Ricorso per la Regione Calabria, in persona del l.r. pro tempore (della Regione Calabria), presidente della giunta regionale on.le A. Loiero, rappresentata e difesa, giusta Delibera G.R. e correlato decreto dirigenziale di incarico, nonche' in virtu' di procura speciale a margine del presente atto, dagli avvocati Giuseppe Filippelli e Giuseppe Naimo dell'Avvocatura regionale, ed elettivamente domiciliata in Roma, via Barberini, 86, presso lo studio del prof. avv. Fabrizio Criscuolo; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore. Per la dichiarazione, previa sospensione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 18, 27, 28 e 29 del d. lgs. 24 marzo 2006, n. 157, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27 aprile 2006 - Suppl. ord. n. 102, nella parte in cui sostituiscono, modificano e/o integrano gli artt. 5, 135, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 146, 148, 167, 181 e 182 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nei limiti meglio appresso indicati. Si intende precisare preliminarmente la portata delle censure mosse agli articoli sopra indicati. Quanto all'art. 5, si censura l'introduzione del comma 3 dell'art. 135, nonche' il comma 1 nella parte in cui inserisce nuove competenze statali. Quanto all'art. 1, si censura la sostituzione all'art. 5, comma 6, delle parole «conferite alle regioni» con le parole «esercitate dallo Stato e dalle regioni», ed al comma 7 delle parole «di cui ai» con le parole: «esercitate dalle regioni ai sensi dei». Quanto all'art. 7, si censura la parte del comma 2 del nuovo art. 137 ove dispone che le Commissioni regionali sono composte anche da «due dirigenti preposti agli uffici regionali competenti in materia di paesaggio. I restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono nominati dalla regione tra soggetti con qualificata, pluriennale e documentata professionalita' ed esperienza nella tutela del paesaggio, eventualmente scelti nell'ambito di terne designate, rispettivamente, dalle universita' aventi sede nella regione, dalle fondazioni aventi per statuto finalita' di promozione e tutela del patrimonio culturale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349. Decorsi infruttuosamente sessanta giorni dalla richiesta di designazione, la regione procede comunque alle nomine». Quanto all'art. 8, si censura il comma 3 del nuovo art. 138 ove dispone che «La commissione delibera entro sessanta giorni dalla presentazione dell'atto di iniziativa. Decorso infruttuosamente il predetto termine, la proposta e' formulata dall'organo richiedente o, in mancanza, dagli altri soggetti titolari di organi statali o regionali componenti della commissione, entro il successivo termine di trenta giorni». Quanto all'art. 9, si censura il comma 5 del nuovo art. 139 ove riduce da 60 a 30 giorni il termine per comuni, citta' metropolitane e le province per presentare osservazioni e documenti. Quanto all'art. 10, si censura il comma 1 del nuovo art. 140 nella parte in cui fissa alla regione un termine perentorio di sessanta giorni dalla data di scadenza dei termini di cui all'articolo 139, comma 5, per l'emanazione del provvedimento. Quanto all'art. 11, si censura il comma 1 del nuovo art. 141 nella parte in cui rimanda ai termini fissati dagli aritt. 138 e 139 (nella nuova formulazione). Quanto all'art. 12, si censura il comma 1 del nuovo art. 142 nella parte in cui dispone che «Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo». Quanto all'art. 13, si censura il comma 3 del nuovo art. 143 nella parte in cui dispone che «Entro i novanta giorni successivi all'accordo il piano e' approvato con provvedimento regionale. Decorso inutilmente tale termine, il piano e' approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio» ed il comma 4, ove prevede che, nel caso in cui il piano sia stato approvato a seguito dell'accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di cui agli articoli 146 e 147, sia obbligatorio (pur se non vincolante) il parere del soprintendente, prima non previsto. Quanto