Ricorso per la Regione Piemonte in persona della Presidente pro tempore prof. Mercedes Bresso, in forza di autorizzazione della giunta regionale d.G.R. n. 22-3174 del 19 giugno 2006, con la rappresentanza e difesa dell'avv. Anita Ciavarra e dell'avv. prof. Emiliano Amato e con elezione di domicilio presso quest'ultimo in Roma, via Crescenzio n. 9 per procura speciale a margine del presente atto; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione al paesaggio» con specifico rilievo degli artt. 1, 5, 8, 10, 11, 12, 13, 16, 24 in quanto modificano e sostituiscono rispettivamente gli artt. 5, 135, 138, 140, 141, 142, 143, 146, 156 del d.lgs. n. 42/2004, per violazione degli artt. 76, 97, 117, 118, 120 della Costituzione, dei principi di leale collaborazione, sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita', buon andamento della Pubblica amministrazione, sotto i profili di seguito specificati nei motivi di diritto. Premesso in fatto nel Supplemento ordinario n. 102 alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 97 del 27 aprile 2006 e' stato pubblicato il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, «Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 in relazione al paesaggio». In seguito alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137 il Governo emano' il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio» ed ora ha emanato il detto decreto legislativo del 24 marzo 2006, n. 157, del quale per le modalita' della sua emanazione e per la sua impostazione con riferimento alle specifiche norme come indicate in epigrafe, la Regione Piemonte ravvisa illegittimita' costituzionale e lesivita' delle proprie prerogative istituzionali e sfera di competenza per i seguenti motivi di D i r i t t o Violazione degli artt. 76, 97, 117, 118, 120 della Costituzione. Violazione dei principi di leale collaborazione, sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita', buon andamento della Pubblica Amministrazione. I) Aspetti generali. La legge di delega 6 luglio 2002, n. 137 all'art. 10 stabiliva che il Governo emanasse entro diciotto mesi decreto legislativo per il riassetto e la codificazione dei beni culturali ed ambientali, compiendo adeguamento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed alla normativa comunitaria ed internazionale, decreto legislativo da adottarsi sentito il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Veniva quindi emanato il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», correntemente detto Codice Urbani. Successivamente con deliberazione del Consiglio dei ministri adottata nella riunione del 18 novembre 2005 veniva formulato schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, enunciandosi l'applicazione del comma 4 dell'art. 10 della legge di delega 6 luglio 2002, n. 137. La Conferenza dei presidenti delle regioni e province autonome esprimeva il 26 gennaio 2006 parere sullo schema di decreto che evidenziava gravi rilievi di negativo giudizio per il metodo e per il merito. Come espresso nel detto documento del 26 gennaio 2006 (che la Regione Piemonte condivide e che si deposita, facendosi ad esso piu' volte riferimento nel presente ricorso) «il testo ora vigente del Codice Urbani e' stato il frutto di un lungo e faticoso lavoro di rilettura dei testi normativi in materia di paesaggio, svolto congiuntamente dalle regioni e dal Ministero, con l'obiettivo di razionalizzare il sistema di tutela e di valorizzazione alla luce della Convenzione europea del paesaggio del 2000 (in corso di ratifica da parte dello Stato) e in coerenza con il nuovo assetto costituzionale. Pertanto, il testo vigente del Codice e' stato concordato avendo trovato il punto di mediazione per il quale, ad un ampliamento delle forme di collaborazione di coinvolgimento del Ministero nell'esercizio delle funzioni di pianificazione e gestione dei vincoli, corrisponde la significativa semplificazione amministrativa del sistema di tutela. Lo schema del decreto legislativo proposto, invece, mantiene detti poteri aggiuntivi al Ministero e contestualmente fa venir meno gli aspetti innovativi richiamati. Si evidenzia, pertanto, che viene disattesto l'accordo consolidato, con palese violazione del principio di leale