IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello
n. 333  del  2005 dell'Azienda Policlinico Umberto I, costituitasi in
persona  del  commissario, straordinario l.r. pro tempore, dott. Dino
Cosi,   rappresentata   e   difesa   dall'avv.   Antonio  Capparelli,
elettivamente domiciliata in Roma, viale del Policlinico, n. 155;
    Contro  la  Medikron  S.r.l. costituitasi in persona del l.r. pro
tempore  dott.ssa  Anna  Bacigalupo, rappresentata e difesa dall'avv.
Luigi   Parenti,  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  viale  delle
Milizie,  n. 114,  presso  lo  studio  dell'avv. Luigi Parenti per la
riforma della sentenza n. 13081 del 13 ottobre 2004/16 novembre 2004,
pronunciata  tra  le parti dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sez. III;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione  in  giudizio  della  Societa'
appellata;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore il consigliere Gabriele Carlotti;
    Uditi   alla   pubblica  udienza  del  13  dicembre  2005  l'avv.
Capparelli per l'Azienda Policlinico Umberto I e l'avv. Luigi Parenti
per la societa' appellata;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

                           Fatto e diritto

    Il    Collegio    dubita    della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 7-quater,  primo, secondo e quarto comma, del decreto-legge
31  gennaio  2005,  n. 7 (Disposizioni urgenti per l'universita' e la
ricerca, per i beni e le attivita' culturali, per il completamento di
grandi opere strategiche, per la mobilita' dei pubblici dipendenti, e
per  semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse
di  concessione,  nonche'  altre  misure  urgenti),  pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 31 gennaio 2005, n. 24 e
convertito  in  legge,  con modificazioni, dall'art. 1 della legge 31
marzo  2005,  n. 43,  entrata in vigore il giorno successivo a quello
della pubblicazione.
    Si  espongono  di seguito i termini della questione che s'intende
sottoporre al giudizio della Corte costituzionale.
                       La vicenda contenziosa
    Con  il  ricorso  n. 11076  del 2003, cosi' allibrato al r.g. del
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma, la
Medkron instauro' un giudizio ai sensi dell'art. 27 del n. 1054/1924,
onde  ottenere l'ottemperanza dell'Azienda Policlinico Umberto I (nel
prosieguo,  anche  «Azienda»  o  «Azienda  Policlinico»)  al  decreto
ingiuntivo  n. 81142/2000,  emesso  dal Tribunale ordinario civile di
Roma  in data 14 dicembre 2000, notificato all'Azienda sunnominata il
19  gennaio  2001  e  divenuto  esecutivo  in data 24 marzo 2001, con
formula  esecutiva  apposta  il successivo 9 agosto 2001 e nuovamente
notificato in forma esecutiva il 21 settembre 2001.
    Il  titolo suddetto recava (e reca) l'ingiunzione al pagamento di
lire  133.228.600  per  sorte, oltre agli interessi legali maturandi,
nonche'  di  ulteriori  lire  150.000  per  spese,  lire  920.000 per
competenze  e  lire  1.150.000  per  onorari,  maggiorati di I.V.A. e
C.A.P.
    Nel   giudizio   amministrativo  cosi'  instaurato  si  costitui'
l'azienda resistente, deducendo in via preliminare l'inammissibilita'
del  ricorso  poiche' promosso contro un decreto ingiuntivo esecutivo
(e,  quindi,  a  suo  dire,  nei  confronti  di  un  titolo privo dei
requisiti, propri del giudicato, previsti dalla normativa riguardante
la  ottemperanza)  ed,  ancora,  l'improponibilita' dell'impugnativa,
stante  l'avvenuta  attivazione,  da parte della Medikron, di analoga
procedura esecutiva innanzi al giudice ordinario.
    Fu  dedotta  inoltre  la  carenza di legittimazione passiva della
Azienda  Policlinico  Umberto  I sull'assunto che le fatture, in base
alle  quali  era  stato emesso il decreto ingiuntivo, si riferivano a
prestazioni   commissionate  dalla  disciolta  Azienda  universitaria
Policlinico  Umberto I ed eseguite in un'epoca anteriore alla nascita
del  nuovo  ente  (con  autonoma  personalita'  giuridica  di diritto
pubblico;  cfr.,  l'art. 1, primo comma, del decreto-legge 1° ottobre
1999,   n. 341);   di   qui   la  protesta  di  completa  estraneita'
dell'attuale  Azienda Policlinico Umberto I rispetto alla fattispecie
in contenzioso.
    Con  sentenza  del  2  febbraio  2004,  n. 926,  notificata il 13
febbraio  2004,  respinte  tutte  le predette eccezioni, il Tribunale
amministrativo   regionale  accolse  il  ricorso  della  Medikron  e,
conseguentemente,  ordino'  all'Azienda Policlinico Umberto I di dare
integrale  esecuzione  al decreto ingiuntivo in questione nel termine
di  sessanta  giorni; il tribunale incarico' altresi' dell'esecuzione
in    via    sostitutiva,   per   l'eventualita'   della   perdurante
inottemperanza dell'obbligata, un Commissario ad acta, nominato nella
persona del direttore generale in carica della stessa Azienda.
    Quest'ultima  interpose  appello avverso la sentenza n. 926/2004,
ma  la sezione, con la decisione n. 7241, deliberata l'11 giugno 2004
e   depositata   in   segreteria   il   9   novembre  2004,  respinse
l'impugnazione, giudicando infondati tutti i motivi con essa dedotti.
    Nel  frattempo,  con  istanza  depositata il 9 settembre 2004, la
Medikron  chiese  al Tribunale amministrativo regionale di sostituire
il  commissario  gia'  nominato (posto che l'Azienda aveva contestato
l'opportunita'   della  scelta  compiuta  dal  tribunale,  lamentando
altresi'  l'assenza  di disponibilita' finanziarie) ed, in ogni caso,
di  adottare i necessari provvedimenti, onde portare ad esecuzione la
sentenza n. 926/2004, rimasta inosservata.
    Con  la  sentenza  ora impugnata, specificata nell'epigrafe della
presente   ordinanza,  il  tribunale  capitolino  -  preso  atto  del
comportamento   ostruzionistico   dell'Azienda,   considerato   prova
eloquente  della «pervicace volonta' della stessa di non adempiere» -
ordino' nuovamente al direttore generale dell'azienda, policlinico di
dare  integrale  esecuzione  al  decreto  ingiuntivo  nel  termine di
quindici  giorni  dalla  notificazione  o  dalla comunicazione in via
amministrativa della sentenza.
    Al  contempo,  il Tribunale amministrativo regionale dispose che,
in  caso  di  inutile  decorso  del termine assegnato, all'esecuzione
della predetta sentenza avrebbe provveduto, in via sostitutiva, altro
commissario  ad  acta,  entro i successivi sessanta giorni, ponendo a
carico  dell'Azienda  Policlinico  Umberto  I  gli oneri del relativo
compenso.
    L'azienda  resistente  fu  altresi' condannata al pagamento delle
spese relative all'ulteriore fase del giudizio.
    Contro la pronuncia e' insorta in appello l'azienda policlinico.
    L'impugnazione  dell'ente  e'  affidata  ad  un'unica,  ancorche'
articolata,  censura:  in  dettaglio,  l'appellante,  per  un  verso,
continua  a  negare  la  sua  legittimazione  passiva,  sostanziale e
processuale,  rispetto alla controversia e, per altro verso, contesta
la perdurante efficacia del titolo posto in executivis.