all'art. 14, si censura la soggiunta al comma 1 dell'art. 144, che prevede «A tale fine le regioni disciplinano mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica, in particolare stabilendo che a fare data dall'adozione o approvazione preliminare del piano, da parte della giunta regionale o del consiglio regionale, non sono consentiti per gli immobili e nelle aree di cui all'articolo 134 tali interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela per essi previste nel piano stesso». Quanto all'art. 16, si censura la modifica al comma 10 del previgente art. 146 (ora diventato comma 12) nella parte in cui dall'espresso divieto di rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria vengono ora espressamente esclusi i «casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5», nonche' il comma 8 nella parte in cui introduce un parere vincolante del Soprintendente ed il comma 3, nella parte in cui disciplina eccessivamente in dettaglio la facolta' di delega delle regioni. Quanto all'art. 18, si censura la previsione del comma 2 del nuovo art. 148 nella parte in cui individua le Commissioni come «competenti per ambiti sovracomunali, in modo da realizzare il necessario coordinamento paesaggistico». Quanto all'art. 27, si censura la previsione del comma 4 dell'art. 167 nella parte in cui consente ora l'accertamento di compatibilita' paesaggistica per gli stessi lavori compiuti dopo il 30 settembre 2004, che sono elencati secondo lo stesso identico testo del comma 1-ter dell'art. 181 del d. lgs. n. 42/2004, nonche' il successivo comma 5, che consente di presentare in qualunque momento «apposita domanda all'autorita' preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento delle compatibilita' paesaggistica degli interventi medesimi», ma dispone che «qualora venga accertata la compatibilita' paesaggistica, il trasgressore e' tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione», mentre «in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria», e precisa altresi' che «la domanda di accertamento della compatibilita' paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma», nonche' il comma 6, nella parte in cui sottrae somme precedentemente assegnate alle Amministrazioni competenti, sostituendo il riferimento all'art. 1 comma 37, lett. b) n. 1 della legge n. 308/2004. Quanto all'art. 28, si censura la modifica nella parte in cui all'art. 181-ter ha soppresso l'applicazione delle «sanzioni amministrative ripristinatorie». Quanto all'art. 29, viene censurato nella parte in cui aggiunge all'art. 182 il comma 3-bis, secondo cui «in deroga al divieto di cui all'articolo 146, comma 12, sono conclusi dall'autorita' competente alla gestione del vincolo paesaggistico i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 non ancora definiti alla data di entrata in vigore del presente comma, ovvero definiti con determinazione di improcedibilita' della domanda per il sopravvenuto divieto, senza pronuncia nel merito della compatibilita' paesaggistica dell'intervento. In tale ultimo caso l'autorita' competente e' obbligata, su istanza della parte interessata, a riaprire il procedimento ed a concluderlo con atto motivato nei termini di legge. Si applicano le sanzioni previste dall'articolo 167, comma 5», e il comma 3-ter, ai sensi del quale «le disposizioni del comma 3-bis si applicano anche alle domande di sanatoria presentate nei termini ai sensi dell'articolo 1, commi 37 e 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, ferma restando la quantificazione della sanzione pecuniaria ivi stabilita. Il parere della soprintendenza di cui all'articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, si intende vincolante». Cosi' precisate le censure, questa difesa intende ora evidenziare l'interesse a ricorrere della Regione Calabria. Che il «paesaggio» sia oggetto di molteplici profili di attenzione (con conseguente ricaduta di cio' sull'interesse della regione ricorrente ad un corretto esercizio dell'attivita' legislativa in materia) si ricava, oltre che dal testo