collaborazione, riaprendo in tal modo la lunga stagione conflittuale tra Stato e regioni in materia di gestione del paesaggio, che si era conclusa con l'adozione del Codice Urbani. Cio' avverrebbe ingiustificatamente e senza nemmeno attendere un congruo periodo per monitorare e valutare gli esiti e gli effetti delle disposizioni del Codice vigente, tenuto conto che le regioni sono in regola con i tempi fissati dal Codice stesso per svolgere la verifica e l'eventuale adeguamento dei piani». La Conferenza delle regioni e province autonome, sottolineato che «le regioni non sono state ammesse in condizione di partecipare ai lavori di elaborazione del testo» ha in particolare evidenziato «la palese violazione della delega legislativa di cui il provvedimento intende costituire l'attuazione. L'art. 10, comma 4, della legge n. 137 del 2002 ammette, infatti, esclusivamente l'emanazione di "disposizioni correttive e integrative" del Codice dei beni culturali e del paesaggio "nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure". Dunque, tale delega e' stata conferita esclusivamente per introdurre limitate modificazioni del testo normativo precedentemente approvato, che risultassero necessarie alla luce di un primo monitoraggio della sua applicazione. Viceversa, lo schema di decreto in esame, introduce una generale riconsiderazione della materia, fondata su principi e con l'introduzione di previsioni normative apposte, relative al riparto delle competenze tra lo Stato e gli Enti regionali e locali, al sistema della pianificazione paesaggistica e ai suoi rapporti con gli strumenti di governo del territorio, alla gestione dei vincoli. Si e' di fronte, in modo indiscutibile, ad una riconsiderazione tardiva, e percio' non consentita, dei contenuti della Parte Terza del Codice Urbani, con la riedizione di una potesta' legislativa gia' esercitata entro il termine massimo previsto dalla medesima legge di delega». Venivano altresi' esposti nel merito numerosi, seri e gravi rilievi, esprimendosi nel complesso una valutazione fortemente critica, su cui in seguito si tornera'. I rilievi espressi dalle regioni non hanno avuto seguito alcuno. Quanto sopra costituisce puntuale violazione del procedimento di formazione delle norme considerate con riguardo ai limiti ed alle specifiche prescrizioni della legge di delega, integrandosi violazione dell'art. 76 della Costituzione. Si aggiunge il contrasto con il principio di leale collaborazione con riguardo alle modalita' concrete con le quali si e' svolto il procedimento ed in relazione altresi' all'affidamento riposto dalle regioni nelle modalita' di concertazione precedentemente attuate con il Ministro competente. Le predette considerazioni non hanno rilievo meramente formale. La definizione unilaterale delle nuove disposizioni, senza alcun sostanziale confronto con le regioni e le autonomie locali ha determinato un'impostazione fortemente accentratrice sulle attivita' degli organi statali e la sottovalutazione delle effettive esigenze di integrazione di atti pianificatori attinenti a diversi oggetti e di tempestivita' e puntualita' di atti ed interventi gestionali sul territorio, senza adeguata considerazione, seppur cio' non fosse obbiettivo della modifica normativa, delle competenze regionali e delle autonomie locali. La primarieta' del valore costituzionale di tutela del paesaggio, che e' compito della Repubblica, si articola tanto nella competenza statale di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) di tutela dell'ambiente e dei beni culturali tanto nella competenza concorrente di cui all'art. 117, comma 3 nelle materie della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e del governo del territorio. Come piu' volte enunciato da codesta ecc.ma Corte, non e' configurabile una materia riconducibile in senso tecnico in via esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualificandosi l'ambiente come «valore» costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di materia «trasversale» in ordine alla quale si manifestano competenze diverse che ben possono essere regionali, spettando allo Stato il compito di fissare «standard» di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale e potendo d'altro