Ricorso del Presidente della giunta della Regione Basilicata, dott. Vito De Filippo, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dagli avv.ti Fernanda Cariati e Mirella Viggiani, domiciliato in Roma presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata alla via Nizza, 56 nei confronti del sig. Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127 Costituzione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - n. 88 del 14 aprile 2006, SO. - o nella sua interezza e con riferimento ai seguenti articoli: 63 e 64, concernenti le nuove Autorita' di bacino; 101, comma 7, concernente gli scarichi derivanti dalle imprese agricole; 154, concernente la tariffa del servizio idrico integrato; 155, concernente la tariffa del servizio fognatura e depurazione; 181, concernente il c.d. recupero dei rifiuti; 183, comma 1, concernente la definizione dei rifiuti, in quanto emanati in violazione degli artt. 76, 117, 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione per le motivazioni di seguito individuate. Fatto Con il decreto legislativo n. 156/2006 recante «Norme in materia ambientale» il Governo ha attuato la delega legislativa di cui era conferitario giusta legge n. 308 del 15 dicembre 2004. Tale potere legislativo poteva essere attuato dal legislatore delegato con l'emanazione di uno o piu' decreti tendenti al riordino, coordinamento ed integrazione delle disposizioni legislative nei settori e materie indicati, anche mediante la redazione di testi unici. Il provvedimento legislativo contenente la delega consta di un solo articolo, composto da 54 commi, divisi in due parti: i commi da 1 a 19 che esplicitano i principi cui deve ispirarsi il Governo nell'esercizio del potere delegato, ed i successivi commi da 20 a 54 che contengono una serie di misure specifiche di diretta applicazione che riguardano i vari settori di competenza del Ministero dell'ambiente. Proceduralmente la legge di delega aveva previsto all'art. 1, comma 4 che i decreti legislativi venissero adottati sentito il parere dell Conferenza unificata ex art. 8, d.lgs. n. 81/1997, mentre il successivo comma 8 richiedeva che i decreti legislativi venissero emanati nel «rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materie delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, fatte salve le norme statutarie e le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province di Trento e Bolzano, e del principio di sussidarieta'.». La previsione del comma 4 dell'art. 1 della legge di delega il quale prevedeva l'emanazione dei decreti legislativi da parte del Governo previo espressione del parere della Conferenza unificata non e' stato osservato, in quanto quest'ultima non e' stata posta in condizioni di potersi esprimere compiutamente sui documenti di contenuto normativo e tecnici che costituivano il testo approntato dal Governo quale schema di decreto legislativo di attuazione della delega ex legge 308/2004. Un primo schema del decreto veniva approvato a seguito dei pareri resi dalle Commissioni parlamentari nella seduta del Consiglio dei ministri del 18 novembre 2005. Nel corso della seduta del successivo 24 novembre 2005 della Conferenza unificata i rappresentanti delle regioni e degli enti locali, lamentando di non avere alcuna conoscenza dello schema loro sottoposto chiedevano di essere informati sullo stato di attuazione della delega legislativa. A tale richiesta il Ministro La Loggia evidenziava che la corposita' della relazione suggeriva di evitare un'illustrazione orale e che il deposito della stessa avrebbe consentito di visionarla in modo da garantire la predisposizione in tempo utile delle eventuali osservazioni. Successivamente in data 29 novembre 2005 solo il testo del decreto legislativo veniva trasmesso alle regioni mentre gli allegati tecnici, a causa della loro voluminosita', venivano posti a disposizione il 7 dicembre con pubblicazione telematica. L'esame del decreto legislativo ai fini della resa del parere veniva inserito nell'ordine del giorno della seduta della Conferenza unificata del 15 dicembre 2005. Occorre evidenziare che inutilmente il giorno 12 dicembre 2005, in sede di riunione tecnica, era stata avanzata una richiesta dal presidente della Conferenza delle regioni di sospensione del termine per la resa del parere, giustificata dalla mole della documentazione e dalla complessita' della materia in ragione dell'esiguo lasso di tempo disponibile. Il Governo con riscontro del successivo 13 dicembre, per il tramite del Ministro dell'ambiente, aveva dichiarato di essere irremovibile nel non concedere proroghe al termine fissato dalla legge per l'esame delle commissioni competenti, considerati sia i termini previsti dalla legge di delega sia il periodo di tempo che residuava utilmente per l'attivita' che poteva essere svolta. Nella prevista seduta della Conferenza unificata del 15 dicembre veniva nuovamente avanzata la richiesta del rinvio dell'esame; tuttavia la