Ricorso  della  Regione  Lazio,  in  persona del Presidente della
giunta  regionale,  dott.  Pietro Marrazzo, che agisce in forza della
delibera   della   giunta   regionale  n. 358  del  20  giugno  2006,
rappresentata  e difesa nel presente giudizio dal prof. avv. Vincenzo
Cerulli  Irelli, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Roma, via Dora 1, giusta delega in margine al presente atto;

    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
declaratoria  di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e
3  e  dell'art. 5  del  decreto  legislativo  12 aprile 2006 n. 163 -
«Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in  attuazione  delle  direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», pubblicato
nella  Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006, S.O. n. 107 - per
violazione  dell'art. 76, dell'art. 97, dell'art. 117 e dell'art. 118
della   Costituzione   nonche'   dei   principi   di  ragionevolezza,
proporzionalita' e di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.

                              F a t t o

    1. - La legge di delega e il decreto legislativo.
    L'art. 25,  comma  1,  della  legge  18  aprile 2005 n. 62 (legge
comunitaria  2004) ha delegato il Governo a recepire nell'ordinamento
nazionale le direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del 31 marzo 2004,
recanti  rispettivamente il coordinamento delle «procedure di appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono
servizi  di  trasporto  e  servizi postali» e il coordinamento «delle
procedure  di  aggiudicazione  degli  appalti  pubblici di lavori, di
forniture e di servizi».
    1.1.  -  Con il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 «codice
dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori, servizi e forniture in
attuazione   delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE»,  (da  ora,
«Codice»),  il  Governo  avrebbe  dovuto  attuare la predetta delega,
muovendosi  lungo  le  direttrici  indicate  dai  principi  e criteri
direttivi  in  essa  previsti:  1)  compilazione  di  un «unico testo
normativo»  in  materia  di  appalti pubblici, allo scopo di adeguare
l'ordinamento  nazionale  non  solo  alla  disciplina contenuta nelle
direttive  comunitarie  citate  (art. 25,  comma 1, lett. a) legge 62
cit.) ma anche ai principi del diritto comunitario (art. 25, comma 1,
lett.   d);   2)   semplificazione   delle   procedure  nazionali  di
affidamento,  per  le parti non direttamente coperte dalla disciplina
comunitaria,  allo  scopo  di favorire il contenimento dei tempi e la
massima  flessibilita'  degli  strumenti giuridici (art. 25, comma 1,
lett. b).
    Da  questa  breve  descrizione  dei  principi  della  delega, non
sembra,  invero,  che  nelle  intenzioni del legislatore nazionale vi
fosse  un  Codice  degli appalti che, oltre ad adeguare l'ordinamento
nazionale  agli sviluppi dell'ordinamento comunitario, rappresentasse
lo  strumento  per  un  radicale  ripensamento  e per una complessiva
riorganizzazione  di  tutto  il  quadro normativo dell'intero mercato
degli   appalti  pubblici  nazionali.  Soprattutto,  non  sembra  che
l'intenzione del legislatore delegante fosse quella di autorizzare il
Governo  a  procedere con propria legislazione verso un'operazione di
copertura totale del settore degli appalti pubblici; non vi e' dubbio
infatti  che  quella  contenuta  nel  Codice  sia  l'unica disciplina
dell'ordinamento  nazionale in materia di forniture, servizi e lavori
pubblici, applicabile a tutti gli enti della Repubblica, di qualunque
livello territoriale (statale, regionale, locale).
    Quanto  teste'  detto  ha  ricadute  dirette nel medesimo settore
degli  appalti  pubblici,  circa  il  tema  del riparto di competenze
normative  tra lo Stato e le regioni; riparto di competenze che, come
si  avra'  modo  di  approfondire  in  seguito,  il Codice disciplina
all'art. 4  («competenze  legislative  di  Stato, regioni e, province
autonome»), in modo non conforme al vigente testo costituzionale.
    2. - Le norme del Codice impugnate.
    L'art. 4,  comma  1  stabilisce  che  «le  Regioni  e le Province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano esercitano la potesta' normativa
nelle  materie  oggetto  del presente codice nel rispetto dei vincoli
derivanti  dall'ordinamento comunitario e delle disposizioni relative
a  materie  di competenza esclusiva dello Stato». Ma quando si tratta
di  individuare  quali  siano,  secondo la disciplina del Codice, gli
ambiti  materiali entro i quali e' riconosciuta la potesta' normativa
alle regioni, ci si accorge che questo spazio e' ridotto oltremodo.
    L'art. 4,   comma   2   del   Codice   stabilisce,  infatti,  che
«relativamente  alle  materie  oggetto di competenza concorrente, le,
regioni  e  le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la
potesta'  normativa  nel rispetto dei principi fondamentali contenuti
nelle   norme  del  presente  codice,  in  particolare,  in  tema  di
programmazione  di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi organizzazione amministrativa, compiti e
requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro».
    2.1.  -  Come  si  vede  - e come si dira' meglio in seguito - il
Codice,  nel ridisegnare il quadro delle attribuzioni legislative nel
settore  degli  appalti  pubblici,  attribuisce alle regioni potesta'
normativa  concorrente  in  materie che esulano indubbiamente da tale
settore,  e  che piuttosto appartengono trasversalmente alla potesta'
normativa   di   enti  pubblici,  anche  diversi  dalle  regioni:  la
«organizzazione   amministrativa»  (ivi  compresi,  «i  compiti  e  i
requisiti  del  responsabile  del procedimento») fa parte del corredo
minimo  di  autonomia  normativa attribuito a ciascun ente pubblico e
rappresenta   comunque   una   materia  che  rientra  nella  potesta'
legislativa  residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4,
Cost.;  la  «programmazione  dei  lavori  pubblici»,  individuando la
normale attivita' di qualunque ente impegnato ad investire le proprie
risorse  nell'ambito di settori amministrativi di propria competenza,
rinvia  all'esercizio  del  potere amministrativo di tali enti, senza
con  questo  indicare  uno  speciale  ambito  di potesta' legislativa
regionale  nel  settore  degli appalti pubblici; la «approvazione dei
progetti  a  fini  urbanistici  ed  espropriativi»,  in  forza di una
legislazione  ormai  quasi  trentennale  (legge 3 gennaio 1978 n. 1),
rappresenta  una  funzione pacificamente ascrivibile alla potesta' di
ogni  amministrazione  territoriale; la «sicurezza del lavoro» e' una
materia  gia'  espressamente contemplata dall'art. 117, comma 3, come
oggetto  di  potesta'  legislativa concorrente delle regioni e dunque
estranea rispetto al settore degli appalti pubblici.
    2.2.  - All'art. 4, comma 3 si ritrovano elencati gli ambiti piu'
propriamente  e  direttamente  costitutivi  del settore degli appalti
pubblici,  la disciplina legislativa dei quali e' tuttavia attribuita
in  via esclusiva allo Stato: «le regioni, nel rispetto dell'articolo
117,  comma  secondo,  della  Costituzione, non possono prevedere una
disciplina  diversa  da quella del presente codice in relazione: alla
qualificazione   e  selezione  dei  concorrenti;  alle  procedure  di
affidamento,  esclusi  i profili di organizzazione amministrativa; ai
criteri  di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul
mercato  degli  appalti  affidati  all'Autorita' per la vigilanza sui
contratti  pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attivita' di
progettazione   e   ai   piani  di  sicurezza;  alla  stipulazione  e
all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione,
direzione  dei  lavori,  contabilita'  e  collaudo,  ad eccezione dei
profili   di   organizzazione   e   contabilita'  amministrative;  al
contenzioso.  Resta  ferma  la  competenza  esclusiva  dello  Stato a
disciplinare  i  contratti  relativi alla tutela dei beni culturali i
contratti  nel  settore  della  difesa,  i  contratti segretati o che
esigono  particolari  misure  di sicurezza relativi a lavori, servizi
forniture».
    Come si vede, tutta la disciplina degli appalti pubblici, in ogni
aspetto  piu'  significativo  (dalla  qualificazione  e selezione dei
concorrenti,   alle   procedure   di  affidamento  e  ai  criteri  di
aggiudicazione),  e'  attribuita dal Codice alla potesta' legislativa
statale, in maniera analitica ed onnicomprensiva.
    2.3.   -  Per  di  piu',  ad  accentuare  la  pervasivita'  della
disciplina normativa statale anche al versante degli appalti pubblici
regionali,  l'art. 5,  del  Codice stabilisce che «lo Stato detta con
regolamento  la  disciplina  esecutiva  e  attuativa  in relazione ai
contratti  pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni
ed  enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all'articolo 4,
comma  3,  in  relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o
soggetto  equiparato» (comma 1). Piu' in particolare, «il regolamento
indica  quali  disposizioni,  esecutive  o  attuative di disposizioni
rientranti   ai   sensi  dell'articolo  4,  comma  3,  in  ambiti  di
legislazione  statale esclusiva, siano applicabili anche alle regioni
e province autonome» (comma 2).
    In  sostanza,  la  disciplina  statale contenuta nel Codice e nel
futuro   regolamento   di   attuazione   finisce   per  rappresentare
praticamente  l'unica  fonte  normativa  in  tema di appalti pubblici
stipulati  da  qualunque  amministrazione;  normativa  di  dettaglio,
vincolante  e non cedevole, anche nei confronti delle regioni, per la
disciplina  di  appalti  di  interesse regionale, in ambiti materiali
attribuiti alla competenza normativa regionale.
    3. - Il parere (negativo) della Conferenza unificata.
    Sullo  schema  di  decreto legislativo, preliminarmente approvato
dal  Consiglio dei ministri - e segnatamente sull'art. 4, commi 2 e 3
e  sull'art. 5  -  in data 9 febbraio 2006, le regioni hanno espresso
parere  negativo,  in sede di Conferenza Unificata, di cui all'art. 8
del  d.lgs.  n. 281  del 1997: parere del quale, tuttavia, il Governo
non  ha  tenuto conto, quanto meno, in relazione alle norme in questa
sede impugnate.
    In  tale parere, in particolare, si rileva innanzi tutto che «sul
piano  del metodo sarebbe stato non solo opportuno ma anche doveroso,
in   ossequio  alle  indicazioni  piu'  volte  espresse  dalla  Corte
costituzionale  ed  in  continuita'  con la prassi partecipativa piu'
volte   sperimentata   in  occasione  dell'emanazione  di  precedenti
normative  nazionali,  avviare un percorso condiviso e concertato con
le  regioni,  attesa  la  valenza e la portata di un provvedimento di
questa  importanza».  In secondo luogo, nel suo parere, la Conferenza
unificata  lamenta  il fatto che l'art. 5 dello schema «demanda ad un
apposito  regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del Codice
nelle  materie  oggetto  di  competenza legislativa statale esclusiva
(...).  Secondo  questa  impostazione,  pertanto,  tutte  le  materie
destinate  (...)  ad essere regolate nel dettaglio dal regolamento de
quibus   sarebbero   per   cio'   stesso  ascrivibili  alla  potesta'
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  in quanto l'art. 117, comma 6,
della   Costituzione,   come   e'   noto   circoscrive   la  potesta'
regolamentare  dello  Stato  alle  sole  materie  di  sua  competenza
esclusiva».  Ne  consegue,  secondo  le stesse regioni, che quelle di
loro  che non hanno ancora legiferato in tema di appalti pubblici, si
vedranno  preclusa  in  futuro  la  possibilita'  di dettare norme di
disciplina  su  aspetti pacificamente attribuiti alla loro competenza
regolativa   (ad   es.   la   programmazione,   il  responsabile  del
procedimento,  le  procedure  relative alle fasi della progettazione,
della  direzione  lavori,  del  collaudo,  ecc.). Inoltre, per quelle
regioni che invece hanno gia' legiferato in tema di appalti pubblici,
disciplinando   oggetti  che  saranno  successivamente  regolati  dal
regolamento  statale,  si  presenterebbe il rischio di una automatica
caducazione  a  seguito  dell'entrata in vigore del Codice (e del suo
regolamento).   Insomma,  secondo  il  parere  espresso  in  sede  di
Conferenza  Unificata,  l'art. 5  del  Codice  appare  lesivo  «delle
competenze  legislative regionali in relazione a tutti quei (cospicui
e  numerosi)  aspetti dei lavori pubblici, e non solo, per i quali si
fa  rinvio  al regolamento di attuazione e per i quali si ritiene che
non rientrino nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato». Piu'
in  generale,  l'adozione  del Codice «contribuisce a determinare tra
Stato  e  regioni  un  assetto  delle  competenze  legislative  e dei
rispettivi  ruoli  ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico
soggetto titolato a normare il settore dei lavori dei servizi e delle
forniture,   in  aperta  contraddizione  con  una  ormai  consolidata
interpretazione  dell  `art. 117  che  riconosce  anche  alle Regioni
potesta' legislativa nei settori in parola».
    4. - Il parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato.
    Sul medesimo schema di decreto legislativo ha espresso il proprio
parere  anche  l'Adunanza  generale del Consiglio di Stato, la quale,
nella seduta del 6 febbraio 2006, ha formulato alcuni rilievi critici
al testo esaminato, proponendo la riformulazione di taluni articoli.
    4.1.  -  In  primo  luogo,  il  Consiglio  di Stato ha richiamato
l'attenzione  del  Governo,  sulla  particolare importanza del parere
(negativo)  della  Conferenza  unificata  (del 9 febbraio 2006) in un
settore  come  quello in esame nel quale particolarmente problematica
si  presenta  la  questione  del riparto delle competenze tra Stato e
regioni.
    Segnatamente  su  tale  questione,  a  giudizio  del Consiglio di
Stato,  il  fatto  che  gli  appalti  pubblici  di  lavori, servizi e
forniture  non  siano  espressamente  individuati  dal nuovo art. 117
della  Costituzione,  non autorizza a desumere che essi siano oggetto
di  potesta' legislativa residuale delle regioni; cio', sulla base di
quanto  rilevato  dalla  Corte costituzionale «si tratta di ambiti di
legislazione  che  non  integrano  una  vera e propria materia, ma si
qualficano  a  seconda  dell'oggetto  al quale afferiscono e pertanto
possono  essere  ascritti  di  volta  in volta a potesta' legislative
esclusive  dello  Stato  ovvero  a  potesta' legislative concorrenti»
(Corte cost. n. 303/2003).
