LA CORTE DI APPELLO Pronunciando sulle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 593, commi 1 e 2, e 576 c.p.p., come modificati dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, nonche' dell'art. 10 della legge stessa, nel procedimento di impugnazione promosso con atto di appello dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia e con atto di appello della parti civili costituite - eredi di Montanari Lauro - avverso sentenza del Tribunale di Reggio Emilia in data 10 novembre 2004, con la quale Gazzotti Massimo, Tumino Giuseppe, Bonacini Franco, Bagnacani Giovanni, Bassoli Tiziano, Ferretti Gianni, Bigi Roberto e Menozzi Guido, tutti imputati di avere cagionato la morte di Montanari Lauro - con condotte autonome ovvero tenute in cooperazione tra loro - per colpa consistita in differenziate violazione della disciplina antinfortunistica del lavoro, erano stati assolti dall'imputazione ascritta per non aver commesso il fatto. Rileva: viene dedotto che la nuova disciplina dell'appello avverso la sentenza penale di proscioglimento dell'imputato contrasterebbe con i principi costituzionali della eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.), della parita' delle parti nel processo (art. 111 Cost.), della obbligatorieta' dell'azione penale, art. 112 Cost.) e del diritto di azione e difesa in giudizio (art. 24 Cost.); e cio' sia con riguardo alla forte limitazione dell'appello del p.m. che con riguardo ai limiti di appello della parte civile. La diversita' delle situazioni soggettive degli appellanti nel presente procedimento impone una riflessione altrettanto diversificata: 1) Con riferimento all'appello del p.m., deve rilevarsi che i dubbi di legittimita' costituzionale della nuova disciplina sono sostanzialmente omogenei rispetto a quelli che in altre precedenti occasioni - seppure con riguardo a diverse fattispecie processuali - la Corte costituzionale ha gia' esaminato e ritenuto non fondati. La Corte ha affermato che il dovere di iniziativa del p.m. (art. 112 Cost.) e' pienamente adempiuto con il promovimento dell'azione penale nel giudizio di primo grado e che l'esercizio del potere di impugnazione non e' invece obbligatorio, essendo anzi rinunciabile anche l'impugnazione proposta da altro organo; che il diritto delle parti di avere posizione di parita' nel processo (art. 111 Cost.) si sviluppa nella sua piena ampiezza nel momento del dibattimento di primo grado e non comporta necessariamente la perfetta identita' tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato e del suo difensore, atteso che la posizione soggettiva di questi ultimi e' piu' interessante tutelata, rispetto a quella del p.m., dall'art. 24 Cost., che pacificamente non si attaglia alla parte pubblica, cosi' come non le si attaglia la tutela apprestata dall'art. 3 della Costituzione, posto a garanzia del cittadino; e cio' vale in particolar modo nel giudizio di appello, atteso che l'ordinamento costituzionale non riconosce alcun diritto al doppio grado di giurisdizione di merito, bensi' afferma il solo diritto all'impugnazione con il mezzo del ricorso per cassazione avverso le sentenze e i provvedimenti de libertate. Dalla applicazione di tali principi si puo' trarre pertanto un giudizio di non fondatezza delle questioni prospettate nel proprio interesse dalla parte pubblica, dovendosi ritenere non del tutto irragionevole, ne' contraria ai precetti vincolanti della Costituzione la scelta novellatrice del legislatore: essa, a seguito delle modifiche introdotte al secondo comma dell'art. 593 c.p.p., puo' riassumersi nella proposizione del principio secondo il quale l'imputato prosciolto non puo' essere assoggettato al giudizio di appello su richiesta del p.m., se questi non chieda la assunzione di una prova nuova decisiva, atteso che eventuale macroscopici errori commessi dal primo giudice nella valutazione della prova avrebbero comunque attitudine a costituire motivo del ricorso per Cassazione. 2) Passando ad esaminare le questioni sollevate nell'interesse della parte civile, si deve premettere che il novellato testo dell'art. 576 c.p.p., facendo venire meno il richiamo al potere di impugnazione del p.m., ha di fatto annullato ogni potere di appello della parte civile, atteso che l'art. 568/1 c.p.p. prevede il principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione e che nessuna altra norma prevede per la parte civile il diritto di impugnazione con appello, restando per questa parte la sola possibilita' di impugnare la sentenza di primo grado con ricorso per cassazione, secondo la generale previsione dell'art. 568/2 c.p.p. Con riferimento all'appello della parte civile, deve rilevarsi che le argomentazioni svolte a proposito della limitazione del potere di appello del p.m. non valgono, atteso che detta parte - a differenza di quanto puo' dirsi per il p.m. - non assume alcuna posizione prevalenza sostanziale nella assunzione della prova nella fase di indagine ne' alcuna altra posizione privilegiata nel corso del processo penale, e puo' pertanto fondatamente pretendere di vedersi applicati, in tutta la loro ampiezza, i principi costituzionali di parita' nel processo (art. 111 Cost.) di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di tutela del diritto di azione e difesa in giudizio (art. 24 Cost.), con le stesse caratteristiche e modalita' proprie del processo civile che lo vedesse parte (attore, in qualita' di danneggiato) in contraddittorio con il convenuto danneggiante; e cio' e' tanto piu' logicamente e giuridicamente cogente in quanto si consideri che la parte soccombente e' sempre passibile di condanna alla rifusione delle spese e pertanto diviene titolare di una posizione sostanziale passiva, che le attribuisce gli stessi diritti processuali di chi si deve difendere dall'iniziativa altrui. Inoltre, come gia' osservato in altra sede, la violazione dell'art. 111 Cost. e' prospettabile sotto il profilo che, fino a quando restera' concesso a chi e' stato danneggiato da un reato di esercitare l'azione civile nel processo penale, costui non potra' essere discriminato in maniera irragionevole rispetto al danneggiante: se quest'ultimo gode di uno strumento di doglianza nel merito nei confronti della decisione del primo giudice, lo stesso strumento, nel caso di soccombenza, non puo' essere sottratto alla parte civile, pena la lesione della par condicio processuale. Non manifestazione infondata e' altresi' la questione della violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., atteso che l'inviolabile diritto di azione e difesa e' vulnerato dalla previsione di un secondo grado di giudizio in cui l'imputato potra' svolgere le proprie doglianze, mentre alla parte civile cio' e' precluso. Da tali rilievi consegue la valutazione di illegittimita' dell'assetto attuale del regime delle impugnazioni della parte civile, che assume piena rilevanza alla luce del combinato disposto degli artt. 75/3, 83 e 652 c.p.p. dai quali si deve desumere che la parte civile che abbia presentato le proprie conclusioni nel giudizio di primo grado risulta vincolata dal giudicato penale formato in un processo nel quale ad essa - danneggiata - viene impedito di difendersi nel merito nel grado di appello, in situazione di irragionevole ed ingiustificabile disparita' rispetto al soggetto danneggiante; ne' detta lesione e' annullata dal potere di proporre ricorso per Cassazione, atteso il carattere di sola legittimita' di tale mezzo di impugnazione.