LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Visti  gli  atti  del procedimento penale iscritto al n. 357/06 a
carico  di Lionetti Michele, definito in primo grado con sentenza del
Tribunale di Lecce in composizione monocratica (giudice dott. Tanisi)
in data 19 maggio 2005;
    Rilevato  che,  contro  la  predetta  sentenza  -  con  la  quale
l'imputato  e'  stato  assolto perche' il fatto non costituisce reato
dalle imputazioni di diffamazione e calunnia - hanno proposto appello
il  pubblico  ministero  e,  agli  effetti  civili, la persona offesa
costituita  parte  civile  (ed  anche  agli effetti penali per quanto
riguarda il reato di diffamazione ai sensi dell'art. 577 c.p.p.);
    Rilevato  che  nelle  more del giudizio di appello, mentre era in
corso  e volgeva al termine la discussione, e' stata promulgata ed e'
entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, per effetto della
quale l'art. 577 c.p.p. e' stato abrogato mentre risultano modificati
l'art. 593   c.p.p.   (che  nel  testo  ora  vigente  stabilisce  che
«l'imputato  e  il  pubblico  ministero  possono  appellare contro le
sentenze  di proscioglimento nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma
2, se la nuova prova e' decisiva») e l'art. 576 c.p.p. (che nel testo
ora   vigente   stabilisce   che   «la  parte  civile  puo'  proporre
impugnazione  contro i capi della sentenza di condanna che riguardano
l'azione  civile  e,  ai  soli  effetti della responsabilita' civile,
contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio»);
    Rilevato  che  la citata legge stabilisce all'art. 10 che essa si
applica  ai  procedimenti  in  corso  alla  data della sua entrata in
vigore   e   che   l'appello   proposto   contro   una   sentenza  di
proscioglimento  dall'imputato o dal pubblico ministero prima di tale
data  viene  dichiarato  inammissibile con ordinanza non impugnabile,
salva  la  possibilita' per il pubblico ministero e per l'imputato di
proporre  nei  quarantacinque  giorni  successivi  alla comunicazione
ricorso per cassazione;
    Ritenuto  che,  a  mente  dell'ultima  disposizione  citata,  sia
l'appello proposto dal pubblico ministero sia - e per quanto si dira'
-  l'appello  proposto dalla parte civile contro la sentenza in esame
dovrebbero  essere dichiarati inammissibili in quanto palesemente non
ricorre   (con   riferimento   all'appello  del  pubblico  ministero)
l'ipotesi  prevista  dall'art. 603, comma 2 c.p.p. - di appello cioe'
fondato su «prove nuove o scoperte dopo il giudizio di primo grado»;
    Ritenuto  tuttavia,  prima di dichiarare l'inammissibilita' delle
proposte  impugnazioni  e  sentite  le  parti, di dover sottoporre al
vaglio del giudice delle leggi i dubbi di legittimita' costituzionale
sollevati  da  piu'  parti  gia' durante l'iter di approvazione della
legge e che non appaiono a questa corte manifestamente infondati;
    Considerato  (con  riguardo  all'appello  del pubblico ministero)
che:
        la  Corte  costituzionale  ha ripetutamente affermato che «il
doppio grado di giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia
costituzionale»,  e  neppure  puo'  essere  derivato  da  convenzioni
internazionali  con riferimento all'art. 2 del protocollo addizionale
n. 7  della  convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali approvata a Strasburgo il 22
novembre 1984;
        la Corte ha ritenuto altresi' costituzionalmente legittime le
limitazioni, per esempio in materia di giudizio abbreviato, al potere
del pubblico ministero di impugnare una sentenza di proscioglimento o
di  proporre,  sempre nel rito abbreviato, appello incidentale quando
sia  stato proposto appello da parte dell'imputato (Corte cost. n. 98
del  1994)  e  tuttavia  la  Corte,  in quest'ultima sentenza, non ha
mancato di rilevare che «la configurazione dei poteri di impugnazione
del  pubblico  ministero  rimane  affidata  alla  legge ordinaria che
potrebbe  essere  censurata  per  irragionevolezza  solo  se i poteri
stessi,    nel   loro   complesso,   dovessero   risultare   inidonei
all'assolvimento  dei  compiti  previsti dall'art. 112 Costituzione»,
col principio cioe' dell'obbligatorieta' dell'azione penale;
        gia'  alla stregua della giurisprudenza esistente della Corte
costituzionale,   anteriore   peraltro   alle   modifiche   apportate
all'art. 111  Costituzione  dalla  legge  costituzionale  23 novembre
1999,  n. 2,  sembrerebbe  esclusa la possibilita' di negare in linea
generale  al pubblico ministero il potere di impugnare con appello le
sentenze di proscioglimento;
        una   cosi'   pesante  limitazione  ai  poteri  del  pubblico
ministero   si   pone  comunque  in  palese  contrasto  col  disposto
dell'art. 111,  comma  2  Costituzione, secondo cui «ogni processo si
svolge  nel  contraddittorio  delle  parti, in condizioni di parita',
davanti  a  giudice terzo e imparziale»; sembrerebbe evidente infatti
che  la  condizione di parita' delle parti garantita nel processo dal
dettato  costituzionale  sia  seriamente  compromessa  dal  fatto che
all'una - l'imputato - e' giustamente garantita la possibilita' di un
nuovo  giudizio  di merito nel caso di condanna, mentre, nell'ipotesi
speculare  di  assoluzione dell'imputato, analoga possibilita' non e'
data  -  e  senza alcun ragionevole motivo - al pubblico ministero (e
neppure,   per  quanto  si  dira',  alla  persona  offesa  dal  reato
costituita   parte   civile,   rispetto   alla  quale  non  avrebbero
giustificazione  alcuna  le limitazioni pur ipotizzabili nei riguardi
del pubblico ministero);
        questo  profilo di possibile illegittimita' costituzionale e'
stato gia' rilevato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio
alle  Camere  del  20  gennaio  2006 con cui si chiese un nuovo esame
della   legge  e  nel  quale  si  sottolineo'  che  «la  soppressione
dell'appello   delle  sentenze  di  proscioglimento,  a  causa  della
disorganicita'  della  riforma,  fa si' che la stessa posizione delle
parti del processo venga ad assumere una condizione di disparita' che
supera  quella  compatibile  con  la diversita' delle funzioni svolte
dalle  parti  stesse nel processo» mentre «le asimmetrie tra accusa e
difesa  costituzionalmente  compatibili  non devono mai travalicare i
limiti   posti  dall'art. 111,  comma  2  della  Costituzione»  e  si
sottolinea  ancora «l'ulteriore incongruenza» derivante dal fatto che
il  pubblico  ministero  totalmente  soccombente  non  puo'  proporre
appello,  mentre cio' gli e' consentito quando la sua soccombenza sia
solo  parziale,  avendo  ottenuto  una  condanna  diversa  da  quella
richiesta;
        questi  rilievi  peraltro  furono recepiti dal Parlamento che
ritenne  di  rimediarvi  introducendo la possibilita' per il pubblico
ministero  di impugnare con appello le sentenze di proscioglimento in
caso  di prove nuove, sopravvenute al giudizio di primo grado, aventi
carattere  decisivo:  ma il carattere assolutamente marginale di tale
possibilita'  non  modifica  minimamente i termini del problema e non
elimina i dubbi di costituzionalita' della norma in esame;
        la  quale,  secondo  i  rilievi contenuti anche nel messaggio
presidenziale,   si   pone   altresi'   in  contrasto  col  principio
costituzionale  affermato  dall'art. 111 della durata ragionevole del
processo  dato  che,  in  caso  di esperimento con esito positivo del
ricorso    per   cassazione   da   parte   del   pubblico   ministero
(sostanzialmente  consentito oggi - attraverso l'ampliamento dei casi
del  ricorso previsto dall'art. 8 della legge in esame - anche per un
motivo di merito) il processo torna irragionevolmente al primo grado,
permettendo   alle  parti  tutte  le  attivita'  processuali  che  la
pronuncia  di una sentenza di primo grado avrebbe altrimenti precluso
con inevitabile negativa incidenza sulla durata del processo;
        la  disposizione  transitoria  contenuta  nell'art. 10  della
legge  si  pone  altresi'  in  contrasto col principio costituzionale
affermato    dall'art. 97    costituzione    del    buon    andamento
dell'amministrazione,   applicabile  secondola  giurisprudenza  della
Corte  costituzionale  anche  agli  organi dell'amministrazione della
giustizia,  in quanto vanifica, senza un'apparente ragione, il lavoro
svolto  dal  pubblico  ministero,  costringendolo a rimodulare la sua
impugnazione  e a trasformarla in ricorso, perfino nel caso in cui il
ricorso  e'  destinato a convertirsi in appello, mentre aggrava di un
eccessivo   carico   di   lavoro   la  Corte  di  cassazione  fino  a
comprometterne  l'efficienza e la stessa funzionalita', come peraltro
pubblicamente denunciato dal primo presidente della stessa corte.