    Il  Consiglio di Stato correttamente ritiene che nel nuovo quadro
costituzionale  la  disciplina degli appalti pubblici abbia carattere
trasversale  e  trovi una sua collocazione, sotto molteplici profili,
in  altre  materie  nominate  nel  nuovo  art. 117 ed attribuite alla
legislazione  esclusiva  dello  Stato o alla legislazione concorrente
Stato   -  regioni;  d'altra  parte,  altrettanto  correttamente,  il
Consiglio  di Stato ritiene necessario tenere opportunamente distinta
l'area  degli  appalti  statali  da quella degli appalti di interesse
meramente  regionale.  Per  la  prima  area,  non  v'e' dubbio che il
legislatore statale sia titolare di potesta' legislativa esclusiva in
tema  di  pubblici  lavori,  forniture  e  servizi  «statali»; per la
seconda  area,  invece,  occorre  stabilire i limiti della competenza
statale,  con  riguardo  ad alcune materie individuate dall'art. 117,
comma 2, della Costituzione: «tutela della concorrenza», «ordinamento
civile»,   «giurisdizione   e   norme   processuali»   e   «giustizia
amministrativa».
    4.2.  -  La tutela della concorrenza e' la materia che secondo il
Consiglio  di  Stato  pone i problemi piu' delicati. Ed infatti, come
sottolineato  dalla  Corte,  costituzionale  (sentenze  n. 272/2004 e
n. 29/2006),  la  tutela della concorrenza costituisce una competenza
trasversale,   che   coinvolge  piu'  ambiti  materiali  e  legittima
l'intervento  del  legislatore  statale anche su materie, sotto altri
profili,  di  competenza  regionale - allo scopo di unificare in capo
allo  Stato  strumenti di politica economica funzionali allo sviluppo
dell'intero  Paese  e  idonei  ad  incidere sull'equilibrio economico
generale  (cosi' avviene anche per alcuni aspetti relativi al settore
degli  appalti  pubblici).  Il  Consiglio  di  Stato  ritiene  che il
carattere  trasversale  della  tutela della concorrenza consenta alla
legge  dello Stato di incidere nel settore degli appalti pubblici, ma
senza   tuttavia   «consumarne,   per  definizione,  tutto  l'ambito,
cosicche' rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica
nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze».
    In  sostanza,  gli effetti trasversali imposti dalla tutela della
concorrenza  non  autorizza una lettura totalizzante della disciplina
(di  principio  e  di dettaglio) di tutti gli appalti pubblici (anche
quelli  di  interesse  meramente regionale) a favore della competenza
legislativa esclusiva dello Stato. Nello stesso settore dei contratti
pubblici,  infatti,  possono  essere  contemporaneamente coinvolti ed
attivati: a) profili riguardanti la concorrenza; b) profili attinenti
ad  aspetti  meramente  organizzativi,  procedurali, economici (tra i
quali, la progettazione dei lavori, servizi e forniture, la direzione
dei  lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti e i requisiti
del  responsabile  del procedimento). Occorre, dunque, opportunamente
distinguere  -  secondo  l'insegnamento  della  citata giurisprudenza
costituzionale  -  nel  medesimo  settore degli appalti pubblici, gli
aspetti  sub  a), da attribuire alla legislazione esclusiva statale e
gli  aspetti  sub  b) da ascrivere alla competenza concorrente ovvero
residuale  delle  regioni.  Nel  primo  caso  (e  solo  in  esso), la
competenza  normativa  regionale rimane soggetta alla legislazione di
principio  e  di dettaglio contenuta nel Codice; nel secondo, invece,
fatta  salva  la  rilevanza  dei  principi  fondamentali espressi nel
Codice  (art. 2),  la  legislazione regionale puo' esprimersi senza i
vincoli imposti dal Codice come disciplina di dettaglio.
    Sulla   base   di  tale  ricostruzione,  il  Consiglio  di  Stato
individua, nel settore degli appalti pubblici, gli ambiti per i quali
la  tutela  della concorrenza gioca un ruolo preponderante e rispetto
ai  quali  dunque  non residuano spazi per l'esercizio della potesta'
normativa   regionale:   a)   la   qualificazione   e  selezione  dei
concorrenti;  b) i criteri di aggiudicazione; c) il subappalto; d) la
vigilanza  sul  mercato  degli  appalti  affidata  ad  una  autorita'
indipendente.
    Per  tutti  gli  altri aspetti, a giudizio del Consiglio di Stato
«deve  riconoscersi  la sussistenza di una competenza normativa delle
Regioni,  (...)  e  cio' alla stregua di quanto affermato dalla Corte
costituzionale  secondo  cui  la  norma  statale  che  imponesse  una
disciplina  tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto
all'obiettivo   della  tutela  della  concorrenza  costituirebbe  una
illegittima   compressione  dell'autonomia  regionale  (Corte  cost.,
n. 272/2004, relativa alle gare per i servizi pubblici locali)».
    4.3.  -  Fin  qui,  la  ricostruzione  del  Consiglio di Stato ha
riguardato  gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria.
Per  gli  appalti  di  importo  inferiore alla soglia comunitaria (ai
quali  pure  il  Codice  rivolge  la  sua disciplina), a giudizio del
supremo organo di consulenza, compete allo Stato (nei confronti della
potesta'  normativa  regionale,  che in tale ambito non soggiace alla
disciplina  nazionale  che  recepisce  le  direttive  comunitarie) la
fissazione  di generali principi, che assicurino trasparenza, parita'
di  trattamento e non discriminazione: in particolare, i principi che
impongono  la  gara,  che  fissano  l'ambito  soggettivo ed oggettivo
ditale  obbligo,  che  limitano  il ricorso alla trattativa privata e
collegano  alla  violazione  dell'obbligo  sanzioni civili e forme di
responsabilita' (cfr., Corte cost. n. 345/2004).
    4.4.  -  La  ricostruzione  del  Consiglio  di Stato ha immediate
conseguenze anche con riguardo all'esercizio dei poteri regolamentari
e  quindi  con  riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 5 del
Codice.
