ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
14 marzo  2002, relativa all'insindacabilita' delle opinioni espresse
dall'on. Cesare Previti nei confronti della signora Stefania Ariosto,
promosso  con  ricorso  del  Tribunale  di  Monza  -  Sezione penale,
notificato   il  6  giugno 2003,  depositato  in  cancelleria  il  24
giugno 2003 ed iscritto al n. 24 del registro conflitti 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  20  giugno 2006  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    Nel  corso  di procedimenti penali riuniti, a carico del deputato
Cesare Previti, imputato, in concorso con alcuni giornalisti e con il
direttore  responsabile  di  una  testata giornalistica, del reato di
diffamazione  a  mezzo  stampa,  per  le  dichiarazioni rilasciate su
Stefania  Ariosto  e pubblicate nel periodo compreso tra il 26 maggio
1996  e  il  13 dicembre  1997,  il  Tribunale di Monza, con atto del
26 marzo  2002,  ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti
della deliberazione del 14 marzo 2002 (doc. IV-quater, n. 22), con la
quale  la  Camera  dei  deputati  ha ritenuto insindacabili, ai sensi
dell'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione,  le  dichiarazioni
riguardo  alle  quali sono state formulate le imputazioni, risultanti
dai  fogli  allegati  all'atto  introduttivo  del  conflitto; in tali
dichiarazioni  si fa, tra l'altro, riferimento alla Ariosto, teste in
un procedimento penale nel quale il predetto deputato era coimputato,
come  ad  una  «una  bugiarda  calunniatrice»,  «un teste falso», che
avrebbe   inventato   fatti,  luoghi,  tempi,  persone,  circostanze,
prospettandosi,  inoltre,  la  possibilita' che la stessa fosse stata
ricompensata  da organismi pubblici con considerevoli somme di danaro
o  altri  beni  per  le  accuse  che  gli aveva rivolto, e che la sua
testimonianza  fosse un elemento di un impianto accusatorio costruito
anche con una «inesistente intercettazione ambientale».
    Secondo  il  Tribunale  ricorrente,  la  descritta  condotta  del
deputato  Previti  non potrebbe essere ricompresa nella previsione di
cui  al  primo comma dell'art. 68 della Costituzione, dal momento che
«non  possono  farsi  rientrare tra gli atti tipici dell'attivita' di
membro  del  Parlamento i discorsi pronunziati da un parlamentare nel
proprio personale interesse e finalizzati ad ottenere - come nel caso
di  specie  - il rigetto di una istanza di autorizzazione a procedere
all'applicazione  di  una misura cautelare fra quelle specificate nel
libro   quarto,  titolo  primo,  del  codice  di  procedura  penale».
Pertanto,  la deliberazione di cui si tratta avrebbe illegittimamente
interferito   nella   sfera   di   attribuzioni,   costituzionalmente
garantite, dell'autorita' giudiziaria.
    Il  conflitto  e'  stato  dichiarato ammissibile con ordinanza di
questa Corte n. 180 del 2003, depositata il 23 maggio 2003.
    Il Tribunale di Monza ha provveduto a notificare tale ordinanza e
l'atto  introduttivo  del giudizio innanzi a questa Corte alla Camera
dei  deputati  in  data  6  giugno 2003, depositandoli entrambi il 24
giugno 2003.
    Si  e'  costituita  in  giudizio,  con  memoria  depositata il 26
giugno 2003, la Camera dei deputati, eccependo la inammissibilita' e,
in  subordine,  la  irricevibilita'  del  ricorso,  e, nel merito, la
infondatezza  dello  stesso.  Sotto  il primo profilo, si denuncia la
assenza  di  una  compiuta  descrizione  dei  fatti  di  causa  e, in
particolare,  del contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia dal
parlamentare   di   cui  si  tratta,  emergente  non  gia'  dall'atto
introduttivo  del  giudizio,  ma  solo da alcuni «fogli», ritenuti di
incerta natura, pervenuti alla Camera dei deputati unitamente ad esso
e all'ordinanza della Corte.