    Al  riguardo,  occorre  osservare  che  gli  argomenti  difensivi
dell'Azienda    poggiano    sulla    norma    interpretativa   recata
dall'art. 8-sexies   del   decreto-legge   28   maggio  2004,  n. 136
(Disposizioni  urgenti  per  garantire  la  funzionalita'  di  taluni
settori  della  pubblica  amministrazione),  aggiunto  dalla legge di
conversione 27 luglio 2004, n. 286, secondo cui: «1. - La successione
prevista  dal  comma  1  dell'articolo 2 del decreto-legge 1° ottobre
1999,  n. 341,  convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre
1999,  n. 453,  si  interpreta  nel  senso  che l'azienda Policlinico
Umberto  I  di  Roma succede nei contratti di durata in essere con la
soppressa   omonima   azienda   universitaria   esclusivamente  nelle
obbligazioni  relative  alla  esecuzione dei medesimi successiva alla
data di istituzione della predetta azienda Policlinico Umberto I».
    A  detta  dell'appellante,  la  norma  succitata  escluderebbe la
responsabilita'   patrimoniale   dell'azienda   policlinico   per  le
passivita'  riferibili  alla soppressa azienda universitaria, essendo
queste  ultime  confluite  nella  Gestione Liquidatoria appositamente
creata dal d.l. n. 341/1999.
    La naturale efficacia retroattiva della previsione avrebbe quindi
travolto   il   decreto  ingiuntivo  azionato,  giacche'  relativo  a
prestazioni rese in favore della precedente azienda.
    Secondo  l'azienda  appellante  (v.  la  memoria  datata 31 marzo
2005),  siffatta  inefficacia  sopravvenuta  conseguirebbe, vieppiu',
all'art. 3  del  decreto-legge  29  novembre 2004, n. 280 (Interventi
urgenti  per  fronteggiare  la  crisi  di  settori  economici  e  per
assicurare   la   funzionalita'  di  taluni  settori  della  pubblica
amministrazione),  pubblicato  in  pari data nella Gazetta Ufficiale,
che  recita:  «1.  - I decreti di ingiunzione di cui all'articolo 641
del  codice  di  procedura  civile divenuti esecutivi dopo la data di
entrata   in  vigore  del  decreto-legge  1°  ottobre  1999,  n. 341,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453,
sono  inefficaci  nei  confronti dell'azienda ospedaliera Policlinico
Umberto  I,  qualora  gli stessi siano relativi a crediti vantati nei
confronti   della   soppressa   omonima   azienda  universitaria  per
obbligazioni  contrattuali  anteriori  alla data di istituzione della
predetta  azienda  ospedaliera  Policlinico Umberto I, secondo quanto
disposto  dall'articolo  2,  comma 1, del citato decreto-legge n. 341
del 1999, come interpretato dall'articolo 8-sexies del d.l. 28 maggio
2004,  n. 136,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 27 luglio
2004, n. 186.
    2.  - I pignoramenti eventualmente intrapresi in forza dei titoli
di  cui  al  comma 1 perdono efficacia e i giudizi di ottemperanza in
base  al  medesimo  titolo  pendenti  sono  dichiarati  estinti anche
d'ufficio.
    3.  -  Nelle azioni esecutive iniziate sui medesimi titoli di cui
al  comma 1, alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto
I  subentra  il  commissario  di  cui  al comma 3 dell'articolo 2 del
decreto-legge 10 ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni,
dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453».
    In  secondo  grado  si e' costituita la Medikron eccependo in via
preliminare  l'inammissibilita' dell'appello, essendosi impugnata una
decisione meramente ordinatoria, esclusivamente attinente alle misure
esecutive del giudicato.
    Inoltre, la Medikron ha osservato come tutte le questioni dedotte
dall'Azienda   siano   state  gia'  esaminate  e  ritenute  prive  di
fondatezza  dalla  sunnominata  decisione  della  Sezione n. 7241 del
2004,  passata  in  giudicato;  in  via  subordinata,  l'appellata ha
eccepito   l'illegittimita'   costituzionale   dell'art. 3  del  d.l.
n. 280/2004  per violazione, sotto differenti profili, degli artt. 3,
24, 41, 77, 97, 101, 102, 104 e 113 Cost.
    Nelle  more  della  decisione il d.l. n. 280/2004 e' decaduto per
mancata   conversione   nel   termine   di   sessanta   giorni  dalla
pubblicazione (v. il comunicato del Ministero della giustizia in data
29  gennaio  2005, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana
29 gennaio 2005, n. 23).
    L'art. 7-quater del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7.
    Sennonche'   il   contenuto   dispositivo  dell'art. 3  del  d.l.
n. 280/2004  e' stato successivamente recepito nell'art. 7-quater del
d.l.  n. 7/2005,  aggiunto  dalla legge di conversione 31 marzo 2005,
n. 43  e  rubricato  «Controversie  relative  alla  soppressa azienda
universitaria  Policlinico  Umberto  I», dal seguente tenore: «1. - I
decreti  di  ingiunzione  di  cui  all'articolo  641  del  codice  di
procedura  civile  e  le  sentenze divenuti esecutivi dopo la data di
entrata   in  vigore  del  decreto-legge  1°  ottobre  1999,  n. 341,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453,
sono  inefficaci  nei  confronti dell'azienda ospedaliera Policlinico
Umberto  I,  qualora  gli stessi siano relativi a crediti vantati nei
confronti   della   soppressa   omonima   azienda  universitaria  per
obbligazioni  contrattuali  anteriori  alla data di istituzione della
predetta  azienda  ospedaliera  Policlinico Umberto I, secondo quando
disposto  dall'articolo  2,  comma 1, del citato decreto-legge n. 341
del  1999, come interpretato dall'articolo 8-sexies del decreto-legge
28 maggio 2004, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 27
luglio 2004, n. 186.
    2.  - I pignoramenti eventualmente intrapresi in forza dei titoli
di  cui  al  comma 1 perdono efficacia e i giudizi di ottemperanza in
base  al  medesimo  titolo  pendenti  sono  dichiarati  estinti anche
d'ufficio.
    3.  -  Nelle azioni esecutive iniziate sui medesimi titoli di cui
al  comma 1, alla soppressa azienda universitaria Policlinico Umberto
I  subentra  il  commissario  di  cui  al comma 3 dell'articolo 2 del
decreto-legge 1° ottobre 1999, n. 341, convertito, con modificazioni,
dalla legge 3 dicembre 1999, n. 453.
    4.  -  Dall'attuazione  del presente articolo non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
    Giova  mettere  in evidenza che le uniche, e tuttavia importanti,
differenze tra la portata precettiva dell'art. 3 del d.l. n. 280/2004
e  dell'art. 7-quater  del  d.l.  n. 7/2005,  concernono, da un lato,
l'inserimento nel testo del primo comma delle parole «e le sentenze»,
e, dall'altro lato, l'aggiunta del quarto comma.
    La rilevanza della questione.
    I) l'art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136.
    Pur   ravvisandosi   la  piena  legittimazione  della  sezione  a
sollevare  la questione per i motivi di seguito specificati (v. Corte
cost.,  23  novembre 1994, n. 397), si osserva in via preliminare che
la  valutazione della rilevanza del tema che s'intende devolvere alla
cognizione  della  Corte  costituzionale  postula  la previa disamina
dell'eventuale   incidenza,   sull'oggetto  della  controversia,  del
disposto dell'art. 8-sexies del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136;
ancora,  si  osserva  che  il giudizio di rilevanza presenta altresi'
talune     interferenze     con     lo    scrutinio    dell'eccezione
d'inammissibilita' dell'appello sollevata dalla Medikron.