    A  giudizio  del  supremo  organo di consulenza (e contrariamente
all'impostazione del Codice), posto che, dopo la riforma del Titolo V
della  Costituzione, lo Stato ha conservato la potesta' regolamentare
solo  nelle materie attribuite alla sua legislazione esclusiva, «tale
potesta'  regolamentare  puo'  essere esercitata dallo Stato per dare
esecuzione   ed  attuazione  all'intero  Codice  con  riferimento  ai
pubblici lavori servizi e forniture "statali", mentre con riferimento
a   quelli   di  interesse  regionale  essa  puo'  essere  esercitata
limitatamente a quei profili ricadenti nell'ambito della legislazione
esclusiva  dello  Stato,  gia'  indicati in precedenza. Al contrario,
l'elencazione  degli  aspetti  da  disciplinare  tramite regolamento,
contenuta  [nell'art.  5]  del Codice, puo' indurre a ritenere che il
legislatore   delegato   abbia   voluto   rimettere   alla   potesta'
regolamentare  dello Stato quei profili gia' individuati, per i quali
non   risulta   invece   possibile  incidere  con  regolamento  sulle
competenze   regionali».  Coerentemente  con  la  sua  ricostruzione,
dunque,  il  Consiglio di Stato ha segnalato al Governo la necessita'
di   precisare   proprio   all'art. 5   che   «il  regolamento  debba
espressamente  prevedere  la  sua  applicabilita'  ai lavori pubblici
statali  e l'indicazione delle disposizioni applicabili alle regioni,
in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti
in  materie di legislazione esclusiva dello Stato». Negli altri casi,
ritiene  il  Consiglio di Stato che «l'applicabilita' del regolamento
deve  essere  limitata,  con  riferimento  alle  regioni,  ai casi di
carenza   della   preesistente  normativa  regionale  o  perche'  mai
approvata  o  perche'  abrogata  per  effetto del suo contrasto con i
principi  fondamentali  recati  dalla  legge  n. 109  del  1994 senza
successivo adeguamento della normativa regionale».
    Il  Governo,  nell'adottare  il  Codice,  non ha tenuto conto dei
rilievi  espressi dal Consiglio di Stato nel descritto parere; quanto
meno con riguardo alle norme del Codice, in epigrafe indicate, che la
regione   ricorrente  ritiene  illegittime  e  lesive  delle  proprie
attribuzioni e che pertanto impugna per i seguenti motivi

                            D i r i t t o

    1.- Prima di sviluppare analiticamente le singole censure, ci sia
consentita  una  breve  riflessione di inquadramento della vicenda in
esame.  Il  Codice, ispirato alle finalita' di adeguare l'ordinamento
nazionale  all'ordinamento  comunitario  nonche'  di  semplificare  e
razionalizzare  la  disciplina  interna  nel  settore  degli  appalti
pubblici,  si  presenta  come  testo  unico  a carattere innovativo e
onnicomprensivo.
    Gli e' che, tuttavia, come sottolineato sia dai citati pareri del
Consiglio di Stato sia della Conferenza Unificata, nel Codice, non si
fa  alcuna  opportuna  distinzione  tra  appalti  statali  e  appalti
regionali,  quanto  alle  fonti  della  loro rispettiva disciplina; o
meglio,  non  si  fanno  le  distinzioni  che  sarebbe  stato  lecito
attendersi a fronte del quadro costituzionale ridisegnato dalla legge
costituzionale  n. 3/2001,  per  quanto  riguarda  il  sistema  delle
competenze normative dello Stato e delle regioni.
    Le  norme in questa sede impugnate - segnatamente l'art. 4, comma
3  -  qualificano il Codice come la disciplina generale in materia di
appalti pubblici, contenente norme di principio e di dettaglio che si
impongono  a  tutte  le amministrazioni, in primo luogo alle regioni.
Attraverso  la presente impugnazione, si intende ristabilire l'esatto
quadro  del  riparto  delle  competenze  normative  tra lo Stato e le
regioni,   nel   settore   dei   lavori   pubblici,  disegnato  dalla
Costituzione:  a  ristabilire  cioe' l'esatto rapporto tra disciplina
del  Codice  effettivamente  vincolante  per  la  normativa regionale
(negli   ambiti  ascrivibili,  senza  forzature,  alla  tutela  della
concorrenza,  dell'ordinamento  civile, del contenzioso) e disciplina
meramente cedevole (se non nella enunciazione dei principi) di fronte
alla  legislazione  regionale  (anche  secondo quanto stabilito dall'
art. 16 della legge 4 febbraio 2005 n. 11).
    Dal Codice emerge una preoccupante impostazione statocentrica, in
cui  il settore dei lavori, dei servizi e delle forniture pubbliche -
in  questa  sede  si  discute  degli  appalti  di interesse meramente
regionale  -  e'  consegnato in maniera pressoche' totale ed acritica
alle cure della legge statale, salvo residuali e marginali competenze
normative  in  sede  concorrente, attribuite alle regioni, in ambiti,
come  si  e'  detto,  poco  conferenti  con  il settore degli appalti
pubblici.
    1.1.  -  Anticipando  parte delle successive affermazioni, ci sia
consentito   riflettere  sul  fatto  che  il  settore  degli  appalti
rappresenta una rilevante manifestazione di amministrazione attiva di
cura  in  concreto dell'interesse pubblico. Non vi e' dubbio che tale
settore   sia   attraversato  da  esigenze  di  tutela  di  interessi
(trasversali)  di  particolare  rilievo  per la comunita' nazionale e
dunque  attribuiti in esclusiva alla cura del legislatore statale; ma
e'  altrettanto indubbio che, una volta individuati e tutelati questi
profili  di  «tutela  della  concorrenza»,  connessi  alla disciplina
dell'«ordinamento civile» ovvero della «giustizia amministrativa», al
netto  cioe'  di  questa  area  sensibile,  il  settore degli appalti
pubblici    resta   quello   che   e':   comune   manifestazione   di
amministrazione  attiva,  che  ciascun  ente  interessato organizza e
gestisce  secondo  le  proprie  esigenze  e  necessita',  al  livello
territoriale  di  propria competenza. Si vuole dire, in sostanza, che
un  appalto di lavori pubblici di interesse regionale, depurato dalle
implicazioni  poste  a  garanzia della concorrenzialita' del mercato,
resta  mero  esercizio  di  attivita'  amministrativa  (attivita'  di
programmazione   o  procedurale,  attivita'  di  diritto  pubblico  o
privato). E negli aspetti in cui l'appalto pubblico e' manifestazione
di  attivita'  amministrativa, la capacita' di fissarne la disciplina
normativa   non   puo'  che  seguire  il  criterio  della  dimensione
territoriale dell'interesse amministrato.
    1.2.  -  Si  ribadisce  che  attraverso gli art. 4, commi 2 e 3 e
l'art. 5,  il Codice pretende di rappresentare - a tutela soprattutto
dei  valori  concorrenziali  tra operatori del mercato - una generale
disciplina  di  dettaglio  per (quasi) tutti gli aspetti nei quali si
articola  il settore degli appalti pubblici; in cio' vincolando anche
la  competenza  normativa delle regioni, con riguardo agli appalti di
interesse meramente regionale.
    Nel  Codice,  il  valore  della  tutela  della concorrenza sembra
assorbire   e   sacrificare   ogni  altro  aspetto  (in  particolare,
l'autonomia  organizzativa e la valutazione del merito amministrativo
da  parte  degli enti territoriali), come se il diritto degli appalti
pubblici  debba  nel  suo  complesso  trasfigurare  in una disciplina
antitrust, dettata dalla legislazione esclusiva dello Stato. Le norme
statali  contenute  nel  Codice, analitiche e di dettaglio, diventano
cogenti   nei   confronti   delle  regioni  anche  nell'ambito  della
programmazione  dei  contratti da aggiudicare, della disciplina delle
procedure   di   aggiudicazione,  della  direzione  dei  lavori,  dei
collaudi.  L'esigenza  di  assicurare  l'uniformita'  delle regole di
garanzia  finisce di fatto per annullare l'esigenza di calibrare (nel
rispetto delle regole) l'amministrazione alle esigenze dei rispettivi
territori.  Il  diritto  degli appalti, come disciplinato dal Codice,
segna  un formidabile esempio di riaccentramento normativo, nel quale
la  legge  statale  riacquista  il  suo  primato sulle altre fonti di
legislazione  riconosciute dall'ordinamento repubblicano, in assoluta
controtendenza   rispetto   al   vigente  quadro  costituzionale.  Si
ricordino  a  tal  riguardo le osservazioni espresse dalla Conferenza
unificata  nel  parere  (negativo)  del 9 febbraio 2006: «[il Codice]
contribuisce  a  determinare  tra  Stato  e  regioni un assetto delle
competenze   legislative   e   dei   rispettivi   ruoli  ispirato  al
riconoscimento dello Stato quale unico soggetto titolato a normare il
settore  dei  lavori,  dei  servizi  e  delle  forniture pubblici, in
contraddizione  con  una  ormai consolidata interpretazione dell'art.
117 che riconosce anche alle regioni potesta' legislativa nei settori
in parola».
    1.3.  -  Ma  v'e'  di  piu'.  Il  Codice  recepisce  la normativa
comunitaria  e  attraverso  la pervasivita' della sua disciplina (per
effetto  delle  norme in questa sede impugnate) finisce per «imporre»
il  diritto  comunitario  ben  oltre  le  intenzioni  del legislatore
delegante.
    In  particolare,  gli  artt. 4 e 5 del Codice non distinguono tra
appalti  «di  rilevanza comunitaria» e appalti «sotto soglia»: figure
giuridiche,  queste,  che  tradizionalmente,  ai  fini del riparto di
competenze  normative tra Stato e regioni, sono distinte (anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale) in relazione al differente
grado  di  cogenza della normativa statale di recepimento del diritto
comunitario;  nonche'  quanto alla diversa «invadenza» della potesta'
legislativa  dello  Stato  a  tutela della concorrenza, in settori di
competenza  regionale  (ad esempio, la disciplina dei procedimenti di
gara).
    E  cosi',  per  gli  appalti  di  rilievo  comunitario,  lo Stato
dovrebbe  tutelare  la  concorrenza,  imponendo  alle  regioni, entro
limiti ragionevoli, la propria normativa di dettaglio con la quale ha
recepito  la  direttiva comunitaria; negli appalti «sotto soglia», la
tutela  della  concorrenza  dovrebbe  realizzarsi,  invece,  da parte
statale,  non mediante l'imposizione alle regioni di una normativa di
dettaglio  (come  teorizzato  dalle  citate norme del Codice), bensi'
attraverso l'imposizione di principi comuni (cd. norme di principio),
a   garanzia   della   trasparenza,  parita'  di  trattamento  e  non
discriminazione  (Corte  costituzionale  n. 345/2004). Ne e' derivata
sotto   questo   profilo,  come  subito  si  precisera',  una  palese
violazione  dei  criteri  contenuti  nella legge delega; segnatamente
quello  della «semplificazione delle procedure di affidamento che non
costituiscono   diretta  applicazione  delle  normative  comunitarie,
finalizzata  a  favorire  il  contenimento  dei  tempi  e  la massima
flessibilita'  degli  strumenti  giuridici».  A  tal punto sono stati
semplificati  gli  appalti  sotto  soglia,  che  per  essi il Codice,
attraverso  gli artt. 4 e 5, ha imposto alle regioni (per gli appalti
regionali)  l'analitica  normativa  di  dettaglio,  con la quale sono
state  recepite  le  direttive  comunitarie.  Ma  andiamo  con ordine
all'esame delle singole censure.
    2.  -  Illegittimita'  costituzionale,  dell'art. 4,  comma 2 del
d.lgs.  n. 163/2006,  in relazione agli artt. 76, 97, 117 e 118 della
Costituzione,  nonche'  per violazione dei principi costituzionali di
ragionevolezza, proporzionalita' e leale collaborazione.
    1.1  -  L'art. 4,  comma 2 del Codice prevede che, «relativamente
alle  materie  oggetto  di  competenza  concorrente,  le regioni e le
Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano esercitano la potesta'
normativa  nel  rispetto  dei  principi  fondamentali contenuti nelle
norme  del presente codice, in particolare, in tema di programmazione
di  lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed
espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del
responsabile   del   procedimento,  sicurezza  del  lavoro».  In  una
prospettiva  piu' generale, come gia' ricordato, la norma costituisce
la  prova  evidente  di  come, nell'idea del legislatore delegato, la
potesta'  regionale  nel  settore degli appalti pubblici si riduca «a
ben  poca  cosa»  dopo l'entrata in vigore del Codice. Tale argomento
verra'  ripreso nel successivo motivo di diritto nel quale l'indebita
estromissione  della potesta' normativa regionale viene censurata con
riguardo  al  comma  3  dell'art. 4,  che,  a  sua volta, assolutizza
l'estromissione  del  legislatore  regionale  dalla  disciplina degli
appalti  da  aggiudicare  ed  eseguire  nel territorio della medesima
regione.
    2.2.  - La norma in esame attribuisce alla competenza concorrente
delle   regioni   -   da   esercitarsi  «nel  rispetto  dei  principi
fondamentali  contenuti  nelle  norme  del  presente codice» - ambiti
materiali  come  la  «organizzazione  amministrativa»,  i  «compiti e
requisiti  del  responsabile del procedimento». Si contesta in questa
sede  che,  tanto  sull'organizzazione  amministrativa,  quanto sugli
istituti  attinenti  alla disciplina del procedimento amministrativo,
il  Codice  possa contenere norme di principio, in quanto trattasi di
ambiti  rientranti  propriamente  nei  settori della organizzazione e
della  azione amministrativa (solo di riflesso connessi al tema degli
appalti  pubblici)  ed  ascrivibili  alla  competenza residuale delle
regioni.
    Innanzi  tutto,  il  dato  letterale  indica come tali ambiti non
siano indicati dall'art. 117, comma 3, tra le materie attribuite alla
competenza concorrente delle regioni. Ma v'e' di piu'. Laddove indica
il  profilo  dell'organizzazione  amministrativa,  il  Codice intende
evidentemente    l'insieme   dei   profili   organizzativi   connessi
all'aggiudicazione  ed  all'  esecuzione  degli  appalti  pubblici di
spettanza;  vale a dire, gli aspetti connessi all'individuazione e al
funzionamento  delle  strutture organiche necessarie allo svolgimento
delle  predette attivita' di amministrazione. Ebbene, l'art. 97 della
Costituzione  attribuisce,  com'e'  noto,  alla  legge  il compito di
organizzare i pubblici uffici in asse con i principi di imparzialita'
e  buon andamento. La legge statale e quella regionale possono dunque
procedere   alla  disciplina  generale  degli  organismi  di  propria
spettanza,  essendo  del  tutto  irrilevante che detta organizzazione
amministrativa  inerisca  al  settore  degli appalti pubblici; non si
vede,  d'altra  parte,  quali  principi  in materia di organizzazione
amministrativa,  oltre  a  quelli  di  imparzialita' e buon andamento
fissati  dalla  Costituzione,  possano  essere  contenuti nel Codice,
cosi'  da  dequotare,  in  tale  settore, la competenza regionale, da
residuale a concorrente.
