IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Vista l'eccezione di incompetenza per materia proposta in via preliminare dalla difesa dell'imputato; Visto il parere del p.m., volto al rigetto della eccezione; O s s e r v a Con decreto emesso il 14 aprile 2005, il p.m. presso il Tribunale di Genova disponeva la citazione a giudizio di Della Rocca Alfonso, per rispondere del reato di cui all'art. 187, comma 7, in relazione all'art. 186, comma 2, del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, «per avere circolato alla guida di un veicolo in stato di alterazione fisica e psichica correlato con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, fatto accertato in Genova il 22 luglio 2004.». Nella fase degli atti preliminari, la difesa dell'interessato ha eccepito l'incompetenza per materia del tribunale in composizione monocratica, ritenendo sussistere, in ordine al procedimento per il reato di cui all'art. 187 comma 7 cs, la competenza del giudice di pace. L'eccezione risulta fondata sull'interpretazione letterale dell'art. 186 cs (laddove recita, al comma 2, in tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale») e dell'art. 187 cs (laddove, al comma 7, in tema di guida sotto l'influsso di stupefacenti, omette di fare espresso riferimento alla disposizione citata, limitandosi a stabilire che il contravventore «e' punito con le sanzioni dell'art. 186 comma 2»). Da tale interpretazione discenderebbe la inevitabile conseguenza che, in materia di guida in stato di alterazione fisico-psichica, e' stata determinata una duplice competenza a seconda della diversa sostanza efficiente implicata: in caso di bevande alcooliche, la competenza spetterebbe al tribunale (per la espressa previsione di cui all'art. 186 comma 2); in caso di sostanze stupefacenti o psicotrope, la competenza spetterebbe (rectius rimarrebbe, ex lege n. 274/2000) al giudice di pace (per la mancata espressa previsione di cui all'art. 187 comma 7). A sostegno dell'eccezione, la difesa ha prodotto la recente sentenza n. 35628/2005 con la quale la sezione I della Corte di cassazione, risolvendo un conflitto di competenza negativo, in un caso analogo a quello in esame, ha dichiarato la competenza del giudice di pace. Il p.m. ha richiesto il rigetto della eccezione proposta, ritenendo sussistere in merito la competenza del tribunale in composizione monocratica, parimenti operante in ordine a entrambe le fattispecie criminose di cui agli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 cs. Ritiene il tribunale che, nel caso in esame, sussistano i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 186, comma 2 e 187, comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. In effetti, la questione appare rilevante e non manifestamente infondata. A) sulla rilevanza. Emerge dagli atti che l'imputato, in fatto, e' stato tratto a giudizio per rispondere di guida in stato di alterazione fisica e psichica legata all'uso di sostanze stupefacenti. Sotto questo profilo, sull'accordo delle parti, e' stata prodotta e acquisita la documentazione relativa al controllo eseguito dai verbalizzanti nei confronti dell'odierno imputato, nonche' le risultanze delle successive analisi per la ricerca di oppiacei. Corretta appare, pertanto, la contestazione ai sensi dell'art. 187, comma 7 cs, disposizione applicabile al caso di specie. La norma in esame rinvia espressamente all'art. 186, comma 2 cs. Tale rinvio, peraltro, non risulta operato all'intera disciplina contenuta nel comma di riferimento. Da un lato, infatti, si esplicita che il rinvio e' operato quoad poenam; dall'altro, vi e' un ulteriore rinvio, espresso, alle sole «disposizioni del comma 2, ultimo periodo, dell'art. 186». Tutto cio', in astratto, sembra escludere che l'art. 187, comma 7 cs possa riferirsi anche alla clausola «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale», che rappresenta, nell'ambito dell'art. 186, comma 2, il secondo periodo. In questi termini, la questione e' rilevante, poiche' la norma applicabile al caso di specie e' l'art. 187 comma 7 cs in combinato disposto con l'art. 186 comma 2 cs, e dalla sua interpretazione, in difformita' o conformemente al principio di diritto affermato dalla suprema Corte, discendono ben precise conseguenze in ordine alla competenza del giudice. B) sulla non manifesta infondatezza. Nell'ambito del codice della strada, le disposizioni di cui agli artt. 186 e 187 hanno sempre costituito un «sistema» unitario, entrambe attenendo allo stesso tipo di comportamento illecito, cioe' la guida in stato di alterazione psico-fisica indotta dall'uso di sostanze «attive», quali l'alcol o gli stupefacenti, ed essendo, quindi, in tal senso, entrambe preposte a garantire la sicurezza della circolazione stradale. Per tali ragioni, sul piano delle conseguenze del fatto, il legislatore ha precostituito il medesimo tipo di sanzioni, sia principali (pena congiunta arresto-ammenda), sia amministrativo-accessorie (sospensione della patente di guida), e, sul piano processuale, ha stabilito la competenza dello stesso giudice (prima pretore, poi tribunale in composizione monocratica). Con la normativa istitutiva della