    Considerato   (con  riguardo  all'appello  proposto  dalla  parte
civile) che:
        la  possibilita' per la parte civile di impugnare con appello
le  sentenze  di  proscioglimento,  sia  pure ai soli effetti civili,
derivava,   prima   della  modifica  al  sistema  delle  impugnazioni
introdotta  dalla  legge  in esame, dal collegamento tra l'art. 576 e
l'art. 593    c.p.p.,   prevedendo   quest'ultima   disposizione   la
possibilita'  per  il  pubblico ministero di appellare le sentenze di
proscioglimento   e  consentendo  l'art. 576  alla  parte  civile  di
impugnare  le  sentenze sia di condanna che di proscioglimento con il
mezzo previsto per il pubblico ministero;
        durante  l'iter  parlamentare  di approvazione della legge in
esame,  da  una  parte  della  dottrina  e  molto  autorevolmente nel
messaggio  del  Presidente  della Repubblica con cui il Parlamento fu
richiesto  di  un  nuovo  esame,  venne segnalata questa sconcertante
anomalia  derivante  da  una  ridotta tutela della persona offesa nel
processo penale;
        le   Camere  ritennero  di  ovviare  a  questa  inaccettabile
situazione (non si dimentichi che la possibilita' per la parte civile
di  impugnare  la  sentenza  di  primo  grado sia pur ai soli effetti
civili  era  stata  introdotta  in  tempi  lontani  in seguito ad una
pronuncia  della  Corte costituzionale, la n. 1 del 1970) sganciando,
attraverso  l'eliminazione  nell'art. 576  delle parole «con il mezzo
previsto  per  il  pubblico  ministero»,  l'impugnazione  della parte
civile  da  quella  del  pubblico  ministero:  nelle  intenzioni  del
legislatore   -  e  tanto  chiaramente  risulta  dall'intervento  del
deputato  della  maggioranza  Bertolini - l'eliminazione delle parole
anzidette  dal testo dell'art. 576 sarebbe valsa a mantenere ferma la
possibilita'  per  la  parte  civile  di  appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  e quindi ad adeguatamente tutelare le aspettative di
quest'ultima   assicurandole   una  possibilita'  di  difesa  in  una
prospettiva   rispettosa   del   dettato   costituzionale  anche  con
riferimento all'art. 24;
        e  tuttavia contro le intenzioni del legislatore il risultato
e' che manca oggi nel codice una disposizione che consenta alla parte
civile  di  proporre  appello contro le sentenze di proscioglimento e
d'altra  parte,  tenuto  conto del principio della tassativita' delle
impugnazioni  stabilito all'art. 568, comma 1 c.p.p., la possibilita'
di  proporre  appello  non  puo'  ovviamente  desumersi  dalle  buone
intenzioni  di  un  legislatore,  a dir poco, frettoloso; inevitabile
conseguenza  e'  che,  dopo l'entrata in vigore della legge in esame,
l'unico  rimedio offerto alla parte civile a tutela delle sue ragioni
e'  costituito dal ricorso per cassazione che per vero non e' neppure
espressamente  previsto  dal  codice  ma  che  discende  dal  dettato
costituzionale  (art. 111,  comma  7  Cost.)  e  per  questa  ragione
dovrebbe  ritenersi limitato alla sola ipotesi di violazione di legge
e  quindi  con  un  ambito molto piu' ridotto rispetto al ricorso per
cassazione   consentito  alle  altre  parti  (e  tanto  evidenzia  un
ulteriore  aspetto  di  incostituzionalita'  della legge in esame che
pero' in questa sede non rileva);
        e  tuttavia  con  riguardo all'appello della parte civile, ai
fini   del   giudizio   di  rilevanza  delle  relative  questioni  di
legittimita'  costituzionale, si pone il problema di verificare se le
nuove  norme  abbiano  efficacia  retroattiva  -  come  pacificamente
avviene  per  l'appello  dell'imputato  e  del  pubblico  ministero -
poiche',  qualora  cio'  dovesse  escludersi, l'appello gia' proposto
dalla   parte   civile  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
conserverebbe   pieno   effetto   (e   le   connesse   questioni   di
costituzionalita'  delle  nuove  norme non sarebbero quindi rilevanti
nel  presente  processo)  nonostante  la  sopravvenuta  modifica  del
sistema  delle  impugnazioni:  a  tale  conclusione  infatti dovrebbe
necessariamente  pervenirsi  costituendo  - da un lato - la norma che
prevede  un  mezzo  di  gravame  norma  di  carattere  processuale  e
dovendosi  dall'altro  fare  applicazione  della  regola  secondo cui
tempus regit actum;
        in  proposito  l'art. 10  della  legge in esame stabilisce al
primo comma la regola di portata generale secondo cui la stessa legge
«si  applica  ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
della   medesima»;   e  tuttavia  poiche'  al  secondo  comma  si  fa
riferimento   soltanto   all'appello  proposto  dall'imputato  e  dal
pubblico  ministero,  una interpretazione coordinata dei due commi in
esame potrebbe portare alla conclusione che per l'appello della parte
civile  e'  escluso  l'effetto  retroattivo delle nuove disposizioni;
questa   corte  tuttavia  non  ritiene  di  poter  aderire  a  questa
interpretazione  riduttiva  atteso  che la regola contenuta nel primo
comma,  in  armonia  anche  con l'intitolazione della legge - che non
riguarda  solo l'appello del pubblico ministero e dell'imputato - ha,
come  si  e'  detto,  in  base  alla  sua formulazione letterale, una
portata generale che esclude tale possibilita'; vero e' poi che cosi'
interpretato  l'art. 10  della  legge  pone  un ulteriore problema di
incostituzionalita'  stante  che,  mentre  al  pubblico  ministero  e
all'imputato    e'    fatta   salva,   dopo   la   dichiarazione   di
inammissibilita'   dell'appello  gia'  proposto,  di  proporre  entro
quarantacinque  giorni  ricorso  per cassazione, analoga possibilita'
non  e'  riconosciuta  alla parte civile la quale, una volta proposto
appello,   risultato  quest'ultimo  inammissibile,  avrebbe  comunque
consumato  il  potere  di  impugnare  la sentenza a lei sfavorevole e
tuttavia  una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso
di  salvaguardare  nel limite del possibile, le ragioni della persona
offesa, non e' possibile, a giudizio della Corte, a fronte del chiaro
significato   letterale   della  regola  contenuta  nel  primo  comma
dell'art. 10;
        dal  comma  secondo  dell'art. 10  in  esame,  che come si e'
detto,   riguarda   solo   l'appello   del   pubblico   ministero   e
dell'imputato, non potrebbe poi farsi discendere la conseguenza, come
pure  in  dottrina si e' prospettato, che la legge ha voluto comunque
mantenere   l'appello  della  parte  civile  contro  le  sentenze  di
proscioglimento:  che questa fosse l'intenzione del legislatore lo si
e'  gia'  rilevato, e tuttavia sarebbe azzardato e contro ogni regola
interpretativa  farsi  discendere da una imprecisa formulazione della
legge  una  conseguenza  che  si  porrebbe in contrasto con la regola
pacifica della tassativita' delle impugnazioni;
        men  che mai la possibilita' per la parte civile di impugnare
con  appello  le  sentenze  di proscioglimento puo' farsi discendere,
come  pure  si  e'  prospettato  in  dottrina, dall'art. 600, comma 1
c.p.p.,  che  prevede  tale rimedio quando il giudice abbia omesso di
pronunciare  sulla richiesta di provvisionale o l'abbia rigettato: e'
evidente  infatti che questa disposizione trova applicazione solo nei
casi di condanna e d'altra parte in questo caso l'appello avrebbe una
portata piu' limitata (alle statuizioni cioe' della sentenza di primo
grado  relative  alla  richiesta  di provvisionale) mentre, mutato il
quadro  normativo  generale,  non  potrebbe piu' riguardare il merito
della vicenda;
        per  concludere:  l'attuale  sistema  delle  impugnazioni non
prevede  piu'  l'appello  della  parte  civile;  le  nuove  norme  si
applicano   retroattivamente;  ovvia  conseguenza  e'  che  l'appello
proposto  dalla parte civile prima dell'entrata in vigore della legge
(indipendentemente  dalla previsione in un'apposita norma della nuova
legge,  che  come  si  e'  visto riguarda solo l'appello del pubblico
ministero  e dell'imputato) va dichiarato inammissibile eppero' prima
di  provvedere  in  tal  senso va sollevata questione di legittimita'
costituzionale nei termini precisati in dispositivo.