    2.3.  -  Neppure  con  riguardo  ai  «compiti  e ai requisiti del
responsabile  del procedimento», si deve ritenere che il Codice possa
contenere  principi  generali  da  imporre  alla competenza normativa
delle  regioni. Al riguardo, si ricorda che nella nostra Costituzione
(a  differenza  di  quanto  disposto  ad  esempio  nella Costituzione
spagnola,  art. 149,  comma 1, n. 18), non e' prevista tra le materie
di  competenza  esclusiva  dello  Stato,  quella relativa ai principi
generali dell'azione amministrativa o del procedimento amministrativo
(mentre    tra    queste    materie   e'   compresa   la   «giustizia
amministrativa»).  Quindi  la  questione  se  la  disciplina generale
dell'azione amministrativa o del procedimento possa essere oggetto di
legislazione  regionale  si trasforma tutt'al piu', in un problema di
rapporti  tra  legislazione  regionale  e  principi stabiliti (non da
Codice,  ma)  dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificata dalle
novelle   del   2005,   nella  parte  in  cui  vengono  espressamente
riconosciuti come direttamente attuativi del sistema costituzionale.
    2.4.  -  Quanto  finora detto, deve ritenersi valido anche per la
«programmazione  di  lavori  pubblici»  e  per  la  «approvazione dei
progetti  ai  fini  urbanistici  ed  espropriativi» che rappresentano
tipiche  manifestazioni  di  esercizio di amministrazione attiva che,
nei  casi di appalti di interesse regionale, non si vede come possano
attrarre la competenza statale a dettare (attraverso il Codice) norme
di  principio  per la potesta' normativa regionale. Insomma, la norma
teste' censurata rappresenta una palese violazione del vigente quadro
costituzionale, con riguardo alla sfera di competenza normativa della
regione  ricorrente,  con immediate e dirette conseguenze sulla sfera
delle potesta' amministrative attribuite alla stessa regione.
    2.5.  -  D'altra parte, la norma indicata rappresenta un assoluto
fuor  d'opera  rispetto alla delega attribuita al Governo dalla legge
n. 62/2005,  la  quale  non  contiene  alcuna  indicazione  circa  la
possibilita'  del  Codice  di  incidere  sul riparto delle competenze
normative  concorrenti  di Stato e regioni (meno che mai, nei termini
attuati dal Codice e fin qui descritti).
    2.6.  -  La  medesima  norma  si presenta altresi' come il frutto
della  violazione del principio di leale collaborazione tra i diversi
livelli  del governo territoriale, che si attiva, in particolare, nei
casi  in  cui,  in  un  medesimo  ambito di disciplina, si verificano
cospicue  interferenze  e sovrapposizioni tra la competenza normativa
dello  Stato  e  delle  regioni.  Sull'argomento  si  ritornera' piu'
specificamente al successivo 1/2 3.4.
    3.-Illegittimita'  costituzionale dell'art. 4, comma 3 del d.lgs.
n. 163/2006,  in  relazione  agli  artt. 76,  97,  117  e  118  della
Costituzione,  nonche' per violazione dei principi di ragionevolezza,
proporzionalita' e leale collaborazione.
    3.1.  - L'art. 4, comma 3, del Codice stabilisce che «le regioni,
nel  rispetto  dell'art.  117, comma secondo, della Costituzione, non
possono  prevedere  una  disciplina  diversa  da  quella del presente
codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti;
alle  procedure  di  affidamento, esclusi i profili di organizzazione
amministrativa;  ai  criteri  di  aggiudicazione;  al  subappalto; ai
poteri  di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita'
per  la  vigilanza  sui  contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
forniture;  alle  attivita' di progettazione e ai piani di sicurezza;
alla  stipulazione  e  all'esecuzione  dei  contratti,  ivi  compresi
direzione  dell'esecuzione,  direzione  dei  lavori,  contabilita'  e
collaudo,  ad  eccezione dei profili di organizzazione e contabilita'
amministrative;  al  contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva
dello  Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni
culturali,   i  contratti  nel  settore  della  difesa,  i  contratti
segretati  o  che  esigono particolari misure di sicurezza relativi a
lavori, servizi, forniture».
    Questa  norma  e'  emblematica  di  come  nel  Codice  sia  stata
costruita un'operazione di totale copertura del settore degli appalti
pubblici a favore della competenza legislativa esclusiva dello Stato;
copertura  davvero  esorbitante  giacche'  compressiva della sfera di
attribuzione   regionale  in  relazione  ad  aspetti,  per  lo  piu',
pacificamente   ascrivibili   alla   disciplina   di  mere  attivita'
amministrative.
    3.2.  - Il problema del riparto di competenze normative tra Stato
e  regioni  si  pone,  innanzi tutto perche' gli appalti pubblici non
costituiscono  tecnicamente  una  materia  omogenea;  una  di  quelle
indicate  all'art. 117  della  Costituzione. E' bene ricordare che la
Corte   costituzionale,  a  proposito  del  riparto  delle  sfere  di
competenza legislativa nel settore degli appalti pubblici ha ritenuto
che:  «si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera
e  propria materia, ma si qualjflcano a seconda dell'oggetto al quale
afferiscono  e  pertanto  possono essere ascritti di volta in volta a
potesta'   legislative   esclusive  dello  Stato  ovvero  a  potesta'
legislative  concorrenti»  (Corte  costituzionale n. 303/2003). Ed e'
anche  opportuno  ricordare  le  riflessioni  espresse  dall'Adunanza
generale  del  Consiglio  di Stato nel parere del 6 febbraio 2006 (v.
retro): il settore degli appalti pubblici e' attraversato da esigenze
connesse  con  la  tutela  della  concorrenza,  con  la  materia  del
contenzioso   e   dell'ordinamento  civile;  esigenze  attribuite  in
esclusiva  alla  cura  del  legislatore statale ma che, tuttavia, pur
nella   loro  rilevanza,  non  sono  in  grado  di  «consumarne,  per
definizione,  tutto l'ambito, cosicche' rimangono di regola spazi non
sensibili  a  tale  problematica  nei  cui  confronti  resta fermo il
normale riparto di competenze».
