IL TRIBUNALE

    Riunito  in  camera  di  consiglio,  ha  pronunciato  la seguente
ordinanza   nella   causa  civile  ascritta  al  n. 19645  del  Ruolo
Contenzioso    civile   dell'anno   2004,   tra   Bellavia   Germano,
elettivamente  domiciliato in Napoli, via A. Falcone n. 72, presso lo
studio  dell'avv. Francesco Bordo, il quale lo rappresenta e difende,
unitamente  all'avv.  Raffaela  Gigli, in virtu' di procura a margine
dell'atto  di  citazione,  attore  e  Banca Monte dei Paschi di Siena
S.p.A.,  con  sede  in  Siena,  piazza Salimbeni n. 3, in persona del
legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente  domiciliata  in
Napoli,  via  dei  Pretis  n. 102,  presso  lo studi dell'avv. Andrea
Moschiano,  il  quale  la  rappresenta e difende, unitamente all'avv.
prof.  Francesco  Carbonetti  e  all'avv.  Roberto  Della Vecchia, in
virtu'  di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta,
convenuta.

                          Premesso in fatto

    Con  citazione ritualmente notifica Bellavia Germano esponeva che
era  stato indotto a sottoscrivere, nel giugno 2001, presso l'agenzia
di  Napoli  del Monte dei Paschi di Siena, di cui era correntista, un
piano   finanziario   denominato   «4YOU»;  il  funzionari  dirigente
dell'Agenzia  n. 7  di Napoli con il quale vi era rapporto fiduciario
espressamente  aveva assicurato trattarsi di un investimento privo di
rischi  simile  ad un piano di accumulo di capitale, con possibilita'
di  uscire  in  qualunque momento senza penalizzazioni. Le insistenze
del dirigente dell'agenzia avevano determinato l'esponente, senza che
ne  fosse  stato  adeguatamente  informato  poiche' non gli era stato
consegnato  alcun  prospetto informativo, ad apporre piu' firme su un
unico  foglio  che  successivamente  aveva  appreso  far  parte di un
contratto  formato  da  piu'  fogli  separati contenenti il complesso
delle  clausole  del  contratto  che si assumeva stipulato. I singoli
fogli   non   erano  ne'  sottoscritti  ne'  siglati  e  quindi  solo
successivamente   l'istante  aveva  avuto  piena  cognizione  che  si
trattava  sostanzialmente  di un mutuo di durata di quindici anni che
prevedeva  l'acquisto di obbligazioni e fondi comuni con la provvista
costituita dalla concessione del finanziamento di Euro 258.194,33 che
restava  garantito  dai  titoli  acquistati  di  cui non si conosceva
neppure il prezzo.
    Nei  primi  estratti  conto  il  pagamento  della  rata era stato
classificato   come   addebito   per   piano  finanziario  «4YOU»  ma
successivamente  per  finanziamento  medio/lungo termine. L'esponente
era  un  soggetto  non  avente propensione al rischio ed era privo di
conoscenze  anche elementari in materia di prodotti finanziari, tanto
che  le sue precedenti esperienze in materia erano limitate alle piu'
semplici  forme  di  investimento, quali pronti contro termine, fondi
monetari  e  fondi  bilanciati.  L'esponente  in  ragione  della  sua
attivita',  ben  nota  alla banca, di attore teatrale con conseguente
estrema  variabilita'  di  reddito  non era in condizione di assumere
l'onere  del  pagamento di consistenti rate mensili per un periodo di
cosi'  lunga  durata,  circostanza  su cui non gli era stata peraltro
fornita alcuna informazione. Il funzionario della banca, venendo meno
al  dovere  di diligenza, correttezza e trasparenza e senza per nulla
preoccuparsi  dell'interesse  del  cliente  aveva proposto ugualmente
l'investimento.  Non solo, poi, non era stato consegnato il prospetto
informativo  di  cui ai regolamenti Consob ma non risultava accertata
effettivamente  la  propensione al rischio ne' dal contratto appariva
che   erano   state   assunte  o  richieste  informazioni  in  ordine
all'esperienza  in  materia  di investimenti in strumenti finanziari,
situazione  finanziaria,  obiettivi  di investimento e propensione al
rischio.