canto porre in essere le regioni interventi legislativi nelle materie di propria competenza che attuino anche finalita' di tutela ambientale (fra le altre sent. 259/04; 307/03). Si vedra' in seguito come il decreto legislativo n. 157/2006 esorbiti per piu' aspetti dalla corretta individuazione di «standard» di tutela ambientale per disporre in modo pervasivo ed imperativo in ambiti di competenza regionale. Qui si vuole evidenziare che la compresenza e l'intreccio di conpetenze statali e regionali richiede necessariamente un modus operandi improntato al canone della leale collaborazione. «La Corte ha costantemente affermato che il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono fra Stato e Regioni (...). Una delle sedi piu' qualificate per l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione e' attualmente il sistema della Conferenza Stato-regioni ed autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni controverse» (sent. 31/2006). L'assenza di adeguato confronto sulle disposizioni emanande si riverbera su tutta l'impostazione della novella considerata. Il decreto delegato ha introdotto una serie di importanti innovazioni modificando significativamente parti di disciplina con mutamento di impostazione e di contenuti essenziali, concretizzando esorbitanza dai limiti della legge di delega come sopra ricordati e quindi violazione dell'art. 76 Cost. che rileva in ordine alle competenze regionali, che vengono sotto piu' aspetti significativamente compresse o pretermesse, come in prosieguo si specifichera' in relazione alle singole disposizioni. Il decreto legislativo n. 157/2006 procede ad un rifacimento ex novo della disciplina della parte terza del Codice Urbani, senza apprezzabile razionale giustificazione in ordine al perseguimento di esigenze unitarie e superando senza tenerne conto la legislazione regionale vigente in materia, particolarmente intesa al coordinamento ed integrazione delle diverse competenze settoriali, insieme alla organizzazione di funzioni gia' attuata nel territorio, in contrasto anche con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, per l'ingiustificato rivolgimento apportato a funzioni e procedure attualmente vigenti ed efficacemente operative in ambito regionale. Il decreto legislativo n. 157/2006 nelle rilevanti innovazioni introdotte e' connotato da spiccato centralismo e dalla separazione delle attivita' e competenze indirizzate alla tutela paesaggistica dalle competenze rivolte alla cura di tutti gli altri interessi pubblici che con essa interagiscono, appartenenti alla competenza legislativa regionale ed all'attivita' amministrativa delle regioni e delle autonomie locali. Il principio di sussidarieta' non ha trovato corretta applicazione. L'attrazione alla sede ministeriale o degli organi statali decentrati compiuta dal decreto legislativo non e' oggettivamente giustificata da esigenze di considerazione unitaria a livello nazionale degli interessi coinvolti. Il principio dell'unitarieta' fonda la competenza statale laddove siano ravvisabili esigenze di uniformita' ed omogeneita' strategica, con la definizione di standard di tutela ambientale ed espletamento di attivita' di rilievo nazionale, pur sempre con il contemperamento delle procedure di leale collaborazione e di intesa per la codeterminazione dei contenuti interessanti anche l'ambito di competenza regionale, mentre i principi di differenziazione e di adeguatezza richiedono la rimessione all'attivita' legislativa regionale ed all'azione amministrativa dei livelli di governo locale dell'adattamento delle misure di tutela ai diversi contesti territoriali. II) Le predette considerazioni riguardano in particolar modo le norme indicate in epigrafe. Si richiama ancora il parere della Conferenza delle regioni «Nel merito delle nuove previsioni legislative si riscontra la loro evidente pervasivita' della autonomia legislativa e organizzativa delle regioni. Aldila' di poche disposizioni volte al chiarimento del significato della normativa pregressa, la maggior parte delle norme sono dirette a limitare gli ambiti di discrezionalita' del legislatore regionale nella definizione dei compiti propri e degli enti locali, in materia di tutela del paesaggio e di gestione