      A  quest'ultimo  riguardo  - cioe', sui limiti entro i quali lo
Stato  ha  possibilita' di legiferare, a tutela della concorrenza tra
operatori  del  mercato degli appalti pubblici, coprendo anche ambiti
materiali  affidati  alla competenza delle regioni (tema fondamentale
nel  presente  giudizio  di  legittimita'  costituzionale) - la Corte
ostituzionale  e' chiarissima: «la competenza prevista dall'art. 117,
secondo  comma,  lettera  e),  della Costituzione (secondo cui spetta
allo  Stato  legiferare  in  via  esclusiva  in  tema di tutela della
concorrenza),  costituisce  una competenza trasversale, che coinvolge
piu'  ambiti  materiali,  si  caratterizza  per  la natura funzionale
(individuando, piu' che degli oggetti, delle finalita' in vista delle
quali  la potesta' legislativa statale deve essere esercitata) e vale
a  legittimare l'intervento del legislatore statale anche su materie,
sotto  altri  profili,  di  competenza regionale». Ne consegue che la
tutela  della  concorrenza  da  parte  della  competenza  legislativa
esclusiva  dello  Stato  e'  costituzionalmente  legittima, in quanto
posta  «in  una  relazione  ragionevole e proporzionata rispetto agli
obiettivi   attesi»   (sentenza   n. 14/2004);   come   a   dire  che
«l'intervento  del  legislatore  statale  in  materia e' legittimo se
contenuto    entro   i   limiti   dei   canoni   di   adeguatezza   e
proporzionalita'.  In particolare, la norma statale che imponesse una
disciplina  tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto
all'obiettivo   della  tutela  della  concorrenza  costituirebbe  una
illegittima   compressione   dell   `autonomia  regionale»  (sentenza
n. 345/2004).  La Corte costituzionale ha altresi' precisato che «una
dilatazione  massima  di tale competenza che non presenta i caratteri
di  una  materia  di  estensione  certa,  ma  quelli  di una funzione
esercitabile  sui piu' diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo
schema  dell'art.  117  della  Costituzione  che vede attribuite alla
potesta' legislativa residuale e concorrente delle regioni materie la
cui  disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico (...).
L  `intervento  statale  si  giustifica, dunque, per la sua rilevanza
macroeconomica:  solo  in  tale  quadro  e'  mantenuta  allo Stato la
facolta' di adottare sia specifiche misure di rilevante entita' (...)
purche'  siano  in ogni caso idonee, quanto ad accessibilita' a tutti
gli  operatori  ed  impatto  complessivo, ad incidere sull'equilibrio
economico generale. Appartengono, invece, alla competenza legislativa
concorrente  o  residuale  delle  regioni gli interventi sintonizzati
sulla  realta'  produttiva  regionale  tali  comunque  da  non creare
ostacolo  alla  libera circolazione delle persone e delle cose fra le
regioni  e  da  non  limitare  l'esercizio  del  diritto al lavoro in
qualunque parte del territorio nazionale» (sentenza n. 14/2004).
    In   sostanza,  la  disciplina  degli  appalti  pubblici  non  e'
assorbita  interamente  dalle  esigenze  di  tutela della concorrenza
(ovvero  ordinamento civile e del contenzioso), essendo anche altro e
principalmente  esercizio  di attivita' di amministrazione attiva, di
cura  in concreto di interessi pubblici, a cominciare dalle procedure
di  aggiudicazione,  per finire alle attivita' di progettazione, alla
direzione  dei  lavori  ecc.;  e in tali ambiti, va riconosciuta alle
regioni   -   come   la  Costituzione  in  effetti  riconosce  -  una
incomprimibile competenza normativa.
    3.3.  -  Si puo' concordare con il Consiglio di Stato che profili
come  la  «qualificazione e selezione dei concorrenti», i «criteri di
aggiudicazione»,  il  «subappalto»  e la «vigilanza sul mercato degli
appalti»  rappresentino  ambiti particolarmente sensibili e collegati
ad  esigenze  di  tutela  della concorrenza; e che per essi il Codice
opportunamente  abbia voluto evitare competenze normative decentrate.
Ma,  con  lo  stesso  Consiglio di Stato conveniamo che per tutti gli
altri   aspetti,   relativi   a   profili   meramente  organizzativi,
procedurali, economici (si ribadisce, le procedure di affidamento, le
attivita'  di progettazione, la direzione dell'esecuzione e direzione
dei  lavori,  il  collaudo)  «deve riconoscersi la sussistenza di una
competenza  normativa  delle  regioni,  (...)  e cio' alla stregua di
quanto  affermato  dalla  Corte  costituzionale  secondo cui la norma
statale  che  imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare
non   proporzionata   rispetto   all'obiettivo   della  tutela  della
concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia
regionale».
    Insomma,  la  regola posta dalla giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa e' che, al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se
la  tutela  della concorrenza legittimi o meno determinati interventi
dello      Stato      occorre     basarsi     sul     criterio     di
proporzionalita-adeguatezza  di tali interventi. Ebbene, nell'art. 4,
comma  3,  invece,  l'esigenza di tutela della concorrenza deborda di
gran  lunga  oltre  il  ragionevole,  assoggettando tutti gli appalti
pubblici  -  anche  quelli  di  interesse  meramente regionale - alla
normativa  di  dettaglio  contenuta  nel  medesimo  Codice,  anche in
relazione ad ambiti ascrivibili come detto all'esercizio di attivita'
amministrative,  attratti alla competenza esclusiva statale, in forza
di  un  pregiudizio  apodittico  di complessiva inerenza alla materia
della  «concorrenza».  Le forzature di tale impostazione si ricavano,
peraltro,  laddove lo stesso art. 4, comma 3 attribuisce in esclusiva
alla  legge  statale  i  «piani di sicurezza», senza tenere conto che
l'art. 117,  comma  3,  attribuisce  alla legislazione concorrente la
materia della «tutela e sicurezza del lavoro».
    3.4.  -  Ma  e'  sull'oggetto  «procedure  di affidamento» che si
consuma, forse, la forzatura costituzionale piu' evidente. Si tratta,
infatti,   della   disciplina   di   veri   e   propri   procedimenti
amministrativi (e al riguardo il parere della Conferenza unificata e'
chiaro:  «le modalita' di svolgimento delle procedure (...) attengono
piu' a profili organizzativi che di tutela della concorrenza»); anzi,
le   procedure   di   aggiudicazione  rappresentano  storicamente  il
paradigma      dell'azione      dell'amministrazione     in     forme
procedimentalizzate.   Nessun   dubbio   che  in  tali  procedure  si
scarichino  talune  esigenze  di tutela della concorrenza; ma restano
pur  sempre  procedimenti amministrativi, la cui disciplina normativa
e'  attribuita  ai  pubblici  poteri  secondo  il criterio di riparto
indicato  dall'art. 29,  comma  2,  della  legge n. 241/1990, che sul
punto applica fedelmente il nuovo impianto costituzionale, negando la
competenza esclusiva dello Stato: «le regioni e gli enti locali, nell
`ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate
dalla  presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle
garanzie  del  cittadino  nei  riguardi  dell `azione amministrativa,
cosi' come definite dai principi stabiliti dalla presente legge».
