Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale
dello Stato, presso i cui uffici ha il proprio domicilio in Roma, via
dei Portoghesi n. 12, ricorrente;

    Contro  la  Regione  Campania,  in  persona  del Presidente della
giunta   regionale   attualmente   in   carica,  resistente,  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 27, 35,
36,  37, 38, 39, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 e
58  del  titolo  III  della  legge  regionale  20 giugno 2006, n. 12,
recante  «Disposizioni  in  materia di amministrazione e contabilita'
del  Consiglio  regionale della Campania» pubblicata sul B.U.R. n. 29
del 3 luglio 2006.
    Nell'esercizio  della  propria competenza legislativa, la Regione
Campania  ha  emanato la legge regionale n. 12/2006 che ha ad oggetto
la      disciplina      generale      dell'ordinamento      contabile
dell'amministrazione regionale, la gestione delle risorse finanziarie
necessarie,   e   soprattutto  la  fissazione  di  norme  in  materia
contrattuale  (titolo  III),  sia  sotto il profilo organizzativo che
sotto  il  profilo  della scelta del contraente e dell'esecuzione dei
contratti.
    I  contratti  assoggettati  alla disciplina legislativa regionale
sono  essenzialmente  gli  appalti  di forniture e servizi di importo
inferiore  alla  soglia  di  rilievo comunitario (e quelli di importo
superiore  qualora  diversi  da  quelli  menzionati  dalle  direttive
europee),  nonche'  gli  appalti  di  1avori  pubblici  di  qualunque
importo, e i contratti d'opera professionale.
    Ora,   e'  noto  che  la  questione  del  riparto  di  competenza
legislativa  fra  Stato  e  regioni  in  materia  di  affidamento  ed
esecuzione  di  commesse  pubbliche  ha  avuto di recente un notevole
contributo  interpretativo  ad  opera delle sentenze n. 303 e 304 del
2003  e  n. 345  del  2004  della  Corte  costituzionale, nonche' una
precisa  regolamentazione ad opera del c.d. «codice degli appalti» di
cui al decreto legislativo n. 163/2006.
    In  base  ai principi desumibili dalle pronunce e dalle norme ora
richiamate,  e'  possibile  affermare  che  la  materia degli appalti
pubblici - ancorche' non espressamente menzionata dall'art. 117 della
Costituzione  -  non  appartiene  per  residualita'  alla  competenza
legislativa delle regioni.
    Come  affermato dalla Corte costituzionale a proposito dei lavori
pubblici,  ma con espressioni e concetti idonei a ricomprendere tutti
gli appalti pubblici (e quindi anche servizi e forniture), «si tratta
di  ambiti  di  legislazione  che  non  integrano  una vera e propria
materia,   ma   si   qualificano  a  seconda  dell'oggetto  al  quale
afferiscono,  e  pertanto possono essere ascritti di volta in volta a
potesta'  legislative  dello  Stato,  ovvero  a  potesta' legislative
concorrenti».
    Se  dunque  si  procede  a  scomporre la disciplina degli appalti
pubblici   in   tutti  i  suoi  momenti  (dell'organizzazione,  della
programmazione, del finanziamento, della scelta del contraente, della
sua    qualificazione,    dell'esecuzione    del   contratto,   delle
controversie)  si  ha  che  ciascuno  di  essi puo' essere ricondotto
all'ambito  di  legislazione cui appartiene la relativa materia, e di
conseguenza  puo'  essere  individuato  il  soggetto  titolare  della
connessa potesta' legislativa.
    Per  grandi  linee,  si  puo' affermare dunque che tutto cio' che
attiene alla fase dell'affidamento dell'appalto - contenuto dei bandi
di   gara,   criteri   di   aggiudicazione,  disciplina  della  gara,
qualificazione  dei  concorrenti  -  rientra nel generale concetto di
regolamentazione  della  concorrenza e di regolazione del mercato (ed
in  questa prospettiva e' la genesi di tutta la normativa comunitaria
in  materia,  nonche'  la  ragione della predominanza di questa sulla
normativa  interna), regolamentazione che, in quanto tale, appartiene
allo Stato in via esclusiva.
    In   tal   senso  e'  espressamente  l'orientamento  della  Corte
costituzionale,  che ha affermato che l'acquisto di beni e servizi da
parte   delle  pubbliche  amministrazioni  secondo  le  procedure  ad
evidenza  pubbliche costituisce la concreta attuazione della pienezza
dei  rapporti  concorrenziali.  «Le  procedure  ad evidenza pubblica,
anche  alla  luce  delle  direttive  della Comunita' europea (cfr. da
ultimo,  la  direttiva  2004/18/CE  del  31  marzo  2004, relativa al
coordinamento   delle   procedure  di  aggiudicazione  degli  appalti
pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo
fondamentale  per  la  tutela  della concorrenza tra i vari operatori
economici  interessati  alle  commesse pubbliche. Viene in rilievo, a
questo proposito, la disposizione di cui all'art. 117, secondo comma,
della  Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in
via  esclusiva  in  tema  di  tutela  della concorrenza» (Corte cost.
