Ricorso  per  la Regione Piemonte in persona della Presidente pro
tempore  prof.  Mercedes  Bresso,  in  forza  di autorizzazione della
giunta  regionale  d.G.R.  n. 22-3174  del  19 giugno  2006,  con  la
rappresentanza  e  difesa  dell'avv. Anita Ciavarra e dell'avv. prof.
Emiliano  Amato  e  con  elezione di domicilio presso quest'ultimo in
Roma, via Crescenzio n. 9 per procura speciale a margine del presente
atto;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la   declaratoria   di   illegittimita'  costituzionale  del  decreto
legislativo   24 marzo   2006,  n. 157  «Disposizioni  correttive  ed
integrative   al   decreto  legislativo  22 gennaio  2004,  n. 42  in
relazione  al  paesaggio»  con specifico rilievo degli artt. 1, 5, 8,
10,  11,  12,  13,  16,  24  in  quanto  modificano  e  sostituiscono
rispettivamente  gli  artt. 5, 135, 138, 140, 141, 142, 143, 146, 156
del  d.lgs.  n. 42/2004, per violazione degli artt. 76, 97, 117, 118,
120   della  Costituzione,  dei  principi  di  leale  collaborazione,
sussidiarieta',  adeguatezza,  proporzionalita', buon andamento della
Pubblica  amministrazione, sotto i profili di seguito specificati nei
motivi di diritto.
    Premesso  in fatto nel Supplemento ordinario n. 102 alla Gazzetta
Ufficiale  -  Serie  generale  -  n. 97  del  27 aprile 2006 e' stato
pubblicato   il   decreto   legislativo   24   marzo   2006,  n. 157,
«Disposizioni   correttive  ed  integrative  al  decreto  legislativo
22 gennaio 2004 n. 42 in relazione al paesaggio».
    In  seguito alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137 il Governo
emano' il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni
culturali  e  del  paesaggio»  ed  ora  ha  emanato  il detto decreto
legislativo  del  24 marzo  2006,  n. 157, del quale per le modalita'
della  sua  emanazione e per la sua impostazione con riferimento alle
specifiche  norme  come  indicate  in  epigrafe,  la Regione Piemonte
ravvisa  illegittimita'  costituzionale  e  lesivita'  delle  proprie
prerogative istituzionali e sfera di competenza per i seguenti motivi
di

                            D i r i t t o

    Violazione  degli artt. 76, 97, 117, 118, 120 della Costituzione.
Violazione  dei  principi  di  leale  collaborazione, sussidiarieta',
adeguatezza,   proporzionalita',   buon   andamento   della  Pubblica
Amministrazione.
    I) Aspetti generali.
    La  legge  di  delega 6 luglio 2002, n. 137 all'art. 10 stabiliva
che  il  Governo emanasse entro diciotto mesi decreto legislativo per
il  riassetto  e  la  codificazione dei beni culturali ed ambientali,
compiendo adeguamento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed alla
normativa  comunitaria  ed  internazionale,  decreto  legislativo  da
adottarsi  sentito  il  parere  della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
    Veniva  quindi  emanato  il  decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42  «Codice  dei  beni  culturali  e del paesaggio», correntemente
detto Codice Urbani.
    Successivamente  con  deliberazione  del  Consiglio  dei ministri
adottata  nella riunione del 18 novembre 2005 veniva formulato schema
di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative
al  decreto  legislativo  del  22 gennaio  2004,  n. 42, enunciandosi
l'applicazione   del  comma 4  dell'art. 10  della  legge  di  delega
6 luglio 2002, n. 137.
    La  Conferenza  dei  presidenti delle regioni e province autonome
esprimeva  il  26 gennaio  2006  parere  sullo  schema di decreto che
evidenziava gravi rilievi di negativo giudizio per il metodo e per il
merito.