    Nella  realta', come si era appreso da altri correntisti del MPS,
il prodotto era fortemente «spinto» dalla dirigenza con obbligo per i
dipendenti di realizzare un determinato «budget» ed erano stati anche
offerti  premi consistenti a clienti o impiegati che fossero riusciti
a  procurare  un certo numero di contratti. Il contratto sottoscritto
il  25 giugno  2001  doveva  ritenersi  nullo, invalido ed inefficace
perche'   in  violazione  della  normativa  vigente  in  materia,  in
particolare  del  Regolamento  Consob, del Testo Unico della Finanza,
della  legge  n. 281/1998 e del codice civile in relazione agli artt.
1469-bis e segg. l'istante non aveva potuto procedere all'acquisto di
un  appartamento  da  destinare  a  propria abitazione in quanto gia'
gravato  di  una  rata  mensile  di  mutuo di rilevante entita' ed in
quanto  nessun  istituto  di credito era disponibile a concedergli un
mutuo,   essendo   egli  gia'  iscritto  alla  Centrale  Rischi  come
conseguenza   della  sottoscrizione,  contro  la  sua  volonta',  del
contratto «4YOU». L'esponente, pur volendo estinguere anticipatamente
il  finanziamento,  era  stato  costretto  a  rinunziarvi poiche', al
contrario  di  quanto  gli era stato assicurato, avrebbe ricevuto una
rilevantissima  penalizzazione  derivante  dall'applicazione  di  una
formula  matematica  incomprensibile  a  qualunque  persona  di media
cultura.
    Tanto  premesso,  il  Bellavia conveniva in giudizio il Monte dei
Paschi di Siena S.p.A. per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
dichiarare  nullo, invalido ed inefficace il contratto di adesione al
piano  finanziario  denominato  «4YOU» sottoscritto il 21 giugno 2001
per  i  motivi  esposti  in  premessa e per altri che si riservava di
aggiungere;  per  l'effetto condannare il convenuto alla restituzione
di  tutte  le  somme  versate  per arte di mutuo, spese e quant'altro
comunque collegato e dipendente dal contratto, oltre rivalutazione ed
interessi dai singoli pagamenti al soddisfo; ordinare al convenuto di
disporre,  a  sua  cura  e spese, tutti gli adempimenti necessari per
l'esclusione   dell'istante  della  Centrale  Rischi;  condannare  il
convenuto   al  risarcimento  dei  danni  da  lucro  cessante,  danno
emergente,  danni  morali,  esistenziali  e qualsivoglia altro avente
causa  diretta  o  indiretta  nel piano finanziario denominato «4YOU»
nella  misura  complessiva  di  Euro 200.000,00  ovvero  nella misura
inferiore  e  superiore  che  il  tribunale  riterra';  condannare il
convenuto  al  pagamento delle spese, diritti ed onorari del giudizio
con  la  maggiorazione  per  spese  forfettarie e con attribuzione ai
sottoscritti procuratori.
    Si  costituiva la convenuta la quale eccepiva preliminarmente che
alla  controversia  era  applicabile il c.d. «processo societario» di
cui  al  d.lgs.  17 gennaio  2003, n. 5, chiedendo, pertanto, a mente
dell'art. 1, d.lgs. cit. la cancellazione della causa dal ruolo.
    Nel  merito  contestava  in  ogni  suo  punto  la domanda attorea
chiedendone il rigetto; contestava, per i motivi tutti esplicitati in
comparsa la dedotta invalidita' dei contratti conclusi dall'attrice.
    All'esito  dell'udienza  di  prima comparizione il giudicante, ai
sensi  dell'ultimo  comma  dell'art. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5,
disponeva  il  mutamento  del rito e la cancellazione della causa dal
ruolo.
    L'attore  notificava  e  depositava memoria di replica ex art. 6,
d.lgs. n. 5/2003.
    La  convenuta  notificava  l'istanza  di  fissazione  di udienza.
Designato  il  giudice relatore, lo stesso, con decreto del 20 luglio
2005,  fissava  l'udienza  collegiale  ai sensi dell'art. 12, decreto
citato,  provvedeva sulle richieste istruttorie, indicando alle parti
la  questione  rilevabile  d'ufficio in ordine alla costituzionalita'
per eccesso di delega del decreto legislativo n. 5/2003.
    All'udienza   collegiale  del  5 ottobre  2005  il  tribunale  si
riservava la decisione.

                         Osserva in diritto

    Preliminarmente   questo   Tribunale   ritiene  di  sollevare  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 12 della legge
n. 366/2001  con  riferimento  all'art. 76  della  Costituzione nella
parte  in  cui,  in relazione al giudizio ordinario di primo grado in
materia  societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che
avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore delegato e, per
derivazione,  degli  artt.  da  2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 17 gennaio
2003,  nonche',  in via subordinata, degli artt. da 2 a 17 del d.lgs.
n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione all'art. 76 della Costituzione,
perche'  difformi  dai principi e dai criteri direttivi dettati dalla
legge di delega n. 366/2001.
