Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha il proprio domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ricorrente; Contro la Regione Campania, in persona del Presidente della giunta regionale attualmente in carica, resistente, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 27, 35, 36, 37, 38, 39, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 e 58 del titolo III della legge regionale 20 giugno 2006, n. 12, recante «Disposizioni in materia di amministrazione e contabilita' del Consiglio regionale della Campania» pubblicata sul B.U.R. n. 29 del 3 luglio 2006. Nell'esercizio della propria competenza legislativa, la Regione Campania ha emanato la legge regionale n. 12/2006 che ha ad oggetto la disciplina generale dell'ordinamento contabile dell'amministrazione regionale, la gestione delle risorse finanziarie necessarie, e soprattutto la fissazione di norme in materia contrattuale (titolo III), sia sotto il profilo organizzativo che sotto il profilo della scelta del contraente e dell'esecuzione dei contratti. I contratti assoggettati alla disciplina legislativa regionale sono essenzialmente gli appalti di forniture e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario (e quelli di importo superiore qualora diversi da quelli menzionati dalle direttive europee), nonche' gli appalti di 1avori pubblici di qualunque importo, e i contratti d'opera professionale. Ora, e' noto che la questione del riparto di competenza legislativa fra Stato e regioni in materia di affidamento ed esecuzione di commesse pubbliche ha avuto di recente un notevole contributo interpretativo ad opera delle sentenze n. 303 e 304 del 2003 e n. 345 del 2004 della Corte costituzionale, nonche' una precisa regolamentazione ad opera del c.d. «codice degli appalti» di cui al decreto legislativo n. 163/2006. In base ai principi desumibili dalle pronunce e dalle norme ora richiamate, e' possibile affermare che la materia degli appalti pubblici - ancorche' non espressamente menzionata dall'art. 117 della Costituzione - non appartiene per residualita' alla competenza legislativa delle regioni. Come affermato dalla Corte costituzionale a proposito dei lavori pubblici, ma con espressioni e concetti idonei a ricomprendere tutti gli appalti pubblici (e quindi anche servizi e forniture), «si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono, e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative dello Stato, ovvero a potesta' legislative concorrenti». Se dunque si procede a scomporre la disciplina degli appalti pubblici in tutti i suoi momenti (dell'organizzazione, della programmazione, del finanziamento, della scelta del contraente, della sua qualificazione, dell'esecuzione del contratto, delle controversie) si ha che ciascuno di essi puo' essere ricondotto all'ambito di legislazione cui appartiene la relativa materia, e di conseguenza puo' essere individuato il soggetto titolare della connessa potesta' legislativa. Per grandi linee, si puo' affermare dunque che tutto cio' che attiene alla fase dell'affidamento dell'appalto - contenuto dei bandi di gara, criteri di aggiudicazione, disciplina della gara, qualificazione dei concorrenti - rientra nel generale concetto di regolamentazione della concorrenza e di regolazione del mercato (ed in questa prospettiva e' la genesi di tutta la normativa comunitaria in materia, nonche' la ragione della predominanza di questa sulla normativa interna), regolamentazione che, in quanto tale, appartiene allo Stato in via esclusiva. In tal senso e' espressamente l'orientamento della Corte costituzionale, che ha affermato che l'acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni secondo le procedure ad evidenza pubbliche costituisce la concreta attuazione della pienezza dei rapporti concorrenziali. «Le procedure ad evidenza pubblica, anche alla luce delle direttive della Comunita' europea (cfr. da ultimo, la direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche. Viene in rilievo, a questo proposito, la disposizione di cui all'art. 117, secondo comma, della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza» (Corte cost. 345/2004). E la ragione e' piu' che evidente e risiede nella insopprimibile esigenza che il mercato e le sue regole non soffrano della