della vigente Costituzione e dalle pronunce di codesta Corte, anche dall'art. 5, lett. d), della Convenzione europea del paesaggio, ratificata con legge n. 14/2006: si legge infatti in tale atto che ogni Parte si impegna a «itegrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonche' nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio». Cio' posto, in forza dell'art. 117, terzo comma, Cost. (che sancisce la competenza concorrente regionale in tema di valorizzazione dei beni ambientali) nonche' dell'art. 117, 3 e 4 comma Cost. (che prevede, in materia di edilizia ed urbanistica, la competenza residuale delle regioni; mentre nella materia di «governo del territorio» - intesa come «l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio», v. Corte cost., sent. n. 196/2004 - la competenza concorrente Stato - regioni) e dell'art. 118 (in ordine alle funzioni proprie degli enti locali in ordine al governo delle destinazioni urbanistiche del territorio), appare evidente che alle regioni ed agli enti locali e' oggi riconosciuta al riguardo una competenza legislativa (e/o amministrativa) piu' ampia, per oggetto, di quella contemplata nell'originario testo dell'art. 117 Cost.; per contro, le norme impugnate incidono pesantemente sulle competenze pianificatorie regionali (ad esempio, la nuova formulazione dell'art. 142, comma 1, concretizza il ritorno ad una illimitata vigenza del vincolo gravante sulle categorie di beni individuati dalla legge Galasso, non piu' condizionata dalla approvazione del piano paesistico) e sulla possibilta' per la regione di disciplinare autonomamente i correlati procedimenti per la parte che le compete, ponendo vincoli eccessivamente stringenti (anche sotto il profilo temporale) ai margini operativi dell'ente regionale, vanificando la legislazione regionale adottata in materia (nel caso di specie, leggi regionali nn. 19/2002 e 10/2003) e compatibile con la precedente formulazione, nonche' sulle funzioni proprie di comuni e province, ex artt. 114 e 118 Cost. Ancora, la modifica dell'art. 5 da parte dell'art. 1 del d. lgs. n. 157/2006 comporta un complessivo arretramento del livello delle funzioni pianificatorie proprie delle regioni, che la precedente formulazione - in linea di continuita' con quanto disposto dal d.PR n. 8/1972 - riteneva competessero esclusivamente alle regioni «sono conferite alle regioni», mentre col nuovo testo passano ad essere solo «esercitate» dalle regioni, peraltro in posizione di subalternita' allo Stato; coerentemente - sempre sulla linea del progressivo svuotamento delle linee guida del testo previgente - l'art. 5 modifica il comma 1 dell'art. 135 prevedendo funzioni statali precedentemente assegnate esclusivamente alle regioni. Tali norme, inoltre, escludono totalmente i comuni dalla possibilita' di gestire i vincoli urbanistici ed ambientali all'interno del loro territorio, ed impongono sia all'ente regione sia agli enti locali presenti nella regione ambiti territoriali predeterminati senza alcuna logica. Quanto poi alle norme «sanzionatorie», il sostanziale allentamento del vincolo e la riduzione delle sanzioni, con conseguente maggiore possibilita' di ottenere la sanatoria per «lavori di qualsiasi natura» realizzati in zona vincolata, non solo dal punto di vista strettamente ambientale, ma anche, in concreto, sotto il profilo urbanistico (si veda, ad esempio, la nuova formulazione dell'art. 146, comma 12), incide non solo sulla materia del governo del territorio, ma anche sulla valorizzazione dei beni ambietali, la cui fruibilita' sara' obiettivamente ridotta dalla piu' semplice e quasi automatica concessione della sanatoria a fini ambientali, con conseguente - in ipotesi di opere edilizie - maggior carico urbanistico in zone protette, e conseguente maggior onere anche finanziario per tutti gli enti regionali e sub regionali. Si e' infatti in concreto introdotta una «condonabilita' edilizia permanente», che prima delle modifiche apportate con il d.lgs. n. 157/2006 non era possibile ottenere anche per abusi commessi in