    Ed  invero,  quanto  alla  non manifesta infondatezza della prima
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale sopra indicate, si
osserva  che  l'art. 12 della legge n. 366/2001, dispone: «Il Governo
e'  inoltre  delegato  ad  emanare  norme  che, senza modifiche della
competenza  per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti  nelle
seguenti materie:
        a) diritto  societario,  comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
        b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia  di intermediazione finanziaria, di cui al d.lgs. 24 febbraio
1998,  n. 58,  e  successive  modificazioni,  e dal testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al d.lgs. 1° settembre
1993, n. 385, e successive modificazioni.
    2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui
al  comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che
in particolare possano prevedere:
        a) la  concentrazione  del  procedimento  e  la riduzione dei
termini processuali;
        b) l'attribuzione  di  tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
        c) la  mera  facoltativita'  della  successiva  instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
        d) un   giudizio   sommario   non   cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
        e) la  possibilita'  per  il  giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
        f) uno  o  piu'  procedimenti  camerali,  anche  mediante  la
modifica degli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile ed
in   estensione   delle   ipotesi  attualmente  previste  che,  senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
        g) le  forme  di  comunicazione  periodica  dei tempi medi di
durata   dei  diversi  tipi  di  procedimenti  di  cui  alla  lettere
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle Corti di appello e dalla
Corte di cassazione».
    Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce
che  l'esercizio  della funzione legislativa non puo' essere delegato
al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi
e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
    La  migliore  dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza della Corte
costituzionale  hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che
essa  intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle
Camere  al  Governo,  ma  qualunque legge delegante che non operi una
previa  determinazione  della  portata  e  del  tipo della disciplina
delegata,  cosicche'  l'attivita'  di Governo risulti sostanzialmente
vincolata   a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di  scelta
operativa  una  serie  di risultati gia' precostituiti da parte delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti.
    Conseguentemente il Legislatore ordinario deve stabilire principi
e  criteri  cosi'  specificati  da far prevedere l'esito finale della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza.
    Orbene,  ritiene  questo  tribunale  che  nel  caso  in  esame il
legislatore  delegante non ha indicato con sufficiente determinazione
i  principi  ed  i  criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il
legislatore delegato.
    Dal dettato dell'art. 12, legge n. 366/2001, infatti - escludendo
il  riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio  -  sono
estrapolabili i seguenti principi:
        1) divieto  di modifica della competenza per territorio e per
materia;
        2) necessita'  di  assicurare  una  piu'  rapida  ed efficace
definizione di procedimenti;
        3) possibilita'   di   dettare   regole  processuali  che  in
particolare possano prevedere:
            a) la  concentrazione del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
            b) l'attribuzione  di tutte le controversie nelle materie
di  cui  al  comma  1  al tribunale in composizione collegiale, salvo
ipotesi  eccezionali  di giudizio monocratico in considerazione della
natura degli interessi coinvolti;
            c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modifica o la
rinnovazione  di  atti  negoziali su cui verte la causa e, in caso di
mancata      conciliazione,     tenendo     successivamente     conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001, quindi, il Legislatore si e' limitato ad
indicare   le   materie   nelle   quali  il  Governo  sarebbe  potuto
intervenire,  l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace la
definizione  dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza
per  territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita' del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in  sede  di  tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare
regole  che  favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione
del procedimento.
    Nulla  tuttavia  la  legge  delega ha detto in ordine allo schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
d.lgs.  n. 5  del  17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo modello di
processo.
    Ed   infatti,   come   indicato   dalla  stessa  relazione  della
commissione  ministeriale,  il  nuovo rito societario previsto per il
processo  di  cognizione  davanti  al tribunale costituisce un vero e
proprio  nuovo  modello  processuale, che si distacca volutamente sia
dal  modello  processuale  del  1942,  sia da quello del processo del
lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con riforma del
1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale
in  materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza
l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2
non  e'  piu'  indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che
l'attore  fissa  al  convenuto per la comunicazione della comparsa di
risposta  e'  fissato  solo  nel  minimo,  cosi'  nella  comparsa  di
risposta, ai sensi dell'art. 4, il convenuto puo' a sua volta fissare
all'attore  per  eventuale  replica  un  termine stabilito ancora una
volta  solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la
possibilita'  di  una  replica  da  parte  dell'attore  e l'art. 7 la
possibilita'  di  una  controreplica  da  parte  del convenuto e poi,
ancora,   ulteriori   repliche   e  controrepliche.  Solo  a  seguito
dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il
giudice  in  un  momento  pero' in cui sia il thema decidendum che il
thema  probandum  si sono gia' definitivamente formati, totalmente al
di fuori, quindi, del controllo del giudice.