    In  ordine  alla  prima  problematica, e' dirimente osservare che
l'art. 8.-sexies  e'  entrato  in  vigore prima della deliberazione e
della successiva decisione della sezione n. 7241 del 2004, con cui la
legittimazione  sostanziale  e  processuale  dell'Azienda policlinico
Umberto I e' stata accertata in via definitiva. Versandosi in materia
di  diritti  soggettivi,  il  giudicato  copre anche il deducibile e,
dunque,  il locus standi dell'appellante non puo' piu' esser messo in
discussione, nemmeno da questo Collegio.
    Per  mero  dovere  di completezza motivazionale, in aggiunta alle
superiori  e concludenti considerazioni, deve peraltro escludersi che
si   sia  alla  presenza  di  un  "giudicato  ingiusto".  Ed  invero,
correttamente  la  decisione della sezione n. 7241/2004 non si occupa
dell'art. 8-sexies  del  decreto-legge  n. 136/2004: la disposizione,
infatti,  manifestamente  non  attiene  allo  specifico oggetto della
controversia  ed,  inoltre,  le  conseguenze effettuali che l'Azienda
trae  dalla sua esegesi si palesano del tutto esorbitanti rispetto al
reale tenore della norma.
    L'art. 8-sexies   ha   natura   tipicamente   interpretativa.  La
previsione  al  centro  dell'ermeneutica  legislativa  e'  il comma 1
dell'art. 2  del  decreto-legge  n. 341/1999,  secondo cui «L'Azienda
Policlinico  Umberto  I succede all'omonima azienda universitaria nei
rapporti  in corso, relativi alla gestione dell'assistenza sanitaria,
con   utenti,  autorita'  competenti  e  altre  amministrazioni,  nei
contratti  in  corso  per  la  costruzione  di strutture destinate ad
attivita'  assistenziali,  nonche'  nei  contratti  in  corso  per la
fornitura  di  beni e servizi destinati all'assistenza sanitaria, per
un periodo massimo di dodici mesi
    Tanto  premesso,  e'  agevole rilevare come l'art. 8-sexies abbia
soltanto  ridotto  l'estensione  oggettiva  della successione ex lege
disposta  nel  1999,  limitandola  ai contratti di' durata (comunque,
ancora  in  corso) ed alle «obbligazioni relative alla esecuzione dei
medesimi  successiva  alla data di istituzione della predetta azienda
Policlinico  Umberto  I». Dalla lettura del riferito dato positivo si
evince,   quindi,  per  quel  che  interessa  la  vicenda  sottoposta
all'esame  del  Collegio,  che  il Legislatore ha voluto escludere la
successione  legale dell'azienda neoistituita relativamente alle sole
obbligazioni  di  pagamento  di  forniture,  afferenti a contratti di
durata  ancora in corso alla data di costituzione dell'ente (avvenuta
secondo   il   meccanismo   congegnato   dall'art. 1,  comma  1,  del
decreto-legge n. 341/1999) e da eseguirsi in epoca successiva a detta
costituzione.
    In  altre parole, la disposizione ha escluso ogni responsabilita'
dell'Azienda  Policlinico  Umberto  I per le forniture da essa stessa
richieste,    sebbene    nell'ambito    dei   contratti   di   durata
(somministrazioni o appalti di forniture in essere).
    Orbene,  muovendo  da  tali  premesse,  in aggiunta a quanto gia'
considerato, occorre considerare che:
        il  decreto  ingiuntivo  del  quale  si  controverte era gia'
esecutivo   al  momento  dell'entrata  in  vigore  del  decreto-legge
n. 136/2004;
        l'art. 8-sexies  non  accenna  affatto  ai  titoli giudiziari
medio  tempore  perfezionatisi,  ne' le ordinarie regole dell'esegesi
legislativa    consentono   di   spingere   l'interpretazione   della
disposizione  fino  a  ritenere  che da essa sia derivata la completa
rimozione dei provvedimenti giurisdizionali definitivi;
        in  tal senso, del resto, convergono considerazioni di ordine
sistematico,  posto  che  lo  scopo eliminativo sopra descritto si e'
invece  chiaramente  perseguito  con  gli  artt. 3  del decreto-legge
n. 280/2004 e 7-quater del decreto-legge n. 7/2005;
        infine, appare concludente il rilievo che l'art. 8-sexies non
ha modificato il limite temporale massimo di dodici mesi entro cui il
Legislatore  del  1999  aveva contenuto gli effetti della successione
legale  e,  quindi,  anche sotto tal profilo, la fattispecie concreta
sfugge all'applicazione della previsione in disamina.
    II) L'art. 3 del decreto legge 29 novembre 2004, n. 280.
    Una  volta  accertato che l'art. 8-sexies non e' rilevante per la
decisione  dell'affare  che occupa la sezione, va esclusa altresi' la
pregnanza,   agli   stessi   fini,   dell'art. 3   del  decreto-legge
n. 280/2004.  Ed invero, sebbene il contenuto precettivo della norma,
come    gia'    accennatosi,    sia    rifluito,    con    modifiche,
nell'art. 7-quater,  e'  assorbente la circostanza che la caducazione
dell'efficacia dei decreti ingiuntivi da esso derivata e' venuta meno
in  forza  della  mancata  conversione  e  che,  dunque, dal 30 al 31
gennaio   2005   tali   provvedimenti   giurisdizionali   acquisirono
nuovamente la loro originaria forza.
    A  diversa  sorte  e'  invece  andato  incontro  l'art. 7-quater,
introdotto  nell'ordinamento  con  un decreto-legge poi convertito e,
pertanto, perfettamente vigente e vincolante.
    III) L'ammissibilita' dell'appello.
    Dopo   aver   individuato   esattamente   la  norma  sulla  quale
s'incentrano  i  dubbi  di  costituzionalita'  nutriti  dal Collegio,
s'impone   l'esame  dell'eccezione  preliminare  d  `inammissibilita'
dell'appello formulata dalla Medikron.
    L'argomento  difensivo  spiegato  dall'appellata  si radica su un
consolidato  indirizzo  pretorio  di  questo  Consiglio  che, in piu'
occasioni,  ha  negato  l'appellabilita' delle sentenze in materia di
ottemperanza aventi un contenuto meramente ordinatorio.
    Non  v'e'  dubbio che tale sia la portata precettiva di una parte
della pronuncia avversata, giacche' la sollecitazione all'adempimento
rivolta  al,  commissario ad acta e la previsione della sua eventuale
sostituzione    (nell'ipotesi    di    mancata    esecuzione)   hanno
essenzialmente la natura di misure attuative del giudicato.
    Nondimeno   e'  altrettanto  incontrovertibile  che  la  sentenza
appellata  contenga  un  capo scevro di profili ordinatori: si allude
all'accertamento   dell'irrilevanza   della   mancanza   di  fondi  a
configurare un'oggettiva impossibilita' di adempimento.
    Dipoi  prevale  su  ogni  altra  considerazione il rilievo che il
tenore  del  secondo comma dell'art. 7-quater impone ai giudicanti un
obbligo incondizionato e preminente su ogni altro profilo processuale
di   provvedere,   anche   d'ufficio,   all'estinzione   dei  giudizi
d'ottemperanza pendenti e che, d'altro canto, quand'anche la clausola
normativa   fosse   ipoteticamente   suscettibile   di   una  diversa
interpretazione  (laddove  cioe'  non  fosse ravvisabile nel suddetto
articolo   la  fonte  della  descritta  postergazione  rispetto  alla
dichiarazione  d'estinzione  di  ogni altra eccezione pregiudiziale o
preliminare), la disamina della questione relativa alla sopravvivenza
dell'efficacia  del decreto ingiuntivo azionato risulterebbe comunque
logicamente  prioritaria, apparendo del tutto evidente che il giudice
dell'ottemperanza   sia   legittimato   a   disporre  della  potesta'
ordinatoria di sollecitare il commissario ad acta (e, se del caso, di
sostituirlo)   soltanto   se  e  fintantoche'  continui  a  mantenere
efficacia il titolo della cui esecuzione si tratta.