345/2004).
    E  la ragione e' piu' che evidente e risiede nella insopprimibile
esigenza   che  il  mercato  e  le  sue  regole  non  soffrano  della
frantumazione  conseguente  alla  pluralita' di possibili discipline,
articolate  secondo  le  differenziazioni  del territorio regionale e
ciascuna  rispondente  a  finalita'  politiche  diverse,  ed  abbiano
viceversa  una  disciplina omogenea ed unitana su tutto il territorio
nazionale.
    La  regione,  dunque,  non  puo'  emanare autonome norme di legge
destinate  a  disciplinare  le  procedure di affidamento di contratti
pubblici.
    Analogamente  va  ritenuto  con  riguardo  ad altri aspetti della
materie dei contratti pubblici, quali la sottoscrizione del contratto
e la sua esecuzione, il subappalto, la disciplina delle controversie.
    E'  infatti evidente che tutta la vicenda contrattuale appartiene
alla disciplina civilistica delle obbligazioni, delle loro fonti, del
loro adempimento, del loro inadempimento e delle relative conseguenze
giuridiche  (non  a  caso  il  contratto  di  appalto  trova compiuta
disciplina  negli articoli del codice civile, e l'appalto pubblico e'
tradizionalmente  ritenuto un contratto di diritto privato, ancorche'
speciale),  e  come  tale  rientra  a  pieno  titolo  nella  potesta'
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  cui  spetta,  sempre  a  norma
dell'art. 117  della  Costituzione, legiferare in tema di ordinamento
civile e penale.
    Per  quanto  poi riguarda il subappalto, oltre alla gia' rilevata
considerazione  del  suo  appartenere  all'ambito  del diritto civile
(art. 1656  c.c.),  vi  e'  l'ulteriore  e non meno rilevante aspetto
dell'assoggettamento  dell'istituto in questione a normativa speciale
(la  legge  19  marzo  1990,  n. 55)  di chiara ispirazione di ordine
pubblico,  e  cio'  costituisce  ulteriore elemento per ricondurre la
disciplina   del  subappalto  nell'esclusiva  signoria  dello  Stato,
competente   a   legiferare   sempre  ai  sensi  dell'art. 117  della
Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza.
    Le  regioni  pertanto  non  possono emanare norme proprie volte a
regolare gli aspetti contrattuali degli appalti pubblici.
    Possono  invece emanare norme dirette a disciplinare argomenti ed
istituti  che  sono  oggetto  di  competenza  legislativa concorrente
(programmazione,   esercizio   ed   effetti  dei  poteri  approvativi
specialmente   per   quanto   attiene   all'ambito   urbanistico   ed
espropriativo,  ecc.)  ma cio' nel rispetto dei principi fondamentali
desumibili dalle norme statali.
    Questo  e'  l'assetto  delle competenze legislative nella materia
degli  appalti  pubblici di lavori, servizi e forniture quale risulta
dalla  piu'  corretta  interpretazione dei principi costituzionali, e
quale  attualmente accolta nella piu' recente normativa emanata dallo
Stato sul punto: l'articolo 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163.
    Sulla  base  di  questi  concetti  e considerazioni preliminari e
generali,  la  legge  regionale  n. 12/2006  che  qui  si  impugna si
presenta   per   molti   versi  esuberante  rispetto  alle  linee  di
demarcazione della potesta' legislativa tra Stato e regioni tracciata
dalla   Costituzione,  e  sembra  aver  travalicato  i  limiti  della
competenza legislativa regionale in materia.
    Cio' e' avvenuto, secondo la Presidenza del Consiglio ricorrente,
in  relazione  a  molteplici  norme,  che di seguito si elencano e si
censurano.
    Articolo  27.  Il comma 3 di questa norma prevede che l'attivita'
contrattuale  relativa  ai  lavori  e  alle  opere  di competenza del
Consiglio  regionale  e'  disciplinata  dalla legge 11 febbraio 1994,
n. 109  - Legge quadro in materia di lavori pubblici - e dal relativo
regolamento di attuazione di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e
successive  modificazioni.  La  stessa norma regionale prevede che si
applichino  anche  le  disposizioni  della  legge regionale in quanto
«compatibili con la legge e il regolamento citati».
    Sennonche',  dietro a questa apparente dichiarazione di integrale
obbedienza  alla  legislazione statale in materia di lavori pubblici,
si  cela  una  (probabilmente  involontaria, in relazione ai tempi di
pubblicazione  del  provvedimento,  ma  non  per  questo meno palese)
rilevante violazione della competenza legislativa statale.
    Infatti,  come  e' noto, la legge 109/1994 e' stata espressamente
abrogata  per  effetto dell'entrata in vigore del decreto legislativo
163/2006, che costituisce ora il testo unico statale che regola tutta
la  materia  degli  affidamento  degli  appalti  pubblici,  di lavori
servizi e forniture.
