
cercando  le  condizioni perche' la Conferenza non potesse esprimersi
anche   con  la  mancata  informazione  tempestiva  sul  nuovo  testo
normativo.  Cosi',  non  vi  e'  stato  il  parere  della  Conferenza
unificata  e non si e' potuto realizzare alcun confronto, essenziale,
invece, per la conformazione della materia.
    La  violazione  del principio di leale cooperazione si salda come
vizio  di  carattere  generale  e comune a quello di violazione delle
delega   legislativa,   con   le  conseguenti  gravi  ricadute  sulle
attribuzioni  costituzionalmente  garantite alle regioni, dal momento
che, come si e' detto, l'obbligo del parere da parte della Conferenza
unificata   era   sancito   come  principio  dalla  stessa  legge  di
delegazione.
    2) Sulla base di questa premessa, si puo' procedere a prospettare
i  vizi  nei  confronti  delle singole disposizioni normative oggetto
dell'impugnativa.
    2.1.) Illegittimita'  costituzionale degli artt. 63 e 64 relativi
all'Autorita' di bacino, per violazione degli artt. 117, comma 3, 118
e 76 della Costituzione.
    L'art. 63,  comma  3,  dispone:  «Le autorita' di bacino previste
dalla  legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30
aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di
bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto».
    Le  autorita' distrettuali sono previste dal comma 1 dello stesso
articolo,   in   corrispondenza   degli  otto  distretti  idrografici
individuati  nel successivo art. 64 e che riaccorpa in otto distretti
i  numerosi bacini che la legge n. 183/1989 istituiva, suddividendoli
in bacini nazionali, interregionali e regionali.
    Con  tale  operazione  si e', dunque, proceduto alla creazione di
organismi  che  hanno  una  qualche corrispondenza con macro-regioni,
senza  che,  pero', una tale opera di ricomposizione abbia registrato
la partecipazione degli enti interessati.
    L'art. 63, comma 2, poi, individua gli organi dei distretti nella
«Conferenza  istituzionale permanente, nel Segretario generale, nella
Segreteria   tecnico-operativa   e   nella  Conferenza  operativa  di
servizi».  Nel contempo, la norma rinvia la definizione dei criteri e
delle  modalita'  per l'attribuzione di trasferimento del personale e
delle risorse patrimoniali e finanziarie ad un decreto del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  da  emanarsi su proposta del Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  di  concerto con il
Ministro  dell'economia,  e  delle  finanze  e con il Ministro per la
funzione  pubblica, «sentita la Conferenza permanente Stato-regioni»,
entro  trenta  giorni dalla data di entrata in vigore della Parte III
decreto.
      Ancora,  lo  stesso  d.P.C.m.  «disciplina  il trasferimento di
funzioni e regolamenta il periodo transitorio».
    Si  conferma  che  le  disposizioni oggetto dell'impugnativa sono
gravemente  lesive  delle  attribuzioni  regionali e contrastanti con
l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega.
    La  materia,  nella  quale  l'intervento statale si e' realizzato
(anche il titolo della Sezione e' significativo: «Norme in materia di
difesa  del  suolo  e lotta alla desertificazione» e' il «governo del
territorio»   che   l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  assegna  alla
competenza concorrente.
    E' noto che nella materia, in cui vi e' il riparto della potesta'
legislativa secondo il terzo comma dell'art. 117 Cost., lo Stato puo'
intervenire esclusivamente con norme legislative di principio.
    Soltanto  per  funzioni  «unitarie»,  puo' essere giustificata la
riserva allo Stato, in base principio di sussidiarieta'.
    D'altra  parte,  quando  particolari  competenze  consentano allo
Stato  di esercitare determinate funzioni amministrative incidenti in
materie  di  competenza regionale, occorre rispettare il principio di
leale  collaborazione  e,  quindi,  coinvolgere  nella  decisione  la
Conferenza Stato-regioni.
    Le disposizioni normative che sopprimono le Autorita' di bacino e
istituiscono  le  nuove  Autorita'  distrettuali  non  rispettano  la
previsione costituzionale.
    Intanto,   l'accentramento,   attraverso   l'unificazione   sotto
un'unica  Autorita',  di  bacini  che  non  hanno  in  realta' alcuna
correlazione,  si  mostra  irragionevole,  non giustificata e sottrae
competenze   alle   regioni,   in  violazione  sia  della  competenza
legislativa   di   cui   all'art. 117  Cost.  che  del  principio  di
sussidiarieta'.