    Come  espresso  nel  detto  documento del 26 gennaio 2006 (che la
Regione  Piemonte condivide e che si deposita, facendosi ad esso piu'
volte  riferimento  nel  presente  ricorso) «il testo ora vigente del
Codice  Urbani  e'  stato  il frutto di un lungo e faticoso lavoro di
rilettura  dei  testi  normativi  in  materia  di  paesaggio,  svolto
congiuntamente  dalle  regioni  e  dal  Ministero, con l'obiettivo di
razionalizzare  il  sistema  di  tutela e di valorizzazione alla luce
della  Convenzione  europea  del  paesaggio  del  2000  (in  corso di
ratifica  da  parte  dello  Stato) e in coerenza con il nuovo assetto
costituzionale.  Pertanto,  il  testo  vigente  del  Codice  e' stato
concordato  avendo trovato il punto di mediazione per il quale, ad un
ampliamento  delle  forme  di  collaborazione  di  coinvolgimento del
Ministero  nell'esercizio delle funzioni di pianificazione e gestione
dei    vincoli,    corrisponde   la   significativa   semplificazione
amministrativa   del   sistema  di  tutela.  Lo  schema  del  decreto
legislativo  proposto,  invece,  mantiene  detti poteri aggiuntivi al
Ministero  e  contestualmente  fa  venir  meno gli aspetti innovativi
richiamati.  Si  evidenzia,  pertanto, che viene disattesto l'accordo
consolidato,   con   palese   violazione   del   principio  di  leale
collaborazione,  riaprendo in tal modo la lunga stagione conflittuale
tra  Stato e regioni in materia di gestione del paesaggio, che si era
conclusa   con   l'adozione   del   Codice  Urbani.  Cio'  avverrebbe
ingiustificatamente  e senza nemmeno attendere un congruo periodo per
monitorare  e valutare gli esiti e gli effetti delle disposizioni del
Codice  vigente,  tenuto  conto  che  le regioni sono in regola con i
tempi   fissati   dal  Codice  stesso  per  svolgere  la  verifica  e
l'eventuale adeguamento dei piani».
    La Conferenza delle regioni e province autonome, sottolineato che
«le  regioni  non  sono state ammesse in condizione di partecipare ai
lavori  di  elaborazione del testo» ha in particolare evidenziato «la
palese  violazione  della  delega legislativa di cui il provvedimento
intende  costituire  l'attuazione.  L'art. 10,  comma 4,  della legge
n. 137  del  2002  ammette,  infatti,  esclusivamente l'emanazione di
"disposizioni correttive e integrative" del Codice dei beni culturali
e  del  paesaggio  "nel  rispetto  degli  stessi  principi  e criteri
direttivi e con le medesime procedure".
    Dunque,   tale  delega  e'  stata  conferita  esclusivamente  per
introdurre limitate modificazioni del testo normativo precedentemente
approvato,   che  risultassero  necessarie  alla  luce  di  un  primo
monitoraggio  della sua applicazione. Viceversa, lo schema di decreto
in  esame,  introduce  una  generale  riconsiderazione della materia,
fondata  su  principi  e  con  l'introduzione di previsioni normative
apposte, relative al riparto delle competenze tra lo Stato e gli Enti
regionali  e  locali, al sistema della pianificazione paesaggistica e
ai  suoi  rapporti  con gli strumenti di governo del territorio, alla
gestione dei vincoli.
    Si  e'  di fronte, in modo indiscutibile, ad una riconsiderazione
tardiva,  e  percio'  non consentita, dei contenuti della Parte Terza
del Codice Urbani, con la riedizione di una potesta' legislativa gia'
esercitata  entro il termine massimo previsto dalla medesima legge di
delega».
    Venivano  altresi'  esposti  nel  merito  numerosi,  seri e gravi
rilievi,   esprimendosi  nel  complesso  una  valutazione  fortemente
critica, su cui in seguito si tornera'.
    I rilievi espressi dalle regioni non hanno avuto seguito alcuno.
    Quanto  sopra costituisce puntuale violazione del procedimento di
formazione  delle  norme  considerate  con riguardo ai limiti ed alle
specifiche   prescrizioni   della   legge   di  delega,  integrandosi
violazione dell'art. 76 della Costituzione.
       Si   aggiunge   il   contrasto   con  il  principio  di  leale
collaborazione  con  riguardo alle modalita' concrete con le quali si
e'  svolto  il  procedimento ed in relazione altresi' all'affidamento
riposto    dalle    regioni    nelle   modalita'   di   concertazione
precedentemente attuate con il Ministro competente.
    Le predette considerazioni non hanno rilievo meramente formale.
    La  definizione unilaterale delle nuove disposizioni, senza alcun
sostanziale  confronto  con  le  regioni  e  le  autonomie  locali ha
determinato  un'impostazione fortemente accentratrice sulle attivita'
degli  organi  statali e la sottovalutazione delle effettive esigenze
di  integrazione  di atti pianificatori attinenti a diversi oggetti e
di  tempestivita'  e puntualita' di atti ed interventi gestionali sul
territorio,  senza  adeguata  considerazione,  seppur  cio' non fosse
obbiettivo  della  modifica  normativa,  delle competenze regionali e
delle autonomie locali.
    La primarieta' del valore costituzionale di tutela del paesaggio,
che  e'  compito della Repubblica, si articola tanto nella competenza
statale   di   cui   all'art. 117,   comma  2,  lett.  s)  di  tutela
dell'ambiente e dei beni culturali tanto nella competenza concorrente
di  cui  all'art. 117, comma 3 nelle materie della valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali e del governo del territorio.
    Come  piu'  volte  enunciato  da  codesta  ecc.ma  Corte,  non e'
configurabile  una  materia  riconducibile  in  senso  tecnico in via
esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualificandosi l'ambiente come
«valore»  costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una
sorta  di  materia  «trasversale» in ordine alla quale si manifestano
competenze  diverse  che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato il compito di fissare «standard» di tutela uniformi sull'intero
territorio  nazionale  e  potendo  d'altro  canto  porre in essere le
regioni  interventi  legislativi  nelle materie di propria competenza
che  attuino anche finalita' di tutela ambientale (fra le altre sent.
259/04; 307/03).
    Si  vedra'  in  seguito  come  il decreto legislativo n. 157/2006
esorbiti per piu' aspetti dalla corretta individuazione di «standard»
di  tutela ambientale per disporre in modo pervasivo ed imperativo in
ambiti  di  competenza  regionale.  Qui  si  vuole evidenziare che la
compresenza  e l'intreccio di conpetenze statali e regionali richiede
necessariamente  un  modus  operandi improntato al canone della leale
collaborazione.
    «La  Corte  ha  costantemente affermato che il principio di leale
collaborazione  deve  presiedere  a tutti i rapporti che intercorrono
fra  Stato  e  Regioni  (...).  Una  delle  sedi piu' qualificate per
l'elaborazione  di  regole  destinate ad integrare il parametro della
leale  collaborazione  e'  attualmente  il  sistema  della Conferenza
Stato-regioni  ed  autonomie  locali.  Al  suo interno si sviluppa il
confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in
esito  al  quale  si  individuano  soluzioni  concordate di questioni
controverse» (sent. 31/2006).
    L'assenza  di  adeguato  confronto sulle disposizioni emanande si
riverbera su tutta l'impostazione della novella considerata.
    Il  decreto  delegato  ha  introdotto  una  serie  di  importanti
innovazioni  modificando  significativamente  parti di disciplina con
mutamento  di  impostazione e di contenuti essenziali, concretizzando
esorbitanza  dai  limiti della legge di delega come sopra ricordati e
quindi  violazione  dell'art. 76  Cost.  che  rileva  in  ordine alle
competenze    regionali,    che    vengono    sotto    piu'   aspetti
significativamente  compresse  o  pretermesse,  come  in prosieguo si
specifichera' in relazione alle singole disposizioni.
    Il  decreto  legislativo n. 157/2006 procede ad un rifacimento ex
novo  della  disciplina  della  parte  terza del Codice Urbani, senza
apprezzabile  razionale giustificazione in ordine al perseguimento di
esigenze  unitarie  e  superando  senza tenerne conto la legislazione
regionale vigente in materia, particolarmente intesa al coordinamento
ed  integrazione  delle  diverse  competenze settoriali, insieme alla
organizzazione  di funzioni gia' attuata nel territorio, in contrasto
anche   con   il   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
amministrazione,   per   l'ingiustificato  rivolgimento  apportato  a
funzioni  e  procedure attualmente vigenti ed efficacemente operative
in ambito regionale.
    Il  decreto  legislativo  n. 157/2006 nelle rilevanti innovazioni
introdotte  e'  connotato da spiccato centralismo e dalla separazione
delle  attivita'  e  competenze indirizzate alla tutela paesaggistica
dalle  competenze  rivolte  alla  cura  di  tutti gli altri interessi
pubblici  che  con  essa  interagiscono, appartenenti alla competenza
legislativa regionale ed all'attivita' amministrativa delle regioni e
delle autonomie locali.
    Il   principio   di   sussidarieta'   non   ha  trovato  corretta
applicazione.  L'attrazione  alla  sede  ministeriale  o degli organi
statali   decentrati   compiuta   dal   decreto  legislativo  non  e'
oggettivamente  giustificata da esigenze di considerazione unitaria a
livello nazionale degli interessi coinvolti.
    Il principio dell'unitarieta' fonda la competenza statale laddove
siano  ravvisabili esigenze di uniformita' ed omogeneita' strategica,
con  la  definizione di standard di tutela ambientale ed espletamento
di  attivita' di rilievo nazionale, pur sempre con il contemperamento
delle   procedure   di  leale  collaborazione  e  di  intesa  per  la
codeterminazione   dei   contenuti  interessanti  anche  l'ambito  di
competenza  regionale,  mentre  i  principi  di differenziazione e di
adeguatezza   richiedono   la  rimessione  all'attivita'  legislativa
regionale  ed all'azione amministrativa dei livelli di governo locale
dell'adattamento   delle   misure   di  tutela  ai  diversi  contesti
territoriali.
    II)  Le  predette considerazioni riguardano in particolar modo le
norme indicate in epigrafe.
    Si  richiama ancora il parere della Conferenza delle regioni «Nel
merito  delle  nuove  previsioni  legislative  si  riscontra  la loro
evidente  pervasivita'  della  autonomia  legislativa e organizzativa
delle regioni. Aldila' di poche disposizioni volte al chiarimento del
significato  della  normativa pregressa, la maggior parte delle norme
sono   dirette   a   limitare  gli  ambiti  di  discrezionalita'  del
legislatore  regionale  nella  definizione dei compiti propri e degli
enti  locali,  in  materia  di tutela del paesaggio e di gestione dei
relativi   vincoli,   con   un   maggior   dettaglio   circa   l'iter
amministrativo  degli  atti  e  dei  contenuti  degli  stessi.  Nella
proposta si ritorna a definire il concorso della regione e degli enti
locali alla tutela del paesaggio come una mera delega di funzioni, in
aperto   contrasto  con  il  principio  stabilito  dall'art. 9  della
Costituzione. Peraltro per l'esercizio di dette funzioni si prevedono
tempi estremamente rapidi e incongrui (per tutti, si pensi al termine
di  novanta  giorni  per  l'elaborazione  e  approvazione  dei  piani
paesaggistici),  la  cui  scadenza comporta l'immediato intervento in
via  sostitutiva  dell'amministrazione  statale,  non  cadenzato  con
l'osservanza    dei   rigorosi   principi   dettati   dalla   recente
giurisprudenza costituzionale».
    Vengono in specifico rilievo:
        1)  L'art. 1  alla  lett.  a)  modifica  l'art. 5 comma 6 del
d.lgs.  n. 42/2004 che, in tema di cooperazione delle regioni e degli
enti  pubblici  territoriali  in  materia  di  tutela  del patrimonio
culturale,  aveva sancito il conferimento alle regioni delle funzioni
amministrative  di  tutela  dei  beni paesaggistici in relazione alle
disposizioni della parte terza del codice.
    La  nuova  disposizione  stabilisce  invece  che  dette  funzioni
amministrative   sono   «esercitate  dallo  Stato  e  dalle  regioni»
introducendo  una  parallela  competenza dello Stato che si estende a
tutti  gli  ambiti  amministrativi  considerati,  ben  al  di la' dei
compiti  essenziali  di tutela e di salvaguardia di valori, principi,
criteri  unitari,  e  finisce  per soverchiare e comunque in sostanza
controllare  l'attivita'  amministrativa regionale anche in ambiti di
competenza di quest'ultima.
        2) L'art. 5 sostituisce l'art. 135 del d.lgs. n. 42/2004.
    Anche  in questa disposizione al primo comma vi e' l'affermazione
di  contemporanea  competenza  dello  Stato  e delle regioni in tutto
l'ambito   di   attivita'  amministrative  afferenti  alla  tutela  e
valorizzazione  del  paesaggio  ed  in specifico della pianificazione
paesaggistica, gia' funzione regionale.
    La stessa estensione della pianificazione paesaggistica, nei suoi
due     strumenti    di    piano    paesaggistico    o    di    piano
urbanistico-territoriale  con  specifica  considerazione  dei  valori
paesaggistici  -  attraverso  il  quale ultimo in particolare si sono
attuate  da  parte  di  molte  regioni,  e  fra  queste della Regione
Piemonte,  significativi  interventi  di  tutela  diffusa  dei valori
ambientali  e  paesaggistici  (forse  non  sufficienti,  ma certo mai
attuati   prima   dell'impegno   profuso  dalle  regioni)  -  subisce
ridimensionamento e limitazione.
    Come  puntualmente  rilevato nel parere espresso dalla Conferenza
delle  regioni  e  province  autonome,  i  commi  1 e 2 dell'art. 135
comportano   una  significativa  modificazione  della  individuazione
dell'oggetto  della  pianificazione  paesaggistica, secondo la quale,
pur  indicandosi che il piano concerne l'intero territorio regionale,
si  specifica  pero'  che esso proceda alla puntuale individuazione e
regolamentazione  d'uso  con  riferimento alle sole aree sottoposte a
vincolo paesaggistico.
    In  tal  modo si abbandona la visione di una pianificazione volta
alla  tutela  del  valore  paesaggistico  diffuso  del territorio per
tornare ad un pianificazione meramente strumentale alla conservazione
delle aree vincolate.
    L'ambito di applicazione della pianificazione di competenza delle
regioni   diviene   residuale,   con  l'evidente  compromissione  del
significato    e    dell'utilita'    dell'elaborazione    di    piani
urbanistico-terriotoriali  con  valenza paesaggistica. Di conseguenza
vengono meno le condizioni per attivare la tutela paesaggistica anche
attraverso  gli  strumenti  di  pianificazione  comunale,  secondo il
principio di mutualita' integrativa.
    Tutto   cio'   determina   sostanziale  riduzione  dell'attivita'
pianificatoria  del  territorio nella sua complessita' e capacita' di
soddisfare piu' esigenze pubbliche e di salvaguardia dei valori della
tutela  del  paesaggio  e  dei  beni  culturali ed ambientali che sul
territorio  si  radicano  e  si  presentano  in  una molteplicita' di
aspetti  anche  al  di  la'  delle  aree  sottoposte a vincolo (sent.
378/2000).
    Parimenti  anche le funzioni di valorizzazione dei beni culturali
ed ambientali ne risultano diminuite.
    Si  evidenzia  una  involuzione  della  concezione  del paesaggio
inteso  quale elemento settoriale, che appare anche dai contenuti ora
assegnati al piano paesaggistico.
    Il  terzo  comma  dell'art. 135 non riporta piu' l'obbligo per il
piano  paesaggistico  di  individuare  gli  «obbiettivi  di  qualita'
paesaggistica»   quale   fondamento  della  disciplina  di  tutela  e
valorizzazione  di  ciascun  ambito territoriale, nonostante che cio'
sia  stabilito  dalla  Convenzione  europea  del  paesaggio, peraltro
appena  ratificata  dallo Stato italiano con la legge 9 gennaio 2006,
n. 14.
        3)  Ulteriormente  concorrono  alla diminuzione e limitazione
della    portata   delle   funzioni   regionali   di   pianificazione
paesaggistica  le disposizioni di cui agli artt. 142 e 143 del d.lgs.
n. 42/2004 come sostituti dagli artt. 12 e 13 del decreto impugnato.
    Come  puntualmente  rilevato  nel  parere  della Conferenza delle
regioni   e   province  autonome,  l'art. 142  novellato  reintroduce
relativamente   alle  categorie  oggetto  di  tutela  per  legge  «la
illimitata   vigenza   del   vincolo   paesaggistico,  eliminando  la
competenza del piano paesaggistico a specificare e disciplinare detti
ambiti,  sulla  base di analisi puntuali dei contesti regionali e dei
relativi elementi caratterizzanti».
    Quanto all'art. 143 novellato esso evidenzia nelle definizioni di
cui  al  comma  1  le limitazioni gia' sopra rilevate con riferimento
all'art. 135.
    Inoltre  ai  commi  3,  4  e  5  del  medesimo  articolo le nuove
disposizioni   «sanciscono  in  maniera  perentoria  l'obbligo  delle
regioni   di   elaborare  i  piani  paesaggistici  congiuntamente  al
Ministero,  previa  conclusione  di  un  apposito accordo, al fine di
accedere  a  forme  di  semplificazione  della  gestione dei vincoli,
peraltro   individuate  in  modo  piu'  limitato  rispetto  a  quanto
anteriormente previsto».
        4)   In   relazione   alle   norme   riguardanti   il  regime
autorizzativo,  deve  constatarsi  la  accentuata  limitazione  degli
ambiti  di  autonomia  legislativa  ed organizzativa regionale, anche
rispetto  al conferimento di funzioni agli enti locali, con pervasivo
vincolo  alle  determinazioni degli organi ministeriali, senza che le
innovazioni  introdotte  appaiano  effettivamente  necessarie  per il
rispetto  di  esigenze di unitarieta' e giustificate secondo i canoni
di proporzionalita' ed adeguatezza. Il rilievo attiene in particolare
dall'art. 146,  commi  3  e  10 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito
dall'art. 16 del decreto impugnato.
    Si  richiamano  ancora i rilievi formulati dalla Conferenza delle
regioni  e  province autonome «Vengono a cadere la effettiva gestione
della  competenza  autorizzativa  da  parte  delle regioni, che viene
vanificata  dal carattere vincolante del parere delle soprintendenze,
in  particolare  per  le  regioni che non abbiano piani paesaggistici
rielaborati  congiuntamente  con  il  Ministero  e  l'autonomia nella
individuazione  degli  enti cui delegare le competenze autorizzative,
cosa  gia'  risolta  nella  maggior  parte  delle  regioni  con  atto
normativo   e,   quasi   nella   generalita'   dei   casi,  verso  le
amministrazioni comunali, sostanzialmente precluse a questa funzione.
(...)
    Le  modifiche  riportano  le  competenze  in  capo alle regioni o
eventualmente   alle   province,   con   gravi  conseguenze  di  tipo
organizzativo e di personale.
    Nella  quasi  totalita' dei casi, tutte le pratiche in corso alla
data della entrata in vigore delle modifiche, in assenza di una norma
transitoria, dovrebbero essere trasmesse alla regione in quanto unico
organo    competente    al    loro   espletamento.   (Si   determina)
l'appesantimento   dei   processi  edilizi  a  causa  della  gestione
accentrata  del  sistema  autorizzativo e dell'aumento delle fasi del
procedimento,  con  le  conseguenti  ricadute  negative  di carattere
economico  sull'utenza,  obbligata  a  sostenere  oneri  aggiuntivi a
fronte  degli  ulteriori  adempimenti  amministrativi e l'aggravio, a
carico  degli  enti  locali,  degli  oneri  attualmente  gravanti sul
Ministero,  per  l'eventuale contenzioso avverso le decisioni assunte
dalla   Soprintendenza:  difatti,  mentre  l'attuale  contenzioso  si
concentra  nei  confronti  degli  atti  di  annullamento a seguito di
riesame   degli  organi  statali,  nel  sistema  ipotizzato  anche  i
provvedimenti   negativi   derivanti  dalla  valutazione  della  sola
Soprintendenza,  sarebbero  comunque imputabili all'Ente che emana il
provvedimento».
    Per  tali  considerazioni  e' ravvisabile anche la violazione del
principio di buon andamento della Pubblica amministrazione.
        5)  Sotto  altro  aspetto  l'estrema pervasivita' delle nuove
disposizioni  si  esprime nella fissazione di termini procedurali per
l'emanazione   di   atti   di  competenza  regionale,  che  non  sono
giustificati  da  esigenze  di  generale  tutela  od  uniformita'  di
comportamenti  e  che  oltretutto  vengono  stabiliti  in tempi assai
ristretti  ed  incongruenti  con  la  natura  ed  il  contenuto delle
attivita' a cui si riferiscono.
    Il  rilievo  concerne  specificamente  l'art. 138,  comma  3 come
innovato  dall'art. 8 del decreto impugnato, laddove prevede sessanta
giorni  per  la deliberazione della commissione regionale di proposta
per  la  dichiarazione  di  notevole  interesse pubblico; l'art. 140,
comma  1,  come  innovato dall'art. 10 del decreto impugnato, laddove
prevede   il   termine   di  sessanta  giorni  per  l'emanazione  del
provvedimento   regionale  di  dichiarazione  di  notevole  interesse
pubblico.
        6)   L'impostazione   pregiudizialmente   centralistica   che
impronta  la  novella  si  manifesta  infine con particolare evidenza
nella  accentuazione del potere sostitutivo statale, il cui esercizio
e'  attribuito  al  Ministero  ed  alle Sovrintendenze con automatico
effetto allo scadere di termini prefissati all'attivita' regionale e,
come   si   e'   prima   rilevato,   in   taluni  casi  anche  troppo
restrittivamente ed incongruamente stabiliti.
    Vengono specificamente in considerazione: l'art. 141, comma 1 del
d.lgs. n. 42/2004 come sostituito dall'art. 11 del decreto impugnato,
che   fa  scattare  l'attivita'  sostitutiva  del  competente  organo
ministeriale  periferico  allo scadere dei termini di sessanta giorni
di  cui agli artt. 138 e 140, di cui si e' detto al punto precedente,
e  che  riguardano attivita' di valutazione ampiamente discrezionale;
l'art. 143,   comma   3   del   d.lgs.   n. 42/2004  come  sostituito
dall'art. 13  del  decreto  impugnato, che stabilisce che, qualora la
regione   non   provveda  entro  novanta  giorni  dalla  stipulazione
dell'accordo relativo al piano paesaggistico formato con elaborazione
congiunta  alla sua approvazione, ad essa provveda in via sostitutiva
il   Ministro;  l'art. 146,  comma  10  del  d.lgs.  n. 42/2004  come
sostituito  con  l'art. 16  del  decreto  impugnato, che assegna alla
soprintendenza  competente  l'attivita'  in  via  sostitutiva  per il
mancato   rilascio  entro  sessanta  giorni  dell'autorizzazione  sui
progetti di opere; l'art. 156, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 42/2004 come
sostituto   dall'art. 24   del   decreto   impugnato,  che  prevedono
l'attivita'  in  via  sostitutiva del Ministro al decorso dei termini
stabiliti per la verifica e l'adeguamento alle nuove disposizioni dei
piani paesaggistici gia' redatti.
    Le  predette norme contrastano con l'art. 120 della Costituzione,
in  quanto  il  potere  sostitutivo  e'  configurato  come  un  ovvio
automatismo  che interviene sulla cadenzata attivita' delle regioni e
degli  enti  locali  anziche'  quale  intervento  di  natura comunque
eccezionale  rispetto  allo svolgimento delle funzioni amministrative
da  parte  delle  regioni  e degli enti locali, che incontra puntuali
condizioni  e  limiti  affinche'  non  risulti lesivo dei principi di
sussidiarieta' e di leale collaborazione.
    Tali  condizioni  e  limiti,  che  piu'  volte  l'ecc.ma Corte ha
evidenziato: a) la sostituzione puo' prevedersi esclusivamente per il
compimento  di  atti  od  attivita'  la  cui  obbligatorieta'  sia il
riflesso  di  interessi unitari alla cui salvaguardia sia presidio il
potere  sostitutivo,  affinche'  esso  non contraddica l'attribuzione
della  funzione  amministrativa  all'ente  sostituito;  b)  il potere
sostitutivo  deve  essere  esercitato da un organo di governo, stante
l'attitudine  di  esso ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente
rilevante,  dell'ente sostituito; c) la legge deve apprestare congrue
garanzie  procedimentali  per  l'esercizio  del potere sostitutivo in
conformita'  al  principio  di  leale  collaborazione,  espressamente
richiamato dall'art. 120, comma 2, ultimo periodo della Costituzione,
in  modo che l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare
la  sostituzione  attraverso l'autonomo adempimento e di interloquire
nello  stesso  procedimento  (sent.  n. 227/2004;  43/2004; 313/2003;
177/1988  153/2006; 416/1995), non sono rispettati dalle disposizioni
in questione, con conseguente loro illegittimita'.