IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta alla udienza del 17 febbraio 2006, nel procedimento penale contro Ciarrapico Giuseppe, nato a Roma il 28 gennaio 1934, residente a Marino, c.da Santa Maria delle Mole, via Mameli n. 1, elettivamente domiciliato in Roma, via Archimede n. 144, presso lo studio del difensore avv. Francesco Caroleo Grimaldi, che lo difende unitamente all'avv. Piermaria De Cesaris, del Foro di Frosinone; Astazi Renzo, nato a Ferentino il 14 novembre 1934, ivi residente in via Tofe Vado Del Cerro n. 99, elettivamente domiciliato in Frosinone, via del Plebiscito n. 18, difeso di fiducia dall'avv. Raffaele Maietta, del Foro di Frosinone; Casano Pietro, nato a Pantelleria il 2 giugno 1930, residente in Frosinone, via America Latina n. 113, elettivamente domiciliato in Frosinone, via Casilina nord, presso lo studio del difensore di fiducia, Raffaele Maietta; Di Lena Giovanni, nato a Nettuno il 6 luglio 1953, residente a Morolo, via Icone n. 84, difeso di fiducia dall'avv. Raffaele Maietta, del foro di Frosinone; Imbriale Matteo Renato, nato a Sant'Angelo dei Lombardi il 3 novembre 1937, residente a Frosinone, via Casilina nord snc, difeso di fiducia dall'avv. Raffaele Maietta, del Foro di Frosinone; Capoccetta Luigi, nato a Colleferro il 9 aprile 1950, residente in Frosinone, via Ceccano n. 10, elettivamente domiciliato in Frosinone, via Lecce n. 31 difeso, di fiducia, dall'avv. Vincenzo Galassi, del Foro di Frosinone; O s s e r v a Che, nel corso della udienza del 17 febbraio 2006 i difensori degli imputati chiedevano al tribunale di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione relativa alla legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005 e, di conseguenza, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale per le sue determinazioni. Com'e' noto, il giorno 8 dicembre 2005 e, quindi, pendente il presente processo e gia' aperto il dibattimento a carico degli attuali imputati, entrava in vigore la legge sopra indicata che, tra l'altro, interveniva in maniera rilevante sulla disciplina della prescrizione del reato. I termini di prescrizione per le diverse categorie di reati, per effetto della novella, venivano infatti modificati. La legge, peraltro, contiene una specifica disciplina transitoria all'art. 10, comma 2, il quale stabilisce, quale regola di carattere generale, quella secondo cui «... le disposizioni dell'art. 6 (ovvero, quelle relative alla nuova disciplina della prescrizione dei reati) non si applicano ai procedimenti in corso se i nuovi termini di prescrizione risultano piu' lunghi di quelli previgenti», il comma 3 della stessa norma, quindi, introduce una norma transitoria di natura in qualche modo eccezionale prevedendo che «se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano piu' brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarata di apertura del dibattimento, nonche' dei processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione». E, pertanto, se il termine di prescrizione, alla stregua della nuova normativa, risulta piu' lungo di quello conseguente alla applicazione della normativa previgente, ed allora, sia in virtu' della disposizione di carattere generale di cui all'art. 2, terzo comma c.p., che, quindi, della disposizione specificamente dettata dall'art. 10, comma 2 della legge n. 251 del 2005, continueranno senz'altro ad essere applicati i vecchi criteri e la vecchia disciplina; se, invece, il termine di prescrizione, alla stregua della nuova normativa, risulta piu' breve di quello conseguente alla applicazione della normativa previgente, ed anche in tal caso in perfetta coerenza con il principio generale di cui all'art. 2, terzo comma, si applichera' la nuova normativa; salvo, pero', per.auanto riguarda i processi per i quali in primo grado sia stato gia' aperto il dibattimento ovvero i processi pendenti in grado di appello ovvero in Cassazione, per i quali continuera', invece, ad applicarsi la normativa previgente ancorche' meno favorevole. I difensori degli odierni imputati hanno segnalato al tribunale svariati profili di illegittimita' costituzionale relativi proprio alla normativa transitoria speciale di cui al comma 3 dell'art. 10 della legge che, come si e' visto, esclude la possibilita' di applicare la nuova disciplina - quand'anche piu' favorevole all'imputato - nei processi pendenti alla data della sua entrata in vigore laddove in questi ultimi sia gia' stato aperto il dibattimento. In particolare, i difensori hanno ritenuto che questo criterio di discriminazione nella applicazione della nuova normativa fosse irrispettoso del principio di eguaglianza quale stigmatizzato dall'art. 3 della Costituzione inteso sotto il profilo dell'irragionevolezza di un trattamento diversificato - quanto al termine di prescrizione del reato - per fatti analoghi e situazioni analoghe. Hanno, inoltre, sottolineato come a loro avviso tale normativa colliderebbe con il principio di tassativita' e legalita' della fattispecie penale come fissato dall'art. 25, secondo comma della Costituzione e, quindi, con l'art. 101 secondo comma della Costituzione nella misura in cui non consentirebbero al giudice, pur a dibattimento aperto, di disporre l'immediato proscioglimento dell'imputato per intervenuta estinzione dei reati a lui ascritti. Il p.m. a sua volta, ha ritenuto non privi di pregio e di fondamento le argomentazioni dei difensori rimettendosi in ogni caso al tribunale per le sue determinazioni. Tanto sopra premesso, occorre in primo luogo affermare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale posta alla attenzione del Collegio. Ebbene, e' opportuno a tal proposito richiamare le imputazione per le quali, tra le altre, a tutt'oggi gli odierni imputati sono sub sudice: Giuseppe Ciarrapico risponde: 1) del reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., 81 cpv. c.p., 236, commi 1 e 2, in relazione all'art. 223, comma 2, l.f. e 2621 c.c., per fatti commessi tra il 1992 ed il 1994, accertati nell'agosto 1996; 2) del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p., 223, comma 2 l.f. in relazione all'art. 2621 c.c., per fatti di bancarotta impropria commessi sino alla data di dichiarazione del fallimento (19 dicembre 1997); 3) del reato p. e p. dagli artt. 81, 110, 373 c.p., in concorso (esterno) con Luigi Capoccetta, per fatti di falsa perizia avvenuti nel marzo del 1995; Luigi Capoccetta risponde: del reato p. e p. dagli artt. 81, 110, 373 c.p., in concorso (esterno) con Giuseppe Ciarrapico, per fatti di falsa perizia avvenuti nel marzo del 1995; Astazi Renzo, Casano Pietro, Di Lena Giovanni, Imbriale Matteo Renato rispondono: del reato di cui agli artt. 110, 117, 61 n. 2 e 476 c.p. perche', nella rispettiva qualita' ed in concorso (esterno per il Silenzi) tra loro per fatti di falso in atto pubblico commessi dal marzo del 1993 sino al maggio del 1996; Casano Pietro e Imbriale Matteo rispondono, ancora: del reato di cui all'art. 361 c.p. per fatti di omessa denunzia alla a.g. per fatti commessi dal 9 aprile 1994 al 5 maggio 1995. La questione appare dunque in primo luogo rilevante in quanto, salvo che per quanto riguarda il reato di cui all'art. 361 c.p., per tutti i reati per i quali ancora si procede, la prescrizione massima, conseguente all'intervento di diversi atti interruttivi ed in applicazione della previgente disciplina, sarebbe, ed in effetti e', quella di quindici anni (cfr., il combinato disposto degli artt. 157, primo comma, n. 1 e 160 u.c. c.p. nel testo oggi novellato). In applicazione della disciplina conseguente alla entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, invece, in assenza di contestata recidiva nei confronti di alcuno degli imputati, detto termine sarebbe: 1) di dodici anni e sei mesi per quanto riguarda le imputazioni elevate a carico di Giuseppe Ciarrapico sub-1 e sub-2; 2) di sette anni e sei mesi per quanto riguarda la imputazione elevata a carico di Giuseppe Ciarrapico sub-3 e sub-4); 3) di sette anni e sei mesi, del pari, per quanto riguarda la imputazione elevata a carico di Luigi Capoccetta; 4) di sette anni e sei mesi per la imputazione elevata a carico di Astazi Renzo, Casano Pietro, Di Lena Giovanni, Imbriale Matteo Renato. Detti termini, ad esclusione di quelli relativi ai reati sub-1 e 2 ascritti al Ciarrapico, sarebbero pertanto irrimediabilmente decorsi. Se non che, essendo stato aperto il dibattimento prima della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, proprio in forza del disposto della norma transitoria di cui al terzo comma dell'art. 10, gia' sopra richiamata, dovrebbero applicarsi i vecchi termini, non ancora perenti. Laddove, pertanto, la Corte