    Un  triplice  ordine di motivi si oppone quindi all'applicazione,
nella  concreta  fattispecie,  della  regola  giurisprudenziale sopra
riferita:  in  primo  luogo,  la sentenza appellata veicola almeno un
contenuto  parzialmente  decisorio;  in  secondo  luogo, e' lo stesso
secondo    comma   dell'art. 7-quater   ad   impedire   la   verifica
dell'ammissibilita'  dell'appello con riguardo alla sussistenza di un
reale  interesse  all'impugnazione ed, infine, la regola surricordata
si  palesa  comunque  recessiva,  in  base  ai  principi generali del
processo   amministrativo,   laddove   l'oggetto  della  controversia
devoluta in appello investa (come avviene nel caso di specie) proprio
la contestazione della permanenza, sotto il profilo della validita' o
dell'efficacia,  dell'indefettibile condizione dell'azione esecutiva.
Ed   invero,   al   ricorrere  di  quest'evenienza  si  verifica  una
concorrenza   di   cause   estintive   del   giudizio,  profondamente
differenziate  tuttavia  sul  crinale  delle  conseguenze giuridiche:
mentre,  infatti,  la  dichiarazione  d'inammissibilita' dell'appello
condurrebbe   alla   conferma   della   pronuncia   impugnata,  dalla
sopravvenuta   cessazione   dell'efficacia   del  decreto  ingiuntivo
scaturirebbe  la completa paralisi ed il sostanziale travolgimento di
tutti  gli  atti  esecutivi  fino  ad  oggi  adottati  incluse le tre
decisioni giurisdizionali (due del Tribunale amministrativo regionale
del Lazio ed una della Sezione).
    La   ricognizione   dell'eventuale   ricorrenza  dei  presupposti
processuali  per  un  rinvio  alla  Corte  costituzionale si presenta
quindi come indagine obbligata e logicamente preminente.
    IV) La pendenza del giudizio di ottemperanza.
    Riguardo   a  siffatti  requisiti,  si  rileva  che  il  comma  2
dell'art. 7-quater  si  applica ai soli giudizi pendenti. Ebbene, sul
punto,  non  appare  seriamente  revocabile in dubbio che il giudizio
d'ottemperanza,  a  suo  tempo  instaurato  dalla Medikron sia ancora
pendente,  in  secondo  ed  in primo grado (non avendo ancora trovato
alcuna soddisfazione le pretese fatte valere dalla societa' appellata
in via coattiva).
    V) La natura dei crediti.
    Nemmeno  e' contestato che le fatture cui si riferisce il decreto
ingiuntivo  emesso  dal  Tribunale  ordinario  di  Roma  attengano  a
forniture  di  merci  eseguite  in  favore dell'Azienda universitaria
Policlinico  Umberto  I,  prima dell'istituzione dell'omonima Azienda
ospedaliera  disposta  con  il  d.l.  n. 341/1999,  e che, quindi, il
credito  "sostanziale"  azionato risalga ad obbligazioni contrattuali
assunte  dall'azienda  soppressa  (ancorche'  la  circostanza non sia
stata  mai  dedotta  in  sede  di  opposizione al decreto ingiuntivo,
formatosi validamente nei confronti dell'azienda appellante).
    VI) Gli effetti dell'art. 7-quater sul giudizio in corso.
    Vista   da  quest'angolazione  la  questione  della  legittimita'
costituzionale  del  suddetto art. 7-quater del d.l. 31 gennaio 2005,
n. 7  appare  rilevante,  posto  che, qualora la sezione non nutrisse
dubbi   al  riguardo,  non  potrebbe  far  altro  che  prendere  atto
dell'avvenuta  perdita  d'efficacia  per  factum  principis  sia  del
decreto  ingiuntivo  messo  in  esecuzione,  sia  della  sentenza del
Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio n. 926 del 2004 e sia,
infine,  della  decisione della sezione n. 7241/2004, dichiarando, in
via consequenziale, l'estinzione del giudizio "di primo grado" (cosi'
deve,  invero,  interpretarsi  ragionevolmente il secondo comma della
norma  in discorso, poiche' l'estinzione del solo processo di appello
condurrebbe  all'esito, chiaramente contrario alla ratio sottesa alla
disposizione, di conservare piena efficacia alla sentenza impugnata).
    La non manifesta infondatezza della questione.
    Con riferimento al requisito della non manifesta infondatezza, la
sezione,  per  un  verso,  richiama  alcune delle argomentazioni gia'
svolte  dal  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio, sez. III,
nell'ordinanza  di rimessione n. 1514/2005, depositata il 16 novembre
2005, per altro verso, sviluppa diverse ed ulteriori censure.
    I)  Violazione degli artt. 100, 101, 102, 104, e 108 Cost., sotto
il   profilo   della  lesione  delle  prerogative  costituzionalmente
riservate al potere giurisdizionale.
    Sul   punto  i  dubbi  di  costituzionalita'  s'incentrano  sulla
circostanza  che,  con  la norma in esame, il Legislatore, disponendo
l'inefficacia  dei decreti ingiuntivi divenuti esecutivi dopo la data
di  istituzione  dell'azienda ospedaliera (e, giova ribadirlo, emessi
direttamente   nei   confronti   dell'azienda  ospedaliera  di  nuova
istituzione),  ha  di  fatto  posto nel nulla, non meri provvedimenti
giurisdizionali  impugnati  o impugnabili, ma veri e propri giudicati
gia'  perfezionatisi,  ledendo  in  tal  guisa  l'indipendenza  della
magistratura   (sia   ordinaria   sia)  amministrativa  (quest'ultima
tutelata, in apicibus, dall'art. 100, nonche' dall'art. 108 Cost.).
    La  sezione  e',  infatti,  dell'avviso che un decreto ingiuntivo
divenuto  esecutivo  sia a tutti gli effetti un «giudicato», anche ai
sensi  degli  artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 n. 4
del  r.d.  26 giugno 1924, n. 1054; la diversa tesi, talora sostenuta
in  dottrina, della non equiparabilita' alla res judicata del decreto
ingiuntivo,  divenuto esecutivo a norma dell'art. 647 c.p.c., cozza a
ben  vedere  con  lo  jus  receptum  accolto dalla giurisprudenza del
supremo  Collegio  (tra  le  molte,  Cass.,  sez. l., 20 aprile 1996,
n. 3757)  e di questo Consiglio (e' sufficiente al riguardo il rinvio
a  Cons. St., sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2604) che, del resto, trova
un  sicuro  appiglio positivo nell'art. 656 c.p.c. (dedicato ai mezzi
di impugnazione dell'ingiunzione divenuta esecutiva).