    Molte  disposizioni  del  decreto legislativo 163/2006 riprendono
altrettante  disposizioni della precedente legge 109/1994 e non se ne
sono  discostate,  dettando una disciplina non difforme da quella ora
abrogata.  Ma  moltissime  altre  disposizioni  del  nuovo  testo  si
discostano  in  modo  radicale  dalla  precedente  normativa,  avendo
introdotto   istituti   nuovi   (sotto   la  spinta  delle  direttive
comunitarie) ed avendo rivoluzionato quelle che erano state le scelte
adottate dalla abrogata legge quadro (basti pensare al capovolgimento
del  principio  della  necessaria  separazione  tra  progettazione ed
esecuzione dei lavori).
    L'aver esplicitamente menzionato (e quindi «legificato» in ambito
regionale)  una  legge statale abrogata significa aver richiamato una
legge  che  non  e'  piu'  la  legge statale nella materia dei lavori
pubblici,  in  quanto  superata  da  altra legge statale ora vigente;
significa in sostanza aver dato forza ad un complesso di norme che e'
diverso  da  quello  statale  vigente,  e  che invece dovrebbe essere
interamente ed inderogabilmente applicabile.
    Ad  esempio,  in  tema di qualificazione delle imprese esecutrici
dei  lavori  pubblici  (materia  riservata  allo  Stato perche', come
detto,  connessa  alla  regolazione  del  mercato e alla tutela della
concorrenza)   la   legge   n. 109/1994   non   ammetteva  l'istituto
dell'avvalimento,  mentre  il  d.lgs.  n. 163/2006  espressamente  lo
prevede  in  attuazione  delle  direttive comunitarie. Ne deriva che,
applicando  la  legge  n. 12/2006, la Regione Campania nelle sue gare
dovrebbe   escludere   le  imprese  che  pretendono  di  qualificarsi
avvalendosi  dei  requisiti  di altre imprese, diversamente da quanto
avverrebbe altrove.
    Ad ulteriore esempio, in tema di regole della gara, applicando la
legge  n. 109/1994  la  Regione Campania non potrebbe porre a gara la
progettazione  definitiva  ed  esecutiva  di  un'opera  insieme  alla
realizzazione dei lavori, mentre tale possibilita' e' ora ammessa dal
d.lgs. 163/2006.
    In  altri  termini, per effetto della norma che qui si censura la
Regione  Campania  non  verrebbe  ad applicare nei lavori pubblici la
legge  statale  vigente,  ma ne applicherebbe un'altra, profondamente
differente  da  quella; e quindi si ha un inammissibile discostamento
dalla  regola  sopra affermata, che vuole riservata allo Stato in via
esclusiva  la  disciplina  dei  lavori  pubblici  negli  aspetti  che
riguardano materie devolute alla competenza statale.
    Ne'  vale  a  superare  la  censura  il  riferimento che la norma
regionale  fa  alle successive modifiche della legge statale, in modo
da potersi dire che la Regione Campania presta ossequio non solo alla
legge  n. 109/1994, ma anche a tutte le modificazioni successivamente
apportate  dal legislatore nazionale: un conto infatti e' la semplice
modifica della legge (sono state modifiche della legge n. 109/1994 le
varie  leggi  «Merloni»  bis,  ter  e  quater  -  216/1995, 488/1998,
166/2002  - adottate con la tecnica della novella), un altro conto e'
la  sostituzione  della  legge  con  altra  in  virtu' del meccanismo
dell'abrogazione integrale.
    L'articolo  27  della  legge  regionale  n. 12/2006  viola dunque
l'art. 117  della  Costituzione  perche' in via generale si adegua ad
una  legge (abrogata) diversa da quella statale vigente in materia di
lavori pubblici, e pertanto invade la sfera di competenza legislativa
dello  Stato  relativamente  agli  ambiti  a  questa  devoluti in via
esclusiva.
    Articolo 35. La norma della legge regionale elenca e definisce le
procedure  di  scelta del contraente. Di conseguenza, essa interviene
in ambito (la fase della scelta del contraente) strettamente connesso
alla  disciplina  della concorrenza, che ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione  spetta  alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato.
    Lo  Stato  ha  esercitato  la  competenza  in  questione  con gli
articoli  da  54  a  62 del decreto legislativo n. 163/2006, rispetto
alle   quali  norme  la  disposizione  di  legge  regionale  presenta
significativi    e    pertanto   costituzionalmente   illegittimi   -
scostamenti.
    Innanzitutto,  la  legge regionale non contempla tra le procedure
di  scelta  del  contraente  -  accanto  a  quelle,  per  cosi' dire,
tradizionali    -    il    dialogo    competitivo,   ora   introdotto
nell'ordinamento  nazionale su impulso della normativa comunitaria, e
che  pertanto  stando  alla  legge  qui censurata non potrebbe essere
utilizzato dalla regione stazione appaltante.