dei relativi vincoli, con un maggior dettaglio circa l'iter amministrativo degli atti e dei contenuti degli stessi. Nella proposta si ritorna a definire il concorso della regione e degli enti locali alla tutela del paesaggio come una mera delega di funzioni, in aperto contrasto con il principio stabilito dall'art. 9 della Costituzione. Peraltro per l'esercizio di dette funzioni si prevedono tempi estremamente rapidi e incongrui (per tutti, si pensi al termine di novanta giorni per l'elaborazione e approvazione dei piani paesaggistici), la cui scadenza comporta l'immediato intervento in via sostitutiva dell'amministrazione statale, non cadenzato con l'osservanza dei rigorosi principi dettati dalla recente giurisprudenza costituzionale». Vengono in specifico rilievo: 1) L'art. 1 alla lett. a) modifica l'art. 5 comma 6 del d.lgs. n. 42/2004 che, in tema di cooperazione delle regioni e degli enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale, aveva sancito il conferimento alle regioni delle funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici in relazione alle disposizioni della parte terza del codice. La nuova disposizione stabilisce invece che dette funzioni amministrative sono «esercitate dallo Stato e dalle regioni» introducendo una parallela competenza dello Stato che si estende a tutti gli ambiti amministrativi considerati, ben al di la' dei compiti essenziali di tutela e di salvaguardia di valori, principi, criteri unitari, e finisce per soverchiare e comunque in sostanza controllare l'attivita' amministrativa regionale anche in ambiti di competenza di quest'ultima. 2) L'art. 5 sostituisce l'art. 135 del d.lgs. n. 42/2004. Anche in questa disposizione al primo comma vi e' l'affermazione di contemporanea competenza dello Stato e delle regioni in tutto l'ambito di attivita' amministrative afferenti alla tutela e valorizzazione del paesaggio ed in specifico della pianificazione paesaggistica, gia' funzione regionale. La stessa estensione della pianificazione paesaggistica, nei suoi due strumenti di piano paesaggistico o di piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici - attraverso il quale ultimo in particolare si sono attuate da parte di molte regioni, e fra queste della Regione Piemonte, significativi interventi di tutela diffusa dei valori ambientali e paesaggistici (forse non sufficienti, ma certo mai attuati prima dell'impegno profuso dalle regioni) - subisce ridimensionamento e limitazione. Come puntualmente rilevato nel parere espresso dalla Conferenza delle regioni e province autonome, i commi 1 e 2 dell'art. 135 comportano una significativa modificazione della individuazione dell'oggetto della pianificazione paesaggistica, secondo la quale, pur indicandosi che il piano concerne l'intero territorio regionale, si specifica pero' che esso proceda alla puntuale individuazione e regolamentazione d'uso con riferimento alle sole aree sottoposte a vincolo paesaggistico. In tal modo si abbandona la visione di una pianificazione volta alla tutela del valore paesaggistico diffuso del territorio per tornare ad un pianificazione meramente strumentale alla conservazione delle aree vincolate. L'ambito di applicazione della pianificazione di competenza delle regioni diviene residuale, con l'evidente compromissione del significato e dell'utilita' dell'elaborazione di piani urbanistico-terriotoriali con valenza paesaggistica. Di conseguenza vengono meno le condizioni per attivare la tutela paesaggistica anche attraverso gli strumenti di pianificazione comunale, secondo il principio di mutualita' integrativa. Tutto cio' determina sostanziale riduzione dell'attivita' pianificatoria del territorio nella sua complessita' e capacita' di soddisfare piu' esigenze pubbliche e di salvaguardia dei valori della tutela del paesaggio e dei beni culturali ed ambientali che sul territorio si radicano e si presentano in una molteplicita' di aspetti anche al di la' delle aree sottoposte a vincolo (sent. 378/2000). Parimenti anche le funzioni di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ne risultano diminuite. Si evidenzia una involuzione della concezione del paesaggio inteso quale elemento settoriale, che appare anche dai contenuti ora assegnati al piano paesaggistico. Il terzo comma dell'art. 135 non riporta piu' l'obbligo per il piano paesaggistico di individuare gli «obbiettivi di qualita' paesaggistica» quale fondamento della disciplina di tutela e valorizzazione di ciascun ambito territoriale, nonostante che cio' sia stabilito dalla Convenzione europea del paesaggio, peraltro appena ratificata dallo Stato italiano con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. 