    Ulteriore  ragione  di  inammissibilita'  viene  ravvisata  nella
mancanza,  nell'atto  introduttivo  del  giudizio  per  conflitto  di
attribuzione  -  adottato  nella  forma della ordinanza, anziche' del
ricorso -, dei requisiti prescritti, con particolare riferimento alla
indicazione  del  petitum.  Infine,  si lamenta che il ricorrente non
abbia   menzionato   i   parametri   costituzionali   nei   quali  si
radicherebbero le sue attribuzioni.
    In  subordine,  viene  dedotta la irricevibilita' dell'atto, alla
luce  del  rilievo  che  la  forma  dell'ordinanza  data  allo stesso
consentirebbe,  in contrasto con il principio di parita' tra le parti
del  giudizio,  l'aggiramento  della  disposizione  dell'art. 6 delle
norme  integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale, a
tenore del quale la parte deve depositare i propri documenti in tante
copie  in  carta  libera  quanti  sono  i componenti della Corte e le
parti.
    Nel  merito,  la  difesa della Camera conclude per il rigetto del
ricorso,  rilevando  un inscindibile nesso funzionale tra le predette
dichiarazioni e la funzione parlamentare. In proposito, si richiamano
una  serie  di  interrogazioni ed interpellanze, la prima delle quali
risalente   al   5   giugno 1996,  facenti  riferimento  alla  scarsa
credibilita'    del   teste   Ariosto,   ed   aventi   un   contenuto
sostanzialmente sovrapponibile a quello delle opinioni espresse extra
moenia  dal  deputato  Previti.  La difesa della Camera dei deputati,
inoltre,  sottolinea  come  la  vicenda  della  Ariosto  fosse  stata
discussa   ampiamente   in   sede  parlamentare  in  occasione  della
presentazione,  da parte della Procura della Repubblica di Milano, il
3 settembre  1997,  di  un  richiesta  di  autorizzazione a procedere
all'arresto  cautelare  dello stesso deputato, richiesta ripresentata
il 12 dicembre 1997, dopo un primo rinvio alla Procura da parte della
Camera in data 18 settembre 1997. Nel corso del relativo procedimento
parlamentare,  il  deputato  Previti  era  stato  ascoltato  in  data
8 gennaio  1998,  ed aveva depositato una memoria scritta, tenuta poi
presente  dalla  Giunta per le autorizzazioni, che aveva rivolto alla
Camera   la   proposta,   accolta,   di  diniego  dell'autorizzazione
all'arresto.  Ed  anche  successivamente  al predetto intervento, nel
corso   della   discussione   in   assemblea   sulla   richiesta   di
autorizzazione,   altri   deputati  avevano  espresso  riserve  sulle
testimonianze rese dalla Ariosto.
    Ne' rileva, secondo la difesa della Camera, che i richiamati atti
parlamentari  tipici siano posteriori alle prime tra le dichiarazioni
di  cui  si tratta, in quanto anche gli atti successivi alle opinioni
manifestate   extra   moenia   sarebbero   utilizzabili  al  fine  di
identificare   il   nesso  funzionale  tra  dichiarazioni  e  mandato
parlamentare, ed, in ogni caso, dovrebbe ritenersi contestuale l'atto
tipico che sia intervenuto in un momento non separato da soluzione di
continuita' da quello delle dichiarazioni.
    Infine,  nessuna  influenza  avrebbe la circostanza della mancata
coincidenza tra gli autori di alcuni dei richiamati atti parlamentari
tipici  e  l'autore  delle  dichiarazioni  di  cui si tratta, essendo
evidente  la  utilizzabilita'  degli  atti di altro parlamentare - in
particolare,  se,  come nella specie, appartenente allo stesso gruppo
parlamentare  del  deputato  delle  cui opinioni si discute - ai fini
della ricostruzione del nesso funzionale.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Monza ha sollevato conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato nei confronti della Camera dei deputati, in
relazione  alla  deliberazione  adottata  dall'Assemblea  il 14 marzo
2002,  con  la  quale  e' stato dichiarato che i fatti per i quali il
deputato  Cesare  Previti  e'  imputato del reato di diffamazione nei
confronti  della  signora  Stefania  Ariosto, nel procedimento penale
pendente  innanzi al Tribunale di Monza, concernono opinioni espresse
da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e sono,
pertanto,  insindacabili  ai  sensi  dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione.
    2. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' del
conflitto,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte nella ordinanza n. 180 del 2003.
    3.  -  E'  infondata  l'eccezione di irricevibilita' del ricorso,
sollevata  dalla difesa della Camera, per l'assenza, nello stesso, di
una  compiuta  descrizione  dei fatti di causa e, in particolare, del
contenuto  delle  dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare di
cui   si  tratta,  emergente  non  gia'  dall'atto  introduttivo  del
giudizio,  ma  solo  da  alcuni  «fogli», ritenuti di incerta natura,
pervenuti alla Camera dei deputati unitamente ad esso e all'ordinanza
della Corte.
    E'  bensi' vero che questa Corte ha recentemente affermato che va
dichiarato  inammissibile  il  conflitto  di  attribuzione tra poteri
dello  Stato  sollevato  con ordinanza priva di ogni riferimento agli
specifici  fatti  per  cui si procede, senza che «a colmare la lacuna
della  mancata  descrizione  della  fattispecie  del  giudizio penale
possano  soccorrere  gli  atti  del procedimento penale irritualmente
trasmessi  dal  ricorrente, in quanto e' nel solo atto introduttivo e
negli   eventuali  documenti  ad  esso  allegati  che  devono  essere
rinvenuti  gli  elementi  identificativi  della  causa  petendi e del
petitum,  relativi  al  conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello
Stato» (v. ordinanza n. 129 del 2005).
    Tuttavia,   nella   specie,   il   richiamato  principio  non  e'
applicabile,  dal  momento  che  ognuno  di quei «fogli», debitamente
siglato   dal  giudice  procedente,  fa  parte  integrante  dell'atto
introduttivo  del  giudizio  per conflitto, come emerge dalla lettura
dello  stesso,  che vi fa espressa menzione, segnalando che si tratta
dei  fogli che riportano i capi d'imputazione per i quali si procede,
sicche'  e'  da  ritenere l'autosufficienza di tale atto agli effetti
della identificazione degli elementi del giudizio.
    4. - Parimenti infondata e' l'altra eccezione di inammissibilita'
ravvisata  nell'adozione  della  forma  dell'ordinanza,  anziche' del
ricorso, per l'atto introduttivo.
    E',   infatti,   principio   consolidato   nella   giurisprudenza
costituzionale  quello secondo cui, riguardo ai conflitti proposti da
una  autorita'  giudiziaria,  non  ha  rilievo  il  fatto  che l'atto
introduttivo   abbia,   anziche'   la   forma   del  ricorso,  quella
dell'ordinanza, qualora, al di la' del nomen iuris, l'ordinanza, come
nella  specie,  possieda  i  requisiti  di  sostanza necessari per un
valido ricorso (sentenze n. 193 del 2005 e n. 298 del 2004).
    5.  -  La  difesa  della  Camera  deduce altresi' la mancanza dei
requisiti   prescritti   per   l'atto  introduttivo  con  particolare
riferimento  alla  omessa indicazione del petitum, nonche' la mancata
indicazione  dei parametri costituzionali nei quali si radicherebbero
le attribuzioni del ricorrente.