frantumazione conseguente alla pluralita' di possibili discipline, articolate secondo le differenziazioni del territorio regionale e ciascuna rispondente a finalita' politiche diverse, ed abbiano viceversa una disciplina omogenea ed unitana su tutto il territorio nazionale. La regione, dunque, non puo' emanare autonome norme di legge destinate a disciplinare le procedure di affidamento di contratti pubblici. Analogamente va ritenuto con riguardo ad altri aspetti della materie dei contratti pubblici, quali la sottoscrizione del contratto e la sua esecuzione, il subappalto, la disciplina delle controversie. E' infatti evidente che tutta la vicenda contrattuale appartiene alla disciplina civilistica delle obbligazioni, delle loro fonti, del loro adempimento, del loro inadempimento e delle relative conseguenze giuridiche (non a caso il contratto di appalto trova compiuta disciplina negli articoli del codice civile, e l'appalto pubblico e' tradizionalmente ritenuto un contratto di diritto privato, ancorche' speciale), e come tale rientra a pieno titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato, cui spetta, sempre a norma dell'art. 117 della Costituzione, legiferare in tema di ordinamento civile e penale. Per quanto poi riguarda il subappalto, oltre alla gia' rilevata considerazione del suo appartenere all'ambito del diritto civile (art. 1656 c.c.), vi e' l'ulteriore e non meno rilevante aspetto dell'assoggettamento dell'istituto in questione a normativa speciale (la legge 19 marzo 1990, n. 55) di chiara ispirazione di ordine pubblico, e cio' costituisce ulteriore elemento per ricondurre la disciplina del subappalto nell'esclusiva signoria dello Stato, competente a legiferare sempre ai sensi dell'art. 117 della Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza. Le regioni pertanto non possono emanare norme proprie volte a regolare gli aspetti contrattuali degli appalti pubblici. Possono invece emanare norme dirette a disciplinare argomenti ed istituti che sono oggetto di competenza legislativa concorrente (programmazione, esercizio ed effetti dei poteri approvativi specialmente per quanto attiene all'ambito urbanistico ed espropriativo, ecc.) ma cio' nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalle norme statali. Questo e' l'assetto delle competenze legislative nella materia degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture quale risulta dalla piu' corretta interpretazione dei principi costituzionali, e quale attualmente accolta nella piu' recente normativa emanata dallo Stato sul punto: l'articolo 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Sulla base di questi concetti e considerazioni preliminari e generali, la legge regionale n. 12/2006 che qui si impugna si presenta per molti versi esuberante rispetto alle linee di demarcazione della potesta' legislativa tra Stato e regioni tracciata dalla Costituzione, e sembra aver travalicato i limiti della competenza legislativa regionale in materia. Cio' e' avvenuto, secondo la Presidenza del Consiglio ricorrente, in relazione a molteplici norme, che di seguito si elencano e si censurano. Articolo 27. Il comma 3 di questa norma prevede che l'attivita' contrattuale relativa ai lavori e alle opere di competenza del Consiglio regionale e' disciplinata dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 - Legge quadro in materia di lavori pubblici - e dal relativo regolamento di attuazione di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e successive modificazioni. La stessa norma regionale prevede che si applichino anche le disposizioni della legge regionale in quanto «compatibili con la legge e il regolamento citati». Sennonche', dietro a questa apparente dichiarazione di integrale obbedienza alla legislazione statale in materia di lavori pubblici, si cela una (probabilmente involontaria, in relazione ai tempi di pubblicazione del provvedimento, ma non per questo meno palese) rilevante violazione della competenza legislativa statale. Infatti, come e' noto, la legge 109/1994 e' stata espressamente abrogata per effetto dell'entrata in vigore del decreto legislativo 163/2006, che costituisce ora il testo unico statale che regola tutta la materia degli affidamento degli appalti pubblici, di lavori servizi e forniture. Molte