      Poi,  i  distretti  sono  costruiti  come  enti  amministrativi
sovraregionali,  operandosi,  cosi',  una distorsione delle strutture
delle Autorita' di bacino, che la legge n. 183/1989 aveva correlato a
dimensioni  idrogeografiche  «naturali»,  alle quali si connetteva la
competenza pianificatoria e decisionale.
    Nel  momento  in  cui  le  Autorita'  distrettuali rappresentano,
invece,  articolazioni  burocratico-amministrative,  si  accentua  un
carattere di amministrazione decentrata dello Stato.
    Cio'   e'   confermato   dal  profilo  strutturale,  giacche'  la
rappresentanza   regionale   e'   in   netta   minoranza  nell'organo
decisionale: la Conferenza istituzionale permanente (che nomina anche
il Segretario generale) e la Conferenza operativa.
    Infatti,  al  comma  4,  l'art. 63 cosi' recita: «Alla Conferenza
istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della
tutela  del  territorio,  delle infrastrutture e dei trasporti, delle
attivita'  produttive,  delle  politiche  agricole e forestali per la
funzione   pubblica,  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  o  i
Sottosegretari  dai  medesimi  delegati,  nonche'  i presidenti delle
regioni  e  delle  province autonome il cui territorio e' interessato
dal  distretto  idrografico  o  gli  assessori dai medesimi delegati,
oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile».
    I  rappresentanti  dello Stato, quindi, sono sette, mentre quelli
delle  regioni sono in numero inferiore. Sicche', tenuto conto che il
medesimo  comma 4 espressamente prevede che la Conferenza «delibera a
maggioranza», la sottrazione di qualsiasi garanzia alle regioni.
      Come gia' detto, poi, una cosi' puntuale previsione legislativa
statale  in  materia  di competenza regionale, non e' mai ammissibile
senza la codecisione.
    Ancora,  va  dedotta  la  illegittima attribuzione al decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri di una funzione regolamentare
(art. 63, commi 2 e 3).
    Ovviamente,  trattandosi  di  un potere connesso con quanto sopra
oggetto  di  impugnativa,  vi  e'  una illegittimita' derivata per le
stesse  ragioni  appena  esposte.  E, comunque, un tale potere non e'
ammissibile,   se   non   esercitato   d'intesa   con  la  Conferenza
Stato-regioni.
    La  circostanza  che  la materia, oggetto dell'intervento, sia di
competenza  regionale  (con  la conseguente invasione di attribuzioni
delle regioni) consente di articolare il vizio di eccesso di delega.
    Intanto, per violazione dell'oggetto.
       La  legge  delega  prevedeva  il  «riordino,  coordinamento  e
integrazione  delle  disposizioni  legislative...,  anche mediante la
redazione di testi unici» (art. 1, comma 1, legge n. 308/2004).
    Come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  insegnato  «la  revisione  e il
riordino,  ove  comportino  l'introduzione  di norme aventi contenuto
innovativo  rispetto  alla  disciplina  previgente, necessitano della
indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere
le diverse scelte discrezionali dell'esecutivo, mentre tale specifica
indicazione  puo'  anche  mancare  allorche'  le  nuove  disposizioni
abbiano  carattere  di  sostanziale conferma delle precedenti» (sent.
n. 66/2005, che cita il precedente della sent. n. 354/1998).
    Ne discende che, quando oggetto della delega e' il «riordino», lo
spazio dell'intervento e' ben delimitato.
    Poi, per violazione dei principi di delega.
    La  legge  n. 308/2004,  all'art. 1, comma 8, indica, infatti «il
rispetto...   delle  competenze  per  materia  delle  amministrazioni
statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali
come  definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge
15  marzo  1997,  n. 59,  e  del  decreto  legislativo 31 marzo 1998,
n. 112».
    Il  rispetto  delle attribuzioni regionali costituiva, dunque, un
principio  preciso che delimitava il decreto legislativo. L'invasione
delle competenze regionali che e' stata denunciata appare ancora piu'
grave  laddove  si consideri che la legge delega non sembra prevedere
una alterazione del sistema delle Autorita' di bacino.