3) Ulteriormente concorrono alla diminuzione e limitazione della portata delle funzioni regionali di pianificazione paesaggistica le disposizioni di cui agli artt. 142 e 143 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituti dagli artt. 12 e 13 del decreto impugnato. Come puntualmente rilevato nel parere della Conferenza delle regioni e province autonome, l'art. 142 novellato reintroduce relativamente alle categorie oggetto di tutela per legge «la illimitata vigenza del vincolo paesaggistico, eliminando la competenza del piano paesaggistico a specificare e disciplinare detti ambiti, sulla base di analisi puntuali dei contesti regionali e dei relativi elementi caratterizzanti». Quanto all'art. 143 novellato esso evidenzia nelle definizioni di cui al comma 1 le limitazioni gia' sopra rilevate con riferimento all'art. 135. Inoltre ai commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo le nuove disposizioni «sanciscono in maniera perentoria l'obbligo delle regioni di elaborare i piani paesaggistici congiuntamente al Ministero, previa conclusione di un apposito accordo, al fine di accedere a forme di semplificazione della gestione dei vincoli, peraltro individuate in modo piu' limitato rispetto a quanto anteriormente previsto». 4) In relazione alle norme riguardanti il regime autorizzativo, deve constatarsi la accentuata limitazione degli ambiti di autonomia legislativa ed organizzativa regionale, anche rispetto al conferimento di funzioni agli enti locali, con pervasivo vincolo alle determinazioni degli organi ministeriali, senza che le innovazioni introdotte appaiano effettivamente necessarie per il rispetto di esigenze di unitarieta' e giustificate secondo i canoni di proporzionalita' ed adeguatezza. Il rilievo attiene in particolare dall'art. 146, commi 3 e 10 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito dall'art. 16 del decreto impugnato. Si richiamano ancora i rilievi formulati dalla Conferenza delle regioni e province autonome «Vengono a cadere la effettiva gestione della competenza autorizzativa da parte delle regioni, che viene vanificata dal carattere vincolante del parere delle soprintendenze, in particolare per le regioni che non abbiano piani paesaggistici rielaborati congiuntamente con il Ministero e l'autonomia nella individuazione degli enti cui delegare le competenze autorizzative, cosa gia' risolta nella maggior parte delle regioni con atto normativo e, quasi nella generalita' dei casi, verso le amministrazioni comunali, sostanzialmente precluse a questa funzione. (...) Le modifiche riportano le competenze in capo alle regioni o eventualmente alle province, con gravi conseguenze di tipo organizzativo e di personale. Nella quasi totalita' dei casi, tutte le pratiche in corso alla data della entrata in vigore delle modifiche, in assenza di una norma transitoria, dovrebbero essere trasmesse alla regione in quanto unico organo competente al loro espletamento. (Si determina) l'appesantimento dei processi edilizi a causa della gestione accentrata del sistema autorizzativo e dell'aumento delle fasi del procedimento, con le conseguenti ricadute negative di carattere economico sull'utenza, obbligata a sostenere oneri aggiuntivi a fronte degli ulteriori adempimenti amministrativi e l'aggravio, a carico degli enti locali, degli oneri attualmente gravanti sul Ministero, per l'eventuale contenzioso avverso le decisioni assunte dalla Soprintendenza: difatti, mentre l'attuale contenzioso si concentra nei confronti degli atti di annullamento a seguito di riesame degli organi statali, nel sistema ipotizzato anche i provvedimenti negativi derivanti dalla valutazione della sola Soprintendenza, sarebbero comunque imputabili all'Ente che emana il provvedimento». Per tali considerazioni e' ravvisabile anche la violazione del principio di buon andamento della Pubblica amministrazione. 