IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale, art. 3, legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Il  giudice  visti  gli  atti  del p.p. n. 54/06 nel quale Landry
Danilo  e' imputato del reato di cui all'art. 186, d.P.R. n. 285/1992
(guida in stato di ebbrezza); terminata l'istruttoria dibattimentale

                            O s s e r v a

    All'imputato  e' stata contestata la recidiva reiterata specitica
infraquinquennale.
    Esaminando  il  certificato  penale  dello stesso, si nota che la
contestazione e' giustificata da tre precedenti per lo stesso reato.
    Se l'art. 4, legge 5 dicembre 2002, n. 251, non avesse sostituito
l'art. 99  c.p., facendo venir meno ogni rilievo penale alla recidiva
nelle  contravvenzioni  (oltre  che  nei  delitti non colposi) questo
giudicante potrebbe operare, in caso di condanna, il previsto aumento
di pena.
    Vigente  il  citato  art. 4, ex art. 2 c.p. questo giudicante non
puo', invece, tener conto alcuno della recidiva, quale che sia la sua
gravita'.
    Ad avviso di questo giudicante va sollevata, d'ufficio, eccezione
di  costituzionalita'  dell'art. 4, legge 5 dicembre 2005, n. 251, in
relazione all'art. 3 della Costituzione.
    Non  e'  certo  necessario  che  questo  giudicante  ricordi  che
trattare   in  modo  diverso  situazioni  uguali  e  in  modo  uguale
situazioni  diverse,  senza  che  a  cio'  vi  siano  giustificazioni
razionali, costituisce violazione della citata norma costituzionale.
    Nel  caso di specie recidivi e non recidivi vengano trattati allo
stesso  modo  se  questi  commettono  una  contravvenzione;  in  modo
(giustamente) differenziato se commettono un delitto (non colposo).
    Che  la  recidiva  possa  (e  in  certi casi debba) portare ad un
aggravamento,  anche  pesante,  della pena quanto ai delitti e' certo
rispondente   a  razionalita',  o  quanto  meno  ad  una  sua  logica
sanzionatoria.
    Tale  logica sanzionatoria viene pero' inopinatamente abbandonata
se  solo  la legge etichetta come «contravvenzione» il reato commesso
dal  recidivo il quale, per l'effetto, al di la' di una possibile (e,
anzi probabile) valutazione negativa ex art. 133 c.p., non si trova a
dover  sentire  il  peso  di  un'aggravante  dall'effetto  anche piu'
gravoso delle ordinarie di cui all'art. 61 c.p.
    L'unica  motivazione  di  tale  differenziato  trattamento che si
potrebbe   scorgere  e'  la  minore  gravita'  delle  contravvenzioni
rispetto ai delitti.
    Tuttavia  non  ritiene questo giudicante che tale motivazione (se
questa in effetti era) sia reale e, men che meno, razionale.
    In  primo  luogo,  per  valutare  se  una  scelta legislativa sia
giustificata  sotto  il  profilo  logico  razionale,  non  ci si deve
fermare al dato meramente formale del disposto legislativo.
    Numerose  sono,  infatti,  le  contravvenzioni  ben piu' gravi di
delitti  quali,  a  solo  titolo  esemplificativo,  le ingiurie, o le
percosse, o i furti di cui all'art. 626 nn. 2) e 3) c.p..
    E  tra  queste,  al  di  la'  di molte altre in tema di alimenti,
rifiuti,  inquinamento  o  edilizia, vi e' anche la guida in stato di
ebbrezza.
    Per  conseguenza,  applicando l'art. 4, legge 5 dicembre 2005, la
recidiva  non  opererebbe  un  carico  di  chi conduca un'autovettura
ubriaco  fradicio,  ponendo in grave pericolo l'incolumita' pubblica,
dopo essere magari stato condannato una decina di volte per lo stesso
reato.
    Ne'  la  recidiva  opererebbe,  ad esempio, a carico di chi, gia'
condannato per lottizzazione abusiva, ne commetta un'altra.
    La pena verrebbe invece aggravata ex art. 99 c.p. a carico di chi
sia  stato condannato per aver definito «cretina» la vicina di casa e
successivamente  la  insulti nuovamente (cfr. anche art. 52, comma 3,
legge n. 274/2000) o, condannato una prima volta per aver sottratto i
residui  del  raccolto  di  un  campo,  commette  nuovamente un altro
delitto di tale peso.
    Gia'   cio'   dimostra   che   la  scelta  legislativa  favorisce
irrazionalmente  gli  autori  di  determinate  categorie di reati, se
recidivi.
    Vi  e'  poi da considerare che gia' il legislatore ha determinato
le pene dei singoli reati in relazione alla loro gravita'.
    Stabilita,  dunque,  una  pena  edittale  equa  in  relazione  al
disvalore  sociale delle singole fattispecie criminose non e' davvero
dato   comprendere,   anche   al   di  la'  delle  aberrazioni  sopra
esemplificate,  sulla  base  di  quale scelta razionale e coerente la
pena  possa essere aumentata a carico degli autori recidivi di alcuni
reati e non a carico di altri.
    Poiche',  per  le  ragioni che precedono, a questo giudicante non
appare  manifestamente  infondata  l'eccezione  di  costituzionalita'
dell'art 4, legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui esclude
che  possano essere operati gli aumenti di pena ex art. 99 c.p. a chi
ha  commesso  una  contravvenzione,  in  relazione  all'art. 3  della
Costituzione, deve sospendersi il giudizio in corso, con trasmissione
degli atti alla Corte.