IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  n. 39/02  R.G.  contro Masocco Roberto
imputato del delitto di ricettazione ed altro, sciogliendo la riserva
di  cui  al  verbale  di udienza dell'11 gennaio 2006, osserva quanto
segue.
    Alla predetta udienza la difesa di Masocco Roberto ha eccepito la
illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 10, comma 3
della  legge  n. 251/2005,  per  contrasto  con i criteri di cui agli
artt. 3 e 25 della Costituzione.
    In particolare ha dedotto che il delitto di ricettazione ascritto
al  Masocco  era  stato  commesso,  in ipotesi accusatoria, in data 7
maggio  1993 e che pertanto secondo la nuova normativa (art. 6, legge
n. 251/2005)  alla  data  del 7 maggio 2003 il reato doveva ritenersi
estinto per prescrizione.
    Ha  eccepito  dunque la incostituzionalita' dell'art. 10, comma 3
della  stessa  legge nella parte in cui esclude la applicabilita' del
nuovo  termine  di  prescrizione  per i processi gia' in dibattimento
come nel caso di specie.
    L'eccezione e' rilevante e fondata.
    E'  rilevante  perche'  ove la citata norma transitoria non fosse
costituzionalmente legittima il delitto di ricettazione contestato al
Masocco  dovrebbe  considerarsi prescritto per il decorso del termine
massimo (di otto anni) previsto dalla novella dell'art. 6 della legge
n. 251/2005.
    Il  quesito,  cioe',  investe  la questione di legittimita' della
richiamata  norma  transitoria laddove prevede che i nuovi termini di
prescrizione  non  siano  applicabili ai processi nei quali sia stata
gia' dichiarata la apertura del dibattimento.
    Il   parametro   di   riferimento  e'  quello  dell'art. 3  della
Costituzione,  giacche'  la  norma  di cui all'art. 10, comma 3 della
legge n. 51 del 2005 darebbe vita ad una ingiustificata disparita' di
trattamento  tra  soggetti  imputati  per  lo  stesso reato di uguale
gravita'  in  ragioni di evenienze processuali meramente occasionali,
come   per   la   diversa   fissazione   delle  date  di  trattazione
dibattimentale  fra  i  processi,  ed anche indipendenti dalle stesse
scelte difensive delle parti.
    Come  e' noto, l'art. 2, comma 3 c.p. stabilisce che «se la legge
del  tempo  in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse,
si  applica  quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo»,
salvo il giudicato.
    Non si ignora che la Corte di legittimita' ha ritenuto che questa
disposizione  possa  subire  limitazioni  in  forza  di  una  qualche
razionale  giustificazione  e che quindi il canone costituzionalmente
insuperabile  e'  solo quello della irretroattivita' della legge piu'
sfavorevole al reo.
    La  Corte  assume  che  la  norma  transitoria pone, con riguardo
all'istituto   della   prescrizione,   una   deroga  alla  previsione
dell'art. 2  c.p. poiche' non sacrificherebbe la «garanzia offerta ai
cittadini  attraverso  l'istituto  della  prescrizione».  Essa  cioe'
ritiene  che  detto  istituto  sia  apprestato  dall'ordinamento  «ad
evitare  agli imputati la prospettiva di una persecuzione penale e di
un processo interminabili».
    In sostanza la Corte non mette in discussione che la prescrizione
dei reati possa dare luogo «a sensibili diversita' di trattamento tra
imputati  di  fatti  identici o analoghi, anche commessi nello stesso
momento, per effetto di una serie di variabili che incidono sui tempi
dell'accertamento   penale»;   ma   aggiunge   che   la  disposizione
dell'art. 2  c.p.  entra  in discussione soltanto ove vi sia stato un
mutamento  favorevole  al  reo  nella  valutazione  sociale del fatto
tipico oggetto del giudizio.
    L'argomento   non  e'  condivisibile,  poiche'  nel  concetto  di
disposizione  piu'  favorevole  al  reo  non puo' non essere compreso
l'istituto  della  estinzione  del  reato  per  decorso  del termine,
risolvendosi  esso  in  un effetto comunque favorevole al reo proprio
nel  quadro  di  quella  «garanzia»  per  il  cittadino evocata dalla
suprema Corte.
    Cio'  e'  tanto  piu'  vero  ove  si riconosca a tale concetto di
garanzia  una  dimensione  piu'  ampia  di  quella riconosciuta dalla
Corte,  posto  che  essa  in realta' attinge non soltanto l'interesse
dell'imputato   quanto   quello   superiore  e  piu'  generale  dello
Stato-collettivita'.
    Infatti,  il decorso prescrizionale del tempo esprime la volonta'
del legislatore di affermare che non e' piu' interesse della societa'
di   perseguire   determinati  reati  oltre  un  certo  tempo,  anche
indipendentemente dall'ipotetico diverso interesse dell'imputato.
    In   definitiva,  attraverso  l'istituto  della  prescrizione  si
codifica  il  venire  meno  «del  bisogno  di  pena»  da  parte della
comunita' per fatti risalenti nel tempo e dunque la perdita, oltre un
certo  tempo,  del  disvalore  sociale percepito del fatto, della sua
stessa «offensivita» e, conseguentemente, della sua punibilita'.
    D'altra parte la scelta della novella legislativa si sviluppa nel
senso di contrarre alcuni termini di prescrizione e allungarne altri,
a  seconda  delle  diverse ipotesi di reato, orientando questa scelta
proprio sul differente disvalore sociale dei fatti.
    Se   questo   e'  vero,  anche  la  prescrizione  rientra  «nella
valutazione  sociale  del  fatto  tipico del giudizio», risolvendosi,
dunque,  in una disposizione sostanziale piu' favorevole al reo, come
si   esprime   testualmente   l'art. 2,   comma   3  c.p.,  recependo
all'evidenza un concetto allargato di «tipicita» del fatto.
    Ne  consegue, con riguardo alla norma transitoria, che un diverso
trattamento  dell'istituto  fra  persone  imputate degli stessi fatti
commessi  nello  stesso  momento  potrebbe  essere costituzionalmente
legittimo  soltanto  se fondato su canoni di assoluta razionalita' ed
oggettivita'  e  non  invece, come nel caso di specie, su circostanze
eventuali  non  oggettive e spesso indipendenti dalla stessa volonta'
dell'imputato.
    Resta assorbita ogni altra eccezione.
    Applicato l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.