    Al  riguardo  principi  e  criteri  direttivi dettati dal comma 9
sono:
        «rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale
e   finanziario   che   ostacolino   il   conseguimento  della  piena
operativita'  degli  organi  amministrativi  e  tecnici preposti alla
tutela  e  al  risanamento  del  suolo e del sottosuolo, superando la
sovrapposizione  tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale
e coordinandoli con i piani urbanistici;
        valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a
composizione mista statale e regionale;
        adeguare    la    disciplina    sostanziale   e   procedurale
dell'attivita'  di  pianificazione,  programmazione  e  attuazione di
interventi  di risanamento idrogeologico del territorio e della messa
in   sicurezza  delle  situazioni  a  rischio;  prevedere  meccanismi
premiali  a  favore  dei proprietari delle zone agricole e dei boschi
che  investono  per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel
rispetto delle linee direttrici del piano di bacino;
        adeguare   la  disciplina  sostanziale  e  procedurale  della
normativa   e   delle   iniziative   finalizzate   a   combattere  la
desertificazione,  anche mediante l'individuazione di programmi utili
a  garantire  maggiore disponibilita' della risorsa idrica e il riuso
della stessa;
        semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli
strumenti  di  pianificazione con la garanzia della partecipazione di
tutti  i  soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di
conclusione dell'iter procedimentale».
    Non  si  rinviene  traccia  nella  legge  delega  di principi che
autorizzassero  la  modifica del sistema previsto dalla legge 183 del
1989. Di qui le evidenti illegittimita' denunciate.
    2.2) Illegittimita'  costituzionale  degli artt. 181, commi 7-11;
183,  comma  1;  186;  189,  comma  3, per violazione degli artt. 117
(commi  primo,  terzo  e quinto), 118, 11 e 76 Cost. Violazione della
normativa comunitaria.
    L'art. 181,   comma   7,   prevede  che  «soggetti  economici»  o
associazioni  di  categoria  rappresentative dei settori interessati,
anche  con  riferimento  ad  interi  settori  economici e produttivi,
possano  «stipulare  con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio...  appositi accordi di programma ...per definire i metodi
di  recupero  dei  rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime
secondarie, di combustibili o di prodotti».
    Tali   accordi   «fissano   le   modalita'   e   gli  adempimenti
amministrativi  per  la  raccolta,  per  la  messa in riserva, per il
trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite
il  mercato  telematico,  con  particolare  riferimento  a quello del
recupero  realizzato  dalle  Camere  di  commercio, e per i controlli
delle  caratteristiche  e  i  relativi  metodi di prova». Gli accordi
«fissano  altresi' le caratteristiche delle materie prime secondarie,
dei  combustibili  o  dei prodotti ottenuti, nonche' le modalita' per
assicurare  in  ogni  caso  la  loro tracciabilita' fino all'ingresso
nell'impianto  di  effettivo  impiego».  I  commi  successivi, dall'8
all'11, disciplinano le modalita' per la stipula, l'approvazione e la
pubblicazione di tali accordi di programma.
    L'art. 183,  comma  1,  procede  alla definizione dei termini: g)
«smaltimento»;   h)   «recupero»;   m)   «deposito   temporaneo»;  n)
«sottoprodotto»   q)   «materia   prima   secondaria»,  definita  con
rferimento alle caratteristiche stabilite ai sensi dell'art. 181); u)
«materia    prima    secondaria    per   attivita'   siderurgiche   e
metallurgiche»,  la  cui  disciplina  sara'  integrata  da un decreto
ministeriale «senza valore regolamentare».
      In  tale  maniera, si attua una deregolamentazione contrastante
con le normative europee.
    Le  definizioni  di  smaltimento e recupero non sono conformi con
quanto  indicato  nella direttiva 75/442/CEE art. 1, lettere e) e f).
Le  definizioni  di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS)
sono  in  contrasto  con le sentenze della Corte di giustizia europea
(sentenze  C-4l8/1997  e  C-419/1997  -  «Arco»;  C-9/2000  -  «Palim
Granit»;   C-114/2001   «AvestaPolarit   Chrome»,  e  in  particolare
C-457/2002 «Niselli».
    La  sottrazione  dei  sottoprodotti  e  delle  cd.  materie prime
secondarie  alla  disciplina dei rifiuti e' gia' stato oggetto di una
prima sentenza di condanna a seguito di procedura d'infrazione che ha
colpito  il d.m. 5 febbraio 1998, che invece l'art. 181, comma 6, del
decreto   legislativo   impugnato   mantiene   transitoriamente,   ma
illegittimamente,   in   vigore   in  attesa,  di  un  nuovo  decreto
ministeriale che fissi le caratteristiche dei materiali ottenuti come
materie secondarie.
    D'altro  canto,  e' vero che sono inclusi nella «definizione» dei
rifiuti,  ma  in  realta' la norma, che cosi' li classifica, delimita
l'ambito  di applicazione della disciplina nel momento in cui prevede
che «non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del
presente  decreto  i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non
sia  obbligata  a  disfarsi  e  non  abbia  deciso  di disfarsi ed in
particolare...» (art. 183, comma 1, lettera n).
    L'articolo  181,  prevedendo  appositi  decreti  ministeriali  ed
accordi  di  programma, sottrae al regime dei rifiuti e alle relative
autorizzazioni,  adempimenti  e controlli, molte sostanze o materiali
che nella legislazione vigente, invece, vi sono assoggettati.
    L'orientamento  della  giurisprudenza  e la normativa comunitaria
impongono,  invece,  una  nozione estensiva del concetto di «rifiuto»
comprendente i sottoprodotti e le materie prime secondarie.
    Con   la  previsione  del  ricorso  agli  accordi  di  programma,
l'articolo  qui censurato e' in contrasto con la disciplina normativa
ed il sistema, perche' non vi e' piu' una disciplina unitaria, ma una
serie indeterminata di accordi applicabili.
      Di  qui il contrasto con la normativa europea, che non consente
che  le  attivita'  di  recupero  possano  essere  escluse dal regime
autorizzatorio (cfr. direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE).
    La  dispensa dall'autorizzazione e' possibile solo fissando norme
generali che fissano i tipi e le quantita' di rifiuti.
    Le   motivazioni   appena   dedotte   sostengono  l'eccezione  di
illegittimita'  anche  nei  confronti  dei commi 3 e 5 dell'art. 214,
nella    parte   in   cui   ammettono,   rispettivamente,   l'accordo
«deregolatorio»  per  le  procedure  semplificate  di  smaltimento di
rifiuti e richiamano il d.m. 5 febbraio 1988 per la fase transitoria,
in attesa della fissazione delle nuove regole.
    L'art. 186,  poi,  prevede  una generale esenzione per le terre e
rocce  da scavo ed i residui della lavorazione della pietra destinati
all'effettivo  utilizzo  per  reinterri,  riempimenti,  ecc.  che non
costituiscono  rifiuti  e,  pertanto,  sono  «esclusi  dall'ambito di
applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in
cui,  anche  quando  contaminati,  durante  il  ciclo  produttivo, da
sostanze   inquinanti   derivanti  dalle  attivita'  di  escavazione,
perforazione  e  costruzione  siano  utilizzati, senza trasformazioni
preliminari,  secondo le modalita' previste nel progetto sottoposto a
valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia
sottoposto  a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalita'
previste   nel   progetto   approvato  dall'autorita'  amministrativa
competente,  ove cio' sia espressamente previsto, previo parere delle
Agenzie  regionali  e  delle  province  autonome  per  la  protezione
dell'ambiente, sempreche' la composizione media dell'intera massa non
presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi
previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3».
    La  previsione  contrasta con la normativa comunitaria perche' si
tratta  di  esclusione  disposta  in  via generale, senza tener conto
della generale disciplina europea.
    Tale  contrasto  con  le  norme comunitarie determina non solo la
illegittimita'   alla   stregua   dell'art. 117,  comma primo,  della
Costituzione, ma anche con la legge di delega (e quindi con l'art. 76
Cost.)  che,  come  ricordato, fissa tra i criteri direttivi (art. 1,
comma 8) la «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie,
al  fine  di  garantire  elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitivita' dei sistemi territoriali
e  delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»
(lettera   e),   e   l'«affermazione   dei   principi  comunitari  di
prevenzione,   di   precauzione,  di  correzione  e  riduzione  degli
inquinamenti  e  dei  danni  ambientali  e del principio "chi inquina
paga"», (lettera f).
    L'illegittimita'  per  violazione  delle  competenze regionali e'
evidente.
    I  «rifiuti»  costituiscono  materia  in  cui  si intersecano gli
interessi  ambientali  con  quelli  di tutela del territorio, nonche'
della tutela igienico-sanitaria e di sicurezza della popolazione.