condividesse i rilievi di illegittimita' costituzionale della norma transitoria che si andranno di seguito a segnalare, non v'e' dubbio che la conseguenza immediata sarebbe la applicazione della normativa sopravvenuta con la declaratoria di estinzione dei suddetti reati in quanto ormai prescritti. La stessa iniziativa dei difensori di sollecitare il tribunale a sollevare la questione, infatti, esclude, seppure ve ne fosse bisogno, l'eventualita' di una rinuncia alla causa estintiva. Si tratta, quindi, di verificare se il criterio di selezione che il legislatore ha inteso adottare al fine di discriminare le vicende processuali ed i reati tuttora assoggettati al vecchio regime della prescrizione risponde a criteri di ragionevolezza e di equita' che possano peraltro trovare riscontro in principi assunti a rango costituzionale. E' pacifico, infatti, che la norma transitoria di cui si discute introduca una situazione di soggettiva disparita' di trattamento tra coloro che, avendo commesso infatti analoghi, se non - in ipotesi - identici, sono penalmente perseguiti in materia differente in considerazione del diverso tempo di prescrizione del medesimo reato; e cio' a seconda che nel processo nel quale sono imputati sia o meno intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento. Ora, se e' vero che la presenza di una norma transitoria siffatta e' senz'altro finalizzata a salvare dalla mannaia del decorso del tempo una mole di attivita' processuale giu' intrapresa e, dunque, per questa via, a determinare una necessaria diversa disciplina per situazioni diverse, e' necessario tuttavia interrogarsi se il criterio selettivo adottato sia intrinsecamente ragionevole; ovvero, in altri termini, se il diverso trattamento normativo di situazioni pure diverse sia fondato su un criterio di ragionevolezza. Per affrontare correttamente il problema e' opinione del Collegio che si debba in primo luogo rimarcare la natura sostanziale della prescrizione come parte ed elemento essenziale del trattamento sanzionatorio che l'ordinamento riserva al fatto reato e che, pertanto, rappresenta la reazione dell'ordinamento alla lesione dell'ordine giuridico concretatasi ed avvenuta con la commissione del fatto previsto dalla legge come reato. Questa ricostruzione e' pacifica e radicata nella dottrina tradizionale che, anzi, ha costruito l'istituto della prescrizione inquadrandolo come una delle ipotesi conosciute di rinunzia dello Stato alla potesta' di punire e richiamando in proposito le considerazioni svolte nella Relazione ministeriale al codice nella quale, per l'appunto, si sottolineava che l'istituto opera sul piano sostanziale della estinzione del diritto dello Stato a perseguire penalmente il mero e non gia' sul piano meramente processuale della estinzione dell'azione penale (cfr., Relazione ministeriale, I, pag. 198); tant'e', si osservava, che la prescrizione opera anche indipendentemente dalla costituzione del rapporto processuale (cfr., ivi). Nella dottrina, insomma, il fondamento e la ratio dell'istituto vengono rinvenuti nel riconoscimento normativo di un fatto assolutamente naturale nella vita individuale e sociale, in virtu' del quale il mero decorso del tempo porta a sbiadire la memoria del fatto e, con esso, l'interesse dello Stato a reagire per ricostruire l'ordine destabilizzato dalla commissione del fatto di reato ovvero, cioe', dalla lesione di un interesse che l'ordinamento ha ritenuto di tutelare con la previsione di una sanzione penale. Sul piano del diritto positivo, d'altro canto, e' opportuno osservare che, in base alla previgente formulazione dell'art. 157 c.p., l'istituto era gia' per piu' versi correlato, sul piano sostanziale ed applicativo, al riconoscimento di circostanze attenuanti/aggravanti ed al conseguente giudizio di bilanciamento imposto dall'art. 69, la innovazione legislativa apportata in termini rigoristici all'art. 157, comma terzo, c.p. con l'esclusione del giudizio di comparazione ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato, fornisce una ulteriore conferma del persistente rilievo sostanziale della causa estintiva. Per altro verso, questa natura, gia' evidente dalla stessa collocazione sistematica della relativa disciplina nel titolo VI del libro I del codice penale, era stata affermata dal giudice delle leggi nella sentenza n. 275 