    In  secondo  luogo,  la stessa normativa regionale considera come
equivalenti  tutte  le  procedure  di  aggiudicazione  (ad eccezione,
ovviamente,   della   procedura  negoziata  che  per  sua  natura  e'
eccezionale),  mentre  la  normativa  statale  effettua  la scelta di
preferire  le  procedure  ristrette  quando  il  contratto  non ha ad
oggetto   la   sola   esecuzione   oppure   quando   il  criterio  di
aggiudicazione    e'    quello   dell'offerta   economicamente   piu'
vantaggiosa.
    Ancora,   la   norma   regionale   adotta  tra  le  procedure  di
aggiudicazione  le  procedure  telematiche,  che  identifica con asta
telematica  e  mercato  telematico,  le cui definizioni sono in parte
diverse  ed  in parte nuove rispetto alla corrispondente nomenclatura
statale  (art. 3,  comma  15 del d.lgs. n. 163/2006). Peraltro, nello
spirito  della  legge  statale,  l'asta  elettronica - che non e' una
nuova   e   diversa  procedura  di  aggiudicazione,  ma  un  modo  di
svolgimento  delle  procedure  di  aggiudicazione tradizionali - puo'
essere   espletata   solo  quando  ricorrano  determinate  condizioni
(art. 85,   comma   3,   del   d.lgs.   n. 163/2006)  e  non  in  via
generalizzata.
    La  norma  regionale,  pertanto,  in quanto interviene a regolare
fattispecie  di  esclusiva  competenza legislativa statale ed in modo
palesemente  difforme  da  quello adottato dalla legge statale, viola
l'art. 117 della Costituzione e si manifesta illegittimo.
    Articolo  36.  La disposizione del testo legislativo regionale si
occupa dei criteri di aggiudicazione.
    Anche  qui,  trattandosi di dettare le regole che presiedono alla
scelta  della  migliore  offerta  e quindi di disciplinare il modo di
svolgimento delle gare, si verte in ambito pertinente la tutela della
concorrenza  e dunque sussiste competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
    La norma che qui si censura viene invece a dettare una disciplina
propria,   diversa   da   quella   statale,   con   riferimento  alla
individuazione    e    alla   portata   del   criterio   dell'offerta
economicamente piu' vantaggiosa.
    Sotto   il   primo   profilo  (quello  della  individuazione  del
criterio),  l'offerta economicamente piu' vantaggiosa regionale viene
ad  essere  costituita  da  un  numero  di  elementi diversi e minori
rispetto   a  quelli  elencati  dalla  corrispondente  norma  statale
(art. 83  del d. lgs. n. 163/2006) e neppure e' previsto il carattere
esemplificativo  e  non  tassativo  dell'elenco  relativo.  Sotto  il
secondo  profilo  (quello  della portata), la norma regionale prevede
che  nella  valutazione  di  ciascun  elemento vi sia un principio di
prevalenza  numerico  dell'elemento  prezzo in relazione al punteggio
complessivo,  che  non trova riscontro alcuno nella normativa statale
vigente.
    In  definitiva,  nelle  gare  regionali  da  aggiudicarsi  con il
criterio   dell'offerta   economicamente  piu'  vantaggiosa  potranno
prevalere  solo  le prestazioni per le quali la convenienza economica
superi comunque il requisito qualitativo.
    Anche   la  norma  in  questione,  pertanto,  incide  su  aspetto
strettamente   connesso   ad  una  materia  di  esclusiva  competenza
legislativa dello Stato discostandosi dalla disciplina statale, ed e'
dunque illegittima per violazione dell'art. 117 della Costituzione.
    Articolo  37.  La norma regionale si occupa della pubblicita' dei
bandi di gara dettando disposizioni diverse rispetto a quelle dettate
dalle  corrispondenti  norme  statali  (gli  articoli 63, 65 e 66 del
d.lgs. n. 163/2006).
    In  particolare,  mentre la norma regionale considera sufficiente
la  pubblicazione  del bando sul Bollettino ufficiale regionale e per
estratto  su  due quotidiani nazionali di cui uno a grande diffusione
locale,  la  norma  statale  esige la pubblicazione - oltre che nella
GUCE,  come  dovuto  ai  sensi  della  direttiva  comunitaria - nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  italiana,  sul  sito  della
committente,  sul  sito del Ministero delle infrastrutture e sul sito
dell'Osservatorio,  e consente solo in via ulteriore ed aggiuntiva le
diverse  forme  di  pubblicita'  eventualmente adottate dalle singole
stazioni appaltanti.
    Come e' evidente, la disciplina statale e' molto piu' trasparente
e  garantista  con riguardo alla esigenza della massima pubblicita' e
trasparenza, funzionali alla piena attuazione della concorrenza.