    Va  invero  riconosciuto valido, anche con riferimento al decreto
ingiuntivo non opposto nei termini di legge, il principio secondo cui
gli  effetti  del «giudicato sostanziale» si estendono, non solo alla
decisione  relativa al «bene della vita» (nella specie, un diritto di
credito)   oggetto  del  contendere,  siccome  individuato  nell'atto
introduttivo  del  processo  o  del  procedimento giurisdizionale, ma
altresi'  a  tutte  le  altre  necessarie  premesse della statuizione
principale,  ancorche'  implicite o ritenute dal giudicante, inerenti
all'esistenza  ed  alla  validita'  del  rapporto  giuridico dedotto:
pertanto,  anche l'ingiunzione ex art. 633 e ss., quantunque adottata
in  esito ad un accertamento sommario, acquista nondimeno, in seguito
all'acquisita  esecutivita'  per  mancata  opposizione,  autorita' ed
efficacia  di  cosa  giudicata esattamente al pari di una sentenza di
condanna,  diversamente  fondata su una preventiva e piena cognizione
giurisdizionale.
    Ne'  puo' sensatamente opinarsi, in contrario, che a tale approdo
esegetico  si  opponga  ora  l'art. 111,  secondo  comma,  Cost., dal
momento   che  il  procedimento  monitorio  non  esclude  affatto  il
contraddittorio,    piuttosto    l'instaurazione   della   dialettica
processuale   e'   differita   ed  eventuale,  rimanendo  una  scelta
strategica   e  d'opportunita'  del  debitore  ingiunto  decidere  se
contrastare, o meno, in giudizio le pretese creditorie azionate.
    Collocato  in questa prospettiva, il decreto ingiuntivo e' idoneo
a   costituire   condizione   dell'azione   di   ottemperanza  avanti
all'autorita'   giurisdizionale  amministrativa  ogniqualvolta,  come
accaduto  nella  fattispecie, il convenuto, pur ritualmente notiziato
della pendenza della lite, scelga intenzionalmente di disinteressarsi
od  ometta  negligentemente  di  preoccuparsi  della proposizione del
ricorso  contenente  una  domanda  di  pagamento  avanzata  nei  suoi
confronti, senza proporre alcuna tempestiva opposizione.
    Alla  luce  di  siffatte premesse, risulta altamente opinabile la
legittimita' costituzionale di una norma, quale l'art. 7-quater, che,
apparentemente   sovvertendo  in  maniera  radicale  i  principi  che
regolano   i   rapporti   tra   l'ordine  giudiziario  ed  il  potere
legislativo, annichila completamente un atto del primo ordine, dotato
di forza e valore di giudicato.
    E'  ben  noto - e, quindi, non occorre richiamarne i precedenti -
l'orientamento     della    Corte    costituzionale    sulle    leggi
d'interpretazione  autentica,  la  cui efficacia retroattiva, qualora
non  fosse  conciliata  con la salvaguardia di fondamentali valori di
civilta'  giuridica, oltre a vulnerare i principi di ragionevolezza e
di  eguaglianza,  di  legittimo  affidamento,  finirebbe per porsi in
radicale  antitesi  con il rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (da ultimo, sentenze n. 376 del 2004,
n. 291 del 2003 e n. 446 del 2002).
    La  posizione  teste'  riferita  si mostra vieppiu' convincente e
condivisibile   nell'ipotesi,   corrispondente   a   quella   oggetto
dell'incidente  sollevato  con  la  presente  ordinanza,  in  cui  il
Legislatore,  senza  nemmeno  frapporre  la  mediazione  di una norma
d'interpretazione  autentica  (come  invece  era stato in materia con
l'art. 8-sexies del d.l. 28 maggio 2004, n. 136, inserito dall'art. 1
della   legge   di   conversione  27  luglio  2004,  n. 186),  giunga
direttamente,  cosi'  rivelando platealmente l'intenzione di incidere
sui  giudizi  esecutivi  e  d'ottemperanza in corso, ad annullare gli
effetti    del   giudicato   mediante   una   previsione   innovativa
dell'ordinamento giuridico.
    Non   sarebbe   poi   conferente   obiettare   che  l'ordinamento
processuale  gia' conosca un ipotesi di cessazione di efficacia di un
decreto  ingiuntivo  nell'art. 188 disp. att. c.p.c. (di guisa che il
Legislatore  del  2005  non avrebbe fatto altro che estendere, ad una
diversa fattispecie, il medesimo meccanismo effettuale). E', difatti,
d'immediata  percezione la distanza tra il modello codicistico teste'
richiamato  e  la previsione contestata e, soprattutto, sono evidenti
le differenti esigenze che giustificano le due norme (nel primo caso,
la tutela del valore supremo del contraddittorio, quando esso non sia
mancato  per  mera  trascuratezza dell'ingiunto; nel secondo caso, le
contingenti  preoccupazioni  finanziarie  pubbliche  e  lo  scopo  di
salvaguardare  il  buon esito di un'operazione di riorganizzazione di
un'azienda  universitaria in stato di permanente deficit strutturale,
accollando il relativo onere economico a tutti i creditori, ancorche'
provvisti  di  un valido titolo giudiziario); si tratta di diversita'
funzionali  veramente  macroscopiche  e tali da rendere assolutamente
improponibile  e  non  poco  irragionevole un accostamento del genere
descritto.
    Sembra,  dunque,  evidente  la  lesione  dei principi relativi ai
rapporti  tra  potere legislativo e potere giudiziario, nonche' delle
disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi  legittimi (cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 374
del 2000 e n. 15 del 1995).
    II)  Violazione  degli  artt. ,  100,  101, 102, 103 e 104 Cost.,
sotto  il  profilo della lesione delle prerogative costituzionalmente
riservate  al  potere  giurisdizionale, con particolare riferimento a
quelle del Consiglio di Stato.
    Il  vulnus  sopra  delineato sembra configurarsi a fortiori sotto
altro  profilo.  Va svolta, invero, una diversa considerazione di non
poco  momento,  riguardo  al  fatto  che a ben vedere, nella presente
vicenda  contenziosa  i  «giudicati»  suscettibili di esser posti nel
nulla  sono  due,  dal  momento  che al decreto ingiuntivo piu' volte
richiamato,  emesso  dall'autorita'  giurisdizionale ordinaria, si e'
sovrapposto    quello   formatosi   sulla   decisione   n. 7241/2004,
pronunciata da questa sezione.
    Orbene,  l'applicazione  del  combinato  disposto dei commi 1 e 2
dell'art. 7-quater  del  d.l. n. 7/2005, oltre a privare di efficacia
il  primo  titolo,  riserva  eguale  trattamento anche alla pronuncia
amministrativa   surrichiamata,   svuotandola  di  qualunque  pratica
utilita'  per  la Medikron (e ad uguale sorte vanno incontro anche le
due  sentenze  del Tribunale amministrativo regionale del Lazio); non
v'e'  bisogno di dilungarsi sulla circostanza che qualunque futura ed
ulteriore  iniziativa dell'appellata in sede giurisdizionale, diretta
a   conseguire   l'attuazione  delle  varie  sentenze  amministrative
intervenute  a  suo  favore,  s'infrangerebbe  inevitabilmente contro
l'eccezione,  rilevabile  anche  d'ufficio  (si veda il secondo comma
della  norma  in  questione), di sopravvenuta inefficacia del decisum
con conseguente paralisi di ogni azione in tal senso.
    III)  Violazione  degli  artt. 24  e  113 Cost., sotto il profilo
della lesione del diritto di agire in giudizio.
