Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della regione pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1249 dell'11 settembre 2006 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura rogata dal Notaio Federico Stame del Collegio di Bologna, n. 50057 di rep. del 13 settembre 2006 (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova, Franco Mastragostino di Bologna e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione che non speta allo Stato, e per esso al Presidente del Tribunale amministrativo regionale del Lazio - Roma (Sezione prima quater), di sospendere l'efficacia di una legge regionale, nonche' per il conseguente annullamento del decreto del Presidente del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 4932 del 6 settembre 2006 (all. 3), nella parte in cui esso, in accolgimento di corrispondente istanza cautelare, ha direttamente sospeso l'efficacia della legge regionale 10 luglio 2006, n. 10, recante: Norme per la definizione del Calendario venatorio regionale per le stagioni 2006-2007, 2007-2008, 2008-2009, pubblicata nel B.U.R. del 10 luglio 2006, n. 102, in violazione delle prerogative costituzionali della Regione Emilia-Romagna, ed in particolare in violazione dell'art. 117 della Costituzione; dell'art. 136 della Costituzione, in relazione ai compiti ed alle prerogative di codesta ecc.ma Corte costituzionale, come attuativamente disciplinati anche dall'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel testo sostitutivo dell'art. 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003, per il profilo e nei modi di seguito illustrati. F a t t o e d i r i t t o La Regione Emilia-Romagna ha dettato Norme per la definizione del Calendario venatorio regionale per le stagioni 2006-2007, 2007-2008, 2008-2009 con la legge regionale 10 luglio 2006, n. 10. Il sopraggiungere di tale legge, estesa a piu' anni venatori, ha determinato il superamento della deliberazione della giunta regionale del 17 maggio 2006, n. 658, che si limitava a disporre per la sola stagione 2006-2007. Tant'e' che con delib. G.R. progr. n. 1162 del 5 agosto 2006 e' stata disposta per tale ragione la revoca anche formale della suddetta deliberazione. L'art. 4, comma 5, della citata legge, dedicato alle Giornate e forme di caccia, stabilisce quanto segue: «Le Province esercitato le facolta' stabilite dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeotema e per il prelievo venatorio), art. 18, comma 2, nei limiti ed alle condizioni ivi previste. Qualora esse prevedano, nei rispettivi calendari venatori provinciali, l'anticipazione dell'esercizio venatorio alla data del 1° settembre, la caccia in tale periodo si potra' effettuare nella giornata del 1° settembre - purche' non coincidente con il martedi' o il venerdi' - e nelle successive giornate di giovedi' e domenica, esclusivamente da appostamento, fisso o temporaneo, fino alle ore 13, alle specie individuate dalle Province, da parte dei cacciatori iscritti agli ATC della Regione Emilia-Romagna - ciascuno negli ambiti di iscrizione - o che esercitino la caccia nelle AFV o da appostamento fisso con richiami vivi». Si tratta, come la ricorrente regione si riserva di argomentare in ogni sede, di una disposizione perfettamente legittima, che d'altronde disciplina una possibilita' espressamente prevista dalla legge statale. Ma il presente conflitto non riguarda il contenuto di tale disposizione, ma il trattamento che il decreto qui impugnato ha riservato ad essa, ed all'intera legge che la contiene. E' accaduto, infatti, che tale legge, ed in particolare la ricordata disposizione, sia stata direttamente impugnata davanti al Tribunale amministativo reginale per il Lazio (in evidente spregio - si osserva per inciso- delle regole di competenza territoriale) da LAV - Lega Antivivisezione Onlus con un ricorso che ha assunto il n. 8196/06. Tale ricorso e' espressamente rivolto, come risulta anche dal decreto oggetto del presente giudizio «all'annullamento, previa sospensione, della deliberazione della giunta regionale del 17 maggio 2006, n. 658 "Definizione del Calendario venatorio regionale per le stagioni 2006-2007"» e della successiva «Legge-provvedimento "Legge regionale" 10 luglio 2006, n. 10 - "Norme per la definizione del Calendario venatorio regionale per le stagioni 2006-2007, 2007-2008, 2008-2009"». Come detto, il ricorso e' formalmente rivolto avverso la delibera e avverso la successiva legge regionale, ma in realta' e' rivolto soltanto avverso la legge regionale, dato che questa e' ormai l'unica fonte regolatrice della materia. Di fronte a tale abnorme diretta impugnazione della legge (di una legge che tra l'altro non e' affatto una legge provvedimento, come erroneamente affermato nel ricorso e pedissequatamente ripreso dal decreto qui impugnato, ma detta una disciplina destinata ad essere attuata da provvedimenti applicativi delle province), il Presidente del Tribunale amministrativo per il Lazio, anziche' constatare in limite tale abnormita', in quanto veniva fatto oggetto del ricorso al giudice amministrativo non un provvedimento amministrativo applicativo delle norme