disposizioni del decreto legislativo 163/2006 riprendono altrettante disposizioni della precedente legge 109/1994 e non se ne sono discostate, dettando una disciplina non difforme da quella ora abrogata. Ma moltissime altre disposizioni del nuovo testo si discostano in modo radicale dalla precedente normativa, avendo introdotto istituti nuovi (sotto la spinta delle direttive comunitarie) ed avendo rivoluzionato quelle che erano state le scelte adottate dalla abrogata legge quadro (basti pensare al capovolgimento del principio della necessaria separazione tra progettazione ed esecuzione dei lavori). L'aver esplicitamente menzionato (e quindi «legificato» in ambito regionale) una legge statale abrogata significa aver richiamato una legge che non e' piu' la legge statale nella materia dei lavori pubblici, in quanto superata da altra legge statale ora vigente; significa in sostanza aver dato forza ad un complesso di norme che e' diverso da quello statale vigente, e che invece dovrebbe essere interamente ed inderogabilmente applicabile. Ad esempio, in tema di qualificazione delle imprese esecutrici dei lavori pubblici (materia riservata allo Stato perche', come detto, connessa alla regolazione del mercato e alla tutela della concorrenza) la legge n. 109/1994 non ammetteva l'istituto dell'avvalimento, mentre il d.lgs. n. 163/2006 espressamente lo prevede in attuazione delle direttive comunitarie. Ne deriva che, applicando la legge n. 12/2006, la Regione Campania nelle sue gare dovrebbe escludere le imprese che pretendono di qualificarsi avvalendosi dei requisiti di altre imprese, diversamente da quanto avverrebbe altrove. Ad ulteriore esempio, in tema di regole della gara, applicando la legge n. 109/1994 la Regione Campania non potrebbe porre a gara la progettazione definitiva ed esecutiva di un'opera insieme alla realizzazione dei lavori, mentre tale possibilita' e' ora ammessa dal d.lgs. 163/2006. In altri termini, per effetto della norma che qui si censura la Regione Campania non verrebbe ad applicare nei lavori pubblici la legge statale vigente, ma ne applicherebbe un'altra, profondamente differente da quella; e quindi si ha un inammissibile discostamento dalla regola sopra affermata, che vuole riservata allo Stato in via esclusiva la disciplina dei lavori pubblici negli aspetti che riguardano materie devolute alla competenza statale. Ne' vale a superare la censura il riferimento che la norma regionale fa alle successive modifiche della legge statale, in modo da potersi dire che la Regione Campania presta ossequio non solo alla legge n. 109/1994, ma anche a tutte le modificazioni successivamente apportate dal legislatore nazionale: un conto infatti e' la semplice modifica della legge (sono state modifiche della legge n. 109/1994 le varie leggi «Merloni» bis, ter e quater - 216/1995, 488/1998, 166/2002 - adottate con la tecnica della novella), un altro conto e' la sostituzione della legge con altra in virtu' del meccanismo dell'abrogazione integrale. L'articolo 27 della legge regionale n. 12/2006 viola dunque l'art. 117 della Costituzione perche' in via generale si adegua ad una legge (abrogata) diversa da quella statale vigente in materia di lavori pubblici, e pertanto invade la sfera di competenza legislativa dello Stato relativamente agli ambiti a questa devoluti in via esclusiva. Articolo 35. La norma della legge regionale elenca e definisce le procedure di scelta del contraente. Di conseguenza, essa interviene in ambito (la fase della scelta del contraente) strettamente connesso alla disciplina della concorrenza, che ai sensi dell'art. 117 della Costituzione spetta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Lo Stato ha esercitato la competenza in questione con gli articoli da 54 a 62 del decreto legislativo n. 163/2006, rispetto alle quali norme la disposizione di legge regionale presenta significativi e pertanto costituzionalmente illegittimi - scostamenti. Innanzitutto, la legge regionale non contempla tra le procedure di scelta del contraente - accanto a quelle, per cosi' dire, tradizionali - il dialogo competitivo, ora introdotto nell'ordinamento nazionale su impulso della normativa comunitaria, e che pertanto stando alla legge qui censurata non potrebbe essere utilizzato dalla