    Pur  volendosi  invocare  il  «criterio  di prevalenza» elaborato
dalla  giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, e quindi la competenza
dello  Stato  a legiferare in base all'art. 117, comma 2, 1ettera s),
la legge statale deve sempre rispettare precisi limiti.
    Invero,  nella  legislazione vigente, il ruolo fondamentale delle
Regioni,  nell'attuazione  del quadro normativo nazionale, ha trovato
un suo riconoscimento. Sicche' la notevole compressione di tale ruolo
regionale,  che  si  realizza  incidendo su attribuzioni alle Regioni
gia'   riconosciute   nell'attuale   assetto  normativo,  ridonda  in
ulteriore  violazione  della  delega,  che  vincola il legislatore al
rispetto  dell'assetto  amministrativo  e  al  riparto  di competenze
vigente.
    L'art. 189,   al  comma  3,  contempla  l'obbligo  di  comunicare
annualmente   alle   Camere   di   commercio   le   quantita'   e  le
caratteristiche  qualitative  dei  rifiuti  oggetto  di  attivita' di
raccolta,  trasporto,  recupero  e  smaltimento di rifiuti (c.d. MUD,
ossia  il «modello unico» introdotto dalla legge n. 70/1994). Ne sono
esentate le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi.
    Cio'   comporta   una  caduta  di  informazioni  relativamente  a
molteplici  categorie  di rifiuti. Le strutture chiamate a svolgere i
controlli ambientali non saranno nelle condizioni di conoscere i dati
relativi  alla  produzione indispensabili per seguire il percorso dei
rifiuti.
    2.3) Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 101,  comma 7, per
violazione  degli artt. 117, comma 1 e 3, e 76 Cost. violazione della
normativa comunitaria.
    L'art. 101,  comma  7,  assimila alle acque reflue domestiche gli
scarichi  derivanti  dalle imprese agricole, includendo in esse anche
quelle  che svolgono attivita' di trasformazione o valorizzazione dei
prodotti  agricoli, purche' tale attivita', inserita con carattere di
normalita'   e  complementarieta'  funzionale  nel  ciclo  produttivo
aziendale,  riguardi  materia  prima  lavorata  proveniente in misura
prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni di cui si abbia
a qualunque titolo la disponibilita'.
    E'  noto  che  tali reflui possono avere un considerevole impatto
ambientale.
    Al riguardo, l'art. 28, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 152/1999
(recante  «Disposizioni  sulla tutela delle acque dall'inquinamento e
recepimento  della  direttiva  91/271/CEE  concernente il trattamento
delle  acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla
protezione   delle  acque  dall'inquinamento  provocato  dai  nitrati
provenienti  da  fonti agricole») imponeva un preciso rapporto minimo
tra  materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima
derivante da produzioni altrui.
    A   fronte   di   tale  criterio,  l'attuale  intervento  statale
sostituisce  il  limite  di  2/3  con il concetto elastico di «misura
prevalente».
    Palese  l'accentuata  discrezionalita', con cio' che ne deriva in
termini di disparita' di trattamento.
    Palese,  ancora,  che  la  «fiessibilita»  del  nuovo  criterio e
l'impropria  classificazione  degli  scarichi delle imprese agricole,
che   esercitano  anche  attivita'  di  trasformazione  dei  prodotti
agricoli,  comportano  livelli  di  trattamento  meno  rigorosi,  con
conseguenze inevitabili in termini di danno ambientale.
    Si  ripropone,  ancora  una  volta, il vizio per contrasto con la
legge  di  delegazione  che  ha  fissato  tra  i  principi  e criteri
direttivi  il  «miglioramento  della  qualita'  dell'ambiente,  della
protezione della salute umana, dell'utilizzazione accorta e razionale
delle  risorse  naturali...»  (lettera  a),  dell'art. 1, comma 8), e
l'obiettivo  di  «...  pianificare,  programmare e attuare interventi
diretti  a  garantire  la  tutela  e  il risanamento dei corpi idrici
superficiali  e  sotterranei,  previa  ricognizione  degli stessi...»
(lettera b) del comma 9).
    Cosi'  come  la  violazione  dell'ulteriore criterio del rispetto
delle  attribuzioni  gia'  conferite alle regioni, giacche' sin dalla
legislazione  di settore e dal decreto legislativo n. 112/1998 queste
funzioni risultano riconosciute.