    Pertanto,  costituendo  la  pubblicita'  uno  dei  presidi  della
concorrenza, la sua disciplina non puo' che appartenete allo Stato in
via  esclusiva; la norma regionale che abbia invaso questa competenza
dettando  regole  diverse  non  puo'  che  risultare  illegittima per
violazione dell'art. 117 della Costituzione.
    Articolo 38. La norma regionale in esame si occupa delle cause di
esclusione dalle gare, ossia delle situazioni soggettive dell'impresa
che  si  pongono  come ostative alla partecipazione alle procedure di
affidamento di commesse pubbliche.
    Si  tratta di un aspetto della disciplina dei pubblici appalti di
rilevante  delicatezza,  perche'  riguarda  una  delle  condizioni di
accesso  al  mercato,  ed  anche  con  riferimento a questo aspetto -
ribadendosi   qui   le  istanze  di  uniformita'  di  disciplina  sul
territorio nazionale - non puo' che sussistere l'esclusiva competenza
legislativa   dello   Stato,   competenza  che  e'  stata  pienamente
esercitata con l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
    La  Regione Campania, dopo aver elencato un certo numero di cause
di  esclusione dalle gare che in qualche modo corrispondono ad alcune
di  quelle previste anche dalla norma statale, ha previsto come norma
di  chiusura  la  categoria  residuale  di  tutte le altre condizioni
previste come causa di esclusione dalla legge dello Stato.
    Sennonche',   anche   qui  l'atto  di  ossequio  alla  competenza
legislativa  centrale si rivela piu' apparente che reale, dal momento
che  la norma regionale introduce due ulteriori cause di esclusione a
tempo:  l'essersi  macchiato  di  grave inadempienza contrattuale nei
confronti  dell'amministrazione,  e  l'inadempimento a due obblighi -
mancata  costituzione  della costituzione provvisoria (definitiva?) e
mancata  dimostrazione documentale del possesso dei requisiti in sede
di  controllo successivo - derivanti da una precedente aggiudicazione
conseguita dall'amministrazione.
    Questi  due  aspetti  sono  notevolmente  difformi  rispetto alla
normativa  statale:  la grave negligenza e malafede o il grave errore
professionale  nell'esecuzione  di precedente commessa e' considerata
pure  dallo  Stato  come  causa  di  esclusione dalle gare, ma non e'
subordinata  a  limite temporale alcuno; la mancata prestazione della
cauzione   definitiva   trova   disciplina   e   sanzione   ad  opera
dell'art. 113  del  d.lgs.  n. 163/2006 che non commina la temporanea
esclusione dalle gare; la mancata dimostrazione dei requisiti in sede
di  verifica  successiva produce conseguenze diverse dalla temporanea
esclusione   dalle   gare   per   effetto   dell'art. 48  del  d.lgs.
n. 163/2006.
    Ed  e' quindi evidente che in materia di tutela della concorrenza
e  di  accesso  al  mercato  una  stessa  situazione non puo' trovare
disciplina  diversa  a  seconda del territorio regionale sul quale si
espleta la procedura di gara.
    Pertanto,  la  norma  della  legge regionale in considerazione e'
indebitamente  invasiva  della  competenza  statale  in materia ed e'
quindi illegittima per contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
    Articolo  39.  La norma regionale, sotto la dizione «Disposizioni
generali»  contiene  la disciplina della qualificazione alle gare per
l'affidamento  di  servizi  e  forniture (per i lavori pubblici, come
s'e'  visto,  opera invece il richiamo alla legge 109/1994), del modo
di   invitare  i  concorrenti,  dei  requisiti  formali  e  giuridici
dell'offerta nonche' di talune operazioni di gara.
    Anch'essa  pertanto  invade  la  sfera  di competenza legislativa
esclusiva   dello  Stato,  pretendendo  di  incidere  su  aspetti  di
regolazione   della   concorrenza   che   sono  riservati  al  potere
legislativo  centrale  e  che tale potere ha regolato compiutamente e
differentemente.
    Ad esempio, la norma regionale non prevede alcuna possibilita' di
restringere  il  numero  dei  soggetti  da invitare alle gare, mentre
siffatta  facolta' - la c.d. «forcella» - e' ora ammessa dall'art. 62
del  d.lgs.  n. 163/2006;  nulla  e'  detto  dalla norma regionale in
materia  di  avvalimento;  l'attribuzione all'offerta della natura di
proposta  irrevocabile  crea  una  fattispecie di matrice civilistica
estranea   alla   competenza   legislativa   regionale   e   che   la
corrispondente  norma  statale  (art. 74  del d.lgs. n. 163/2006) non
menziona affatto; la disciplina regionale della gara in cui vi e' una
sola  offerta  valida  e'  profondamente  diversa rispetto alla norma
statale (art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006).
    Dalle  considerazioni  che  precedono  deriva  che anche la norma
regionale  ora esaminata interviene a regolare un ambito di esclusiva
competenza  statale,  ed  e'  pertanto  contrastante  con  i principi
dell'art. 117 della Costituzione.