stessa veniva respinta con fermezza, con motivazioni in parte infondate, come il ricorso all'asserzione che la materia ambientale era di competenza esclusiva dello Stato, oppure sull'asserita maturazione del termine entro cui esercitare delega, ed altre pretestuose ed inconferenti, quali l'avvicinarsi della tenuta delle successive elezioni politiche. Inutilmente il Ministro La Loggia, che presiedeva la riunione, tentava di proporre di procrastinare la resa del parere alla successiva riunione della Conferenza fissata per il 20 gennaio 2006, perche' gli si opponeva il diniego irremovibile del Viceministro il che lo costringeva a una presa d'atto del mancato parere; tuttavia il Ministro La Loggia osservava che il Viceministro avrebbe continuato ad eseguire le opportune valutazioni ed anche il confronto con le regioni e le autonome locali; infine, si riservava comunque, di riscrivere tale argomento all'o.d.g. della Conferenza successiva laddove fosse stata verificata l'indispensabilita' della manifestazione del parere. Pur in assenza di tale parere il Consiglio dei ministri il 19 gennaio 2006 approvava definitivamente il testo del decreto legislativo. Nella seduta della Conferenza unificata del 26 gennaio 2006 le regioni si esprimevano negativamente sul testo del decreto con un parere che evidenziava i profili di manifesta incostituzionalita' dello schema di decreto rimasto inalterato nella sostanza rispetto alla versione approvata con tempestivita' dal Consiglio dei ministri il 19 gennaio 2006. Successivamente il 10 febbraio il Consiglio dei ministri, dopo aver preso atto del parere negativo della Conferenza «riapprovava» in via definitiva lo schema, senza apportare alcuna modificazione al testo rappresentando che l'esistenza di tempi ristretti costituiva una circostanza impeditiva ad un eventuale emendamento del testo. In data 15 marzo 2006 il Presidente della Repubblica sospendeva l'emanazione del decreto e chiedeva al Governo alcuni lumi inerenti sia il merito del provvedimento sia il procedimento seguito. In data 29 marzo 2006 il Governo, a seguito dei riferiti chiarimenti provenienti dal Presidente della Repubblica, riapprovava per l'ennesima volta lo schema di decreto a cui aveva apportato alcune modifiche. Orbene tale ultimo «definitivo» testo di decreto era con ogni evidenza diverso da quello oggetto di esame da parte della Conferenza unificata, cosicche' questa ultima, come pure le Commissioni parlamentari, si erano espresse su un testo che non era quello approvato il 3 aprile in via definitiva dal legislatore delegato e pubblicato il 14 aprile 2006. La Regione Basilicata con il presente ricorso contesta la legittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo e delle disposizioni individuate nell' epigrafe per le seguenti motivazioni. Diritto Illegittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo per violazione della legge di delega, dell'art. 76 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. Il decreto nel suo complesso si pone in contrasto con quanto previsto dalla legge di delega e quindi in violazione dell'art. 76 Cost. e del principio di leale collaborazione. Il Governo, da quanto esposto nella cronologia dei fatti, non ha consentito alla Conferenza unificata di partecipare al procedimento di formazione del decreto legislativo, violando in tal modo il contenuto dell'art. 1, comma 4 della legge di delega n. 308/2004. Il procedimento seguito dal legislatore delegato nell'approvare ed emanare il decreto e' stato posto in essere in violazione del principio di leale collaborazione in quanto il Governo non ha consentito alla Conferenza unificata di rendere il parere prescritto dal legislatore conferente. Non e' inutile evidenziare che il Governo nell'esercizio del potere legislativo di cui risultava conferitario non ha individuato le condizioni temporali minime per consentire alla Conferenza unificata di esprimersi compiutamente sullo schema di decreto che riteneva di adottare, motivando pretestuosamente il diniego alla richiesta di proroga del termine di esame della documentazione, espressa in sede di Conferenza unificata, con la rappresentazione della scadenza del termine per l'esercizio della delega, la cui maturazione, invece, sarebbe avvenuta oltre sei mesi piu' tardi. D'altronde lo stesso Governo definitivamente adottava un decreto legislativo dopo averlo ulteriormente modificato su richiesta del Capo dello Stato, senza rinnovare, anche in questo caso ingiustificamente, l'invio del testo alla Conferenza uniificata per consentire a quest'ultima l'espressione del parere richiesto dal legislatore delegante. In sostanza il testo defmitivo cosi' come deliberato dal Governo e' stato emanato nell'esercizio dell'esercizio di un potere decisionale autonomo di cui il Governo era privo. Il procedimento nel quale si e' articolato l'esercizio della funzione legislativa si e' svolto senza consentire alla Conferenza unificata di partecipare e la stessa