IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al  n. 20378  del Ruolo Contenzioso civile dell'anno 2005 tra Auletta
Giovanni,  elettivamente  domiciliato  in  Napoli,  vico Tarsia n. 3,
presso   lo   studio   dell'avv.   Gennaro   Esposito  dal  quale  e'
rappresentato  e  difeso  in virtu' di procura a margine dell'atto di
citazione,  attore,  e  Banca  Monte  dei  Paschi di Siena S.p.A., in
persona   del   legale   rappresentante   pro  tempore  elettivamente
domiciliata  in  Napoli,  via  De  Pretis  n. 102,  presso  lo studio
dell'avv.  Andrea Moschiano, che la rappresenta e difende, unitamente
agli  avv.  Francesco  Carbonetti e Roberto Della Vecchia del Foro di
Roma,  anche  in  via disgiuntiva, in virtu' di procura in calce alla
copia notificata della citazione, convenuta.

                          Premesso in fatto

    Con  citazione  ritualmente  notificata Auletta Giovanni esponeva
che  nell'aprile 2001 la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. aveva
attivato  nei  suoi  confronti  un  piano di investimento finanziario
denominato   «4   You»   alimentato   con   apposita  concessione  di
finanziamento  della  stessa  banca  e  senza  richiedere  preventiva
autorizzazione  alla  sottoscrizione  di  qualsivoglia  contratto.  A
fronte  di  tale  operazione era stato addebitato mensilmente sul c/c
n. 3643,  acceso  presso  l'agenzia n. 8, intestato all'esponente, la
somma  di Euro 77,14 a titolo di rimborso del finanziamento concesso.
Nell'aprile 2003 l'esponente, non avendo avuto mai alcuna spiegazione
del  tipo  di  operazione posta in essere dalla banca e verificata la
palese  iniquita' della stessa, aveva chiesto la chiusura del conto e
il  rimborso  delle  somme  percepite  dalla  banca  per  il piano di
finanziamento  4 You. L'effetto di tale richiesta era stato il blocco
della  carta  di  credito  «carta  Si» a lui intestata; in seguito la
banca aveva chiesto all'istante il pagamento di n. 11 rate non pagate
per  complessivi  Euro 852,17 per il finanziamento. Solo a seguito di
specifica  richiesta  dell'avv.  Carmela  Esposito,  la  banca  aveva
inviato il modello prestampato del contratto «4 You» mai sottoscritto
dall'esponente,  ed  al  quale  mai  lo  stesso aveva prestato il suo
consenso,  che  prevedeva  il finanziamento di Euro 8.712,32 al tasso
annuo  del 6,6700% avente durata di 15 anni, rimborsabile in 177 rate
dell'importo  unitario  di Euro 77,14 mensili comprensive di capitale
ed interessi.
    Il  contratto  prevedeva  espressamente  al punto B che la stessa
banca   erogante   acquistasse   con   tutta  la  somma  oggetto  del
finanziamento  strumenti finanziari emessi da soggetto collegato alla
banca da rapporti di gruppo, presenti nel portafoglio di negoziazione
di   B.M.P.S.  e  quindi  in  palese  e  riconoscibile  conflitto  di
interessi.     Inoltre     gli    strumenti    finanziari    venivano
contemporaneamente  costituiti  in  pegno  in favore della B.M.P.S. a
garanzia del prestito.
    Nel  contratto  era  stabilito  che  la banca addebitasse le rate
mensili  di rimborso del finanziamento direttamente sul conto n. 3643
intestato  al  deducente.  La  banca  aveva  percepito 29 rate per un
totale di Euro 2.246,63.
    Alla luce dei fatti esposto l'Auletta eccepiva la inesistenza del
contratto  per  mancanza  del  consenso;  la violazione delle norme a
tutela del consumatore; l'annullabilita' del contratto per violazione
dell'art. 1427  c.c.;  la violazione dell'art. 21, d.lgs. n. 58/1998;
la  violazione  degli artt. 30 e 37 del regolamento di attuazione del
decreto legislativo n. 58/1998.
    Tanto  premesso,  l'Auletta  conveniva  in  giudizio il Monte dei
Paschi di Siena S.p.A. per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
ammettere  le prove articolate; accertare e dichiarare la inesistenza
la  nullita', l'annullamento, la risoluzione ovvero l'inefficacia del
contratto  di  finanziamento;  per l'effetto condannare la banca alla
restituzione   della   somma  di  Euro  2.246,63  oltre  interessi  e
rivalutazione e spese processuali.
    In  data  3  ottobre  2005  si costituiva la convenuta e chiedeva
l'accoglimento delle proprie richieste istruttorie e il rigetto della
domanda.
