IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  proc.  pen. 10333/06  a carico di Kokomani
Hekuran, nato in Albania il 9 giugno 1974;
    Atteso  che  il  predetto e' chiamato a rispondere con decreto di
citazione  diretta,  emesso  in data 20 maggio 2005, dei reati di cui
agli  artt. 582  c.p.,  594  c.p., 612 c.p., commessi tra il 28 marzo
2000 e il 6 ottobre 2000;
    Rilevato  che,  essendo  stato  il  dibattimento  aperto  in data
odierna,  possono applicarsi, ex art. 10, comma 3, legge n. 251/2005,
ove piu' favorevoli, i termini di prescrizione previsti dall'art. 157
c.p., come novellato dall'art. 6, legge n. 251/2005 cit.;
    Considerato  in  particolare  che  nel caso di specie deve aversi
riguardo  al  disposto del nuovo art. 157, comma 5 c.p., in forza del
quale,  allorche'  per  il  reato la legge stabilisce pene diverse da
quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre
anni,  che  in  caso  di interruzione della prescrizione, puo' essere
aumentato di un quarto, fino a tre anni e nove mesi;
    Atteso  che tale previsione deve essere riferita ai reati oggi di
competenza  del  giudice  di  pace,  per  i quali in effetti ai sensi
dell'art. 52, d.lgs. n. 274/2000 puo' essere irrogata nei casi di cui
al  secondo  comma,  lettere  a)  seconda parte, b) e c), la sanzione
della   permanenza   domiciliare   o   del   lavoro  sostitutivo,  in
alternativa, alla mera pena pecuniaria;
    Rilevato  che tutti i reati per cui e' processo, stante il tenore
dell'imputazione,  sono  oggi di competenza del giudice di pace e che
dunque,  ai  sensi  dell'art. 2  c.p.,  essi  sono  soggetti  al piu'
favorevole  trattamento  sanzionatorio  dettato  dall'art. 52, d.lgs.
n. 274 cit.;
    Ritenuto  a tale stregua che in relazione al tipo di sanzione per
essi  prevista risulta corrispondentemente applicabile anche il nuovo
termine  di  prescrizione  come  sopra  indicato; atteso peraltro che
proprio  sulla  scorta di tale considerazione si appalesa rilevante e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   dell'art.   157,   comma   5  c.p.,  come  novellato
dall'art. 6,  legge  n. 251/2005,  per  violazione  dell'art. 3 della
Costituzione,  nella  parte  in cui, senza tener conto dell'effettiva
gravita'  dei  reati,  ma  anzi  in  contrasto  con  la pena edittale
prevista,   contempla   irragionevolmente   termini  di  prescrizione
diversi,  a  seconda  che  per  il  reato siano o meno irrogabili, in
alternativa  alla  pena  pecuniaria,  la  permanenza domiciliare o il
lavoro sostitutivo, osserva in particolare quanto segue.
    Innanzi tutto deve ritenersi che il disposto dell'art. 157, comma
5  c.p.  risultante  dalle  modifiche  apportate  dall'art.  6, legge
n. 251/2005,  non  sia  riferibile  a reati diversi da quelli oggi di
competenza  del giudice di pace, puniti con la permanenza domiciliare
o  il  lavoro sostitutivo. Diversamente intesa, la norma risulterebbe
inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia concreto riferimento.
    D'altro  canto  nulla  rileva  che  l'art. 52, d.lgs. n. 274/2000
contempli  un  meccanismo  sanzionatorio  a  griglia,  prevedendo  al
secondo  comma,  lett.  a),  seconda  parte,  lett. b) e lett. c), in
alternativa alle altre, anche la mera pena pecuniaria.
    In  particolare  deve  escludersi  che,  per  il solo fatto della
possibilita'  di  irrogare  quest'ultima,  debba  aversi  riguardo al
termine  dettato  dall'art. l57,  comma 1 c.p., in forza del quale la
prescrizione  matura  in  almeno  sei  anni per i delitti e in almeno
quattro  nni per le contravvenzioni, anche se puniti con la sola pena
pecuniaria.
    Il  primo  comma infatti correla il termine alla natura del reato
mentre  il  quinto  comma al fatto in se' che la legge stabilisca una
pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria.