ha avuto modo di esprimere il proprio parere, e nessun confronto e' stato nstaurato dal Governo sulle posizioni espresse dalla medesima. In difetto di una norma ad hoc, similarmente a quanto previsto ex art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281/1997 il quale prevede in termine entro in cui la Conferenza Stato-Regioni viene sentita in ordine a schemi di d.d.l. e di decreto legislativo o di regolamento del Governo in materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, alla Conferenza unificata doveva essere assegnato congruamente un termine per l'esame dello schema di decreto non inferiore a quello previsto per la Conferenza Stato-Regioni, ed in ogni caso le osservazioni formulate dalla Conferenza unificata dovevano essere oggetto di un confronto con l'esecutivo, in modo da dare esecuzione compiutamente ad una procedura partecipata del potere delegato. Quanto teste' denunciato e' avvenuto in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni per cui la mancata acquisizione delle determinazioni della Conferenza unificata di cui all'art. 8, d.lgs. n. 281/1997 costituisce un vizio del procedimento che in casi analoghi e' stato sanzionato dalla Corte adita con la dichiarazione di incostituzionalita' delle norme emanate a seguito del procedimento stesso. E' utile rilevare che tale circostanza, che ha una possibilita' concreta di verificarsi, attesi i precedenti della giurisprudenza costituzionale, ha indotto l'avvocato dello Stato Franco Lettera ad evidenziare in data 15 maggio 2006 in una comunicazione apparsa sul sito www.org.183/89 l'opportunita' di sospendere con efficacia immediata il decreto legislativo in parola, se non addirittura procedere alla sua abrogazione. In merito alla violazione del principio di leale collaborazione la Corte costituzionale ha osservato che «quando si ha a che fare con competenze necessariamente ed inestricabilmente connesse il principio di leale collaborazione - che proprio in materia di protezione dei beni ambientali e di assetto del territorio trova il suo campo privilegiato di applicazione - richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze costituzionalmente rilevanti possano trovare rappresentazione» (sent. n. 422/2002). Occorre rilevare che sulle modalita' di esercizio del principio di leale collaborazione le indicazioni della Corte costituzionale si sono fatte sempre piu' articolate, in modo da individuare concretamente i requisiti minimi che ne garantiscono l'adempimento. Cosicche' se e' pur vero che l'osservanza del principio di leale collaborazione puo' essere organizzato in modi diversi (sent. 308/2003), la liberta' di organizzarne forme e modalita' non deve tradursi in una mera ritualita'. Il sistema delle Conferenze Stato-regioni ed autonomie locali e' stato individuato quale sede qualificata per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione dove «si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse» (sent. 31/2006). Occorre anche rilevare che sebbene inizialmente la previsione del parere da parte della Conferenza unificata sullo schema di decreto era stato ritenuto una sufficiente garanzia procedimentale, atta ad ostacolare l'eventuale assunzione, da parte del decreto, di contenuti lesivi della autonomia garantita agli enti territoriali (sent. 376/2003), quella posizione e' stata oggetto di revisione tanto che «la previsione del mero parere da parte della Conferenza unificata non costituisce piu' una misura adeguata a garantire il rispetto del principio di collaborazione» (sent 31/2005), e che invece l'adempimento di quest'ultimo richiede una misura piu' concreta di confronto rappresentata dalla previa intesa con la Conferenza unificata (sent. 31/2005). Allora, il non aver consentito da parte del legislatore delegato alla Conferenza unificata di esprimersi compiutamente sullo schema di decreto, non concedendo termini congrui per l'esame di quest'ultimo, rappresenta una manifesta violazione del principio di leale collaborazione anche nella forma minima partecipativa della resa di parere. Non e' inutile rilevare che il Governo nell'esercizio del potere legislativo avrebbe dovuto conseguire la previa intesa con Conferenza unificata, atteso che la stessa e' stata individuata dalla giurisprudenza costituzionale quale modalita' minima di realizzazione del principio della leale collaborazione tra Stato e regioni e autonomie locali. Tale violazione della legge di delega e quindi dell'art. 76 Cost., e del principio di leale collaborazione costituiscono una lesione evidente e diretta delle competenze e prerogative costituzionalmente attribuite alle regioni che concretamente definiscono una ipotesa di illegittimita' costituzionale che legittima la regione nella proposizione del ricorso. Illegittimita' costituzionale degli artt. 63 e 64 - Violazione della legge di delega - Violazione delle attribuzioni regionali - Violazione della legge di delega). L'art. 63, comma 3, prevede: «Le autorita' di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183 sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto». Con tale norma il legislatore delegato opera uno stravolgimento non consentito delle funzioni originariamente individuate dalla legge n. 83/1989 ed assegnate alle regioni. Il territorio nazionale sotto l'aspetto dei bacini idrografici viene nuovamente definito con una suddivisione in otto distretti, con una ulteriore ripartizione in bacini nazionali, interregionali e regionali. Gli organi dei nuovi distretti sono individuati al comma 2 dell'art. 63 nella Conferenza istituzionale permanente, nel Segretario generale, nella Segreteria tecnico-operativa e nella Conferenza operativa di servizi. Ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi entro trenta giorni dall'entrata in vigore del medesimo d.lgs. n. 152/2006, su proposta del Ministro dell'ambiente e tutela del territorio di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della funzione pubblica, sentita la Conferenza permanente Stato-regioni, viene rinviata la definizione dei criteri e modalita' per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, nonche' la disciplina del trasferimento delle funzioni e la regolamentazione del periodo transitorio. E' utile evidenziare che il legislatore delegato ex art. 1 comma 1, legge di delega n. 308/2004 aveva conferito al Governo il potere di legiferare solo con «il riordino, il coordinamento e l'integrazione delle disposizioni legislative ... anche mediante la redazione di testi unici», attribuendo in tal modo l'esercizio di funzioni di coordinamento normativo, preordinate solo alla mera razionalizzazione della normativa vigente. L'eventuale conferimento di una funzione legislativa di revisione con effetto innovativo della disciplina vigente avrebbe dovuto comportare la necessita' per il legislatore conferente di indicare previamente i principi e criteri direttivi cui l'attivita' delegata dell'esecutivo doveva ispirarsi in modo che fosse circoscritto compiutamente ex ante l'esercizio del potere da parte del Governo (sent. n. 66/2005). Nel caso di specie, invece, all'esecutivo e' stato conferito solo un potere di riordino della normativa vigente, il cui esercizio non puo' legittimamente comportare uno stravolgimento delle previsioni normative sulle quali si interviene. D'altronde, il legislatore delegato era tenuto a non modificare il sistema delle attribuzioni regionali, atteso che il Parlamento chiaramente all'art. 1, comma 8 legge n. 308/2004 aveva indicato al Governo, come criterio da seguire prioritariamente, «il rispetto ..... delle competenze materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell' art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112». Anzi, e' da rilevare che nell'art. 9, lett. c) della legge n. 308/2004 vi e' un'elencazione specifica dei casi in cui il Governo doveva riferirsi nell'esercizio del potere legislativo delegato. Vengono individuate in modo analitico le ipotesi nelle quali il legislatore delegato legittimamente aveva il potere di intervenire e cioe': art. 9 «c) rimuovere i problemi di carattere organizzativo, procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena operativita' degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela e al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale dell'attivita' di pianificazione, programmazione e attuazione di interventi di risanamento idrogeologico del territorio e della messa in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle linee direttrici del piano di bacino; adeguare la disciplina sostanziale e procedurale della normativa e delle iniziative finalizzate a combattere la desertificazione, anche mediante l'individuazione di programmi utili a garantire maggiore disponibilita' della risorsa idrica e il riuso della stessa; semplificare il procedimento di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione con la garanzia della partecipazione di tutti i soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di conclusione dell'itere procedimentale». Come e' di tutta evidenza la legge di delega non prevedeva la soppressione e la sostituzione del sistema esistente con un altro radicalmente diverso, perche' in tal caso avrebbe dovuto dettare i criteri di riferimento, invece al contrario la delega veniva conferita per consentire il mantenimento e il miglioramento dell'espletamento delle funzioni da parte degli organismi gia' esistenti. Il legislatore delegato, quindi non aveva il potere di abrogare le norme ed il sistema delineato dalla legge n. 183/1999 e di sostituirlo con un sistema diverso, ingiustificamente di tipo centralistico. Le disposizioni impugnate anche per altro verso sono suscettibili di essere censurate in termini di incostituzionalita' in quanto lesive delle attribuzioni regionali. Con le norme censurate si e' operato un accentramento delle funzioni che ha espropriato le Regioni delle competenze che naturaliter, giusta