    In data 13 ottobre 2005 l'attore depositava istanza di fissazione
di udienza.
    Nominato  il  relatore,  quest'ultimo  fissava  l'udienza  del 14
dicembre  2005,  con  decreto  del  14  novembre  2005.  La convenuta
depositava memoria conclusionale in data 9 dicembre 2005.
    All'udienza  collegiale  del  14  dicembre  2005  il tribunale si
riservava la decisione.

                         Osserva in diritto

    Preliminarmente   questo   tribunale   ritiene  di  sollevare  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 12 della legge
n. 366/2001  con  riferimento  all'art. 76  della  Costituzione nella
parte  in  cui,  in relazione al giudizio ordinario di primo grado in
materia  societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che
avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore delegato e, per
derivazione,  degli  articoli  da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5
del 17 gennaio 2003, nonche', in via subordinata, degli articoli da 2
a  17  del  decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione
all'art. 76  della  Costituzione, perche' difformi dai principi e dai
criteri direttivi dettati dalla legge di delega 366/2001.
    Ed  invero,  quanto  alla  non manifesta infondatezza della prima
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale sopra indicate, si
osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e'
inoltre   delegato  ad  emanare  norme  che,  senza  modifiche  della
competenza  per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti  nelle
seguenti materie:
        a)  diritto  societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
        b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24  febbraio  1998,  n. 58,  e  successive modificazioni, e dal testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
    2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui
al  comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che
in particolare possano prevedere:
        a)  la  concentrazione  del  procedimento  e la riduzione dei
termini processuali;
        b)  l'attribuzione  di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
        c)  la  mera  facoltativita'  della  successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
        d)   un   giudizio   sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
        e)  la  possibilita'  per  il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
        f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali,  anche  mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
        g)  forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata
dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui alle lettere precedenti
trattati  dai  tribunali,  dalle  corti  di  appello e dalla Corte di
cassazione».
    Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce
che  l'esercizio  della funzione legislativa non puo' essere delegato
al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi
e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
    La  migliore  dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza della Corte
costituzionale  hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che
essa  intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle
Camere  al  Governo,  ma  qualunque legge delegante che non operi una
previa  determinazione  della  portata  e  del  tipo della disciplina
delegata,  cosicche'  l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente
vincolata   a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di  scelta
operativa  una  serie  di risultati gia' precostituiti da parte delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti.
    Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi
e  criteri  cosi'  specificati  da far prevedere l'esito finale della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza.
    Orbene,  ritiene  questo  tribunale  che  nel  caso  in  esame il
legislatore  delegante non ha indicato con sufficiente determinazione
i  principi  ed  i  criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il
legislatore delegato.
    Dal dettato dell'art. 12, legge n. 366/2001, infatti - escludendo
il  riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio  -  sono
estrapolabili  i  seguenti  principi:  1)  divieto  di modifica della
competenza  per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare
una   piu'   rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti;  3)
possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano
prevedere:  a)  la concentrazione del procedimento e la riduzione dei
termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle
materie  di  cui  al comma 1 al tribunale in composizione collegiale,
salvo  ipotesi  eccezionali di giudizio monocratico in considerazione
della  natura  degli  interessi  coinvolti; c) la possibilita' per il
giudice   di  operare  un  tentativo  preliminare  di  conciliazione,
suggerendone   espressamente   gli  elementi  essenziali,  assegnando
eventualmente  un  termine  per la modifica o la rinnovazione di atti
negoziali  su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione,
tenendo  successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto
dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001, quindi, il legislatore si e' limitato ad
indicare   le   materie   nelle   quali  il  governo  sarebbe  potuto
intervenire,  l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace la
definizione  dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza
per  territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita' del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in  sede  di  tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare
regole  che  favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione
del procedimento.
    Nulla  tuttavia  la  legge  delega ha detto in ordine allo schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
decreto  legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo
modello di processo.
