LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO

    Alla  pubblica  udienza del 9 maggio 2006, sciogliendo la riserva
dell'udienza del 2 maggio 2006, ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Nel processo n. 1/06 RG a carico di Lioce Nadia Desdemona, Mazzei
Michele,   Fosso   Antonino,   Donati   Francesco,   Galloni  Franco,
Broccatelli   Paolo,   Mezzasalma   Marco,   Morandi  Roberto,  Costa
Alessandro,  Saraceni  Federica,  Blefari  Melazzi  Diana, Boccaccini
Simone,  Di  Giovannangelo  Bruno,  Viscido  Fabio, Viscido Maurizio,
Badel  Roberto,  hanno interposto appello avverso alla sentenza 10/05
pronunciata dalla II Corte di assise di Roma in data 8 luglio 2005:
        i  condannati  Lioce  Nadia  Desdemona, Mazzei Michele, Fosso
Antonino,   Donati  Francesco,  Galloni  Franco,  Broccatelli  Paolo,
Mezzasalma Marco, Morandi Roberto, Saraceni Federica, Blefari Melazzi
Diana, Boccaccini Simone, Di Giovannangelo Bruno,
        le  parti  civili  D'Antona  Valentina  e  on. Di Serio Olga,
avverso   l'assoluzione   degli   imputati   Saraceni  e  Broccatelli
dall'imputazione di delitto p.p. artt. 110, 112, n. 1, 280, 6l, nn. 2
e 10 c.p. in danno del prof. Massimo D'Antona,
        il  Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Roma
avverso:
          a) le statuizioni assolutorie pronunciate nei confronti del
Broccatelli  per  le imputazioni ai capi b), c), d), e) del p.p. 2/05
R.G.  Assise  e  a),  b),  c),  d),  e),  f) del pp 12/05 R.G. Assise
riunito,  della  Saraceni  per l'imputazione al capo e) del p.p. 2/05
R.G.  Assise,  del  Mezzasalma per le imputazioni ai capi 1) del p.p.
2/05  R.G.  Assise  e  a),  b,) c), d), e), f), n), o), p), q) del pp
12/05 R.G. Assise riunito, del Badel per l'imputazione al capo a) del
p.p. 4/05 R.G. Assise riunito, del Costa per l'imputazione al capo a)
del p.p. 2/05 R.G. Assise, del Di Giovannangelo per le imputazioni ai
capi  d),  e),  f),  g),  h),  i),  l), m) del p.p. 12/05 R.G. Assise
riunito,  del Boccaccini dalle imputazioni ai capi g), h), i), l), m)
del p.p. 12/05 R.G. Assise riunito;
          b)  la  quantificazione  della pena complessiva inflitta al
Boccaccini  pei  reati per i quali e' stata pronunciata condanna, con
richiesta     di     aumento    della    stessa,    indipendentemente
dall'accoglimento  dell'appello  avverso  le  statuizioni assolutorie
pronunciate nei confronti del predetto.
    All'udienza 16 marzo 2006, nella fase degli atti preliminari:
        1)  l'Ufficio  del  Procuratore  generale in sede ha proposto
eccezione  di  incostituzionalita', in riferimento agli artt. 3, 97 e
111  della  Costituzione:  a)  dell'art. 593  c.p.p., come modificato
dall'art. 1, legge 20 febbraio 2006 n. 46, in quanto preclude al p.m.
il  potere  di  appello  contro  la  sentenza  di  proscioglimento ad
eccezione   dell'ipotesi   dell'art. 603   cpp,  della  richiesta  di
assunzione  di  prove nuove - sopravvenute o scoperte, cioe', dopo il
giudizio  di  primo  grado  - e, insieme, «decisive»; b) dell'art. 10
commza 1, 2 e 3 della stessa legge n. 46/2006, quanto:
          alla  estensione  del  disposto  dell'art. 593 c.p.p., come
sopra novellato, anche ai procedimenti in corso all'entrata in vigore
della sua modifica;
          alla    conseguente    previsione    di   declaratoria   di
inammissibilita'  anche  dell'appello  del  p.m.  contro  sentenza di
proscioglimento  eventualmente  proposto prima dell'entrata in vigore
della citata legge;
          alla  inoppugnabilita'  dell'ordinanza  di inammissibilita'
pronunciata  ai  sensi  e  nei  casi  di  cui  al  suddetto  comma  2
dell'art. 10,    che    irragionevolmente   contrasterebbe   con   la
impugnabilita'    dell'ordinanza    di    inammissibilita'   prevista
dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 593 novellato;
          alla  mancata  previsione,  nel  caso  di  appello del p.m.