    3.5.  -  L'art. 4,  comma 3 appare costituzionalmente illegittimo
anche  per  contrasto  con  l'art. 117,  comma  5 della Costituzione,
«secondo il quale «le regioni (...), nelle materie di loro competenza
(...)  provvedono  all  `attuazione e all'esecuzione (...) degli atti
dell'Unione  europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite
da  legge  dello  Stato (...)». L'art. 16 della legge 4 febbraio 2005
n. 11,  recante  «Norme  generali sulla partecipazione dell'Italia al
processo   normativo   dell'Unione   europea  e  sulle  procedure  di
esecuzione degli obblighi comunitari», prevede che le regioni possono
(autonomamente) dare immediata attuazione alle direttive comunitarie,
salvo  il  rispetto:  a)  dei  principi  fondamentali non derogabili,
stabiliti  dalla legge nazionale (legge comunitaria) nelle materie di
competenza concorrente; b) dei criteri e delle direttive contenute in
leggi  statali  o  in  regolamenti attuativi della legge comunitaria,
nelle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. Resta
inteso  che  lo  Stato  puo' procedere all'attuazione delle direttive
comunitarie   in  ambiti  materiali  di  competenza  residuale  delle
regioni,  nel  caso  di  inerzia  regionale  rispetto  all'obbligo di
attuazione;  in  questo  caso,  pero',  la disciplina statale risulta
cedevole,   rispetto   alla   sopravvenuta  disciplina  regionale  di
attuazione (art. 11, comma 8, legge n. 11/2005 cit.).
    Tale  complessiva  impostazione sembra essere stata disattesa dal
Codice.   Di   fronte   alla  possibile  attuazione  delle  direttive
comunitarie  17/2004/CE  e  18/2004/CE  da  parte regionale, la legge
statale  non  ha  lasciato  alle  regioni, di fatto, alcun margine di
autonomia  normativa, coprendo con la propria legislazione vincolante
e  di  dettaglio  (anche  per  gli  appalti  «sotto  soglia»)  ambiti
materiali  pacificamente  attribuiti dalla Costituzione alla potesta'
normativa regionale residuale e concorrente..
    3.6.  -  Anche  sotto i profili evidenziati durante l'esame della
presente  censura emerge come il Governo abbia ecceduto rispetto alla
delega assegnata. I principi della delega indicavano: a)la necessita'
di  compilare un unico testo normativo che recepisse le due direttive
in  materia  di  procedure  di  appalto,  coordinando  anche le altre
vigenti  disposizioni  ai  principi  del  diritto  comunitario; b) la
necessita'  di  semplificare  le  procedure  di  affidamento  che non
costituiscono  diretta  applicazione  delle  normative comunitarie, a
fini  di  contenimento  dei  tempi  e  di massima flessibilita' degli
strumenti giuridici.
    Per quanto sub a), nelle intenzioni del legislatore delegante, il
recepimento  delle direttive doveva naturalmente seguire il descritto
iter  attuativo,  previsto  dall'ordinamento  nazionale, senza alcuna
forzatura  del  sistema  di riparto delle competenze normative tra lo
Stato   e   le   regioni.   Per   quanto  sub  b),  le  finalita'  di
semplificazione,  di flessibilita' giuridica e di accelerazione delle
procedure  appaiono  contraddette  dall'impostazione accentrativa del
Codice,  che  ha  trasformato, da cedevole, in vincolante, la propria
disciplina  di dettaglio anche in materie pacificamente attribuite in
Costituzione alla competenza normativa delle regioni.
    3.7.    -    Infine,    ulteriore   profilo   di   illegittimita'
costituzionale,  con  riguardo alla norma in esame, si pone sul piano
della   violazione   del  principio  di  leale  collaborazione.  Come
sottolineato  dalla  Corte, costituziona1e «questioni di legittimita'
costituzionale  possono  insorgere  per  le  interferenze  tra  norme
rientranti  in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo
Stato  ed  altre (...) alle regioni. In tali ipotesi puo' parlarsi di
concorrenza   di   competenze   e   non  di  competenza  ripartita  o
concorrente.   Per   la   composizione  di  sffatte  interferenze  la
Costituzione  non  prevede  espressamente  un  criterio  ed e' quindi
necessaria   l'adozione   di   principi   diversi:  quello  di  leale
collaborazione,  che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle  peculiarita'  delle  singole  situazioni, ma anche quello della
prevalenza,  cui  pure  questa  Corte  ha  fatto ricorso (v. sentenza
n. 370  del  2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo
essenziale  di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad
altre» (sentenza n. 50/2005).
    Anche  il  Consiglio  di Stato, nel proprio parere del 6 febbraio
2005 aveva richiamato l'attenzione del Governo ªin questo «settore in
cui  il  riparto  di  competenze  tra  Stato  e  regioni e' altamente
problematico,   sulla   particolare   importanza   del  parere  della
Conferenza  unficata  (...),  reso  in data 9 febbraio 2006». Come si
ricordera',  in  tale parere la stessa Conferenza unificata esprimeva
le sue forti perpiessita' sul sistema di riparto delle competenze tra
Stato  e regioni, disegnato dall'art. 4. Eppure il Governo, di fronte
al  circostanziato  parere  negativo  della  Conferenza (e ai rilievi
critici  sul  medesimo  punto  espressi  dal  Consiglio  di Stato) ha
proceduto  unilateralmente  alla  formulazione  delle norme in questa
sede impugnate.
    4.   -   Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 5  del  d.lgs.
n. 163/2006,  in  relazione  agli  artt. 76.  97,  117  e  118  della
Costituzione;   violazione   dei   principi  costituzionali  relativi
all'esercizio del potere regolamentare e del principio, di legalita'.
    4.1.  -  Le  considerazioni  espresse  nelle  precedenti  censure
ridondano  come  motivo  di illegittimita' costituzionale dell'art. 5
del   Codice  che,  al  comma  1  stabilisce:  «Lo  Stato  detta  con
regolamento  la  disciplina esecutiva e attuativa del presente codice
in  relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di
amministrazioni  ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui
all'art.  4,  comma  3,  in  relazione  ai  contratti  di  ogni altra
amministrazione  o  soggetto  equiparato»; ed al comma 2 prevede che:
«il  regolamento  indica quali disposizioni, esecutive o attuative di
disposizioni  rientranti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti
di  legislazione  statale  esclusiva,  siano  applicabili  anche alle
regioni e province autonome».
    Va   da  se'  che,  in  forza  del  parallelismo  tra  competenza
legislativa  e  regolamentare,  previsto dall'art. 117, comma 6 Cost.
(«la  potesta'  regolamentare  spetta  allo  Stato  nelle  materie di
legislazione  esclusiva,  salva  delega  alle  regioni.  La  potesta'
regolamentare  spetta  alle  regioni in ogni altra materia»), laddove
l'art. 4,  comma  3,  ha ascritto alla potesta' legislativa esclusiva
dello  Stato  materie  che  invece  debbono  ritenersi  non ricadenti
nell'art. 117,  comma 2 Cost. (procedure di affidamento, attivita' di
progettazione,  piani  di  sicurezza,  direzione  dell'esecuzione dei
contratti,  direzione dei lavori, contabilita' e collaudo), il Codice
ha  finito  per attribuire allo Stato, in quelle materie, un'indebita
potesta'  regolamentare di attuazione delle norme del Codice, ampia e
onnicomprensiva,  vincolante  (e  non cedevole) anche per gli appalti
pubblici di interesse regionale (per il principio in base al quale, i
regolamenti   governativi,   compresi   quelli   delegati,  non  sono
legittimati  a  disciplinare  materie  di  competenza regionale, cfr.
Corte  costituzionale  nn.  461/1991;  333/1995;  482/1995; 408/1998;
302/2003).