    2.4) Illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  154 e 155, per
violazione degli artt. 117, quarto comma, 119 e 76 Cost.
    L'art. 154  istituisce la« Tariffa per il servizio idrico», quale
«corrispettivo  del  servizio idrico integrato», e fissa i parametri,
con  cui essa deve essere determinata, prescrivendo che debba tenersi
conto  «della  qualita'  della risorsa idrica e del servizio fornito,
delle  opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di
gestione   delle  opere,  dell'adeguatezza  della  remunerazione  del
capitale   investito   e   dei   costi  di  gestione  delle  aree  di
salvaguardia,  nonche'  di una quota parte dei costi di funzionamento
dell'autorita'  d'ambito,  in  modo  che  sia assicurata la copertura
integrale  dei  costi  di  investimento  e  di  esercizio  secondo il
principio  del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina
paga"».
    Determina, poi, le competenze attuative, attribuendo: al Ministro
dell'ambiente   e   della   tutela   del   territorio,   su  proposta
dell'Autorita'  di  vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il
compito  di  definire  con  decreto  «le  componenti  di costo per la
determinazione  della  tariffa  relativa ai servizi idrici per i vari
settori  di  impiego  dell'acqua»;  al Ministro dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio,   «al  fine  di  assicurare  un'omogenea  disciplina  sul
territorio  nazionale»,  il  compito di stabilire «i criteri generali
per  la  determinazione,  da  parte  delle  regioni,  dei  canoni  di
concessione  per  l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi
ambientali  e dei costi della risorsa e prevedendo altresi' riduzioni
del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle
acque   reimpiegando   le  acque  risultanti  a  valle  del  processo
produttivo  o  di  una  parte  dello stesso o, ancora, restituisca le
acque  di  scarico  con  le  medesime  caratteristiche qualitative di
quelle prelevate».
    In  tale  maniera  vengono  previsti  poteri normativi di livello
ministeriale  che  incidono  su  ambiti  riservati  alle  regioni, in
violazione  della  competenza legislativa ad esse spettante a termini
dell'art. 117, comma della Costituzione.
    La  materia  dei  servizi  pubblici locali e', infatti, riservata
alla  potesta'  residuale  delle  regioni,  sicche'  non e' legittimo
l'intervento qui contestato.
    La  disciplina,  per  di  piu',  contrasta con l'evoluzione della
stessa  legislazione  statale  che,  nell'art. 13,  legge n. 36/1994,
aveva  fissato  la  necessita'  di  tener  conto  degli  obiettivi di
miglioramento  della  produttivita'.  Il  venir meno di uno strumento
idoneo a favorire il miglioramento dell'efficienza delle gestioni con
la   leva   tariffaria,   incide   negativamente   sul  miglioramento
progressivo  in  termini  di  efficienza,  previsto  dalla precedente
normativa.
    Alla  violazione dell'art. 117, comma 4, in materia di disciplina
dei  sevizi pubblici locali, si aggiunga la violazione dell'autonomia
finanziaria  e tributaria garantita alle regioni dall'art. 119, commi
primo  e  secondo,  Cost.,  in quanto si incide su una entrata la cui
disciplina ricade nella competenza regionale.
    Si  ripropone,  ancora  una  volta,  il  vizio di contrasto con i
criteri  e  i principi fissati dalla legge di delega, laddove essa ha
vincolato  il  legislatore  non  solo al rispetto «delle attribuzioni
delle   regioni   e   degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi
dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
del  decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (art. 1, comma 8), ma
anche   al   conseguimento   dello  «Sviluppo  e  coordinamento,  con
l'invarianza  del  gettito,  delle  misure  e  degli  interventi  che
prevedono  incentivi  e  disincentivi,  finanziari o fiscali, volti a
sostenere,  ai fini della compatibilita' ambientale, l'introduzione e
l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, come definite dalla
direttiva  96/61/CE  del  24 settembre 1996 del Consiglio, nonche' il
risparmio  e  l'efficienza energetica, e a rendere piu' efficienti le
azioni  di  tutela  dell'ambiente e di sostenibilita' dello sviluppo,
anche  attraverso strumenti economici, finanziari e fiscali» (art. 1,
comma 8, lettera d).
    Per  altro  verso,  poi  la  norma  impugnata  non sembra neppure
rientrare  negli  oggetti della delega, non essendo previsto tra essi
l'introduzione ex novo dell'imposta in questione.