del 2000 con cui si affermava la rinunciabilita' della prescrizione cosi' come della amnistia. Tanto piu' grave e' la violazione tanto piu' grave per specie ed entita' e' dunque la sanzione che viene approntata dall'ordinamento; proporzionalmente piu' lungo e' il termine in cui l'ordinamento conserva memoria del fatto e, con essa, l'interesse ad applicare la sanzione. E la proporzione tra l'entita' della pena da un lato ed il termine di prescrizione dall'altro, secondo cui tanto piu' grave per specie ed entita' e' la sanzione prevista tanto piu' lunga e' la prescrizione del reato rappresenta, salvo eccezioni rare e non sempre commendevoli di prescrizioni speciali, un dato assolutamente consolidato nel diritto vivente; ed un dato che non viene smentito nemmeno nella recente riforma dove, indipendentemente dagli aggravamenti determinati dalle condizioni soggettive del reo, detto principio di proporzionalita' tra la pena edittale ed il termine di prescrizione e' un fatto normativo pacifico. Si ci puo' attendere, quindi, che ad un medesimo fatto-reato corrisponda, quantomeno sul piano edittale, una medesima sanzione e, di conseguenza, una medesima prescrizione. Con la opzione legislativa per la individuazione del momento di apertura del dibattimento come elemento discriminante tra la vecchia e nuova normativa e, dunque, per la applicazione dei vecchi o dei nuovi termini di prescrizione, si potra' avere, invece, che per un medesimo fatto reato, commesso per avventura lo stesso giorno e, sin'anche, da piu' oggetti in concorso tra loro, la risposta dell'ordinamento sia diversa quanto al termine di prescrizione applicabile. Richiamando un esempio gia' praticato in altre ordinanze di remissione ma ulteriormente portato a conseguenze estreme (ma che, nella pratica giudiziaria, non rappresentano evenienze infrequenti), si potra' avere che due persone, arrestate nella fragranza di un reato commesso in concorso tra loro, siano tratte a giudizio direttissimo ma l'una ritenga e l'altra non ritenga di avvalersi di un termine a difesa sicche' per una di esse il dibattimento si sia aperto prima della entrata in vigore, nel frattempo, della novella e, per l'altro, di dibattimento sia stato invece aperto successivamente al fatidico 8 dicembre del 2005. In virtu' di quanto disposto dall'art. 10, comma 3 della legge 251 del 2005, pertanto, per il primo trovera' applicazione la vecchia disciplina della prescrizione e, per il secondo, la nuova normativa. Per uno stesso fatto reato, cioe', avremo una risposta differente dell'ordinamento in merito alla valenza da esso attribuita al vulnus determinato dalla sua commissione. E cio', come si e' osservato, indipendentemente dalla minore o maggiore solerzia della autorita' giudiziaria nell'esercizio dell'azione penale. Non possono condividersi invece quelle considerazioni che pure sono state acutamente sviluppate da coloro che hanno ritenuto la questione de quo priva di quel minimo fondamento (o, per meglio dire, di quella non manifesta infondatezza) idoneo(a) ad indurre il giudice ordinario a rimettere la questione al giudice delle leggi, cui solo, peraltro, compete il giudizio sulla fondatezza della questione. In particolare, e' vero che, come e' stato detto, la variabilita' del termine di prescrizione - anche in relazione a fatti analoghi e persino in caso di concorso di persone nel medesimo reato - rappresenta un dato fisiologico nel nostro ordinamento processuale; e' infatti ben possibile ed anzi praticamente piuttosto frequente che una medesima vicenda processuale che, per avventura, coinvolga piu' imputati tratti a giudizio per reati commessi in concorso, comporti che per soggetti diversi il termine di prescrizione possa in concreto articolarsi diversamente; potra' avvenire, ad esempio, che taluno opti per l'accesso a riti alternativi; altri opti per il dibattimento ma che, nel corso del dibattimento, talune posizioni vengano stralciate a causa di' impedimenti di' natura soggettiva che non consentano ed anzi consigliano la separazione delle posizioni. Il favor separationis, d'altro canto, e' un dato normativo chiaramente evincibile nella disciplina della riunione o separazione dei processi contenuta nel vigente codice di rito. Se non che, due sono le considerazioni che debbono essere fatte in proposito: 1) in primo luogo occorre dire che in questi casi l'allungamento o comune il diverso articolarsi del termine di prescrizione risponde ad opzioni processuali - quant'anche meramente dilatorie - comunque riferibili alla iniziativa dell'imputato; 2) in secondo luogo, quel che potra' avvenire in conseguenza di diverse scelte processuali e' il diverso articolarsi di un termine di prescrizione che, tuttavia, per lo stesso reato, rimane pero' identico. Nel caso che si occupa, invece, per un verso la diversa prescrizione applicabile - per soggetti diversi in fasi processuali diverse ma per un medesimo fatto - non corrisponde ad una opzione processuale riferibile alla iniziativa dell'imputato quanto, piuttosto, ad una scelta del legislatore cui quest'ultimo non puo' che soggiocare indipendentemente dalle scelte processuali compiute; in secondo luogo, poi, non saremmo di fronte al diverso articolarsi della scadenza di un medesimo termine di prescrizione conseguente a diverse opzioni ed iniziative processuali ma, al contrario, alla introduzione di un termine di prescrizione che per il medesimo fatto-reato diviene invece, ad un certo punto, gia' ab initio ed indipendentemente dalle strategie processuali, sostanzialmente diverso. E vale la pena di richiamare ancora la gia' citata sentenza n. 275 del 2000 nella quale la Corte costituzionale, dopo aver ribadito come l'istituto della prescrizione riposi sull'interesse di natura collettiva a non perseguire i reati qualora il decorso del tempo consente di ritenere svanito il ricordo dei fatti e l'allarme sociale da essi determinato, rileva che, per questo motivo, la prescrizione doveva ritenersi istituito sotratto ad ogni discrezionalita' legislativa «pura» (assimilabile, cioe', a quella che anima il ricorso dello Stato a periodiche amnistie) in quanto legato invece ad un avvento oggettivo rappresentato dal decorso del tempo. Ritiene dunque il collegio che il differente trattamento riservato dal legislatore a situazioni rese differenti solo ed esclusivamente dal dato rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento non sia sorretto da un criterio di ragionevolezza; in altri termini, se il principio di eguaglianza sta non solo nell'esigenze di un eguale trattamento di situazioni eguali ma, anche, nel diverso trattamento di' situazioni differenti, e' pur vero che il diverso trattamento di situazioni differenti deve fondarsi su un criterio di razionalita' che nel caso di' specie non e' in alcun modo rinvenibile. Non e' rinvenibile, in particolare, alcun fondamento ragionevole per differenziare in termini in alcuni casi assolutamente rimarchevoli (nel nostro caso siamo in presenza di termini di prescrizione che risulterebbero raddoppiati rispetto a quelli applicabili in virtu' della normativa sostanziale sopravvenuta) situazioni diverse in relazione ad una circostanza come si e' visto del tutto episodica ed esterna alla ratio dell'istituto. Ne risulterebbe in ipotesi violato l'art. 3 della Costituzione ma, anche, a ben guardare, ed a parere del Collegio, l'art. 27 della Carta riguardato sotto il profilo della necessita' che il complessivo trattamento sanzionatorio apprestato dall'ordinamento nei confronti del reo sia coerente e proporzionale rispetto al fatto di reato; laddove, nel caso di specie, nell'ambito del trattamento sanzionatorio devesi comprendere anche il tempo entro il quale lo Stato ritenga di dover conservare memoria del fatto lesivo e, quindi, di perseguire penalmente il reo. A parere del Collegio, inoltre, la norma in esame si pone altresi' in contrasto con il disposto di cui all'art. 111, commi 1 e 2 della Costituzione cosi' come riformulata dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; e cio' in quanto: 1) l'esigenza di un processo giusto esige, in parallelo al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della carta costituzionale, parita' di complessivo trattamento sanzionatorio per fattispecie incriminatrici dalle pene edittali invariate; 2) l'esigenza di assicurare una durata ragionevole del processo puo' indubbiamente confliggere con la sopravvenienza di soluzioni normative eterogenee in grado di arrestare o protrarre lo sviluppo del processo senza essere ancorate ad elementi di natura oggettiva. Ritenuta, per quanto sopra esposto, la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dalle difese degli odierni imputati;