competenza penale del giudice di pace, insieme ad altri reati «minori», anche le fattispecie contravvenzionali di cui agli artt. 186 e 187 cs sono state attribuite a quell'organo giudicante (ex art. 4 comma 1, lett. q) del d.lgs. n. 274/2000) e sono state poi sottoposte al regime sanzionatorio differenziato. In realta', tale «nuovo regime» ha avuto breve durata. Infatti, il d.l. 27 giugno 2003 n. 151, poi convertito nella legge 1° agosto 2003 n. 214, ha rivisitato la materia, nel quadro di un intervento piu' ampio, volto ad integrare e modificare, in maniera complessiva, la disciplina del codice della strada, onde migliorarne la funzione preventiva, anche attraverso una impostazione di maggiore efficacia sanzionatoria. Proprio in questa ottica di maggior rigore nei confronti delle violazioni delle norme codicistiche, si inquadra, come del resto puo' agevolmente evincersi dai lavori preparatori e dal dibattito relativo, l'intervento in ordine agli artt. 186 e 187 in esame, principalmente rivolto a ripristinare la portata afflittiva delle originarie sanzioni penali (arresto e ammenda, da applicarsi congiuntamente). Da tale scelta, dovrebbe discendere, quale logico corollario, l'esigenza di ricondurre le fattispecie in esame alla competenza del giudice togato. D'altro canto, al di la' di ogni considerazione in ordine alle pene, il ripristino della originaria competenza avrebbe un suo significato ben preciso anche in considerazione della peculiarita' del procedimento penale in materia, caratterizzato da significative difficolta' di accertamento dei fatti (in tutti i casi in cui il conducente non sia stato sottoposto ai test e alle analisi tecniche, per rifiuto soggettivo o impossibilita' oggettiva). Ora, la modifica del 2003, se si eccettua la puntuale indicazione delle pene, e' stata attuata in maniera poco chiara, sia per quanto concerne la composizione strutturale della fattispecie, certamente disorganica, sia per quanto attiene alle espressioni linguistiche utilizzate, assolutamente improprie e fuorvianti. Ne deriva un intervento normativo non certo adeguato dal punto di vista tecnico-formale. Infatti, sotto il primo profilo, il continuum dell'art. 186 comma 2 cs, laddove viene descritta la fattispecie contravvenzionale e vengono indicate le sanzioni, principali e accessorie, e' stato spezzato attraverso l'inserimento, dopo le sanzioni penali e prima delle sanzioni amministrativo-accessorie, di una clausola specifica. Detta clausola, sotto il secondo profilo, reca la formula seguente, invero originale: «Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale». Da cio' discende la seguente formulazione complessiva dell'art. 186 comma 2 cs: «Chiunque guida in stato di ebbrezza e' punito, ove il fatto non costituisca piu' grave reato, con l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda da euro 258 a euro 1.032. Per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale. All'accertamento del reato consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente ...». A sua volta, l'art. 187 comma 7 cs, cosi' recita: «Chiunque guida in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, ove il fatto non costituisce piu' grave reato, e' punito con le sanzioni dell'art. 186, comma 2. Si applicano le disposizioni del comma 2, ultimo periodo, dell'articolo 186». Il sistema e' poi completato con le fattispecie che sanzionano le due ipotesi di «rifiuto» da parte del conducente a sottoporsi ai test e agli accertamenti di rito. In questi termini, l'art. 186 comma 7 (in origine comma 6) cosi' recita: «In caso di rifiuto ..., il conducente e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, con le sanzioni di cui al comma 2»; a sua volta, l'art. 187 comma 8 (in origine comma 5), stabilisce che «In caso di rifiuto.., il conducente e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, con le sanzioni di cui all'art. 186, comma 2». In questo ambito, - fermo il ripristino delle sanzioni - poiche', in origine, la competenza, per tutti i reati, era del tribunale in composizione monocratica, e poiche', per quegli stessi riti, dopo l'istituzione del giudice di pace, una disposizione di legge, analitica e organica (l'art. 4 comma 1, lett. q) del d.lgs. n. 274/2000), ha attribuito la competenza a quest'ultimo, e' evidente che una riforma in merito avrebbe dovuto passare attraverso il sistema della abrogazione espressa di quella disposizione, oppure attraverso una nuova, puntuale disciplina della competenza. Ma cio' non e' avvenuto. Cosi', in assenza di un intervento formale adeguato, il ricorso a una formula anomala («per l'irrogazione della pena») e la sua particolare collocazione - sia strutturale (a interrompere la disposizione sulle conseguenze sanzionatorie della violazione), sia sistematica (all'interno del solo art. 186 cs) - ha prodotto non poche ambiguita' interpretative (non e' il caso, qui, di ricordare talune letture ardite di parte della dottrina). In questo quadro e' intervenuta l'interpretazione, per cosi' dire «razionale e obbligata», del giudice di legittimita', accolta nella sentenza n. 35628/2005 citata e, in oggi, avanzata dalla difesa dell'imputato. Secondo la suprema