5) Sotto altro aspetto l'estrema pervasivita' delle nuove disposizioni si esprime nella fissazione di termini procedurali per l'emanazione di atti di competenza regionale, che non sono giustificati da esigenze di generale tutela od uniformita' di comportamenti e che oltretutto vengono stabiliti in tempi assai ristretti ed incongruenti con la natura ed il contenuto delle attivita' a cui si riferiscono. Il rilievo concerne specificamente l'art. 138, comma 3 come innovato dall'art. 8 del decreto impugnato, laddove prevede sessanta giorni per la deliberazione della commissione regionale di proposta per la dichiarazione di notevole interesse pubblico; l'art. 140, comma 1, come innovato dall'art. 10 del decreto impugnato, laddove prevede il termine di sessanta giorni per l'emanazione del provvedimento regionale di dichiarazione di notevole interesse pubblico. 6) L'impostazione pregiudizialmente centralistica che impronta la novella si manifesta infine con particolare evidenza nella accentuazione del potere sostitutivo statale, il cui esercizio e' attribuito al Ministero ed alle Sovrintendenze con automatico effetto allo scadere di termini prefissati all'attivita' regionale e, come si e' prima rilevato, in taluni casi anche troppo restrittivamente ed incongruamente stabiliti. Vengono specificamente in considerazione: l'art. 141, comma 1 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito dall'art. 11 del decreto impugnato, che fa scattare l'attivita' sostitutiva del competente organo ministeriale periferico allo scadere dei termini di sessanta giorni di cui agli artt. 138 e 140, di cui si e' detto al punto precedente, e che riguardano attivita' di valutazione ampiamente discrezionale; l'art. 143, comma 3 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito dall'art. 13 del decreto impugnato, che stabilisce che, qualora la regione non provveda entro novanta giorni dalla stipulazione dell'accordo relativo al piano paesaggistico formato con elaborazione congiunta alla sua approvazione, ad essa provveda in via sostitutiva il Ministro; l'art. 146, comma 10 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito con l'art. 16 del decreto impugnato, che assegna alla soprintendenza competente l'attivita' in via sostitutiva per il mancato rilascio entro sessanta giorni dell'autorizzazione sui progetti di opere; l'art. 156, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituto dall'art. 24 del decreto impugnato, che prevedono l'attivita' in via sostitutiva del Ministro al decorso dei termini stabiliti per la verifica e l'adeguamento alle nuove disposizioni dei piani paesaggistici gia' redatti. Le predette norme contrastano con l'art. 120 della Costituzione, in quanto il potere sostitutivo e' configurato come un ovvio automatismo che interviene sulla cadenzata attivita' delle regioni e degli enti locali anziche' quale intervento di natura comunque eccezionale rispetto allo svolgimento delle funzioni amministrative da parte delle regioni e degli enti locali, che incontra puntuali condizioni e limiti affinche' non risulti lesivo dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Tali condizioni e limiti, che piu' volte l'ecc.ma Corte ha evidenziato: a) la sostituzione puo' prevedersi esclusivamente per il compimento di atti od attivita' la cui obbligatorieta' sia il riflesso di interessi unitari alla cui salvaguardia sia presidio il potere sostitutivo, affinche' esso non contraddica l'attribuzione della funzione amministrativa all'ente sostituito; b) il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo, stante l'attitudine di esso ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito; c) la legge deve apprestare congrue garanzie procedimentali per l'esercizio del potere sostitutivo in conformita' al principio di leale collaborazione, espressamente richiamato dall'art. 120, comma 2, ultimo periodo della Costituzione, in modo che l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento e di interloquire nello stesso procedimento (sent. n. 227/2004; 43/2004; 313/2003; 177/1988 153/2006; 416/1995), non sono rispettati dalle disposizioni in questione, con conseguente loro illegittimita'.