    Ed   infatti,   come   indicato   dalla  stessa  relazione  della
commissione  ministeriale,  il  nuovo rito societario previsto per il
processo  di  cognizione  davanti  al tribunale costituisce un vero e
proprio  nuovo  modello  processuale, che si distacca volutamente sia
dal  modello  processuale  del  1942,  sia da quello del processo del
lavoro  del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma
del  1990.  Il  nuovo  rito  di  cognizione di primo grado davanti al
tribunale  in  materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del
processo  senza  l'intervento  del giudice; nell'atto di citazione ai
sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed
il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della
comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa
di  risposta,  ai  sensi  dell'art. 4,  il convenuto puo' a sua volta
fissare  all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora
una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede
la  possibilita'  di  una  replica da parte dell'attore e l'art. 7 la
possibilita'  di  una  controreplica  da  parte  del convenuto e poi,
ancora,   ulteriori   repliche   e  controrepliche.  Solo  a  seguito
dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il
giudice  in  un  momento  pero' in cui sia il thema decidendum che il
thema  probandum  si sono gia' definitivamente formati, totalmente al
di  fuori,  quindi, del controllo del giudice. D'alta parte la stessa
istanza   di  fissazione  di  udienza,  con  gli  effetti  preclusivi
rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e'  uno  strumento lasciato
nella  totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse,
che  puo'  utilizzarlo  a  suo  piacimento, nel momento ritenuto piu'
opportuno.  Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o
di  costituzione  tardiva  del  convenuto, che introduce l'innovativo
principio (di cui nella delega non vi e' traccia) per cui nel caso in
cui  il  convenuto  non notifichi la comparsa di risposta nel termine
stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati
dall'attore  ...  si  intendono  non contestati e il tribunale decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa».
    Emerge  dunque  chiaramente che il legislatore delegato, in forza
di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione
di  criteri  direttivi,  ha  potuto creare una disciplina interamente
nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando
quel  rito  ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione
ministeriale per la riforma del processo civile.
    Questo  tribunale, quindi, ritiene che non possa andare esente da
dubbi  di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la
creazione  di  un  nuovo  processo, seppur circoscritto a determinate
materie,  si  limiti  ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare
una  piu'  rapida ed efficace definizione di procedimenti» un divieto
di  «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia», una
preferenza  per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di
conciliazione   e   un'indicazione   di   massima   a   favore  della
«concentrazione    del   procedimento   e   riduzione   dei   termini
processuali».
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   Collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La  questione  e',  altresi',  rilevante  in  quanto  la presente
controversia,   rientrando   tra   quelle  di  cui  alla  lettera  d)
dell'art. 1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va
trattata  secondo le norme previste dal predetto decreto - emanato in
forza della suddetta legge di delega - disciplinante per l'appunto il
giudizio  di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale in
composizione  collegiale  nelle materie di cui all'art. 1 del decreto
citato   e,   come   e'   evidente,   dalla   pronunzia  della  Corte
costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina
processuale  alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo
tribunale.
    In  subordine,  e  per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere
costituzionalmente   legittimo  l'art. 12  della  legge  n. 366/2001,
questo  tribunale  ritiene  che  non  sia manifestamente infondato il
dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,10,
11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per
contrasto   con  l'art. 76  della  Costituzione,  in  quanto  emanati
eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366
del 2001.
    Ed  invero,  per  evitare  il  sospetto d'incostituzionalita' per
indeterminatezza  e  genericita'  dell'art. 12, legge citata dovrebbe
necessariamente  leggersi  la  legge  n. 366/2001, come gia' fatto da
altri  giudici  ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del
18   ottobre   2004   che   ha   rimesso   la  questione  alla  Corte
costituzionale),  facendo  riferimento  alla  disciplina  del vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II,  titolo  I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse  e obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art. 180  c.p.c.),  quindi la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  una  seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda  parte,  c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di
precisazione  delle  conclusioni  (art. 189  c.p.c.).  Se  si volesse
individuare  una  determinatezza dei criteri direttivi nella legge di
delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore
delegante,    indicando   il   principio   di   «concentrazione   del
procedimento»  abbia  fatto  evidentemente  riferimento  proprio alla
suddetta scansione prevista nel processo ordinario.
    Ugualmente  il  processo  ordinario  vigente  prevede  che fra il
giorno  della  notificazione  e  quello  dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinatorio  di quindici giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine
per  il  deposito  delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c. primo
comma,  seconda  parte,  prevede il termine di sessanta giorni per il
deposito  delle  comparse  conclusionali  e  di  venti  per eventuali
repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
-  estremamente  riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata
rispetto  all'altra - dei principi fissati dal legislatore delegante,
altrimenti  invero  generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio
di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001.
    E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli
artt. da  2  a  17,  d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data
attuazione  alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal
legislatore  delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce delle
caratteristiche   del   nuovo   rito   societario   come  gia'  sopra
sintetizzate.
    Il  decreto  legislativo  n. 5/2003,  infatti, non ha previsto un
rito  concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato
dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  ma,  come  gia' sopra evidenziato, ha
introdotto   nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito  ordinario
prefigurato  dal  testo redatto dalla commissione ministeriale per la
riforma del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale.
    Tanto premesso in fatto ed in diritto, ai sensi dellart. 23 della
legge  11  marzo  1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli atti
alla   Corte   costituzionale   per   la  decisione  sulla  questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente  infondata,  ed  il presente giudizio va sospeso. Alla
cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla
predetta norma.