zona vincolata, dal momento che il rilascio di «autorizzazioni paesaggistiche postume» o «autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria» e' sempre stato escluso dalla disciplina previgente. Conforto a quanto sopra, in punto di «arretramento» rispetto a posizioni ormai ritenute acquisite, si puo' trarre anche dal d. lgs. n. 112/1998 cui questa Corte (sent. n. 94/2003) ha riconosciuto di poter far riferimento per individuare le linee guida di ripartizione di competenze tra lo Stato e gli altri Enti: quanto ai poteri sostitutivi, la linea tracciata dall'art. 5 del citato decreto risulta «travolta», sia in punto di competenza sia in punto di previsione di termini temporali; quanto alle modalita' di esercizio delle funzioni da parte delle regioni, si evidenzia il sensibile arretramento da «conferimento» (v., ad esempio, art. 56 d. lgs. n. 112/1998 e, coerentemente, art. 5, comma 6, d. lgs. n. 42/2004 nella formulazione previgente) all'esercizio congiunto (art. 5, comma 6, d. lgs. n. 42/2004 per come modificato dall'art. 1 d. lgs. n. 157/2006). Si vedano anche gli artt. 52, 54, 57 e 73 del piu' volte richiamato d. lgs. n. 112/1998, che illustrano perfettamente l'inammissibile regresso in punto di competenze regionali operato dalla norme censurate. Infine, la sanatoria sopra indicata e la modifica all'art. 167, comma 6, operata dall'art. 27, sottraggono risorse alla regione agli enti locali, comportando per contro spese particolarmente ingenti e di vario genere a carico della regione e degli enti locali, a fronte di una compartecipazione al gettito delle operazioni di sanatoria realmente esigua, con conseguente violazone dell'art. 119 Cost. Delineato l'interesse a ricorrere, questa difesa intende sottoporre a codesta ecc.ma Corte costituzionale i parametri in base ai quali ritiene le norme sopra indicate non conformi alla Costituzione. A) Violazione artt. 76 e 77 cost., art. 10 legge n. 137/2002; violazione del principio di effettiva e leale collaborazione. Come ricavabile dai pareri resi dalla Conferenza Unificata - in adesione alla previsione dell'art. 10, comma 3, l. 137/2002, in sede di approvazione del d. lgs. 157/2006, a differenza di quanto avvenuto in sede di approvazione del d. lgs. 42/2004, il Ministero ha sottoposto alle Regioni un articolato autonomamente definito da una Commissione di esperti, senza alcun preliminare confronto, che aveva invece caratterizzato l'approvazione del c.d «Codice Urbani». Gia' solo cio' sarebbe sufficiente ad inficiare le norme impugnate: il principio di leale collaborazione deve essere infatti caratterizzato da effettivita', pena la riduzione dello stesso ad uno sterile e vuoto rituale. Ma vi e' di piu': il comma 4 del citato art. 10 prevede che «Disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo». Ora - per limitare, al momento, la valutazione al principio di leale collaborazione sopra invocato - non e' revocabile in dubbio che l'iter procedurale che ha portato all'approvazione del d. lgs. 42/2004 sia totalmente diverso dall'iter che ha condotto all'approvazione delle norme qui censurate, con ogni piu' evidente conseguenza sul punto. Ma la violazione della legge delega non si esaurisce sotto l'invocato profilo procedimentale, bensi' si sostanzia in altrettanto gravi violazioni sostanziali. E' infatti realmente difficile per chiunque sostenere che le norme dettagliatamente sopra indicate si siano limitate a «correggere ed integrare» le norme preesistenti. Al contrario, esse si sostanziano in quanto segue: l'introduzione «ex novo» di una dettagliata definzione del contenuto dei piani paesistici (art. 5); il regresso dalla attribuzione esclusiva alle regioni delle funzioni di valorizzazione del territorio al mero esercizio congiunto (art. 5); il porre un vincolo prima inesistente alla potesta' legislativa regionale (art. 14) e disciplinare eccessivamente in dettaglio la facolta' di delega delle regioni (art. 16) o l'ambito territoriale di riferimento (art. 18); la modifica della composizione delle Commissioni regionali, per le