    Articolo 43. La norma in questione si occupa della gara espletata
con asta pubblica.
    Come  detto,  le  regole  delle gare attengono alla materia della
concorrenza  perche'  disciplinano la competizione tra aspiranti alla
pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva
dello Stato.
    Peraltro, nel caso di specie, la norma regionale e' pure difforme
da  quella  statale  dettando  termini  di  ricezione  delle  offerte
decorrenti  dal  bando  (non  inferiori  a  trenta giorni) diversi da
quelli  (non  inferiori  a  cinquantadue  giorni,  salva l'ipotesi di
preventiva  pubblicazione  dell'avviso  di  preinformazione)  fissati
dall'art. 70  del  d.lgs.  n. 163/2006  in adeguamento alla direttiva
comunitaria.  Il  che significa che nelle gare regionali i termini di
ricezione  delle  offerte  sono  piu'  ristretti  rispetto  a  quelli
previsti   dalla  norma  statale,  con  evidente  compressione  della
concorrenza.
    Ne  deriva  che,  anche  in  questo  caso,  la norma regionale e'
indebitamente  invasiva  della  sfera di competenza legislativa dello
Stato  ed  e' pertanto illegittima per contrasto con l'art. 117 della
Costituzione.
    Articolo  44.  La  medesima  situazione  di  sconfinamento  e  di
difformita'  si  evidenzia  a  proposito della norma regionale che si
occupa della licitazione privata.
    Va  ribadito  pure  a  questo  proposito che le regole delle gare
attengono  alla  materia  della  concorrenza  perche' disciplinano la
competizione  tra  aspiranti  alla  pubblica  commessa,  e  come tali
appartengono alla competenza esclusiva dello Stato.
    Anche  qui, i termini minimi fissati dalla disposizione censurata
(venti giorni per la ricezione delle domande di invito e venti giorni
per  la  ricezione  delle  offerte,  entrambi  riducibili a dieci per
motivi  di  urgenza)  sono  diversi  e  ridotti  rispetto agli stessi
termini  minimi fissati dalla corrispondente norma statale (l'art. 70
del  d.lgs.  n. 163/2006), che prevede invece trentasette giorni come
termine minimo di ricezione delle domande di invito e quaranta giorni
(riducibili a ventidue in casi di previa pubblicazione dell'avviso di
preinformazione) come termine minimo di ricezione delle offerte.
    Per   le   stesse   ragioni   dedotte  con  riguardo  alla  norma
precedentemente   censurata,   pertanto,   l'articolo   in  esame  e'
illegittimo  per contrasto con i principi fissati dall'art. 117 della
Costituzione.
    Articolo  45.  Non diverso e' il vizio che affligge il successivo
articolo,  dedicato  a  dettare  la disciplina regionale dell'appalto
concorso.
    Anche  in  questo  caso  non puo' farsi a meno di eccepire che le
regole  delle  gare  attengono alla materia della concorrenza perche'
disciplinano  la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e
come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato.
    Ed   anche   qui   valgono   le   stesse  osservazioni  circa  la
inammissibile  difformita'  di  disciplina  tra la regola regionale e
quella  statale. La procedura di aggiudicazione dell'appalto concorso
regionale  segue  gli stessi termini minimi della licitazione privata
regionale,  termini che - in quanto diversi e piu' ristretti rispetto
a  quelli  fissati  dalla  legge  statale,  peraltro  recettiva delle
direttive comunitarie - si e gia' detto essere comunque illegittimi.
    Articolo 46. La norma regionale in questione tratta dell'anomalia
dell'offerta  nelle procedure di affidamento dei contratti di servizi
e forniture oggetto della legge regionale.
    L'anomalia  dell'offerta  e'  notoriamente  questione  pertinente
all'ambito   del   controllo   del   mercato  e  della  tutela  della
concorrenza,  in quanto fenomeno prodotto dalla patologia dei ribassi
e   dalla   alterazione   della   competizione   per   effetto  della
presentazione di offerte economicamente insostenibili.
    Non  a  caso,  le  principali problematiche che hanno interessato
l'evolversi  della  normativa  nazionale  sul  punto  della  dinamica
anomala  dei  ribassi,  dei  meccanismi di controllo e della reazione
dell'ordinamento,  sono  state  oggetto della piu' ampia dialettica -
non   immune   da  contrasti  -  con  gli  organismi  comunitari  che
frequentemente   hanno  reagito  di  fronte  a  norme  nazionali  non
rispettose della concorrenza.
    E'  quindi  del  tutto evidente che, come regola di controllo del
mercato  e  di  tutela della concorrenza, la disciplina dell'anomalia
delle   offerte  debba  spettare  allo  Stato  in  via  assolutamente
esclusiva,   non  potendosi  tollerare  che  il  mercato  si  atteggi
differentemente  -  e che di conseguenza gli operatori commerciali si
comportino   e   si  organizzino  differentemente  -  a  seconda  del
territorio nel quale deve essere effettuata la prestazione.