precedente  all'entrata  in  vigore  della  menzionata novella, di un
termine  entro  il  quale  possano  essere  dedotte  le  nuove  prove
«decisive» di cui all'art. 593, comma 2 c.p.p.;
        2)  La  difesa  delle  parti  civili  Di  Serio e D'Antona ha
proposto  eccezione  di  incostituzionalita'  degli  artt. 576 e 593,
comma  2,  come  novellati  dagli  artt. 1  e 6, legge n. 46/2006, in
relazione  agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., per il caso che la Corte
ne  ritenesse  inammissibile  l'appello  per effetto della menzionata
novella.
    Quanto sopra premesso, questa Corte, udite le parti,

                            O s s e r v a

    La  legge  n. 4/2006  non  ha  intaccato  il potere della p.c. di
impugnare  anche le sentenze di proscioglimento, che pertanto permane
senza  i  limiti  posti  per  l'impugnazione  dei  capi  penali della
sentenza, come puo' desumersi:
        a)  dalla  nuova formulazione dell'art. 576, che ha eliminato
il  precedente  richiamo  e  collegamento  tra il potere di appellare
della p.c. e del p.m.,
        b)  dal  permanere  esplicito  ed  immutato  della previsione
(art. 600,  comma  1  c.p.p.)  dell'appello  della  p.c. avverso alle
sentenze  di  primo  grado  (di  condanna  o  di proscioglimento) che
abbiano ignorato o respinto la richiesta di provvisoria esecuzione,
        c)  dal  fatto  che  la,  legge  4/2006  non introduce alcuna
normativa  transitoria  per l'appello presentato precedentemente alla
propria   entrata  in  vigore  dalla  p.c.,  mentre  ha  ritenuto  di
regolamentare il medesimo caso per il p.m., conseguentemente al fatto
di  non  avere  ad oggetto la disciplina dell'appello di quella parte
privata  (se  non  per lo sganciamento divenuto necessario dal «mezzo
previsto  per  il  p.m.»)  e,  tanto  meno,  la restrizione di quella
previgente.
    Inoltre, proprio per difetto di estensione del regime transitorio
di  cui  all'art. 10 della legge 4/2006, ove pure - contrariamente al
convincimento  di  questa  Corte  -  dovesse ritenersi instaurata dal
novellato  art. 193  c.p.p.  la  preclusione anche dell'appello della
p.c. contro la sentenza di proscioglimento, in difetto di una diversa
statuizione  con norma transitoria, essa per il principio generale in
materia processuale «tempus regit actumd» non riguarderebbe l'appello
proposto  precedentemente  all'entrata in vigore della citata novella
e,  dunque, non renderebbe inammissibile l'impugnazione della odierna
p.c., onde la questione di costituzionalita' da essa proposta sarebbe
irrilevante nel presente processo.
    E' improponibile, dunque, la eventualita' paventata dalla p.c. di
una   declaratoria   di  inammissibilita'  del  proprio  appello  nei
confronti degli imputati Saraceni e Broccatelli.
    Non  e'  quindi  luogo  a provvedere in merito alla questione di'
costituzionalita'   prospettata   dalla  p.c.  subordinatamente  alla
suddetta eventualita'.
    E'  il caso qui di accennare che neppure puo' trarsi argomento di
sospetta incostituzionalita' dal diverso trattamento della p.c. e del
p.m.   (deteriore  per  quest'ultimo)  di  fronte  alla  sentenza  di
proscioglimento,  attesa la sostanziale ineguaglianza tra dette parti
nell'ambito del processo penale, derivante dalla diversa natura degli
interessi istituzionalmente perseguiti.