    Ne'  varrebbe  obiettare,  in  contrario, che la norma censurata,
lungi  dal  negare  l'esistenza dei diritti di credito della societa'
appellata processualmente accertati, avrebbe il piu' limitato fine di
trasporre    l'esecuzione    dalla    sede   giudiziaria   a   quella
amministrativa,  nell'ambito cioe' della «gestione separata» prevista
e   disciplinata  dall'art. 2,  commi  3  e  ss.,  del  decreto-legge
1° ottobre   1999,   n. 341   (Disposizioni   urgenti  per  l'Azienda
Policlinico  Umberto I  e  per  l'Azienda  ospedaliera Sant'Andrea di
Roma), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 ottobre 1999, n. 233
e convertito, con modificazioni, in Legge 3 dicembre 1999, n. 453.
    In  realta',  non  vi  e'  alcuna  garanzia per la Medikron (come
dovrebbe  invece  sussistere  al  lume  della  certezza  del diritto,
dell'effettivita'  della  difesa  e  della  stabilita' delle pronunce
giurisdizionali)  di  ottenere,  una  volta  ricondotta  l'azione  di
ottemperanza  nell'alveo  concorsuale  instaurato  dal  surrichiamato
provvedimento normativo, completa soddisfazione delle sue pretese.
    Il   comma  sesto  del  succitato  art. 2  del  d.l.  n. 341/1999
subordina,  infatti,  la  copertura dei disavanzi alla capienza delle
risorse   finanziarie  pubbliche  messe  a  disposizione  secondo  il
procedimento  descritto  dal  comma  6  del  sunnominato  art. 2  del
decreto-legge n. 341/1999.
    Non   puo'   d'altronde   obliterarsi  che  -  al  di  la'  delle
assicurazioni  verbali  del  difensore dell'azienda circa la capienza
dei  fondi  acquisiti  alla  gestione  separata  - osta alla completa
soddisfazione   del   diritto   della   Medikron   il   quarto  comma
dell'art. 7-quater,  secondo  cui dall'attuazione dei primi tre commi
della stessa disposizione non possono derivare nuovi o maggiori oneri
per la finanza pubblica.
    Veramente  non  si  comprende,  dunque,  come possa pronosticarsi
utile  e  vantaggiosa  l'insinuazione  di nuovi crediti (ossia quelli
rivenienti  dall'estinzione  d'ufficio  dei  giudizi  di ottemperanza
pendenti)  nelle procedure di liquidazione ora devolute alla gestione
separata,  se le risorse a disposizione di tale ufficio straordinario
non appaiono in alcun modo incrementabili.
    IV)  Violazione  degli  artt.  24, 101, 103, 104, 108 e 113 della
Costituzione,  con riguardo alla previsione dell'estinzione d'ufficio
dei giudizi d'ottemperanza pendenti.
    Si  e'  detto  che il tenore del secondo comma dell'art. 7-quater
impone  in  capo  al  decidente un obbligo ineludibile di dichiarare,
anche  d'ufficio,  l'estinzione  d'ufficio dei giudizi d'ottemperanza
pendenti.
    Sul  punto  la  Corte  costituzionale  gia' in altre occasioni ha
statuito  (Corte cost., n. 103/1995) che, per individuare i limiti di
costituzionalita'  di  un tal genere d'intervento legislativo occorre
apprezzare in chiave comparativa il rapporto tra la portata estintiva
delle  norme censurate ed il grado di realizzazione che, alla pretesa
azionata,  sia  stato  comunque  assicurato  dal  Legislatore; con la
conseguenza  che,  quando  la  legge  sopravvenuta,  senza  negare il
fondamento  delle  pretese  fatte  valere in giudizio, abbia comunque
soddisfatto,  anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei
giudizi  da  estinguere,  dovrebbe allora escludersi l'illegittimita'
costituzionale  della  previsione,  proprio  perche'  coerente con il
riconoscimento ex lege del diritto fatto valere giudizialmente.
    Una  volta calato il principio teste' richiamato alla vicenda che
occupa   il   Collegio,   si   palesa  con  ancor  maggiore  evidenza
l'illegittimita' denunciata.
    Il  vulnus  all'art. 24 Cost. e', innanzitutto, manifesto al lume
di  quanto  sopra  considerato  in  ordine all'espressa esclusione di
aggravi   per   la   finanza   pubblica   a  seguito  dell'attuazione
dell'art. 7-quater.
    Concorre  con  la  precedente osservazione la circostanza che, in
questa vicenda, e' del tutto assente la «soddisfazione alternativa in
via legislativa» delle pretese fatte valere dalla societa' istante (e
di  tutti  gli  altri, numerosi creditori che versano nelle identiche
condizioni  della  Medikron).  Il  pagamento  dell'appellata avverra'
soltanto   all'esito   di   una   procedura  liquidatoria  di  natura
amministrativa,  senza  che  allo  stato il Legislatore abbia offerto
alcuna  garanzia  circa  il  sicuro  riconoscimento  dei crediti gia'
accertati in via giurisdizionale e, soprattutto, in assenza di alcuna
certezza della loro futura insinuazione, per l'intero ammontare o per
gran  parte di esso, in un procedimento concorsuale in stato avanzato
e non piu' finanziabile.
    Non  vi  e' chi non veda come, cosi' disponendo, si e' in pratica
operata  una  sostanziale  vanificazione  della  via giurisdizionale,
intesa  quale mezzo al fine della completa ed effettiva attuazione di
un preesistente diritto.
    Della  correttezza  di  quanto  affermato costituisce, del resto,
indizio  eloquente l'ulteriore circostanza dell'assenza nell'articolo
censurato   di   ogni  riferimento  alla  compensazione  delle  spese
processuali.  Ed  invero, sebbene la compensazione in via legislativa
si  presenti oggi in conflitto con vincolanti principi promananti dal
diritto  internazionale pattizio, nondimeno in pregresse occasioni la
clausola  compensativa ebbe a superare indenne il rigoroso vaglio del
giudice  delle  leggi; essa venne, infatti, giudicata non irrazionale
al cospetto di uno ius superveniens idoneo a bilanciare adeguatamente
l'interesse  pubblico  con  le richieste delle parti agenti e tale da
non frustrare lo ius persequendi iudicio quod sibi debetur, stante il
riconoscimento  in  via  legislativa della pretesa fatta valere dagli
interessati  (di  qui la giustificazione di una compensazione legale,
pur in assenza di una soccombenza, anche soltanto virtuale).
    Alla  disposizione in esame, ribaditi i superiori rilievi, sembra
invece  applicabile lo spettro dei principi affermati con la sentenza
della  Corte  costituzionale  n. 123/1987, con la quale si rimosse il
contrasto,  con  l'art. 24  Cost., del primo comma dell'art. 10 della
legge  n. 425  del  1984,  stigmatizzandone la distanza dall'istituto
dell'estinzione  del  processo  (ed,  in  particolare,  dall'art. 310
c.p.c.,  che  conserva  efficacia alle sentenze di merito pronunciate
nel  corso  del  giudizio),  per  essersi palesata dal Legislatore la
volonta'  di  impedire in ogni modo la realizzazione del diritto alla
decisione  della  controversia,  anche laddove una sentenza di merito
fosse stata resa.
    Ugualmente, nel caso di specie, l'art. 7-quater del decreto-legge
n. 7/2005  e'  sopraggiunto  dopo  una  serie  di pronunce giudiziali
(della   magistratura   ordinaria   e   di   quella  amministrativa),
assolutamente  concordi  e,  soprattutto,  assurte all'intangibilita'
propria della cosa giudicata, cosi' violando il valore costituzionale
del  diritto di agire, a sua volta naturalmente implicante il diritto
del  cittadino  ad  ottenere  una  decisione  di merito senza onerose
reiterazioni di tutele.