regione stazione appaltante. In secondo luogo, la stessa normativa regionale considera come equivalenti tutte le procedure di aggiudicazione (ad eccezione, ovviamente, della procedura negoziata che per sua natura e' eccezionale), mentre la normativa statale effettua la scelta di preferire le procedure ristrette quando il contratto non ha ad oggetto la sola esecuzione oppure quando il criterio di aggiudicazione e' quello dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa. Ancora, la norma regionale adotta tra le procedure di aggiudicazione le procedure telematiche, che identifica con asta telematica e mercato telematico, le cui definizioni sono in parte diverse ed in parte nuove rispetto alla corrispondente nomenclatura statale (art. 3, comma 15 del d.lgs. n. 163/2006). Peraltro, nello spirito della legge statale, l'asta elettronica - che non e' una nuova e diversa procedura di aggiudicazione, ma un modo di svolgimento delle procedure di aggiudicazione tradizionali - puo' essere espletata solo quando ricorrano determinate condizioni (art. 85, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006) e non in via generalizzata. La norma regionale, pertanto, in quanto interviene a regolare fattispecie di esclusiva competenza legislativa statale ed in modo palesemente difforme da quello adottato dalla legge statale, viola l'art. 117 della Costituzione e si manifesta illegittimo. Articolo 36. La disposizione del testo legislativo regionale si occupa dei criteri di aggiudicazione. Anche qui, trattandosi di dettare le regole che presiedono alla scelta della migliore offerta e quindi di disciplinare il modo di svolgimento delle gare, si verte in ambito pertinente la tutela della concorrenza e dunque sussiste competenza legislativa esclusiva dello Stato. La norma che qui si censura viene invece a dettare una disciplina propria, diversa da quella statale, con riferimento alla individuazione e alla portata del criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa. Sotto il primo profilo (quello della individuazione del criterio), l'offerta economicamente piu' vantaggiosa regionale viene ad essere costituita da un numero di elementi diversi e minori rispetto a quelli elencati dalla corrispondente norma statale (art. 83 del d. lgs. n. 163/2006) e neppure e' previsto il carattere esemplificativo e non tassativo dell'elenco relativo. Sotto il secondo profilo (quello della portata), la norma regionale prevede che nella valutazione di ciascun elemento vi sia un principio di prevalenza numerico dell'elemento prezzo in relazione al punteggio complessivo, che non trova riscontro alcuno nella normativa statale vigente. In definitiva, nelle gare regionali da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa potranno prevalere solo le prestazioni per le quali la convenienza economica superi comunque il requisito qualitativo. Anche la norma in questione, pertanto, incide su aspetto strettamente connesso ad una materia di esclusiva competenza legislativa dello Stato discostandosi dalla disciplina statale, ed e' dunque illegittima per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Articolo 37. La norma regionale si occupa della pubblicita' dei bandi di gara dettando disposizioni diverse rispetto a quelle dettate dalle corrispondenti norme statali (gli articoli 63, 65 e 66 del d.lgs. n. 163/2006). In particolare, mentre la norma regionale considera sufficiente la pubblicazione del bando sul Bollettino ufficiale regionale e per estratto su due quotidiani nazionali di cui uno a grande diffusione locale, la norma statale esige la pubblicazione - oltre che nella GUCE, come dovuto ai sensi della direttiva comunitaria - nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sul sito della committente, sul sito del Ministero delle infrastrutture e sul sito dell'Osservatorio, e consente solo in via ulteriore ed aggiuntiva le diverse forme di pubblicita' eventualmente adottate dalle singole stazioni appaltanti. Come e' evidente, la disciplina statale e' molto piu' trasparente e garantista con riguardo alla esigenza della massima pubblicita' e trasparenza, funzionali alla piena attuazione della concorrenza. Pertanto, costituendo la pubblicita' uno dei presidi della concorrenza, la sua disciplina non puo' che appartenete