di legge, ma la legge stessa in quanto tale, ha ritenuto di esaminare l'istanza cautelare nel merito, ed al termine di tale esame di accoglierla, disponendo la sospensione della legge regionale, ed aggiungendo cosi' - ad avviso della ricorrente regione - all'abnorme ricorso un provvedimento giurisdizionale ancor piu' abnorme, in quanto espressamente ed in via diretta sottopone alla giurisdizione del tribunale amministrativo le leggi della Regione Emilia-Romagna. Che cio' abbia fatto il Presidente del Tribunale amministrativo regionale del Lazio risulta in modo chiaro ed inequivocabile dal testo del decreto qui impugnato. Esso premette l'oggetto del ricorso e della domanda cautelare, nei termini gia' sopra richiamati (cioe' l'impugnazione diretta e la domanda di sospensione della legge), e dopo talune argomentazioni di merito (che la ricorrente regione ritiene infondate, ma che non rilevano nel presente giudizio) e sul periculum (la cui fondatezza o infondatezza pure qui non rileva), «accoglie l'istanza di misura cautelare urgente, sul ricorso avverso la Regione Emilia-Romagna». Risulta dunque evidente che il presidente del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto l'istanza cosi' come prospettata nel ricorso (che espressamente richiedeva al Tribunale amministrativo regionale di «sospendere l'esecuzione dei provvedimenti impugnati nella parte in cui autorizzano le Province a consentire nei rispettivi calendari venatori l'anticipazione dell'esercizio venatorio» e come sintetizzata nei termini sopra esposti dal decreto qui impugnato. Il decreto, dunque, direttamente sospende l'applicazione della legge quale «provvedimento» impugnato. Si noti che, essendo formalmente impugnati sia la deliberazione del 17 maggio che la successiva legge n. 10 del 2006, anche la sospensione cautelare si riferisce formalmente ad entrambi. Ma, come sopra esposto, al momento del ricorso ed al momento del decreto qui impugnato al sola disciplina vigente era quella della legge regionale n. 10 del 2006: sicche' in definitiva la sospensione della legge regionale e' in realta' l'unico oggetto della pronuncia cautelare. Ma naturalmente l'eccesso di giurisdizione vi sarebbe anche se la pronuncia si potesse giuridicamente riferire anche alla precedente deliberazione, peraltro ormai non piu' vigente. Che il presidente di un tribunale amministrativo, come lo stesso tribunale amministrativo e come in realta' qualunque altro giudice ordinario o speciale, non abbia il potere di disporre in via diretta degli atti aventi forza di legge e' del tutto pacifico, e non sembra richiedere dimostrazione. Solo ad abundantiam, dunque, si ricordera' che la soggezione del giudice alla legge e' espressamente stabilita dall'art. 10 della Costituzione, e che tale soggezione vale anche ove il giudice ritenga che la legge contrasti con la Costituzione: nel senso che il solo potere del giudice e' quello di prospettare il proprio convincimento a codesta ecc.ma Corte costituzionale, affinche' codesta Corte, e nessun'altra, decida sulla questione, come titolare esclusivo del potere di dichiarare una legge costituzionalmente illegittima ai sensi e per gli effetti dell'art. 136 della Costituzione. E' pacifico invece che il giudice, ove ometta di sottoporre l'atto al giudizio costituzionale e ne disponga direttamente la disapplicazione, viola le prerogative del legislatore, di modo che il suo atto puo' e deve essere annullato da codesta ecc.ma Corte in sede di conflitto di attribuzioni (cfr. per tutte la sentenza n. 285 del 1990). Quanto al potere di sospendere l'applicabilita' della legge, privandola sia pure provvisoriamente dell'efficacia normativa che ne costituisce la ragione d'essere, esso non e' menzionato espressamente dalla Costituzione, sicche' potrebbe dubitarsi che la stessa Corte costituzionale sia abilitata ad esercitarlo. Tuttavia, l'art. 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003, ritenendolo evidentemente compreso nel piu' ampio potere di dichiarare l'illegittimita' costituzionale, ne ha disciplinato l'esercizio, ma sempre ovviamente come potere proprio ed esclusivo di codesta ecc.ma Corte costituzionale, che tra l'altro finora non lo ha mai esercitato. D'altronde, il carattere eccezionale e la titolarita' esclusiva di tale potere in capo alla Corte costituzionale sono confermati anche dalla giurisprudenza costituzionale, ed in particolare dalla recente ordinanza n. 245 del 2006. Dunque, prendendo in considerazione nel merito un'impugnazione riferita direttamente alla legge, non accompagnata dall'impugnazione di alcun provvedimento applicativo, e disponendo, in accoglimento dell'abnorme ricorso, direttamente la sospensione della legge impugnata, il Presidente del Tribunale amministrativo per il Lazio ha posto ad oggetto della propria giurisdizione un atto che, nei termini esposti, e' sottratto ad essa. Cosi' facendo, esso ha violato il regime costituazionale della legge, come definito dagli artt. 117, 134 e 136 della Costituzione, ledendo le prerogative costituzionali della ricorrente regione ed appropriandosi delle funzioni di codesta stessa Corte costituzionale.