    Infine,   la   dichiarazione   d'inefficacia  delle  sentenze  di
ottemperanza,  oltre a rendere assolutamente incerto il conseguimento
della sorte del credito e degli accessori, impedisce alla Medikron di
ottenere  il pagamento dei 2.000,00 (duemila/00) euro liquidati dalla
sezione con la decisione n. 7241/2004.
    V)   Violazione   dell'art. 2,  24  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione.
    Il  primo  comma  dell'art. 117  della  Costituzione,  nel  testo
introdotto  dalla  legge  costituzionale  18  ottobre  2001, n. 3, ha
vincolato  l'esercizio  della  potesta'  legislativa  dello  Stato al
rispetto  degli  obblighi  internazionali  assunti  dalla  Repubblica
italiana.
    La  sezione  e'  dell'avviso che tali obblighi, costituenti nuovo
parametro  interposto  di  costituzionalita',  non  siano  unicamente
quelli  del  diritto  internazionale consuetudinario, ma anche quelli
derivanti dal «diritto pattizio».
    Orbene,  nell'ambito  di  tale fonte del jus gentium, un posto di
assoluto  rilievo e' assegnato alla disciplina dei diritti dell'uomo;
a  livello  regionale e, piu' precisamente, in ambito europeo, questa
tutela  e'  essenzialmente o, comunque, prevalentemente affidata alla
«Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali»,  ratificata dalla Repubblica Italiana
con la Legge 4 agosto 1955, n. 848.
    Nell'ambito delle istituzioni create dalla convenzione in parola,
la  nomopoiesi  del  «diritto  vivente» umanitario e' attribuita alla
Corte  europea  dei diritti dell'uomo, la cui giurisprudenza consente
l'emersione  a livello internazionale dei diritti inviolabili, in tal
modo   arricchendo  il  catalogo  aperto  dell'art. 2  Cost.  e,  per
l'effetto, creando paralleli obblighi (anche) per tutti i legislatori
della   Repubblica   italiana,   vincolati,   appunto,   al  rispetto
dell'art. 117 Cost.
    In  questo  contesto, per i fini che qui interessano, meritano di
essere invocati tre articoli dell'acquis di Strasburgo: in dettaglio,
vengono  in rilievo gli art. 6 1/2. 1 e 13 della Convenzione, secondo
cui,  rispettivamente:  «1.  -  Ogni  persona ha diritto a che la sua
causa  sia  esaminata  equamente,  pubblicamente  ed entro un termine
ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per
legge,  il  quale decidera' sia delle controversie sui suoi diritti e
doveri  di  carattere  civile,  sia  della  fondatezza di ogni accusa
penale che le venga rivolta.
    La  sentenza  deve  essere  resa pubblicamente, ma l'accesso alla
sala  d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante
tutto  o  parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine
pubblico  o  della  sicurezza  nazionale in una societa' democratica,
quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita
privata  delle  parti in causa, o nella misura giudicata strettamente
necessaria   dal   tribunale,   quando  in  circostanze  speciali  la
pubblicita'  puo' pregiudicare gli interessi della giustizia» e «Ogni
persona  i  cui diritti e le cui liberta' riconosciuti nella presente
Convenzione  siano  stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo
davanti ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata
commessa  da  persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni
ufficiali», nonche' l'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1, in base
al quale: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei
suoi  beni.  Nessuno  puo' essere privato della sua proprieta' se non
per  causa  di  utilita'  pubblica  e nelle condizioni previste dalla
legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le  disposizioni  precedenti  non  portano pregiudizio al diritto
degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie
per  disciplinare  l'uso  dei  beni  in  modo  conforme all'interesse
generale  o  per  assicurare  il  pagamento  delle imposte o di altri
contributi o delle ammende».
    La  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  nel caso «Capitanio
contro  Italia»  (sez.  I,  sentenza  dell'11 luglio 2002, in ricorso
n. 28724/1995),  con  riguardo al diritto di accesso ad un tribunale,
ha chiarito che «il diritto ad un tribunale garantito dall'articolo 6
protegge   parimenti   la   attuazione  delle  decisioni  giudiziarie
definitive  e vincolanti che, in uno Stato che rispetta la preminenza
del  diritto,  non  possono  restare  inoperanti  a detrimento di una
parte.  Di conseguenza, l'esecuzione di una decisione giudiziaria non
puo' essere ritardata in maniera eccessiva»; il medesimo concetto era
stato  gia' affermato, oltre che nel caso-pilota «Immobiliare Saffi»,
anche  nella  vertenza «Caso contro Italia» (sentenza, sez. Il, del 3
agosto  2000,  in  ricorso  n. 22671/1993), ove la Corte ebbe modo di
precisare che: «[...] mentre potrebbe accettarsi che gli Stati membri
possano,  in  circostanze eccezionali..., utilizzando il loro margine
di  apprezzamento  per  controllare  l'uso  dei  beni, intervenire in
procedimenti  per  l'esecuzione  di  una  decisione  giudiziaria,  la
conseguenza  di  un  tale  intervento  non  dovrebbe  consistere  nel
prevenire,  invalidare  o  ritardare  eccessivamente  l'esecuzione o,
ancora meno, che la sostanza della decisione sia compromessa [...]».
    Nell'occasione,  sebbene  con riferimento alla normativa italiana
sull'equo  canone,  venne statuito il principio generale secondo cui:
«[...]  un'ingerenza,  cosi'  come  previsto  dal  secondo  paragrafo
dell'art. 1   del   Protocollo  n. 1,.  deve  realizzare  un  "giusto
equilibrio"  tra  le esigenze dell'interesse generale e la necessita'
di proteggere i diritti fondamentali individuali.
    Ci  deve essere una ragionevole relazione di proporzionalita' tra
i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.
    Nel  determinare se questa esigenza sia stata raggiunta, la Corte
riconosce  che  lo Stato gode di un largo margine di apprezzamento in
riferimento   sia  alla  scelta  dei  mezzi  di  applicazione  e  sia
all'accertamento    se   le   conseguenze   dell'applicazione   siano
giustificate  dall'interesse  generale per il proposito di conseguire
l'oggetto della legge in questione».
    Ancora  va  segnalato  che, ai fini dell'applicazione dell'art. 1
del  Protocollo  addizionale,  e'  considerato  «bene» pure «[...] un
profitto  futuro...  se  il  guadagno  e'  stato acquisito o e' stato
oggetto  d'un  credito  esigibile  [...]»  (sentenza  «Saggio  contro
Italia»,  sez.  II, del 25 ottobre 2001, in ricorso n. 41879/1998) ed
anche  un  titolo  esecutivo («caso Ambruosi contro Italia», sentenza
del  19  ottobre  2000,  in  ricorso  n. 31227/1996)  e  che siffatta
qualificazione  e'  da  reputarsi  vincolante anche per i Legislatori
italiani  ogniqualvolta adottino provvedimenti normativi suscettibili
di  incidere  negativamente  sui  diritti  tutelati  dallo  strumento
internazionale.
    Inoltre,  nella stessa decisione del «caso Saggio» appena citata,
si  e'  osservato altresi' che: «[...] in linea di massima un sistema
di  sospensione  temporanea  del pagamento dei crediti di una impresa
commerciale  in  crisi...,  non  e'  criticabile  in  se',  visto  in
particolare il margine di apprezzamento autorizzato dal secondo comma
dell'articolo 1.  Tuttavia,  un  tale  sistema  comporta  il  rischio
d'imporre  ai  creditori un carico eccessivo quanto alla possibilita'
di  ottenere  i  loro beni e deve quindi prevedere alcune garanzie di
procedura  per controllare che la messa in opera del sistema e la sua
incidenza  sul  diritto di proprieta' dei singoli non siano arbitrari
ne' imprevedibili».