allo Stato in via esclusiva; la norma regionale che abbia invaso questa competenza dettando regole diverse non puo' che risultare illegittima per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Articolo 38. La norma regionale in esame si occupa delle cause di esclusione dalle gare, ossia delle situazioni soggettive dell'impresa che si pongono come ostative alla partecipazione alle procedure di affidamento di commesse pubbliche. Si tratta di un aspetto della disciplina dei pubblici appalti di rilevante delicatezza, perche' riguarda una delle condizioni di accesso al mercato, ed anche con riferimento a questo aspetto - ribadendosi qui le istanze di uniformita' di disciplina sul territorio nazionale - non puo' che sussistere l'esclusiva competenza legislativa dello Stato, competenza che e' stata pienamente esercitata con l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006. La Regione Campania, dopo aver elencato un certo numero di cause di esclusione dalle gare che in qualche modo corrispondono ad alcune di quelle previste anche dalla norma statale, ha previsto come norma di chiusura la categoria residuale di tutte le altre condizioni previste come causa di esclusione dalla legge dello Stato. Sennonche', anche qui l'atto di ossequio alla competenza legislativa centrale si rivela piu' apparente che reale, dal momento che la norma regionale introduce due ulteriori cause di esclusione a tempo: l'essersi macchiato di grave inadempienza contrattuale nei confronti dell'amministrazione, e l'inadempimento a due obblighi - mancata costituzione della costituzione provvisoria (definitiva?) e mancata dimostrazione documentale del possesso dei requisiti in sede di controllo successivo - derivanti da una precedente aggiudicazione conseguita dall'amministrazione. Questi due aspetti sono notevolmente difformi rispetto alla normativa statale: la grave negligenza e malafede o il grave errore professionale nell'esecuzione di precedente commessa e' considerata pure dallo Stato come causa di esclusione dalle gare, ma non e' subordinata a limite temporale alcuno; la mancata prestazione della cauzione definitiva trova disciplina e sanzione ad opera dell'art. 113 del d.lgs. n. 163/2006 che non commina la temporanea esclusione dalle gare; la mancata dimostrazione dei requisiti in sede di verifica successiva produce conseguenze diverse dalla temporanea esclusione dalle gare per effetto dell'art. 48 del d.lgs. n. 163/2006. Ed e' quindi evidente che in materia di tutela della concorrenza e di accesso al mercato una stessa situazione non puo' trovare disciplina diversa a seconda del territorio regionale sul quale si espleta la procedura di gara. Pertanto, la norma della legge regionale in considerazione e' indebitamente invasiva della competenza statale in materia ed e' quindi illegittima per contrasto con l'art. 117 della Costituzione. Articolo 39. La norma regionale, sotto la dizione «Disposizioni generali» contiene la disciplina della qualificazione alle gare per l'affidamento di servizi e forniture (per i lavori pubblici, come s'e' visto, opera invece il richiamo alla legge 109/1994), del modo di invitare i concorrenti, dei requisiti formali e giuridici dell'offerta nonche' di talune operazioni di gara. Anch'essa pertanto invade la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato, pretendendo di incidere su aspetti di regolazione della concorrenza che sono riservati al potere legislativo centrale e che tale potere ha regolato compiutamente e differentemente. Ad esempio, la norma regionale non prevede alcuna possibilita' di restringere il numero dei soggetti da invitare alle gare, mentre siffatta facolta' - la c.d. «forcella» - e' ora ammessa dall'art. 62 del d.lgs. n. 163/2006; nulla e' detto dalla norma regionale in materia di avvalimento; l'attribuzione all'offerta della natura di proposta irrevocabile crea una fattispecie di matrice civilistica estranea alla competenza legislativa regionale e che la corrispondente norma statale (art. 74 del d.lgs. n. 163/2006) non menziona affatto; la disciplina regionale della gara in cui vi e' una sola offerta valida e' profondamente diversa rispetto alla norma statale (art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006). Dalle considerazioni che precedono deriva