    Men  che  mai,  stante  il  tenore  della  norma, potrebbe aversi
riguardo  al  tipo di trattamento in concreto irrogato, atteso che la
prescrizione e' correlata alla pena edittalmente prevista.
    Cio'  posto,  deve  prendersi  atto che vi sono reati attualmente
rientranti  nella  competenza  del  giudice di pace, in genere quelli
meno  gravi,  per  i  quali e' irrogabile la sola pena pecuniaria: si
tratta   dei   casi   contemplati   dall'art. 55,   comma 1,   d.lgs.
n. 274/2000,  cioe' dei reati originariamente puniti con la sola pena
pecunaria,  come la minaccia semplice di cui all'art. 612 c.p., e dei
casi  contemplati  dall'art. 52, comma 2, lett. a) prima parte, cioe'
dei  reati per i quali era prevista la pena detentiva non superiore a
mesi sei alternativa a quella pecuniaria, come nel caso dell'ingiuria
di cui all'art. 594 c.p.
    Valutando il sistema delineato dal nuovo art. 157 c.p., commi 1 e
5,  deve necessariamente concludersi, non essendo possibile pervenire
a  soluzioni  interpretative  diverse, che i reati oggi di competenza
del  giudice di pace sono soggetti a termini di prescrizione diversi,
a seconda che siano puniti con la sola pena pecuniaria, nel qual caso
il  termine  e'  di  anni  sei per i delitti e di anni quattro per le
contravvenzioni,   ovvero,   in   alternativa,   con   la  permanenza
domiciliare  o  il  lavoro  sostitutivo,  nel qual caso il termine e'
sempre di anni tre.
    Ma  un siffatto meccanismo risulta platealmente irragionevole, in
quanto,  a  prescindere da qualsivoglia riferimento alla possibilita'
di  un  piu'  rapido  «oblio  sociale dell'illecito», si contempla un
termine prescrizionale piu' lungo per reati oggettivamente meno gravi
(talvolta  di gran lunga meno gravi), in quanto implicanti una minore
offesa  ad  uno  stesso  bene  ovvero  lesivi  di  un  bene  di rango
inferiore.
    E' sufficiente in proposito considerare che se taluno minaccia di
picchiare  un  altro  individuo  o lo percuote, i delitti di cui agli
artt. 612  e  581  c.p., puniti con pena pecuniaria, sono soggetti al
termine  prescrizionale  di  anni  sei, mentre se lo stesso individuo
passa  effettivamente  a  vie  di fatto, procurando lesioni lievi, il
reato,  punito anche con permanenza domiciliare o lavoro sostitutivo,
e' soggetto al termine di prescrizione di anni tre.
    Analogamente nel rapporto tra ingiuria e diffamazione.
    Ad  una  siffatta  irrazionalita', ascrivibile a malgoverno della
discrezionalita'  legislativa  e  non emendabile in malam partem, non
puo'  ovviarsi che con l'unificazione del termine di prescrizione per
tutti  i  reati  di competenza del giudice di pace, nel senso che sia
per  essi  indistintamente  applicabile  il termine di anni tre, come
previsto dall'art. 157, comma 5 c.p.
      Cio'  risponde  del resto all'eadem ratio della creazione di un
«diritto mite» in cui la mitezza si rifletta non solo nel trattamento
sanzionatorio  ma anche nella delimitazione del tasso temporale entro
il quale permane l'interesse alla punizione.
    La  questione  e'  nella specie rilevante, in quanto all'imputato
sono  contestati il reato di lesioni personali lievi, per il quale e'
applicabile  il  termine  di  prescrizione  piu'  breve  e che dunque
potrebbe  considerarsi  gia'  prescritto,  e  i  reati  di ingiurie e
minaccia semplice, per i quali e' teoricamente applicabile il termine
di prescrizione ordinaria di anni sei aumentabile di un quarto fino a
anni sette e mesi sei, o, che e' lo stesso, il termine di anni cinque
aumentabile  fino  ad  anni  sette e mesi sei, previsto dall'art. 157
c.p.,  nella  formulazione  anteriore alle modifiche introdotte dalla
legge   n. 251/2005,   ma   che   potrebbero  parimenti  considerarsi
prescritti   in  caso  di  ritenuta  fondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale.