ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2,  comma
secondo, della legge 29 gennaio 1975, n. 5 (Conversione in legge, con
modificazioni,    del   decreto-legge   14 dicembre   1974,   n. 657,
concernente  la  istituzione  del  Ministero  per  i beni culturali e
ambientali)  e  dell'art. 31, comma sesto, del decreto del Presidente
della  Repubblica  del  3 dicembre  1975,  n. 805 (Organizzazione del
Ministero  per i beni culturali e ambientali), promosso con ordinanza
del  29 luglio  2005 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione  Siciliana,  sul  ricorso proposto da Pietro Fiorica ed altri
contro  l'Assessorato regionale ai beni culturali e ambientali e alla
pubblica  istruzione  della Regione Siciliana, iscritta al n. 535 del
registro  ordinanze  del  2005  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto di costituzione di Pietro Fiorica ed altri, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  20  giugno 2006  il  giudice
relatore Sabino Cassese;
    Uditi l'avvocato Salvatore Pensabene Lionti per Pietro Fiorica ed
altri e l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2,   comma  secondo,  della  legge  29 gennaio  1975,  n. 5
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
14 dicembre  1974,  n. 657,  concernente la istituzione del Ministero
per   i   beni   culturali   e   ambientali),  e,  «derivativamente»,
dell'art. 31,  «con  specifico  riferimento al relativo comma 6», del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  3 dicembre  1975, n. 805
(Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali), per
contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    Secondo  il remittente, l'art. 2, comma secondo, della legge n. 5
del  1975, nel delegare il Governo «a disciplinare la struttura degli
uffici per il definitivo assetto funzionale del Ministero [per i beni
culturali  e  ambientali]  ed  a  riorganizzare gli organi consultivi
relativi  alle  materie  trasferite»  ai  sensi del comma primo dello
stesso  art. 2,  avrebbe  omesso  di prefissare qualsiasi principio o
criterio    direttivo    per    l'esercizio   della   delega;   donde
l'illegittimita'  derivata  dell'art. 31,  comma  sesto,  del  d.P.R.
n. 805  del  1975,  che  ha  rideterminato  - in assenza, appunto, di
principi  e  criteri  direttivi  da  parte della legge di delega - la
composizione  della Commissione provinciale per la compilazione degli
elenchi  delle  bellezze  naturali  (infra,  Commissione provinciale)
prevista  dall'art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione
delle bellezze naturali).
    La  questione  e' stata proposta nel corso del giudizio d'appello
avverso  la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso per
l'annullamento   del   decreto  dell'Assessorato  regionale  ai  beni
culturali e ambientali e alla pubblica istruzione 20 aprile 1995, col
quale  era stata sottoposta a vincolo di temporanea immodificabilita'
la  fascia  costiera del territorio del Comune di Realmonte (AG), nel
cui  ambito  ricadeva  una  porzione  immobiliare  di  proprieta' dei
ricorrenti,  per  la  quale  essi  avevano  ottenuto  due concessioni
edilizie;  decreto adottato su proposta della Commissione provinciale
di  cui  all'art. 31, comma sesto, del d.P.R. n. 805 del 1975, la cui
composizione,  diversa  da quella in precedenza stabilita dalla legge
n. 1497 del 1939 (che prevedeva, fra l'altro, la presenza dei sindaci
dei comuni interessati), sarebbe stata stabilita in totale assenza di
principi e criteri direttivi da parte della legge di delegazione.
    Il  remittente  precisa che la questione era stata gia' sollevata
con  precedente  atto  di rimessione del 2 novembre 2001, ma la Corte
costituzionale,  con  ordinanza  n. 330  del 2002, l'aveva dichiarata
manifestamente   inammissibile,   per   non   avere   il   remittente
specificamente  valutato  se  le modificazioni intervenute nel quadro
normativo  anteriormente  all'ordinanza di rimessione avessero inciso
sulla perdurante rilevanza della questione.
    Con  l'ordinanza  in epigrafe, il giudice remittente ribadisce la
rilevanza  della  questione,  in  quanto, alla data di emanazione del
provvedimento  avanti  a  lui impugnato, era vigente l'art. 31, comma
sesto, del citato d.P.R. n. 805 del 1975, emanato in base alla delega
di cui all'art. 2, comma secondo, della legge n. 5 del 1975.
    2.  -  Si  e'  costituita  la  parte  privata del giudizio a quo,
sviluppando  argomenti a sostegno delle ragioni per le quali e' stata
sollevata la questione di legittimita' costituzionale.
    In particolare, essa rileva che, sebbene l'esercizio della delega
legislativa, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, non
comporti  che  sia  cancellato  ogni  margine di discrezionalita' del
Governo nel valutare le specifiche fattispecie da regolare, «non puo'
comunque  ritenersi  conforme  a  Costituzione il conferimento di una
delega  assolutamente  generica»  e  tale da far assurgere a criterio
direttivo «il libero apprezzamento del Governo».
    La  parte  ricorda  come la giurisprudenza di questa Corte abbia,
pur  in  mancanza  di  principi  e  criteri  direttivi  ad  hoc nella
normativa  delegante,  «ritenuto  valide [le] previsioni orientatrici
poste  in  generale  dalla  legge  di  delega»  ed abbia «ammesso che
l'identificazione dei principi e dei criteri direttivi possa avvenire
nell'ambito della disciplina previgente della materia». Nella specie,
tuttavia,  non  si sarebbe verificata nessuna delle due ipotesi, onde
sarebbe  del tutto priva di giustificazione, in relazione all'art. 76
Cost.,   la  scelta  del  legislatore  delegato  di  escludere  dalla
Commissione  provinciale  i  sindaci dei comuni interessati, «e cioe'
[i]  soggetti rappresentativi degli interessi delle comunita' locali,
che  hanno,  se  non  l'esclusivo, certamente il principale interesse
alla tutela del proprio territorio».
    3.  -  Si  e'  costituita,  per  il  Presidente del Consiglio dei
ministri,   l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
questione venga dichiarata infondata.
    Secondo  l'Avvocatura,  il  giudice  remittente avrebbe omesso di
considerare  che  proprio  l'impugnato  art. 2,  comma secondo, della
legge  n. 5  del 1975 e il successivo comma terzo dello stesso art. 2
impediscono  di  ritenere  che  la  delega  legislativa  sia priva di
principi e criteri direttivi.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2,   comma  secondo,  della  legge  29 gennaio  1975,  n. 5
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
14 dicembre  1974,  n. 657,  concernente la istituzione del Ministero
per   i   beni   culturali   e   ambientali),  e,  «derivativamente»,
dell'art. 31,  «con  specifico  riferimento al relativo comma 6», del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  3 dicembre  1975, n. 805
(Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali), per
contrasto con l'art. 76 della Costituzione.
    Secondo  il remittente, l'art. 2, comma secondo, della legge n. 5
del  1975, nel delegare il Governo «a disciplinare la struttura degli
uffici per il definitivo assetto funzionale del Ministero [per i beni
culturali  e  ambientali]  ed  a  riorganizzare gli organi consultivi
relativi  alle  materie  trasferite»  ai  sensi del comma primo dello
stesso  art. 2,  avrebbe  omesso  di prefissare qualsiasi principio o
criterio    direttivo    per    l'esercizio   della   delega;   donde
l'illegittimita'  derivata  dell'art. 31,  comma  sesto,  del  d.P.R.
n. 805  del  1975,  che  ha  rideterminato  - in assenza, appunto, di
principi  e  criteri  direttivi  da  parte della legge di delega - la
composizione  della Commissione provinciale per la compilazione degli
elenchi  delle  bellezze  naturali  (infra,  Commissione provinciale)
prevista  dall'art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione
delle bellezze naturali).
    2. - La questione non e' fondata.
    E'  giurisprudenza  costante  di  questa Corte che, ai fini della
valutazione  del  vizio  di eccesso di delega, l'esame della legge di
delegazione  dev'essere  condotto tenendo conto anche delle finalita'
ispiratrici  della delega, per verificare se la norma delegata sia ad
esse  rispondente  (sentenze  n. 308 del 2002, n. 96 del 2001, n. 163
del  2000,  n. 15  del  1999;  ordinanze n. 228 del 2005 e n. 248 del
2004).
    Nella  specie,  la  norma  di delega contenuta nell'art. 2, comma
secondo,  della legge n. 5 del 1975 aveva ad oggetto il riordinamento
degli  organi  consultivi  operanti  nell'ambito  delle  attribuzioni
trasferite   al   Ministero   per  i  beni  culturali  e  ambientali,
contestualmente  istituito, dagli apparati amministrativi (Presidenza
del  Consiglio  dei  ministri,  Ministero  della pubblica istruzione,
Ministero dell'interno) che ne erano, in precedenza, titolari. Uno di
tali  organi  consultivi  era, appunto, la Commissione provinciale di
cui all'art. 2 della legge n. 1497 del 1939, che aveva sede presso il
Ministero della pubblica istruzione ed era composta - fra gli altri -
da «i podesta» (poi sindaci) dei comuni interessati.
    Considerata   l'epoca  alla  quale  risaliva  questa  disciplina,
l'attuazione  della  delega  legislativa conferita dall'art. 2, comma
secondo,  della  legge  n. 5  del  1975  aveva  anche la finalita' di
adeguare la medesima disciplina alla mutata normativa costituzionale.
Percio',  la  prevista  «riorganizzazione» degli organi consultivi e,
fra  di  essi,  della  Commissione provinciale doveva tener conto sia
dell'autonomia  riconosciuta  e  garantita  agli  enti  locali  dagli
artt. 5  e 128 (nel testo all'epoca vigente) Cost., sia dell'esigenza
di buon andamento dei pubblici uffici, prescritta dall'art. 97, primo
comma, Cost.
    Gli enti locali, in precedenza parte dell'amministrazione statale
indiretta,  sono  stati riconosciuti dalla Costituzione come soggetti
dotati di autonomia politica e amministrativa, in quanto esponenziali
di  collettivita'.  A  tale  posizione  di  autonomia  certamente non
corrispondeva,  quando  la  delega  legislativa  venne esercitata, la
presenza  necessaria  di loro organi di vertice all'interno di uffici
di altri enti.
    L'esclusione  dei  sindaci  dalla  composizione della Commissione
provinciale  e'  valsa, inoltre, a prevenire l'insorgere di conflitti
d'interesse fra gli stessi sindaci, titolari del potere di rilasciare
autorizzazioni  edilizie,  e  la Commissione, operante essenzialmente
per finalita' protettive del territorio.
    Sono,   infine,   significativi   gli  sviluppi  successivi  alla
disciplina  contenuta  nel  decreto  legislativo n. 805 del 1975, che
attuo'  la delega di cui al citato art. 2, comma secondo, della legge
n. 5   del   1975.   Per  quanto,  infatti,  l'art. 140  del  decreto
legislativo  29 ottobre  1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni
legislative  in  materia  di  beni  culturali  e  ambientali, a norma
dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352) avesse nuovamente
previsto  la  partecipazione alla Commissione provinciale dei sindaci
dei comuni interessati, questi ne sono stati successivamente esclusi.
Cio'  e'  avvenuto  per  effetto,  prima,  dell'art. 137  del decreto
legislativo  22 gennaio  2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio),  ora abrogato, il quale stabili' che, nei procedimenti di
competenza  della  commissione,  i  sindaci  dei  comuni  interessati
dovessero  essere  soltanto  «sentiti»;  poi,  del vigente art. 7 del
decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed
integrative   al  decreto  legislativo  22 gennaio  2004,  n. 42,  in
relazione al paesaggio), che, nel sostituire, a livello regionale, le
commissioni  provinciali  con  commissioni  regionali,  ha cancellato
anche l'obbligo di «sentire» i sindaci dei comuni interessati.