LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza 19/A/06/ORD, nel giudizio d'appello, iscritto al n. 1806/Aresp del reg. segr., promosso da Langellotti Pasquale, rappresentato e difeso dagli avv. proff. Nazareno e Fabio Saitta ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Sciuti n. 164, presso lo studio dell'avv. Manuela Gucciardo, contro la procura regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana, per la riforma della sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 1676/2005 del 19 maggio - 1° luglio 2005. Visti gli atti ed i documenti di causa. Uditi nella Camera di consiglio del 21 marzo 2006 il relatore, cons. Giuseppe Cozzo, l'avv. Giacomo Ferrari, in sostituzione del difensore, e il vice procuratore generale, dott. Salvatore Marcinno'. F a t t o Con sentenza del Tribunale di Messina, sez. I, n. 762/2001 in data 27 febbraio 2001, Langellotti Pasquale, sottufficiale appartenente al Nucleo di Polizia tributaria della G.d.F. di Messina, veniva condannato a 4 anni di reclusione per il reato di concussione, pena poi ridotta a tre anni con sentenza n. 899 emessa dalla Corte di appello di Messina in data 30 giugno 2003, passata in giudicato. Il p.m. contabile citava, pertanto, il predetto per il danno patrimoniale conseguente alla mancata acquisizione di entrate tributarie per l'importo di L. 20.000.000 (euro 10.329,14), determinato in misura pari alla tangente dallo stesso percepita, nonche' per il danno arrecato all'immagine ed al prestigio del Corpo della Guardia di finanza, determinando il relativo importo in L. 40.000.000 (euro 20.658,28), pari al doppio dell'importo della tangente stessa. La sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana, con la sentenza n. 1676/2005 del 19 maggio - 1° luglio 2005, respinta l'eccezione di prescrizione proposta dal convenuto, lo ha condannato al pagamento in favore del Ministero dell'economia e delle finanze detta somma di euro 10.329,14, oltre rivalutazione monetaria della medesima, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT, dal 15 dicembre 2004, data di passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna, sino alla pubblicazione della sentenza ed agli interessi legali sulle somme cosi' rivalutate da quest'ultima data sino al soddisfo. Avverso tale sentenza il sig. Langellotti ha proposto appello, sostenendo la prescrizione e l'infondatezza dell'azione di responsabilita' amministrativa. Il p.m. nelle sue conclusioni, ha chiesto il rigetta dell'appello. Con istanza depositata il 21 febbraio 2006 l'appellante ha chiesto che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 231, legge 23 dicembre 2005, n. 266, la somma dovuta per la definizione del procedimento di appello sia determinata una somma non inferiore al 10% e non superiore al 20% del danno quantificato nella sentenza impugnata. Il p.m., con atto depositata il 17 febbraio 2006, ha chiesto che tale istanza non sia accolta in considerazione della particolare gravita' dell'addebito. Nella Camera di consiglio del 21 marzo 2006 le parti hanno confermato le rispettive posizioni. D i r i t t o L'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, intervenuta nel corso del processo di appello promosso da Langellotti Pasquale per la riforma della sentenza della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana n. 1676/2005 del 19 maggio - 1° luglio 2005, ha previsto un sistema di regole secondo cui: con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possano chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza (comma 231); la sezione di appello, con decreto in Camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento (comma 232); il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello (comma 233). Tali disposizioni, in sostanza, introducono nella fase dell'appello un procedimento camerale diretto alla definizione agevolata del giudizio di responsabilita' amministrativa. La sezione dubita della legittimita' costituzionale di un simile sistema di regole, applicabili nella specie poiche' il mutamento di diritto sostanziale e' avvenuto prima dell'accertamento definitivo della responsabilita' dei soggetti intimati, in relazione agli artt. 3, 97, 101 e 103 Cost. Dalla giurisprudenza costituzionale (sentt. nn. 68 del 1971, 63 del 1973 e 1032 del 1988) sembra desumersi che la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, del buon andamento e del controllo contabile, i quali ultimi sono legati dal comune fine di assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale degli enti pubblici, sia sostanzialmente affidata alla legge ordinaria. Sono