LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza, nel processo di cui a margine. Letti gli atti relativi all'appello proposto dal p.m. di Rovereto avverso la sentenza dell'11 maggio 2004 con cui il Tribunale monocratico di Rovereto assolveva Matteotti Luciano dal reato di falsa testimonianza perche' il fatto non sussiste; Rilevato che nelle more del giudizio e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, il cui art. 1, comma 2 ha riformulato l'art. 593 c.p.p. stabilendo che il p.m. puo' appellare contro le sentenze di proscioglimento nella sola ipotesi che dopo il giudizio di primo grado sopravvengano o siano scoperte nuove prove aventi il requisito aventi il requisito della decisivita', ed il cui art. 10, comma 2, stabilisce che l'appello proposto dal p.m. contro la sentenza di proscioglimento prima dell'entrata in vigore della legge dev'essere dichiarato inammissibile; Considerato che la novella, limitando la facolta' di appello alla sola ipotesi marginale e di rarissima verificazione teste' specificata, ha praticamente soppresso il potere del p.m. di appellare contro le sentenze di proscioglimento; Ritenuto che le anzidette disposizioni della nuova legge creano disparita' di trattamento tra p.m. e imputato, laddove si nega soltanto al primo la possibilita' di chiedere un controllo di merito sulla decisione difforme dalle proprie aspettative, che tale asimmetria tra accusa e difesa sembra travalicare i limiti fissati dal secondo comma dell'art. 111 della Costituzione, a norma del quale «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parita»; Ritenuto altresi' che l'appello nasce storicamente e si giustifica giuridicamente come rimedio per correggere nel merito l'erronea decisione del giudice; che il, giudice puo' sbagliare con pari probabilita' sia condannando l'innocente che assolvendo il colpevole; che l'interesse pubblico alla punizione del reo e' meritevole di tutela tanto quanto l'interesse dell' imputato all'affermazione della propria innocenza; che pertanto una disciplina che prevede un contraddittorio dimidiato, in cui l'imputato soccombente puo' appellare, mentre il pubblico accusatore non puo' farlo, con la conseguenza che gli eventuali errori di fatto, in caso di assoluzione, diventano irrimediabili, istituisce un'irragionevole disuguaglianza fra le parti necessarie del processo penale; Ritenuto pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimita' delle sopracitate disposizioni di legge per contrasto con l'art. 111, secondo comma, della Costituzione; Ritenuto altresi' che la questione e' rilevante perche' dalla sua soluzione dipende la decisione di questa corte di esaminare l'appello del p.m. o dichiararlo inammissibile.