    Non  possono  dunque  ammettersi norme regionali che disciplinino
l'anomalia  delle  offerte  e  che regolino gli effetti distorsivi di
queste sulle procedure di gara.
    Peraltro,  nel  caso  di  specie,  la  norma  regionale  e'  pure
notevolmente  difforme  dalle  corrispondenti  disposizioni nazionali
(articoli 86, 87 e 88 del d. lgs. n. 163/2006). Mentre infatti quella
non  fissa  la soglia di anomalia - ossia il valore sotto il quale le
offerte  sono da considerare «sospette» a cagione del ribasso, e sono
dunque  da  assoggettare  a verifica - ma lascia alla valutazione del
singolo  organo  dell'amministrazione  regionale l'individuazione del
limite  oltre  il  quale  l'offerta  va  ritenuta  anomala o comunque
connotata   da  «grave  squilibrio»,  queste  prevedono  un  criterio
oggettivo  -  basato  sulle medie e riferibile sia al massimo ribasso
che    all'offerta    economicamente    piu'    vantaggiosa   -   per
l'individuazione della predetta soglia.
    Inoltre  la  norma  regionale  -  evidentemente  modellata  sulle
disposizioni  nazionali  preesistenti - non ammette a giustificazione
del  ribasso  i  valori  piu'  bassi  dei  valori minimi stabiliti da
disposizioni  legislative,  regolamentari  o  amministrative,  ovvero
rilevabili  da  dati  ufficiali,  dove tale preclusione, sulla scorta
della giurisprudenza comunitaria sul punto (v. Corte di Giustizia CEE
27  novembre  2001  nelle cause 285/1999 e 286/1999, che ha affermato
l'incompatibilita'  di  norma  nazionali che escludano esplicitamente
l'ammissibilita'  di  talune giustificazioni, come quelle relative al
superamento  dei  minimi  da  altre fonti stabiliti), non figura piu'
nella normativa nazionale vigente.
    L'articolo  46  della legge regionale 12/2006 pertanto, in quanto
invasiva  della  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia  di  tutela  della  concorrenza,  ed  in  quanto contraria ai
principi  comunitari,  e'  illegittima  ai  sensi dell'art. 117 della
Costituzione.
    Articoli  47  e  48.  Le  disposizioni  della  legge regionale in
questione  si  occupano  della  trattativa  privata,  sia  quella non
preceduta  da  bando,  che  dalla  regione Campania viene distinta in
«plurima» e «diretta» che quella preceduta da bando.
    Anche  in  questo caso, si sottolinea che le regole delle gare (e
anche  quelle dell'esenzione dall'obbligo della gara, come quelle che
ammettono  l'affidamento in via diretta) attengono alla materia della
concorrenza  perche'  disciplinano la competizione tra aspiranti alla
pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva
dello Stato.
    Le  norme  in questione sono dunque per cio' stesso indebitamente
invasive  della competenza statale. Esse inoltre dettano in proposito
una   disciplina   diversa   da  quella  dettata  dallo  Stato  nelle
corrispondenti norme del «codice degli appalti».
    Infatti, le ipotesi in cui e' ammessa la trattativa privata senza
bando  (semplice  o  plurima)  non  coincidono  con  quelle  previste
dall'art. 57 del d.lgs. n. 163/2006.
    Neppure  le  ipotesi  in cui e' ammessa la trattativa privata con
bando   coincidono   con  quelle  previste  dall'art. 56  del  d.lgs.
n. 163/2006  e  neppure  i  termini  di  presentazione  delle offerte
coincidono con quelli fissati dalla norma statale.
    Entrambe  le  disposizioni  della  legge  regionale, pertanto, in
quanto invasive della sfera di competenza della legislazione centrale
ed    in    quanto   difformi   dalle   norme   dello   Stato,   sono
costituzionalmente   illegittime   ai   sensi   dell'art. 117   della
Costituzione.
    Articoli  51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, e 58. Tutte le disposizioni
del  Capo  III  del  Titolo  III  della  legge  regionale in esame si
occupano  dei diversi aspetti della disciplina dei contratti pubblici
affidati dalla regione Campania in esito alle proprie procedure.
    Tuttavia,   come   osservato   in   precedenza,  l'aspetto  della
esecuzione  del contratto in tutte le sue articolazioni (le garanzie,
le  forme di stipula, i termini, il prezzo, le varianti, le spese, le
verifiche  ed  il  collaudi)  appartiene al diritto civile, ancorche'
speciale, e di competenza esclusiva dello Stato cui spetta emanare le
leggi  in  materia  di ordinamento civile; quindi, la norma regionale
che  intervenga  a  regolare  questi  aspetti  invade  la  competenza
esclusiva dello Stato.