    Ad  avviso  della  sezione  le  norme e la giurisprudenza passate
velocemente    in    rassegna    convergono    nel   rendere   palese
l'incompatibilita'  con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
e  dunque  incostituzionale per violazione degli artt. 2 e 117 Cost.,
una disposizione come l'art. 7-quater che:
        privi  i  creditori, che abbiano ottenuto un titolo esecutivo
nei  confronti  dell'Azienda ospedaliera Policlinico Umberto I, di un
«bene»,   quanto  meno  con  riferimento  al  credito  per  le  spese
processuali liquidate nel decreto ingiuntivo dichiarato inefficace ex
lege;
        impedisca    l'attuazione    delle    decisioni   giudiziarie
definitive, rendendole inoperanti a detrimento di una parte;
        in  ogni  caso, ritardi in maniera eccessiva l'esecuzione di'
una  decisione  giudiziaria  (si  noti  che  la Medikron ha coltivato
diligentemente   le  sue  giuste  pretese  in  sede  giurisdizionale,
affrontando   gli   oneri,  le  spese  ed  i  disagi  di  ben  cinque
procedimenti:  uno  avanti  al  iribunale  ordinario,  due  avanti al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed altrettanti avanti al
Consiglio di Stato);
        sospendendo  l'esecuzione di un giudicato e subordinando, con
un  rinvio  sine  die,  la soddisfazione delle pretese dei creditori,
gia'  muniti  di  un  titolo  esecutivo,  all'esito  incerto  di  una
procedura concorsuale di carattere amministrativo;
        travalichi  i  limiti  di una legittima ingerenza pubblica ai
sensi  dell'art. 1 del Protocollo addizionale, non avendo previsto il
Legislatore  del  del 2005, garanzie di procedura per controllare che
la messa in opera del sistema di liquidazione in via amministrativa e
la  sua  incidenza  sul  diritto  di proprieta' dei singoli non siano
arbitrari ne' imprevedibili.
    VI) Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    Appare dubbia anche la conformita' al principio di ragionevolezza
e   di  buon  andamento  amministrativo  di  una  disposizione,  come
l'art. 7-quater,   che  incide  sui  giudicati  allo  scopo  di  dare
rilevanza esterna ad un criterio organizzativo di centri di spesa che
si  sarebbe  potuto conseguire, ben piu' efficacemente, con strumenti
interni   di  regresso  tra  la  gestione  liquidatoria  e  l'Azienda
ospedaliera.
    Se,  infatti,  il  Collegio  non  ha  motivi  di  dubitare  della
legittimita'  costituzionale  del decreto-legge n. 341/1999, al quale
e'  sotteso un disegno coerente volto a sgravare le aziende sanitarie
neoistituite   degli   oneri  finanziari  correlati  alle  precedente
gestioni, in modo da consentire alle prime di cominciare a funzionare
senza  essere  oberate  dal  passivo in precedenza accumulato (v., in
tema, Corte cost., 9 dicembre 2005, n. 437), per contro si rivela del
tutto  irragionevole  rispetto  a  tale scopo, sotto il profilo della
violazione  del  canone  di  proporzionalita',  la  previsione  della
perdita di efficacia dei suddetti provvedimenti giurisdizionali.
    Si   tratta,  infatti,  di  una  misura  estrema,  mai  presa  in
considerazione  dal Legislatore nemmeno in occasione dell'analogo, ma
ben   piu'   rilevante   fenomeno   della  creazione  delle  gestioni
liquidatorie  delle soppresse UU.ss.ss.ll.. In questo senso il plesso
normativo  (essenzialmente  rappresentato dall'art. 6, comma 1, della
legge 23 dicembre 1994, n. 724, dall'art. 2, comma 14, della legge 28
dicembre   1995,   n. 549)   che,   nell'ambito   della   complessiva
«aziendalizzazione» delle articolazioni locali del Servizio sanitario
nazionale,  regolo' la liquidazione dei debiti delle disciolte unita'
sociosanitarie  locali  si  presta  a  costituire  un  idoneo tertium
comparationis,  valido  a  dimostrare  l'irrazionalita'  della scelta
legislativa compiuta con l'approvazione dell'art. 7-quater.
    VII) Violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    L'articolo   in  questione  lede  l'affidamento  formatosi  nella
Medikron  (ed  in tutti gli altri creditori nelle medesime condizioni
dell'appellata)   in  ordine  alla  soddisfazione  dei  crediti  gia'
riconosciuti  in  via  giurisdizionale, con un accertamento provvisto
della forza di giudicato ed, inoltre, a fronte del generale principio
della   responsabilita'   patrimoniale,   da'  luogo  ad  un'evidente
disparita'   di  trattamento  tra  i  soggetti  che  vantino  pretese
creditorie   nei   confronti   dell'Azienda  Policlinico  Umberto  I,
unicamente  in  ragione  dell'epoca  della  nascita  delle rispettive
obbligazioni.
    VIII) Violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
    L'effetto  della  norma  censurata  e', dunque, quello di rendere
inefficace la tutela giurisdizionale ottenuta da taluni creditori nei
confronti dell'zienda ospedaliera, per di piu' soltanto limitatamente
ad  alcune  categorie  di atti (i decreti ingiuntivi e le sentenze di
ottemperanza, appunto).
    IX)  Violazione  dell'art. 117,  primo comma, della Costituzione,
sotto   il   profilo   della   violazione   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario.
    In  ultimo, ad avviso del Collegio, l'art. 7-quater viola la c.d.
«quinta  liberta'  comunitaria».  Come  e'  noto, la creazione di uno
spazio  comune  europeo  di  liberta',  di  sicurezza  e di giustizia
postula  indefettibilmente  la  libera  circolazione  delle decisioni
giudiziarie,  incentrata  sul  principio  del  mutuo  riconoscimento.
Ebbene,  le esigenze di una reale cooperazione giudiziaria in materia
civile  (che  di  recente  si  e' sensibilmente rafforzata proprio in
relazione  ai  titoli  esecutivi)  escludono  in radice che uno Stato
membro  possa  autonomamente stabilire di porre nel nulla l'efficacia
di atti dell'autorita' giurisdizionale, astrattamente suscettibili di
valicare  i  confini  nazionali.  Riguardato  da  questa prospettiva,
l'art. 7-quater  si  pone  in  recisa  antitesi  con  i  principi del
Trattato  rilevanti  ratione  materiae,  ne'  occorre  indagare se in
concreto nella controversia siano attualmente rinvenibili elementi di
collegamento  con  l'ordinamento  sovranazionale,  dal momento che un
nesso  del  genere  sussiste  in  re  ipsa  ed in maniera evidente ed
incontrovertibile,  posto  che  un decreto ingiuntivo o una decisione
dell'autorita'  giurisdizionale  amministrativa  relativa  a  diritti
patrimoniali,   dichiarati  ex  lege  inefficaci,  non  potranno  mai
circolare  in  ambito  comunitario,  ne'  i relativi crediti potranno
essere ceduti dagli aventi diritto.
    Al  lume  delle  precedenti considerazioni, il Collegio opina che
non    residui   alcun   margine   per   un'esegesi   alternativa   e
costituzionalmente  orientata  dell'art. 7-quater piu' volte citato e
che,   conseguentemente,   il   giudizio  non  possa  esser  definito
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale   sopra   illustrata,   ritenuta   rilevante   e   non
manifestamente infondata.
    In  conclusione,  deve  disporsi  la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio.