ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione sorto a seguito della
deliberazione  della Camera dei deputati del 30 maggio 2000, relativa
alla  insindacabilita',  ai  sensi  dell'art. 68,  primo comma, della
Costituzione,  delle  opinioni  espresse dal deputato Vittorio Sgarbi
nei  confronti  dei magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e
Francesco  Greco,  promosso  dal  Tribunale  di Milano, prima sezione
civile,  con  ricorso  notificato  l'11 ottobre  2004,  depositato in
cancelleria  il  23 ottobre  2004  e  iscritto  al n. 23 del registro
conflitti 2004;
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26 settembre  2006 il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  del 16 maggio 2003 il Tribunale di Milano,
prima  sezione  civile,  ha  promosso  conflitto  di attribuzione tra
poteri  dello  Stato  nei  confronti  della  Camera  dei  deputati in
relazione   alla  delibera  adottata  il  30 maggio  2000  (documento
IV-quater n. 130), con la quale - in difformita' dalla proposta della
Giunta  per le autorizzazioni a procedere - e' stato dichiarato che i
fatti per i quali i magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e
Francesco  Greco  hanno  intrapreso  azione  risarcitoria  contro  il
deputato Vittorio Sgarbi riguardano opinioni espresse da quest'ultimo
nell'esercizio  delle  sue  funzioni  parlamentari  e  sono,  quindi,
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Premette,  in  fatto, il Tribunale che gli attori hanno convenuto
in  giudizio  il  deputato  Vittorio  Sgarbi e la Societa' europea di
edizioni  s.p.a.  chiedendone  la  condanna al risarcimento del danno
arrecato  alla  loro  reputazione, in conseguenza delle dichiarazioni
riportate sui quotidiani «L'Avvenire» e «Il Giornale», nelle date del
15,  16  e  19 luglio 1994, del seguente tenore: «Di Pietro, Colombo,
Davigo  e gli altri sono degli assassini che hanno fatto morire della
gente  ed e' giusto quindi che se ne vadano. Nessuno li rimpiangera'.
Vadano  anzi  in  chiesa  a  pregare per tutta quella gente che hanno
fatto  morire.  Moroni,  Gardini,  Cicogna:  hanno tutte queste croci
sulla loro coscienza; ... sono degli assassini ... vanno processati e
arrestati.   Sono   un'associazione  a  delinquere  con  liberta'  di
uccidere».
    Rileva  il  Tribunale  che  la  Camera dei deputati, adottando la
delibera  di cui si e' detto, ha fatto un uso non corretto del potere
di   decidere   in   ordine   alla  sussistenza  dei  presupposti  di
applicabilita'    dell'art. 68,    primo   comma,   Cost.   a   causa
«dell'inesistenza  nella  condotta  del  parlamentare  del necessario
nesso  funzionale  fra le opinioni espresse e l'esercizio di funzioni
parlamentari»,  come  rilevato  dalla  Giunta per le autorizzazioni a
procedere la cui proposta e' stata disattesa dall'Assemblea.
    Le  dichiarazioni  di cui si tratta non sono, infatti, state rese
in  sede  parlamentare ne' costituiscono alcuna forma di divulgazione
di  opinioni  espresse  dal deputato nell'ambito di atti parlamentari
tipici,  attenendo,  invece,  a  valutazioni dell'onorevole Sgarbi in
merito  al  contenuto  di  un  comunicato sottoscritto dagli attori a
commento  dell'approvazione  da  parte del Consiglio dei ministri del
c.d. decreto Biondi.
    Il  Tribunale  di Milano ritiene, pertanto, necessario promuovere
il  presente  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato - che
considera  ammissibile  sia  sotto il profilo soggettivo sia sotto il
profilo  oggettivo  -  e  chiede  che  questa  Corte dichiari che non
spettava  alla  Camera  dei  deputati  il  potere di qualificare come
insindacabili  le  dichiarazioni  di  cui  si  tratta  ed  annulli la
relativa delibera della Camera stessa.
    2.-  Il  conflitto  cosi' proposto e' stato giudicato ammissibile
con  ordinanza  29 settembre  2004,  n. 304,  notificata,  unitamente
all'atto  introduttivo del giudizio, alla Camera dei deputati, a cura
del  ricorrente,  in  data  11 ottobre 2004. Il successivo 23 ottobre
2004  lo  stesso ricorrente ha provveduto ad effettuare il prescritto
deposito presso la cancelleria di questa Corte.
    3.-  A  seguito  della  notifica  si e' costituita in giudizio la
Camera  dei  deputati,  chiedendo  che  il conflitto venga dichiarato
inammissibile,   irricevibile   e  improcedibile  -  per  ragioni  da
precisare in seguito - o, comunque, respinto nel merito.
    A  tale  ultimo  riguardo  la Camera precisa, in primo luogo, che
l'onorevole   Sgarbi,   adoperando   il   termine  «assassini»  nelle
dichiarazioni riportate dai menzionati quotidiani, non intendeva dire
che  i  magistrati  Colombo,  Davigo  e  Greco avessero materialmente
commesso degli omicidi, ma che - a suo avviso - i suddetti magistrati
avessero  indotto  al suicidio alcuni indagati o imputati, attraverso
un  cattivo  uso  dei  poteri  di  indagine  penale e di carcerazione
preventiva.   Ne   consegue   che,   nelle   suddette  dichiarazioni,
l'onorevole  Sgarbi  non avrebbe fatto altro che esprimere - sia pure
con   parole  parzialmente  diverse  -  concetti  identici  a  quelli
formulati  in  numerosi interventi svolti nell'aula parlamentare e in
alcune   interrogazioni;   sicche'  nella  fattispecie  sussisterebbe
«robustamente»  il  nesso  funzionale  che  consente  di applicare la
guarentigia  di  cui all'art. 68, primo comma, Cost. In proposito, la
resistente  richiama,  in  particolare:  a)  l'intervento alla seduta
della   Camera   del   19 maggio   1994   (anteriore   ai   fatti  in
contestazione), nel quale l'onorevole Sgarbi sosteneva che le vicende
dell'ingegner Gamberale rappresentavano «l'esempio piu' traumatico di
carcerazione  preventiva  che viene comminata senza il rispetto della
legge»;  b)  l'intervento alla seduta della Camera del 21 luglio 1994
(sostanzialmente  contemporaneo ai fatti di cui si tratta), nel quale
venivano  ricordati  i nomi di venti persone suicidatesi in carcere -
tra  le  quali  erano  compresi  anche Sergio Moroni, Raoul Gardini e
Sergio Cicogna - e si soggiungeva che di tali suicidi restavano «come
parte  di memoria, lettere ai familiari, agli avvocati, ai preti, con
precise  e  puntuali  accuse  ai magistrati», in merito alle quali si
lamentava  che  non  fosse stata iniziata «alcuna inchiesta che abbia
avuto  decenza e decoro»; c) altri sei interventi svolti nel corso di
sedute  della  Camera che, ancorche' successivi alle dichiarazioni in
argomento  (e,  precisamente,  effettuati  il  13 settembre  1995, il
25 ottobre  1995, il 10 giugno 1998, il 16 luglio 1998, il 3 novembre
1998  e  il  23 marzo 1999), si porrebbero in sostanziale continuita'
con  le  precedenti opinioni espresse dall'onorevole Sgarbi in merito
al  fatto  che  i  magistrati  di Milano, abusando della carcerazione
preventiva,  avevano, di fatto, istigato al suicidio molti cittadini,
in genere innocenti (tra questi interventi, in particolare, in quello
del  10  giugno 1998  il  deputato  chiariva che in questo senso egli
aveva  adoperato  il termine «assassini» nei confronti dei magistrati
Davigo e Colombo); d) quattro interrogazioni parlamentari (n. 3/00189
e  n. 3/00191  del  1° agosto  1994,  n. 4/02271 del 22 luglio 1996 e
n. 3/02843  del 15 settembre 1998), nelle quali l'onorevole Sgarbi ha
manifestato l'avviso che i ritenuti abusi commessi dai magistrati (in
particolare  di  Milano,  per  quel  che  si riferisce alle prime due
interrogazioni)   nell'utilizzazione  della  carcerazione  preventiva
avessero indotto al suicidio numerosi indagati o imputati.
    Ne',  al  fine  di  negare  la  sussistenza del nesso funzionale,
avrebbero  rilievo  la  diversita'  di singole parole rispettivamente
usate  negli  atti  parlamentari  tipici  di  cui si e' detto e nelle
dichiarazioni extra moenia in contestazione ovvero la circostanza che
non  tutti  gli atti tipici siano anteriori alle dette dichiarazioni,
dal  momento  che, comunque, sussisterebbe un rapporto di sostanziale
contestualita'  fra gli uni e le altre, visto che, senza soluzione di
continuita'  per  molti anni, il deputato Sgarbi ha espresso critiche
all'operato dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano.
    La   Camera,   poi,   conclude   auspicando   che  il  revirement
riscontratosi  nella  giurisprudenza  di questa Corte a partire dalle
sentenze  n. 10  e n. 11 del 2000 sia oggetto di un ripensamento, nel
senso  di  ritenere applicabile la copertura assicurata dall'art. 68,
primo  comma,  Cost.  a  tutte  le opinioni espresse dai parlamentari
extra   moenia  che  possano  considerarsi  connesse  alla  «politica
parlamentare», restandone, viceversa, escluse non soltanto quelle del
tutto   estranee  alla  sfera  politica,  ma  anche  quelle  connesse
genericamente  alla  politica  svolta  dai  membri del Parlamento, ma
estranee alla politica parlamentare. Del resto, nelle sentenze n. 320
e  n. 321  del  2000, questa Corte ha precisato che la corrispondenza
sostanziale tra atto parlamentare tipico e dichiarazione extra moenia
e' soltanto «una delle ipotesi» in cui tale dichiarazione puo' essere
ricondotta  alla  funzione  parlamentare  (ancorche'  sia  quella che
«normalmente»  si  verifica), dando, quindi, per scontata l'esistenza
di   altre  ipotesi.  Cio',  peraltro,  trova  riscontro  nei  tratti
caratterizzanti  delle  moderne  forme di governo democratiche, nelle
quali  l'attivita'  dei  componenti  delle Camere e', per sua natura,
destinata  a  proiettarsi  fuori  delle aule parlamentari, al fine di
porsi  in  piu'  stretto  collegamento con l'elettorato e la pubblica
opinione.  In tale situazione, limitare l'applicazione della garanzia
di  cui all'art. 68 Cost. alle sole attivita' svolte dai parlamentari
intra  moenia  nell'adempimento  delle  relative  funzioni «significa
trascurare  del  tutto  la  realta'  del  mandato rappresentativo che
(nell'interesse  del  rappresentato!) non si esaurisce nel compimento
di   atti  "tipici",  ma  si  manifesta  nel  raccordo  costante  tra
rappresentante  e  rappresentato, nelle forme ... della comunicazione
democratica».  Peraltro,  nelle  recenti  sentenze  n. 379  del 2003,
n. 120  e  n. 298  del 2004, questa Corte sembra essersi orientata in
senso  favorevole  a  tale  assunto,  attribuendo  rilievo preminente
all'esistenza  del nesso funzionale tra opinioni espresse e attivita'
non genericamente politica, ma parlamentare, a prescindere da criteri
di «localizzazione».
    4.- In prossimita' dell'udienza pubblica di discussione la Camera
dei  deputati  ha  depositato  un'articolata  memoria, nella quale ha
ribadito   le  conclusioni  gia'  rassegnate,  arricchendole  con  la
citazione di ulteriori sentenze di questa Corte.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Tribunale di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione adottata dalla
Camera  dei deputati nella seduta del 30 maggio 2000 (doc. IV-quater,
n. 130)  con la quale l'Assemblea, non approvando la diversa proposta
della  Giunta  per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato che i
fatti  per  i  quali  pende  processo  civile  di  risarcimento danni
promosso  dai  magistrati  Gherardo  Colombo,  Piercamillo  Davigo  e
Francesco  Greco  contro  il  deputato Vittorio Sgarbi, costituiscono
opinioni   espresse  da  quest'ultimo  quale  membro  del  Parlamento
nell'esercizio   delle   proprie   funzioni   e   ricadono   pertanto
nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  ricorrente  riferisce  che  i  quotidiani  «L'Avvenire» e «Il
Giornale»  nei giorni 15, 16 e 19 luglio 1994, secondo quanto diffuso
da  agenzie  di  stampa, avevano pubblicato le seguenti dichiarazioni
dell'onorevole  Sgarbi:  «Di Pietro, Colombo, Davigo e gli altri sono
degli  assassini  che  hanno  fatto  morire  della gente ed e' giusto
quindi  che  se  ne  vadano.  Nessuno  li rimpiangera'.Vadano anzi in
chiesa  per  tutta  quella  gente  che  hanno  fatto  morire. Moroni,
Gardini,  Cicogna: hanno tutte queste croci sulla loro coscienza; ...
sono   degli   assassini;   ...vanno  processati  e  arrestati.  Sono
un'associazione a delinquere con liberta' di uccidere».
    Secondo  il Tribunale siffatte dichiarazioni non sono espressione
di  funzioni  parlamentari  e non sono quindi insindacabili, come del
resto  aveva  ritenuto  la  Giunta per le autorizzazioni a procedere,
dalla cui proposta si era discostata l'Assemblea.
    2.-  La  difesa  della  Camera  premette che le dichiarazioni del
deputato  Sgarbi  vanno  interpretate  nel  senso  che egli ha inteso
denunciare   l'uso  illegittimo  della  custodia  cautelare  tale  da
provocare  la  morte  di  molte persone colpite dai provvedimenti dei
magistrati.
    Sulla  base  di tale premessa la difesa della Camera sostiene che
le  dichiarazioni  che  hanno dato luogo al giudizio per risarcimento
danni  sono  riproduttive  di  altre  rese  in  sede parlamentare, in
particolare  degli  interventi  dello  stesso  onorevole Sgarbi nella
seduta  dell'Assemblea  del  19 maggio  1994, nel corso del dibattito
sulla fiducia al Governo, e vanno comunque considerate nell'ambito di
una  sequela  di  atti  tipici  parlamentari  compiuti  dallo  stesso
deputato nel periodo dal 1° agosto 1994 al 23 marzo 1999.
    3.-   In   via  preliminare,  si  conferma  l'ammissibilita'  del
conflitto gia' dichiarata con l'ordinanza n. 304 del 2004.
    L'atto  introduttivo  ha,  infatti,  il  contenuto essenziale del
ricorso  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato, con
l'affermazione  da  parte  del  Tribunale  che  la delibera impugnata
costituisce invasione della propria sfera di competenza.
    Si  deve,  inoltre, rilevare che la difesa della Camera, la quale
con  la comparsa di costituzione, nell'affermare l'inammissibilita' o
l'improcedibilita'  del  conflitto, si era riservata di esplicitare e
motivare  tali  tesi nel corso del giudizio di costituzionalita', non
si e' avvalsa di tale facolta'.
    4.- Nel merito il conflitto e' fondato.
    Sono  principi  ripetutamente  ed  anche  di recente affermati da
questa Corte che le opinioni espresse da un parlamentare extra moenia
sono   coperte   dalla   insindacabilita'  qualora  costituiscano  la
sostanziale   -   ancorche'  non  testuale  -  riproduzione  di  atti
parlamentari   e  siano  quindi  legate  con  nesso  funzionale  alle
attivita' proprie del loro autore quale membro del Parlamento.
    In  tale  ordine  di idee si e' quindi ritenuta l'irrilevanza, ai
fini  della  insindacabilita'  di cui all'art. 68, primo comma, della
Costituzione,  della  generica  omogeneita'  tra le opinioni cui essa
dovrebbe  riferirsi  ed  il  contesto  politico,  nonche'  degli atti
compiuti  dal  parlamentare successivamente alla manifestazione delle
opinioni  addebitategli (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 10 e n. 11
del  2000, n. 347 e n. 348 del 2004, n. 164, n. 176, n. 193 del 2005,
n. 286 e n. 317 del 2006).
    E'  opportuno precisare, su tale ultimo punto, che il rapporto di
sostanziale  contestualita'  che  la  Corte  ha ritenuto, in linea di
principio,  ipotizzabile  anche tra esternazioni extra moenia ed atti
tipici  ad  esse successivi (cfr. sentenza n. 221 del 2006), idoneo a
giustificare  la  dichiarazione  di  insindacabilita', presuppone che
l'atto  di  funzione sia gia' preannunciato nelle prime o prevedibile
sulla  base  della  specifica  situazione  (cfr.  sentenza n. 223 del
2005),  mentre  non  e'  sufficiente  la  brevita' del lasso di tempo
intercorrente  tra  le opinioni espresse al di fuori del Parlamento e
gli atti di funzione.
    Da   quanto   detto   consegue,  anzitutto,  l'ininfluenza  delle
attivita'  del  deputato  successive al 19 luglio 1994, in quanto non
legate  da rapporto di sostanziale contestualita' con le opinioni del
medesimo riportate dai giornali.
    L'impugnata  delibera  di  insindacabilita'  deve  percio' essere
valutata  con riguardo agli interventi del parlamentare nel dibattito
del  19 maggio  1994,  che  costituiscono  i soli atti antecedenti le
dichiarazioni  in  argomento.  Ma  tra  il  contenuto  delle opinioni
espresse  dal  deputato  in quella occasione e i fatti per i quali e'
causa  si  riscontra soltanto l'omogeneita' del tema politico e cioe'
l'applicazione  delle norme sulla custodia cautelare, che si asseriva
quantomeno  non  corretta.  Infatti,  la vicenda concreta cui si fece
riferimento  nel dibattito del 19 maggio era diversa da quella cui si
ricollegano i fatti oggetto del processo, non soltanto per la persona
destinataria  dei  provvedimenti  di  custodia  cautelare  e  per  la
diversita' degli uffici giudiziari procedenti - quindi per le persone
dei   singoli  magistrati  -  ma,  soprattutto,  per  la  sostanziale
differenza  che  sussiste  tra  l'affermazione  che  le  norme  sulla
custodia cautelare vengono spesso male applicate con sacrificio della
liberta'  individuale e la denuncia dell'esistenza di un'associazione
a  delinquere  formata  dai  magistrati di un ufficio giudiziario, ai
quali  vanno  addebitati  delitti  per  aver  provocato i suicidi dei
destinatari  dei  loro  provvedimenti,  emessi  con la consapevolezza
della loro illegittimita'.
    Si  deve,  pertanto,  dichiarare che non spettava alla Camera dei
deputati  affermare  che  i  fatti  per i quali i magistrati Gherardo
Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco hanno intrapreso azione
risarcitoria  contro  il deputato Vittorio Sgarbi riguardano opinioni
espresse   da   quest'ultimo   nell'esercizio   delle   sue  funzioni
parlamentari  e  sono,  quindi,  insindacabili ai sensi dell'art. 68,
primo comma, della Costituzione.