    D'altra parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di
contumacia  o  di  costituzione  tardiva del convenuto, che introduce
l'innovativo  principio  (di  cui nella delega non vi e' traccia) per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore .... si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Emerge  dunque  chiaramente che il legislatore delegato, in forza
di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione
di  criteri  direttivi,  ha  potuto creare una disciplina interamente
nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando
quel  rito  ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione
ministeriale per la riforma del processo civile.
    Questo  tribunale, quindi, ritiene che non possa andare esente da
dubbi  di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la
creazione  di  un  nuovo  processo, seppur circoscritto a determinate
materie,  si  limiti  ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare
una  piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto
di  «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia»,  un
preferenza  per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di
conciliazione   o   un'indicazione   di   massima   a   favore  della
«concentrazione    del   procedimento   e   riduzione   dei   termini
processuali».
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   Collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art.  12  della legge n. 366/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli artt. da 2 a 17 del d.lgs. n. 5 del 2003.
    La  questione  e',  altresi'  rilevante  in  quanto  la  presente
controversia,   rientrando   tra   quelle   di  cui  alla  lettera d)
dell'art. 1  del  d.lgs.  n. 5/2003,  e' stata promossa e va trattata
secondo  le  norme  previste  dal predetto decreto - emanato in forza
della  suddetta  legge  di  delega  -  disciplinante per l'appunto il
giudizio  di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale in
composizione  collegiale  nelle materie di cui all'art. 1 del decreto
citato   e,   come   e'   evidente,   dalla   pronunzia  della  Corte
costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina
processuale alla concreta fattiscpecie sottoposta al vaglio di questo
tribunale.
    In  subordine,  e  per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere
costituzionalmente   legittimo  l'art. 12  della  legge  n. 366/2001,
questo  tribunale  ritiene  che  non  sia manifestamente infondato il
dubbio  di  costituzionalita' degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,
11,  12,  13,  14, 15, 16 e 17 del d.lgs. n. 5 del 2003 per contrasto
con  l'art. 76  della  Costituzione,  in quanto emanati eccedendo dai
principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001.
    Ed  invero,  per  evitare  il  sospetto d'incostituzionalita' per
indeterminatezza  e  genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe
necessariamente  leggersi  la  legge  n. 366/2001, come gia' fatto da
altri  giudici  ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del
18 ottobre   2004   che   ha   rimesso   la   questione   alla  Corte
costituzionale),  facendo  riferimento  alla  disciplina  del vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II,  titolo I,  c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse  e obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art. 180  c.p.c.),  quindi la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  una  seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda  parte,  c.p.c.)  e quindi, all'esito un'ulteriore udienza di
precisazione  delle  conclusioni  (art. 189  c.p.c.).  Se  si volesse
individuare  una  determinatezza dei criteri direttivi nella legge di
delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore
delegante,    indicando   il   principio   di   «concentrazione   del
procedimento»,  abbia  fatto  evidentemente  riferimento proprio alla
suddetta scansione prevista nel processo ordinario.
    Ugualmente  il  processo  ordinario  vigente  prevede  che fra il
giorno  della  notificazione  e  quello  dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinario  di  quindici  giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine
per  il  deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo
comma,  seconda  parte,  prevede il termine di sessanta giorni per il
deposito  delle  comparse  conclusionali  e  di  venti  per eventuali
repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
-  estremamente  riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata
rispetto  all'altra - dei principi fissati dal Legislatore delegante,
altrimenti  invero  generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio
di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001.
    E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli
artt.  da  2  a  17, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data
attuazione  alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal
legislatore  delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce delle
caratteristiche   del   nuovo   rito   societario   come  gia'  sopra
sintetizzate.
    Il  decreto  legislativo  n. 5/2003,  infatti, non ha previsto un
rito  concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato
dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  ma,  come  gia' sopra evidenziato, ha
introdotto   nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito  ordinario
prefigurato  dal  testo della commissione ministeriale per la riforma
del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale.
    Tanto  premesso  in  fatto  ed  in diritto, ai sensi dell'art. 23
della  legge  11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli
atti  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione sulla questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso.
    Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di
cui alla predetta norma.