quali lo stesso Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministero B.A.C. riconosce (p. 5 memoria del 25 gennaio 2006) che la competenza a disciplinare le Commissioni «spetta alle regioni», salvo poi dettare una norma di eccessivo dettaglio, che impedisce alla regione qualunque margine di autonomia sul punto (art. 7); fissazione di termini perentori prima non previsiti e/o riduzione di termini gia' fissati ad una misura assolutamente incongrua, con istituzione di poteri sostitutivi in capo al Ministro (artt. 8 - 11, 13); eliminazione della potesta' pianificatoria regionale, riconosciuta dalla precedente formulazione «Fino all'approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 156,.» (art. 12); la previsione di un parere obbligatorio prima non richiesto (art. 13); l'aver introdotto, per i lavori relativi ad abusi di tipo formale, la possibilita' del rilascio della «autorizzazione paesaggistica postuma». Infatti, ora l'autorizzazione paesaggistica puo' essere rilasciata «in sanatoria» successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi: il disposto legislativo suddetto, infatti, non e' riferito all'art. 181 del «Codice» non attiene quindi alla «sanatoria» dei reati penali, ma riguarda espressamente la disciplina urbanistica della «concessione in sanatoria» per abusi formali in zona vincolata di cui sia stato verificato tanto l'accertamento di conformita' urbanistica quanto l'accertamento di compatibilita' paesaggistica mediante il rilascio della autorizzazione paesaggistica postuma (art. 16); l'introduzione di un parere vincolante, peraltro con riferimento ad altra norma (art. 143, comma 4), che invece prevede un parere obbligatorio ma non vincolante (sempre l'art. 16); la soppressione delle sanzioni amministrative ripristinatorie (art. 28); l'introduzione della sopra indicata (con formula sintetica) condonabilita' permanente (artt. 27 e 29); la sottrazione di risorse precedentemente assegnate (art. 27). Tali norme, come e' agevole rilevare, stravolgono completamente l'impianto originale del c.d «Codice Urbani», e quindi esulano in radice dalle possibilita' «residuali» riconosciute in misura «minimale» dalla norma sopra indicata al Legislatore delegato. Prova di quanto sopra dedotto si trae anche da un ulteriore argomento difficilmente contrastabile: a fine 2004, per apportare alcune modifiche sostanziali al d. lgs. 42/2004, il Legislatore - ritenuta evidentemente esaurita la delega concessa al Governo - ha sostituito e/o modificato i commi 3 e 4 dell'art. 167, nonche' aggiunto i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell'art. 181 con la legge 15 dicembre 2004, n. 308. Ora, non solo il Legislatore delegato ha attivato impropriamente - per apportare modifiche rivoluzionarie all'intero corpo normativo - la potesta' «integrativa» ormai esaurita, ma ha addirittura modificato alcune delle modifiche apportate direttamente dal Parlamento: infatti, l'art. 27 ha riformulato i commi 3 e 6 dell'art. 167, che erano stati - con diversa numerazione - inseriti dall'art. 1, comma 36, lett. a) e b) della legge n. 308/2004; l'art. 28 ha invece soppresso alcune significative previsioni inserite dall'art. 1, comma 36, lett. c), legge 15 dicembre 2004, n. 308 ed implicitamente abrogato il comma 39 della medesima legge. Tutte le disposizioni sopra indicate hanno, con tutta evidenza, comportato una complessiva rinconsiderazione ab imis della materia, con un considerevole ampliamento dei compiti dello Stato rispetto alle funzioni attribuite alle regioni dal testo previgente, regioni che dovranno subire (unitamente agli enti locali) gli effetti - anche sotto il profilo di un maggiore e non previsto aggravio di carico delle proprie strutture amministrative - della indiscriminata sanatoria sopra esposta. Pare a chi scrive che il lamentato eccesso di delega appaia in tutta la sua evidenza! B) Violazione artt. 114, 117 e 118 cost. Come gia' sopra delineato, non e' discutibile la competenza di regioni e comuni - in seguito alla modifica delle norme costituzionali sopra