il nuovo riparto costituzionale, competono loro nelle materie delegate, in tal modo violando la competenza legislativa ex art. 117 Cost. ed anche il principio di sussidiarieta'. L'accentramento delle funzioni amministrative e' privo di giustificazione. Trattandosi di difesa del suolo che afferisce alla materia concorrente al governo del territorio, lo Stato avrebbe potuto dettare solo norme di principio, senza possibilita' di riservarsi funzioni amministrative, se non ricorrendo la c.d. chiamata in sussidiarieta'. In ogni caso l'avocazione a se' di quelle funzioni non sarebbe potuta avvenire se non nel rispetto del principio di leale collaborazione, e quindi attraverso la consumazione di procedure di codecisione tra Stato e regione e con il ricorso ad una previa intesa. Orbene, poiche' non si rinvengono motivazioni di sorta relativamente alla sussistenza della chiamata in sussidiarieta', ne' un'esigenza unitaria di esercizio delle funzioni amministrative, ne' l'avvenuta partecipazione delle regioni al relativo processo decisionale di una differente distribuzione delle funzioni amministrative, e' di tutta evidenza che le norme che prevedono l'istituzione delle Autorita' distrettuali in luogo delle precedenti Autorita' di bacino sono affette da illegittimita' costituzionale. Peraltro, le Autorita' di bacino regionale erano state istituite con legge regionale, per la Basilicata con legge regionale n. 2/2001, in applicazione dei principi di grande forma economico e sociale introdotti dalle leggi n. 183/1989 e n. 36/1994. Illegittimita' costituzionale dell'art. 101, comma 7, per violazione dei principi e criteri della legge di delega. «Salvo quanto previsto dall'art. 112, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue .... c) provenienti da imprese dedite alle attivita' di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attivita' di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalita' e complementarieta' funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall' attivita' di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilita' ......». Con tale previsione si equiparano ai fini della disciplina e delle autorizzazioni degli scarichi «reflui domestici e quelle rinvenienti dalle imprese agricole» che in termini di inquinamento producono un impatto ambientale diverso. La norma in oggetto e' indeterminata, allorquando, prevede che rientrino nella propria disciplina gli scarichi rinvenienti da materia prima lavorata prodotta in misura prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni, rimettendo con l'indicazione del criterio della misura prevalente ad un ingiustificato criterio di discrezionalita' della P.A., la inclusione o meno di singole fattispecie nel campo applicativo della norma. L'avere equiparato, con il ricorso ad un criterio non oggettivamente predeterminato, scarichi domestici e quelli rinvenienti da particolari attivita' di imprese agricole, non previamente individuate, con criterio diverso da quanto disposto in precedenza con l'art. 28, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 152/1999, autorizza in definitiva immotivamente i produttori ad osservare livelli di trattamento meno rigorosi rispetto al passato, consentendo, che gli stessi tengano legittimamente comportamenti produttivi di danno all'ambiente. Tale previsione normativa si pone in contrasto con quanto stabilito nella legge di delega, in particolare con l'obiettivo di garantire «il miglioramento della qualita' dell'ambiente, della protezione della salute umana all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali» art. 1, comma 8, lett. a) con quanto contenuto al successivo comma 9, lett. b), legge n. 308/2004, cioe' «di pianificare, programmare ed attuare interventi diretti a garantire la tutela ed il risanamento dei corpi idrici e superficiali e sottoerranei, previa ricognizione degli stessi». Illegittimita' costituzionale degli articoli 154 e 155 per violazione degli artt. 117 e 76 Cost. - Violazione legge di delega. Gli articoli 154 e 155 del d.lgs. n. 152/2006 disciplinano rispettivamente la tariffa del servizio idrico integrato e la tariffa del servizio di fognatura e depurazione. L'art. 154 istituisce la tariffa del servizio idrico integrato e ne individua la natura quale corrispettivo del servizio idrico integrato, stabilendo i criteri per la sua determinazione. La disposizione in commento affida al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell'Autorita' di vigilanza alle risorse idriche e rifiuti, il potere di emanare un decreto per individuare le componenti di costo utili alla determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici relativamente ai vari settori di impiego; al Ministro dell'economia e finanze di concerto con il Ministro dell'ambiente e tutela del territorio e' stato, invece, attribuito il compito di stabilire i criteri cui le regioni devono attenersi nella determinazione dei canoni di concessione per l'utenza