Corte, la formula «per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale» e' comunque espressiva di una attribuzione di competenza in senso tecnico. Peraltro, detta attribuzione, inserita nell'ambito del solo art. 186 comma 2 cs, opera esclusivamente in presenza della fattispecie di guida in stato di ebbrezza alcolica, e non anche in presenza di guida in stato di alterazione psico-fisica da assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Infatti, da un lato, l'art. 187 comma 7 cs, nel disciplinare la fattispecie criminosa, richiama l'art. 186 comma 2 esclusivamente per la parte relativa alle sanzioni (comma 2, prima parte); dall'altro, la stessa norma, nel momento in cui ha voluto ampliare la portata del rinvio, sul piano della disciplina, lo ha fatto espressamente, col richiamo all'ultimo periodo del secondo comma (in tema di «traino del veicolo» fermato) e solo a quello. In questo contesto, inevitabilmente - conclude la Corte - l'omesso richiamo alla disposizione attributiva della competenza al tribunale «non puo' considerarsi casuale, ne' puo' essere ovviato mediante una operazione interpretativa che si risolverebbe in una manipolazione della disciplina». Dunque, secondo la Corte, nell'ambito di fattispecie che hanno sempre costituito un sistema unitario, preposte alla tutela del medesimo tipo di bene (la sicurezza della circolazione stradale), sanzionate nel medesimo modo, vi sarebbe, dopo l'intervento normativo del 2003, una diversa ripartizione della competenza: del tribunale, in presenza di guida sotto l'influenza di sostanze alcoliche; del giudice di pace, in presenza di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope. Se tale, dunque, e' l'inevitabile portato interpretativo di una disciplina male strutturata, altrettanto inevitabili sono i dubbi di costituzionalita' che ne discendono. Non vi e', infatti, ragione alcuna perche' il legislatore debba operare una simile duplicazione di competenze (e di iter procedimentali). Anzitutto, e' cosa assolutamente inutile e antieconomica. In secondo luogo, viene a determinare un effetto paradossale: tra due ipotesi criminose, costruite come omogenee, al tribunale viene in realta' sottratta proprio quella in astratto piu' grave. Infatti, e' di tutta evidenza che tanto l'abuso di alcol quanto l'uso di sostanze stupefacenti incidono sulle capacita' del conducente, influenzandone il livello di attenzione, il grado di percezione, i tempi di reazione. Peraltro, cio' premesso, il disvalore delle due condotte e' ben diverso, quanto a presupposti e conseguenze pericolose: in un caso, viene in rilievo l'uso di sostanze di per se' consentite; nell'altro, l'utilizzo di sostanze la cui detenzione integra, gia' di per se', fatto illecito (al di la' delle soglie di punibilita); in un caso, vengono pregiudicate le capacita' percettivo-reattive della persona; nell'altro, si determinano (possono determinarsi) fenomeni ulteriori e ben piu' gravi (si pensi, ad esempio, agli effetti «superegocizzanti» della cocaina, o a quelli fortemente allucinatori di taluni prodotti di sintesi di ultima generazione). Infine, si viene ad attribuire al giudice di pace una fattispecie criminosa che prevede sanzioni (pena congiunta ammenda e arresto) incompatibili con quelle rimesse alla irrogazione di quell'organo giudicante, nonche' istituti processuali differenziati. Sotto questo profilo, non sarebbero praticabili riti alternativi, per la espressa esclusione di cui all'art 2, comma 2, lett f) e g) del d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274. Un tale intervento normativo, pertanto, non trova giustificazione alcuna, anzi risulta palesemente irrazionale, sia in se' e per se' considerato, sia nell'ambito del «sistema» in cui e' chiamato ad operare. In questi termini, appare violato il canone di ragionevolezza implicato nell'art. 3 comma 1 Cost., limite invalicabile alla discrezionalita' del legislatore. Conseguenza di tale violazione, per le ricadute procedimentali di cui si e' detto (imputati del reato di cui all'art. 186 comma 2, cs che potrebbero accedere a riti alternativi, e imputati del reato di cui all'art. 187 comma 7 cs, cui detti riti sarebbero preclusi), e' il pregiudizio ad altri parametri costituzionali, quali l'art. 3 Cost., essendo del tutto priva di giustificazione la limitazione del potere di scelta degli uni, rispetto agli altri, nonche' l'art. 24, comma 1 e 2, Cost., attenendo al «diritto alla difesa», inteso in senso lato, il complesso delle scelte che l'ordinamento riconosce all'imputato, anche in ordine al rito. Sulla base di tali elementi, complessivamente considerati, deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 186 comma 2 e 187 comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, cosi' come successivamente modificati, in relazione all'art. 3, comma 1, Cost., sotto il profilo della irrazionalita' della disciplina, all'art. 3, comma 1, Cost., sotto il profilo della ingiustificata disparita' di trattamento, all'art. 24, comma 1 e 2, Cost., sotto il profilo della compressione del diritto alla difesa, con conseguente sospensione del procedimento e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.