invocate - in materia di interventi di pianificazione e controllo locale. La normativa impugnata, pur comportando la necessita' di apprestare appositi strumenti urbanistici e soluzioni di governo del territorio che tengano conto delle conseguenze della disciplina statale impugnata, riduce drasticamente i margini di autonomia delle regioni e degli enti locali, i quali sarannoo costretti a subire, anziche' governare, le destinazioni urbanistiche del territorio e la ridotta valorizzabilita' dei beni ambientali, con un radicale svuotamento del principio di sussidiarieta' da parte della disciplina impugnata «in un ambito caratterizzato sia da funzioni indubbiamente proprie delle regioni, che da un'area di tradizionale titolarita' di funzioni di gestione amministrativa da parte dei Comuni» (Corte Cost. sent. n. 196/2004, cit.). Come gia' sopra indicato in dettaglio, la previsione (artt. 8, 11 e 13) di termini concretamente troppo brevi (rispettivamente, 30, 60 e 90 gg.) alla luce della complessita' delle valutazioni richieste agli enti interessati. Inoltre, i poteri sostitutivi in capo al Ministero (ad es., art. 11, in relazione alla proposta di istituzione di nuovi vincoli paesaggistici) appaiono dettati in violazione ai principi piu' volte indicati da codesta Corte in materia, soprattutto in relazione alla mancata previsione di adeguate garanzie procedurali in favore dell'ente «sostituito» in ordine alla possibilita' di interloquire col Ministero (ord. Corte cost. n. 53/2003), fondandosi l'esercizio del potere sostitutivo esclusivamente sul decorso dei brevissimi termini sopra indicati, e in ordine alla tipologia di attivita' per le quali il potere e' azionabile, non risultando rivolto - nel caso di specie - al compimento «di atti o attivita' prive di discrezionalita» (ex plurimis, Corte cost. sent. n. 177/1988). Ancora, l'introduzione di un parere vincolante, peraltro con riferimento ad altra norma (art. 143, comma 4), che invece prevede un parere obbligatorio ma non vincolante (art. 16) comporta l'istituzione di un sindacato di merito che priva di qualunque autonomia regioni ed EE.LL. Senza ripetere - per non tediare la Corte - l'elencazione delle innovazioni introdotte, e dettagliatamente indicate alla lett. a), esse appaiono tutte finalizzate - ciascuno secondo la concreta modalita' individuata - a ridurre i margini di azione riconosciuti dalla precedente formulazione principalmente alle regioni (sia sotto il profilo normativo che sotto il profilo amministrativo, soprattutto in materia di delega) ed anche agli enti locali, nonche' ad imporre - a seguito delle innovazioni introdotte dagli artt. 16, 27, 28 e 29, in relazione ai quali si rimanda a quanto gia' ampiamente esposto supra soprattuto in punto di interesse a ricorrere - ai medesimi enti carichi (anche finanziari, sia in termine di riduzione di trasferimenti sia in termni di mancate entrate per ridotta fruibilita' dei beni ambientali) in relazioni ai quali non viene riconosciuto loro alcuna concreta incidenza. C) Violazione art. 119 cost. E' pacifico che l'art. 119, comma 4, Cost. affermi che le normali entrate dei comuni devono consentire «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». La modifica (da «per effetto dell'articolo 1, comma 38, secondo periodo» a «per effetto dell'articolo 1, comma 37, lettera b), n. 1), della legge 15 dicembre 2004, n. 308») dell'art. 167 comporta una illegittima sottrazione di risorse. ISTANZA DI SOSPENSIONE Il ricorso appare fondato; tale istanza, in applicazione dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), appare assolutamente indispensabile, in quanto vi e' la ragionevole possibilita' nelle more di veder conformare rapporti in base ad una normativa la cui legittimita' e' contestata, e cio' determinerebbe una situazione di fatto tale da rendere assai difficile e costoso riportare lo status quo ante nel caso di esito positivo della decisione nel merito, mentre non deriverebbe nessun pregiudizio ad interessi costituzionalmente garantiti ove invece quest'ultima fosse sospesa.