che anche la norma regionale ora esaminata interviene a regolare un ambito di esclusiva competenza statale, ed e' pertanto contrastante con i principi dell'art. 117 della Costituzione. Articolo 43. La norma in questione si occupa della gara espletata con asta pubblica. Come detto, le regole delle gare attengono alla materia della concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato. Peraltro, nel caso di specie, la norma regionale e' pure difforme da quella statale dettando termini di ricezione delle offerte decorrenti dal bando (non inferiori a trenta giorni) diversi da quelli (non inferiori a cinquantadue giorni, salva l'ipotesi di preventiva pubblicazione dell'avviso di preinformazione) fissati dall'art. 70 del d.lgs. n. 163/2006 in adeguamento alla direttiva comunitaria. Il che significa che nelle gare regionali i termini di ricezione delle offerte sono piu' ristretti rispetto a quelli previsti dalla norma statale, con evidente compressione della concorrenza. Ne deriva che, anche in questo caso, la norma regionale e' indebitamente invasiva della sfera di competenza legislativa dello Stato ed e' pertanto illegittima per contrasto con l'art. 117 della Costituzione. Articolo 44. La medesima situazione di sconfinamento e di difformita' si evidenzia a proposito della norma regionale che si occupa della licitazione privata. Va ribadito pure a questo proposito che le regole delle gare attengono alla materia della concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato. Anche qui, i termini minimi fissati dalla disposizione censurata (venti giorni per la ricezione delle domande di invito e venti giorni per la ricezione delle offerte, entrambi riducibili a dieci per motivi di urgenza) sono diversi e ridotti rispetto agli stessi termini minimi fissati dalla corrispondente norma statale (l'art. 70 del d.lgs. n. 163/2006), che prevede invece trentasette giorni come termine minimo di ricezione delle domande di invito e quaranta giorni (riducibili a ventidue in casi di previa pubblicazione dell'avviso di preinformazione) come termine minimo di ricezione delle offerte. Per le stesse ragioni dedotte con riguardo alla norma precedentemente censurata, pertanto, l'articolo in esame e' illegittimo per contrasto con i principi fissati dall'art. 117 della Costituzione. Articolo 45. Non diverso e' il vizio che affligge il successivo articolo, dedicato a dettare la disciplina regionale dell'appalto concorso. Anche in questo caso non puo' farsi a meno di eccepire che le regole delle gare attengono alla materia della concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato. Ed anche qui valgono le stesse osservazioni circa la inammissibile difformita' di disciplina tra la regola regionale e quella statale. La procedura di aggiudicazione dell'appalto concorso regionale segue gli stessi termini minimi della licitazione privata regionale, termini che - in quanto diversi e piu' ristretti rispetto a quelli fissati dalla legge statale, peraltro recettiva delle direttive comunitarie - si e gia' detto essere comunque illegittimi. Articolo 46. La norma regionale in questione tratta dell'anomalia dell'offerta nelle procedure di affidamento dei contratti di servizi e forniture oggetto della legge regionale. L'anomalia dell'offerta e' notoriamente questione pertinente all'ambito del controllo del mercato e della tutela della concorrenza, in quanto fenomeno prodotto dalla patologia dei ribassi e dalla alterazione della competizione per effetto della presentazione di offerte economicamente insostenibili. Non a caso, le principali problematiche che hanno interessato l'evolversi della normativa nazionale sul punto della dinamica anomala dei ribassi, dei meccanismi di controllo e della reazione dell'ordinamento, sono state oggetto della piu' ampia dialettica - non immune da contrasti - con gli organismi comunitari che frequentemente hanno reagito di fronte a norme nazionali non rispettose della concorrenza. E' quindi del tutto evidente che, come regola di controllo del mercato e di tutela della concorrenza, la disciplina dell'anomalia delle offerte debba spettare allo Stato in via assolutamente esclusiva, non potendosi tollerare che il mercato si atteggi differentemente - e che di conseguenza gli operatori commerciali