    L'eccezione di omessa precisazione del petitum va disattesa sulla
base  della  costante  giurisprudenza  per  la  quale  «va  rigettata
l'eccezione   di   inammissibilita'  del  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri dello Stato, per avere il ricorrente omesso
di chiedere alla Corte una pronuncia di non spettanza alla Camera del
potere    in    contestazione,    cioe'    della   deliberazione   di
insindacabilita'  delle opinioni espresse da un parlamentare. Infatti
non  vi e' alcuna norma - costituzionale o ordinaria - che imponga di
adottare  forme  obbligate  per proporre un conflitto di attribuzione
tra  poteri,  essendo  prevalente  la  sostanza  della pretesa che il
ricorrente  introduce  nel  giudizio  davanti  alla  Corte» (sentenza
n. 164  del  2005).  Ne'  rileva che le censure non abbiano investito
nella sua totalita' la deliberazione di insindacabilita', ma si siano
concentrate  su  alcuni  profili  della  medesima  (v.,  per analoghe
affermazioni, sentenza n. 146 del 2005).
    Con    riguardo    alla    mancata   evocazione   dei   parametri
costituzionali,  l'eccezione  deve  essere  respinta in quanto, nella
specie,   risulta  chiara  ed  univoca  la  deduzione  relativa  alla
menomazione delle attribuzioni funzionali.
    6.  -  E'  infine  infondata anche l'eccezione di irricevibilita'
dell'atto, per contrasto con il principio di parita' tra le parti del
giudizio,   determinato   dall'aggiramento,   attraverso   la   forma
dell'ordinanza   data   all'atto   introduttivo,  della  disposizione
dell'art. 6  delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte
costituzionale,  a tenore del quale la parte deve depositare i propri
documenti  in  tante  copie  in carta libera quanti sono i componenti
della Corte e le parti.
    L'utilizzazione  della  forma  dell'ordinanza non implica, di per
se',  l'inosservanza delle prescrizioni di cui all'art. 6 delle norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale, e
«l'asserita  violazione  del  citato  art. 6 non risulta che abbia in
alcun  modo  pregiudicato, o reso meno agevole, l'attivita' difensiva
della  Camera  resistente. Cio' e' dimostrato dal carattere meramente
astratto  della  denunciata violazione del principio di eguaglianza e
del principio di parita' fra le parti del giudizio: principio che non
consente  di  addossare  oneri  squilibrati alle parti di un medesimo
giudizio,  ma  che certamente e' male invocato quando si sostiene che
la  difesa  della  Camera,  se  ricorrente,  si sobbarca all'onere di
produrre  numerose copie del ricorso laddove l'autorita' giudiziaria,
quando  e'  ricorrente, si sottrae a tale «difficolta' materiale». La
par  condicio  non  ha  nulla  a  che  vedere con una fattispecie che
richiederebbe,   nell'auspicio   della   difesa   della  Camera,  una
applicazione  (non  tanto  rigorosa,  quanto)  rigidamente  letterale
dell'art. 6  citato  da  parte  della  cancelleria  della  Corte  nel
sanzionare   una   irregolarita'   formale,   pur  se  non  idonea  a
pregiudicare  in qualsiasi modo la controparte.» (sentenza n. 193 del
2005, cit.).
    7. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    Spetta  a  questa  Corte  valutare  se  le dichiarazioni rese dal
parlamentare,   di   cui   la   Camera  dei  deputati  ha  dichiarato
l'insindacabilita'   ai   sensi   dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  siano  legate  da  nesso  funzionale  con le attivita'
svolte  dallo  stesso  deputato  nella  sua  qualita' di membro della
Camera, ed in particolare se esse siano «sostanzialmente riproduttive
di  una  opinione  espressa  in  sede parlamentare» (v., ex plurimis,
sentenze n. 260 del 2006, n. 28 del 2005, n. 20 del 2000).
    In  tale indagine, non assumono rilievo - nonostante le contrarie
deduzioni  della  difesa  della  Camera circa l'invocabilita' di atti
posteriori alle dichiarazioni, ovvero formulate da altri membri della
Camera - ne' gli atti attribuibili ad altri parlamentari (v. sentenze
numeri  193,  164 e 146 del 2005 e n. 347 del 2004), ne' quelli posti
in essere dallo stesso deputato in data posteriore alle dichiarazioni
oggetto del presente giudizio (sentenze numeri 223, 164, 146 e 28 del
2005; numeri 347 e 246 del 2004; n. 521 del 2002 e n. 289 del 1998).
    La  circostanza,  poi, che gli altri parlamentari, ai cui atti si
collegherebbero   le   dichiarazioni  oggetto  del  giudizio  penale,
appartengano  allo  stesso  gruppo dell'on. Previti non puo' influire
sull'estensione  della  garanzia  a soggetti diversi da quello cui si
riferisce la delibera di insindacabilita'.
    Questa  Corte  ha  recentemente  affermato  che  «e'  vero che le
guarentigie  previste  dall'art. 68  Cost.  sono poste a tutela delle
istituzioni  parlamentari  nel  loro  complesso e non si risolvono in
privilegi  personali  dei  deputati  e dei senatori. Da questa esatta
rilevazione  non  si  puo'  trarre  tuttavia la conseguenza che [...]
esista  una tale fungibilita' tra i parlamentari iscritti allo stesso
gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro
responsabilita'  civile e penale per le opinioni espresse al di fuori
delle  Camere:  l'art. 68, primo comma, Cost. non configura una sorta
di  insindacabilita'  del  gruppo,  per  cui  un  atto  o  intervento
parlamentare  di  un  appartenente  ad un gruppo fornirebbe copertura
costituzionale  per  tutti  gli  altri  iscritti  al gruppo medesimo»
(sentenza n. 249 del 2006).
    Sulla  base  di  tale  principio  deve,  pertanto,  escludersi la
rilevanza  delle  interrogazioni  e  interpellanze presentate nei due
rami   del   Parlamento  dal  5  giugno 1996  al  14 luglio  1997  da
parlamentari  diversi  dal  deputato Previti, pur se tutte relative a
valutazioni dei comportamenti della teste Stefania Ariosto.
    Con  riferimento  poi  alle  prime  dichiarazioni  addebitate  al
deputato  Previti, le stesse risalgono al 26 maggio 1996 e, cioe', ad
un'epoca di gran lunga precedente la prima richiesta della Procura di
Milano   di   autorizzazione   all'arresto  cautelare  del  deputato,
risalente  al  3  settembre,  richiesta  non  esaminata  dalla Camera
perche'  avanzata  prima  che  il giudice per le indagini preliminari
avesse  emesso  ordinanza  di  custodia  cautelare, poi riproposta il
12 dicembre  1997 (e rigettata), ed in relazione alla quale lo stesso
Previti  fu  ascoltato, e deposito' una memoria scritta, solo in data
8 gennaio 1998.
    L'indicata  successione degli eventi esclude l'applicabilita' dei
principi  enunciati  nella  sentenza n. 223 del 2005, che ha ritenuto
coperte  dalla  garanzia  di  insindacabilita' le dichiarazioni che -
mentre   e'  in  corso  il  procedimento  parlamentare,  disciplinato
dall'art. 18  del regolamento della Camera - il deputato destinatario
della  misura  cautelare  da  autorizzare  renda a proposito di essa,
fuori  dalla  sede  del  Parlamento,  prima di essere ascoltato dalla
Giunta  (o di avere altrimenti esercitato al riguardo le sue funzioni
parlamentari),  in  quanto  le stesse sono collegate alla pendenza di
quel   procedimento  parlamentare,  si'  da  restarne  in  tal  senso
qualificate.
    In  conclusione, per nessuna delle dichiarazioni rese all'esterno
del   Parlamento   sussiste   il  nesso  funzionale  con  l'esercizio
dell'attivita' parlamentare.
    Le  dichiarazioni  del  deputato Previti non rientrano, pertanto,
nell'esercizio  della  funzione  parlamentare  e  non  sono garantite
dall'insindacabilita'.  Conseguentemente,  l'impugnata delibera della
Camera   dei  deputati  ha  violato  l'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  ledendo  le  attribuzioni  dell'autorita'  giudiziaria
ricorrente, e deve essere annullata.