IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  a  carico di Ayari Ramzi Ben
Abdelhamid,  nato  a Tripoli (Libia) il 2 febbraio 1982, imputato del
reato  di  cui  all'art.  73, primo comma d.P.R. n. 309/1990 per aver
illecitamente  detenuto una modica dose di hashish, parte della quale
ceduta  ad  Ayari  Nourredine - capo 3 dell'epigrafe -, oltre che dei
delitti  di  resistenza  continuata  e aggravata a pubblici ufficiali
(capo   1)  e  di  lesioni  personali  pluriaggravate  in  danno  del
Carabiniere Pulera' Bruno (capo 2), fatti commessi in Perugia in data
5 marzo 2006;
    Rilevato   che  al  predetto  e'  stata  contestata  la  recidiva
reiterata di cui all'art. 99, quarto comma c.p.;
    Atteso  che  in  concreto,  valutate  le  modalita' del fatto, la
quantita'  di  stupefacente  detenuta e ceduta e l'offensivita' della
condotta, potrebbe risultare applicabile l'attenuante di cui all'art.
73,  quinto  comma d.P.R. n. 309/1990 (nel testo da ultimo modificato
in  base  all'art.  4-bis  della  legge  21  febbraio 2006, n. 49, di
conversione  del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272), che prevede
una  pena  oscillante  da  anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di
multa  ad  anni sei di reclusione ed euro 26.000,00 di multa in luogo
della  pena  edittale  oscillante  tra  un  minimo  di  anni  sei  di
reclusione  ed  euro 26.000,00 di multa e un massimo di anni venti di
reclusione ed euro 260.000,00 di multa;
    Considerato  che  ai  sensi dell'art. 69, quarto comma c.p., come
modificato  dall'art.  3  legge  n. 251/2005,  essendo ravvisabile la
recidiva  reiterata,  l'attenuante  potrebbe  al piu' essere reputata
equivalente,  con la conseguenza che per il fatto dovrebbe in sede di
condanna  irrogarsi una pena minima di anni sei di reclusione ed euro
26.000,00 di multa;
    Considerato  che  l'imputato,  all'esito  della convalida del suo
arresto  in  flagranza, una volta introdotto il giudizio direttissimo
ha  fatto  richiesta  di giudizio abbreviato condizionato e che, alla
odierna  udienza, al termine dell'assunzione delle prove testimoniali
ammesse  e  a seguito degli interventi conclusivi da parte del p.m. e
della difesa, questo giudice deve statuire in ordine alla sussistenza
o  meno  di  penale responsabilita' in relazione alle tre imputazioni
ascritte;
    Considerato  che  nella  elaborazione  del  giudizio  oggetto del
decidere  viene  in  evidenza la recente riformulazione dell'art. 69,
quarto  comma  c.p.,  disposizione la quale il giudicante opina possa
porsi in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.,

                        Osserva quanto segue

    1.  -  Il  legislatore  dispone  di  ampia discrezionalita' nella
determinazione  delle  pene,  mentre  il  giudice  deve  a  sua volta
procedere  alla  determinazione  della  pena  da irrogare in concreto
entro   i   limiti   stabiliti   e   nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli.
    Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla  considerazione  delle  finalita'  della  pena, in primis della
necessaria  destinazione  della sanzione penale alla rieducazione del
condannato.
    Ed  invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa,
la  Corte  costituzionale ha rilevato nelle sentenza n. 313/1990 che,
se  la  pena  non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa
ineriscono  caratteri  di  difesa  sociale e di prevenzione generale,
tuttavia  non  puo'  in  alcun modo pregiudi la finalita' rieducativa
espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost., non essendo
consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica
criminale  o  privilegiare  la soddisfazione di bisogni collettivi di
stabilita' e sicurezza.
    Secondo   la   Corte   costituzionale  in  pratica  la  finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena.
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la  pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della  previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione, dovendosi
correlare   al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di  una
divaricazione  tra  la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da
rieducare.
    In  pratica,  tutto  cio'  implica  che  la finalita' rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti  e  anche  remote  sentenze della Corte costituzionale (si
consideri  ad  es.  la  sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in
quanto  connaturata  alla  pena,  in ogni fase, compresa quella della
previsione  della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto
dell'art.  27,  terzo  comma  Cost. vincoli sia il legislatore sia il
giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza.
    Del   resto   sul   piano   della   disciplina  positiva  si  era
concretamente  stabilito  che  la  finalita'  risocializzante dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981,
segno  evidente  di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica,
della rieducazione e della risocializzazione.
    2.  -  Va  a  questo  punto  aggiunto  che,  pronunciandosi sulla
questione,  in  parte  diversa,  della legittimita' costituzionale di
pene  fisse,  la  Corte  costituzionale  ha piu' volte rilevato (cfr.
sentenze  n. 50/1980  e  n. 299/1992) che l'individualizzazione della
pena,  in  modo  da  tenere  conto  dell'effettiva  entita'  e  delle
specifiche   esigenze   dei  singoli  casi,  si  pone  come  naturale
attuazione  e  sviluppo  dei  principi costituzionali tanto di ordine
generale  (principio  di  uguaglianza)  quanto attinenti direttamente
alla  materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita'
della  pena  ex  art.  25,  secondo  comma  Cost.  si inserisce in un
sistema,  in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'.
In  tale  quadro,  si  e'  osservato  che  ha  un  ruolo  centrale la
discrezionalita'  giudiziale,  nell'ambito  dei criteri segnati dalla
legge.
    L'adeguamento  della  pena  ai  casi concreti contribuisce cosi',
secondo   la  Corte  costituzionale,  a  rendere  il  piu'  possibile
personalita'  penale,  in  ossequio  a  quanto previsto dall'art. 27,
primo  comma  Cost.,  e  ad assicurare una pena quanto piu' possibile
finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost.
    Il  soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  di  tali finalita'
costituisce  anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di
fronte  alla  pena,  intesa come proporzione della pena rispetto alle
personali   responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che  ne
conseguono.
    La  sentenza  n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del
disvalore  oggettivo  dei  fatti  -  reato  tipici  e quindi del loro
diverso  grado  di  offensivita' spetta al legislatore, competendo al
giudice   di   valutare  la  particolarita'  del  caso  singolo  onde
individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto
nella cornice posta dai limiti edittali.
    3. - Orbene, pur dovendosi riconoscere che, anche nel caso in cui
sia  preclusa,  come  ora  previsto  per  i  recidivi  reiterati  dal
riformulato  art.  69,  quarto  comma  c.p.,  la  formulazione  di un
giudizio  di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, permane un
residuo margine di graduabilita' della pena, deve pur sempre esigersi
che   tale  graduabilita'  sia  idonea  ad  assicurare  la  finalita'
rieducativa   e   nel   contempo  sia  connotata  da  razionalita'  e
proporzionalita',  intesi  quali parametri per il soddisfacimento del
principio di uguaglianza.
    Cosi',  venendo  al  caso  in  cui per valutazioni afferenti alla
concreta  offensivita'  del  reato  di  cui  all'art. 73, primo comma
d.P.R.  n. 309/1990  (nel testo da ultimo modificato in base all'art.
4-bis  della  legge  21  febbraio  2006,  n. 49,  di  conversione del
decreto-legge   30   dicembre   2005,   n. 272),  quest'ultimo  possa
considerarsi  come  di  lieve  entita', pare incongruo precludere con
riguardo  al  recidivo  reiterato  la  formulazione di un giudizio di
prevalenza  dell'attenuante  di  cui  al  comma  5  di  quella norma,
giacche'  in tal modo, sulla base di una mera presunzione, svincolata
dall'apprezzamento  del  fatto concreto e dall'effettiva personalita'
del  reo, il quale potrebbe essere gravato da precedenti assai tenui,
della  stessa  o di diversa indole, si imporrebbe l'irrogazione di un
trattamento  sanzionatorio corrispondente a quello che il legislatore
ha,  com'e' sua facolta', determinato invece in rapporto al disvalore
oggettivo del reato nella sua dimensione ordinaria.
    In  questo  caso  l'impossibilita'  di  modulate la pena entro il
minimo   e   il   massimo   previsto   per  il  caso  di  concessione
dell'attenuante  di  cui all'art. 73, quinto comma d.P.R. n. 309/1990
(intesa  nel  testo  attualmente  modificato  in  base  alla legge di
conversione  n. 49/2006)  sembra  produrre  un risultato irrazionale,
comportante  una  rilevante  disparita'  di  trattamento, non essendo
giustificabile  la  siderale distanza intercorrente tra l'irrogazione
di  una pena minima di anni uno di reclusione e multa e quella di una
pena  minima  di  anni  sei  di  reclusione  e multa, derivante dalla
formulazione, al piu', di un giudizio di equivalenza.
    Inoltre  poiche'  puo'  tendere ad una finalita' rieducativa solo
una   pena   che   sia  intrinsecamente  avvertibile  come  giusta  e
proporzionata  e  che  tenga  conto delle molteplici peculiarita' del
caso concreto, il limite alla formulazione del giudizio di prevalenza
appare  in  contrasto, oltre che con l'art. 3 Cost., anche con l'art.
27, terzo comma Cost.
    In   conclusione   si  appalesa  nella  specie  rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo
comma  Cost.,  la questione legittimita' costituzionale dell'art. 69,
quarto    comma    c.p.,   come   modificato   dall'art.   3,   legge
n. 251/2005, nella parte in cui non consente di formulare un giudizio
di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 73, quinto comma d.P.R.
n. 309/1990,  nel  caso di imputato recidivo ex art. 99, quarto comma
c.p.