si comportino e si organizzino differentemente - a seconda del territorio nel quale deve essere effettuata la prestazione. Non possono dunque ammettersi norme regionali che disciplinino l'anomalia delle offerte e che regolino gli effetti distorsivi di queste sulle procedure di gara. Peraltro, nel caso di specie, la norma regionale e' pure notevolmente difforme dalle corrispondenti disposizioni nazionali (articoli 86, 87 e 88 del d. lgs. n. 163/2006). Mentre infatti quella non fissa la soglia di anomalia - ossia il valore sotto il quale le offerte sono da considerare «sospette» a cagione del ribasso, e sono dunque da assoggettare a verifica - ma lascia alla valutazione del singolo organo dell'amministrazione regionale l'individuazione del limite oltre il quale l'offerta va ritenuta anomala o comunque connotata da «grave squilibrio», queste prevedono un criterio oggettivo - basato sulle medie e riferibile sia al massimo ribasso che all'offerta economicamente piu' vantaggiosa - per l'individuazione della predetta soglia. Inoltre la norma regionale - evidentemente modellata sulle disposizioni nazionali preesistenti - non ammette a giustificazione del ribasso i valori piu' bassi dei valori minimi stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero rilevabili da dati ufficiali, dove tale preclusione, sulla scorta della giurisprudenza comunitaria sul punto (v. Corte di Giustizia CEE 27 novembre 2001 nelle cause 285/1999 e 286/1999, che ha affermato l'incompatibilita' di norma nazionali che escludano esplicitamente l'ammissibilita' di talune giustificazioni, come quelle relative al superamento dei minimi da altre fonti stabiliti), non figura piu' nella normativa nazionale vigente. L'articolo 46 della legge regionale 12/2006 pertanto, in quanto invasiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, ed in quanto contraria ai principi comunitari, e' illegittima ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Articoli 47 e 48. Le disposizioni della legge regionale in questione si occupano della trattativa privata, sia quella non preceduta da bando, che dalla regione Campania viene distinta in «plurima» e «diretta» che quella preceduta da bando. Anche in questo caso, si sottolinea che le regole delle gare (e anche quelle dell'esenzione dall'obbligo della gara, come quelle che ammettono l'affidamento in via diretta) attengono alla materia della concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato. Le norme in questione sono dunque per cio' stesso indebitamente invasive della competenza statale. Esse inoltre dettano in proposito una disciplina diversa da quella dettata dallo Stato nelle corrispondenti norme del «codice degli appalti». Infatti, le ipotesi in cui e' ammessa la trattativa privata senza bando (semplice o plurima) non coincidono con quelle previste dall'art. 57 del d.lgs. n. 163/2006. Neppure le ipotesi in cui e' ammessa la trattativa privata con bando coincidono con quelle previste dall'art. 56 del d.lgs. n. 163/2006 e neppure i termini di presentazione delle offerte coincidono con quelli fissati dalla norma statale. Entrambe le disposizioni della legge regionale, pertanto, in quanto invasive della sfera di competenza della legislazione centrale ed in quanto difformi dalle norme dello Stato, sono costituzionalmente illegittime ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Articoli 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, e 58. Tutte le disposizioni del Capo III del Titolo III della legge regionale in esame si occupano dei diversi aspetti della disciplina dei contratti pubblici affidati dalla regione Campania in esito alle proprie procedure. Tuttavia, come osservato in precedenza, l'aspetto della esecuzione del contratto in tutte le sue articolazioni (le garanzie, le forme di stipula, i termini, il prezzo, le varianti, le spese, le verifiche ed il collaudi) appartiene al diritto civile, ancorche' speciale, e di competenza esclusiva dello Stato cui spetta emanare le leggi in materia di ordinamento civile; quindi, la norma regionale che intervenga a regolare questi aspetti invade la competenza esclusiva dello Stato. La norma regionale in materia di garanzie (art. 51) si occupa tanto della garanzia prestata a corredo dell'offerta in gara (e quindi, ancora una