pubblica, considerando i costi ambientali e i costi della risorse, prevedendo le riduzioni del canone ricorrendo l'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque con il riempiego delle acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, qualora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche di quelle oggetto di prelevamento. In evidente violazione della competenza legislativa attribuita alle regioni ex art. 117, comma 4, vengono conferiti dal legislatore delegato i poteri normativi ai Ministri, con rapporto di sovraordinazione rispetto agli enti regionali. Il legislatore delegato volutamente in subiecta materia ha ignorato il dictum della Corte costituzionale contenuto nella sentenza n. 335/2005 relativamente alla istituzione e regolamentazione della tariffa del servizio idrico integrato e della gestione dei rifiuti, ha dichiarato inammissibile il ricorso governativo avverso la norma della legge n. 7/2004 della Regione Emilia-Romagna non avendo il ricorrente dimostrato la sussistenza della propria competenza legislativa. Quindi il legislatore delegato non poteva emanare le disposizioni di cui agli artt. 154 e 155, d.lgs. n. 152/2006 non avendo lo Stato la competenza a provvedere; d'altronde i potere di istituire nuove imposte non si rinviene proprio nella legge 3 agosto 2004. Le norme in esame intervengono in materia di servizi pubblici locali che rientra nella potesta' legislativa residuale, e percio' esclusiva, delle regioni e quindi si pongono in contrasto con il vigente sistema costituzionale di riparto delle competenze legislative delineato dall'art. 117 Cost. Le norme, altresi', anche per altro verso sono incostituzionali, in quanto si pongono in contrasto con i criteri individuati nella legge di delega allorquando il legislatore conferente vincola l'esecutivo al rispetto delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell' art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997 n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Illegittimita' incostituzionale degli artt. 181, commi 7-11, 183, comma 1. Per violazione della legge di delega. L'art. 181 al comma 7 prevede che soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentativa dei settori economici interessati possono «stipulare con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ..... appositi accordi di programma ..... per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti». Tali accordi «fissano le modalita' e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi metodi di prova. Tali accordi, inoltre, fissano le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti ottenuti, nonche' le modalita' per assicurare in ogni caso la loro tracciabilita' fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego». Le modalita' cui si perviene alla definizione degli accordi, nonche' la loro approvazione e pubblicazione vengono disciplinati dai successivi commi ricompresi dal numero 8 all'11. Il significato dei termini presenti in tale disposizione si rinviene nelle definizioni dettate dall'art. 183, comma 1. E' necessario rilevare che l'esposto ricorso allo strumento della stipulazione di accordi e contratti di programma esorbita, con tutta evidenza, dai limiti dell'istituto, in quanto opera una sostituzione non consentita di una fonte contrattata ad una disciplina normativa, con l'effetto, anche questo non consentito di produrre una alterazione delle fonti che possono regolare la materia. Inoltre, il rappresentato modulo procedimentale sostituisce una disciplina generale ad una di derivazione volontaristica efficace solo nei confronti dei partecipanti o aderenti. Orbene, tali norme costituiscono una diretta violazione delle competenze regionali. La disciplina dei rifiuti ha dei riflessi normativi sulla materia dell'ambiente, della tutela del territorio, igienico-sanitaria e sicurezza della popolazione, per cui nei fatti gli accordi in oggetto vanno a sostituirsi in via di principio all'attivita' normativa secondaria, inoltre il Ministro per l'ambiente finisce per sostituirsi alle regioni, in quanto la norma prevede che i soggetti interessati possano stipulare accordi specifici con lo stesso Ministero per il recupero dei rifiuti, per l'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili e prodotti, senza specificare l'efficacia ultra vires di tali accordi, in particolare nei confronti degli enti regionali. E' utile evidenziare che tali attivita' di recupero dovrebbero svolgersi sui territori delle regioni, senza che sia stata prevista da parte del legislatore delegato una forma di partecipazione di queste ultime ai processi decisionali di definizione del contenuto degli accordi di programma, ne' alla corretta esecuzione degli stessi. Anche in questo caso, quindi, il legislatore delegato ha violato la legge di delega non osservando quanto stabilito all'art. 1, comma 8 e cioe' «il rispetto ..... delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112».