    La  norma  regionale  in  materia di garanzie (art. 51) si occupa
tanto  della  garanzia  prestata  a  corredo  dell'offerta in gara (e
quindi,   ancora  una  volta,  interviene  in  ambito  concorrenziale
sottratto   alla   competenza  legislativa  regionale)  quanto  della
cauzione   definitiva,   che   ha   connotazione   piu'  propriamente
contrattuale.
    In   entrambi   i   casi,  essa  detta  una  disciplina  in  modo
inammissibile diversa da quella dello Stato. Infatti, mentre ai sensi
dell'art. 75  del d.lgs. n. 163/2006 la cauzione provvisoria non puo'
essere  superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara,
salvo  il  suo  dimezzamento  nel  caso  di  concorrente munito della
certificazione  di  qualita',  ed e' richiesta a ciascun offerente (e
non potrebbe essere diversamente, essendo essa posta a garanzia della
serieta'   dell'offerta),   per   la   norma  regionale  la  cauzione
provvisoria  e'  stabilita  nel cinque per cento ed e' richiesta, con
previsione  oltre  al  resto  francamente  incomprensibile,  solo per
l'aggiudicatario.  Nulla  inoltre  la  norma  regionale dice circa la
forma  ed  il  contenuto  della cauzione provvisoria, nonche' circa i
soggetti legittimati a rilasciare la fideiussione.
    La  cauzione  definitiva e' vista dalla norma regionale come pura
conversione  della  cauzione provvisoria, ed e' dunque anch'essa pari
al  cinque  per  cento  dell'importo posto a base di gara, mentre per
l'art. 113  del  d.lgs.  n. 163/2006  essa e' pari al dieci per cento
dell'importo  del contratto, con incremento percentuale proporzionale
all'entita'  del  ribasso  praticato  in  gara  ove  quest'ultimo sia
particolarmente  rilevante.  Nulla inoltre la norma regionale dice in
merito  alla  forma  e al contenuto della cauzione definitiva, ne' in
merito al suo progressivo ridursi in corrispondenza dell'avanzare del
contratto.
    La  disposizione  in tema di stipulazione dei contratti (art. 52)
e'  pure  sostanzialmente  diversa  dalla corrispondente disposizione
statale (art. 11 del d.lgs. n. 163/2006), sia quanto ai termini entro
i  quali  la  stipula stessa deve intervenire, sia quanto alle forme.
Per  il  diritto statale infatti i contratti possono essere stipulati
solo  in  forma  pubblica  amministrativa  notarile  o  per scrittura
privata,  residuando  margine di autoregolazione in capo alle singole
stazioni   appaltanti   solo   con   riguardo   all'eventuale   forma
elettronica;  per  la  norma  regionale  i contratti obbediscono alla
forma  pubblica amministrativa solo se conseguenti a procedura aperta
o  ristretta,  e  possono essere anche stipulati con l'apposizione da
parte  del  private  della accettazione in calce al capitolato o alla
proposta,  oppure  per  corrispondenza  secondo gli usi del commercio
(come  recita  la vecchia norma di contabilita' dello Stato, tuttavia
non applicabile per il principio di specialita).
    La   diversita'  delle  disposizioni  in  materia  di  forma  dei
contratti  tra  la norma statale e la norma regionale non e' priva di
rilievo  sul  piano  degli effetti, ove si osservi che l'inosservanza
della  forma  prescritta da' luogo secondo la costante giurisprudenza
ad ipotesi di nullita'.
    La norma regionale in tema di subappalto e cessione del contratto
(art. 55)   opera,  con  riferimento  al  primo  istituto  un  rinvio
integrale  alla  vigente  normativa  statale,  e  con  riferimento al
secondo  istituto prevede un divieto generalizzato di cessione totale
o  parziale  del  contratto. Sotto quest'ultimo profilo, tuttavia, la
stessa   norma  regionale  ignora  la  particolare  situazione  della
cessione  del  contratto  che  deriva quale effetto della cessione di
azienda,  di  trasformazione  e  fusione,  che la legge statale prima
considerava  specificamente  soltanto  nel  campo dei lavori pubblici
ammette in via generale.
    Inoltre,  la  norma regionale in materia di varianti (art. 56) e'
del  tutto  diversa  dalla corrispondente disciplina statale. Questa,
con  riferimento  ai  lavori pubblici, e' contenuta nell'art. 132 del
d.lgs. n. 163/2006, mentre per quanto riguarda servizi e forniture e'
demandata al successivo regolamento.
    In  definitiva,  tutte  le  norme  regionali  che intervengono in
ambito contrattuale, incidono in materia attribuita alla inderogabile
signoria  dello Stato, in quanto non si puo' ammettere che uno stesso
contratto  riceva una regolamentazione significativamente diversa nei
suoi  elementi essenziali, a seconda della regione nel cui territorio
viene stipulato.
    Non possono esistere, in altri termini, un contratto campano, uno
toscano, uno laziale e cosi' via.