riservate, infatti, al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che, in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situazioni regolate, appaiano come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sent. n. 411 del 1988; ord. n. 549 del 1988, nonche', in relazione all'art. 28 Cost., le sentt. nn. 2 del 1968, 123 del 1972, 164 del 1982, 26 del 1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita' amministrativa (sent. n. 340 del 2001). Cio' significa in ultima analisi, per un verso, che, ancorche' non sia possibile trarre dall'ordinamento (artt. 97 e 103, secondo comma, Cost.) un principio inderogabilita' delle comuni regole della responsabilita', si puo', tuttavia, da esso ricavare la regola secondo la quale la discrezionalita' del legislatore, per essere correttamente esercitata, deve determinare e graduare i tipi e i limiti della responsabilita', caso per caso, in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici ovvero alle particolari situazioni, stabilendo, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sent. n. 371 del 1998) e, per l'altro, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle differenziazioni introdotte (art. 3 Cost.). Pur non potendosi negare, dunque, in linea di principio la possibilita' di un'intervento legislativo del tipo di quello esaminato, e', tuttavia, pur sempre necessario che esso sia, anzitutto, strettamente collegato alle specifiche peculiarita' del caso, tali da escludere che possa risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata, tanto sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parita' di trattamento, quanto sotto il profilo della tutela del buon andamento e della salvaguardia da indebite interferenze dell'esercizio della funzione giurisdizionale. Sennonche', nella specie le previsioni normative denunciate di incostituzionalita' sono caratterizzate da una indeterminatezza assoluta sullo scopo perseguito dal legislatore, tale da precludere definitivamente la ricerca di una qualsiasi ratio normativa che non sia quella della limitazione patrimoniale del risarcimento per se stessa; pertanto, esse, connotandosi unicamente come effetto premiale ingiustificato, si palesano come una negazione illogica e ingiustificata dei principi del buon andamento e del controllo contabile, che non puo' certamente rappresentare un termine di comparazione con gli altri valori coinvolti ai fini della verifica del rispetto dei principi di eguaglianza e di buon andamento. Le previsioni in questione appaiono viziate in relazione ai parametri costituzionali indicati anche per altro aspetto. Infatti, nel sistema positivo vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativa, nei singoli casi, e' rimessa al potere riduttivo sul quantum affidato al giudice, che puo' anche tenere conto delle capacita' economiche del soggetto responsabile, oltre che del comportamento, al livello della responsabilita' e del danno effettivamente cagionato. In contrasto con questi principi dell'ordinamento assolutamente irragionevole e', pertanto, una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' amministrativa e della misura del risarcimento, senza che possa soccorrere una valutazione sull'incidenza del comportamento complessivo e sulle funzioni effettivamente svolte nella produzione del danno, in occasione della prestazione che ha dato luogo alla responsabilita' (cfr. Corte cost. sent. n. 340 del 2001). Ugualmente incostituzionale appare, infine, l'affidamento al giudice contabile di un potere discrezionale illimitato nella individuazione delle ragioni da porre a fondamento dell'accoglimento della domanda di riduzione dell'addebito e della concreta determinazione della misura del risarcimento, avendo il legislatore indicato solo i limiti quantitativi di tale potere fra un minimo e un massimo risultanti dalla norma, senza fissare i criteri direttivi ai quali il giudice stesso debba attenersi. Le norme in esame, infatti, oltre a porsi in diretto contrasto con i principi di cui gli 3, 97 e 103 Cost., essendo dirette ad introdurre una disciplina limitativa in forma generalizzata della responsabilita' amministrativa con riferimento indiscriminato a tutti i pubblici dipendenti e a tutte le possibili situazioni, confliggono con il principio secondo cui il giudice e' soggetto alla legge (art. 101 Cost.), con grave vulnus del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. La questione di legittimita' costituzionale, non superabile in via interpretativa, e' rilevante. Qualora, infatti, le norme denunciate venissero dichiarate incostituzionali non potrebbero piu' essere applicate nel presente giudizio che proseguirebbe secondo il rito ordinario.