volta, interviene in ambito concorrenziale sottratto alla competenza legislativa regionale) quanto della cauzione definitiva, che ha connotazione piu' propriamente contrattuale. In entrambi i casi, essa detta una disciplina in modo inammissibile diversa da quella dello Stato. Infatti, mentre ai sensi dell'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006 la cauzione provvisoria non puo' essere superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara, salvo il suo dimezzamento nel caso di concorrente munito della certificazione di qualita', ed e' richiesta a ciascun offerente (e non potrebbe essere diversamente, essendo essa posta a garanzia della serieta' dell'offerta), per la norma regionale la cauzione provvisoria e' stabilita nel cinque per cento ed e' richiesta, con previsione oltre al resto francamente incomprensibile, solo per l'aggiudicatario. Nulla inoltre la norma regionale dice circa la forma ed il contenuto della cauzione provvisoria, nonche' circa i soggetti legittimati a rilasciare la fideiussione. La cauzione definitiva e' vista dalla norma regionale come pura conversione della cauzione provvisoria, ed e' dunque anch'essa pari al cinque per cento dell'importo posto a base di gara, mentre per l'art. 113 del d.lgs. n. 163/2006 essa e' pari al dieci per cento dell'importo del contratto, con incremento percentuale proporzionale all'entita' del ribasso praticato in gara ove quest'ultimo sia particolarmente rilevante. Nulla inoltre la norma regionale dice in merito alla forma e al contenuto della cauzione definitiva, ne' in merito al suo progressivo ridursi in corrispondenza dell'avanzare del contratto. La disposizione in tema di stipulazione dei contratti (art. 52) e' pure sostanzialmente diversa dalla corrispondente disposizione statale (art. 11 del d.lgs. n. 163/2006), sia quanto ai termini entro i quali la stipula stessa deve intervenire, sia quanto alle forme. Per il diritto statale infatti i contratti possono essere stipulati solo in forma pubblica amministrativa notarile o per scrittura privata, residuando margine di autoregolazione in capo alle singole stazioni appaltanti solo con riguardo all'eventuale forma elettronica; per la norma regionale i contratti obbediscono alla forma pubblica amministrativa solo se conseguenti a procedura aperta o ristretta, e possono essere anche stipulati con l'apposizione da parte del private della accettazione in calce al capitolato o alla proposta, oppure per corrispondenza secondo gli usi del commercio (come recita la vecchia norma di contabilita' dello Stato, tuttavia non applicabile per il principio di specialita). La diversita' delle disposizioni in materia di forma dei contratti tra la norma statale e la norma regionale non e' priva di rilievo sul piano degli effetti, ove si osservi che l'inosservanza della forma prescritta da' luogo secondo la costante giurisprudenza ad ipotesi di nullita'. La norma regionale in tema di subappalto e cessione del contratto (art. 55) opera, con riferimento al primo istituto un rinvio integrale alla vigente normativa statale, e con riferimento al secondo istituto prevede un divieto generalizzato di cessione totale o parziale del contratto. Sotto quest'ultimo profilo, tuttavia, la stessa norma regionale ignora la particolare situazione della cessione del contratto che deriva quale effetto della cessione di azienda, di trasformazione e fusione, che la legge statale prima considerava specificamente soltanto nel campo dei lavori pubblici ammette in via generale. Inoltre, la norma regionale in materia di varianti (art. 56) e' del tutto diversa dalla corrispondente disciplina statale. Questa, con riferimento ai lavori pubblici, e' contenuta nell'art. 132 del d.lgs. n. 163/2006, mentre per quanto riguarda servizi e forniture e' demandata al successivo regolamento. In definitiva, tutte le norme regionali che intervengono in ambito contrattuale, incidono in materia attribuita alla inderogabile signoria dello Stato, in quanto non si puo' ammettere che uno stesso contratto riceva una regolamentazione significativamente diversa nei suoi elementi essenziali, a seconda della regione nel cui territorio viene stipulato. Non possono esistere, in altri termini, un contratto campano, uno toscano, uno laziale e cosi' via.