    Diverse  sono,  infatti,  le  azioni  alle quali dette parti sono
legittimate  e  che  hanno  promosso, penale l'una e civile l'altra e
solo    occasionalmente   riunite,   diversi   gli   interessi   loro
istituzionalmente  riconosciuti,  diverse  le  situazioni  giuridiche
soggettive  coinvolte  dal  loro agire, sia attive (diritto di natura
pubblica  ed  attinente  al  potere  punitivo statuale per l'una e di
natura  privata  ed  essenzialmente  patrimoniale  per l'altra) sia e
soprattutto  passive  (diritto  alla  «liberta»  per l'una, diritti e
rapporti patrimoniali di natura privatistica per l'altra).
    Manifestamente   infondata   appare,   poi,   la   questione   di
costituzionalita'    prospettata   dal   p.g.   in   relazione   alla
retroattivita'   della   novella   in   questione,  resa  applicabile
dall'art. 10,   comma   2   di   essa  anche  agli  appelli  proposti
precedentemente alla sua entrata in vigore.
    In  proposito va considerato che il principio di irretroattivita'
(art. 25  Cost.)  e'  costituzionalizzato  unicamente con riferimento
alle nonne che introducono, ampliano od aggravano previsioni di reati
e di sanzioni penali.
    Dunque,  di  per  se' la retroattivita' di una norma processuale,
pur  se eccezionale rispetto al principio generale tempus regit actum
non  puo'  ritenersi  sospetta di incostituzionalita' e, nel caso che
interessa,  appare  temperata  e  razionalizzata  rispetto alla nuova
disciplina  grazie  alla  disposizione  transitoria  che  assegna  un
congruo termine al p.m. per avvalersi del nuovo regime d'impugnazione
attribuitogli.
    D'altra  parte,  la norma transitoria in questione ha una propria
ragionevolezza  nella  misura  in cui impedisce un sia pur temporaneo
«doppio  binario»  lungo il quale contemporaneamente si svolgerebbero
le  vicende  processuali  di imputati la cui assoluzione (per ragioni
legate  alla  data  dell'appello  del  p.m.) sarebbe soggetta al piu'
penetrante  controllo  di  merito  dell'appello anche al di fuori dei
casi  di  deduzione  di prova nuova e decisiva da parte del p.m. e di
imputati  la  cui  assoluzione  potrebbe conoscere unicamente il piu'
ristretto controllo del ricorso per cassazione.
    La    questione    proposta    dal    p.g.   relativamente   alla
inoppugnabilita'  dell'ordinanza  con  la quale dev'essere dichiarata
l'inammissibilita' dell'appello ai sensi dell'art. 10, comma 2, legge
46/2006,  per  preteso  irragionevole  contrasto con l'impugnabilita'
dell'ordinanza  d'inammissibilita'  prevista  dall'ultima  parte  del
comma  2  dell'art. 293  c.p.p. novellato e' attualmente irrilevante,
poiche'  allo  stato  non  e' stata pronunciata ordinanza ex art. 10,
comma  2,  legge  46/2006,  ne'  potra'  esserlo  fino a che la Corte
costituzionale  non si sara pronunciata in merito alla questione che,
come di seguito, questa Corte solleva con la presente ordinanza.
    Irrilevante e' pure, nel presente processo, la questione proposta
dal   p.g.   relativamente   alla  mancata  previsione,  nella  norma
transitoria  di  cui all'art. 10 della novella di cui trattasi, di un
termine  entro  il  quale  il  p.m.  possa  indicare  nuove (ai sensi
dell'art. 603  comma  2  p.p.)  e  decisive  prove,  onde  evitare la
declaratoria  inoppugnabile di inammissibilita' di appello avverso il
proscioglimento  presentato prima dell'entrata in vigore della, legge
46/2006; infatti.
    L'irrilevanza  deriva  dal  fatto  che  nel  caso  di  specie ne'
nell'atto  di  appello,  ne'  nella  fase  degli  atti preliminari al
presente  giudizio  sono state indicate effettivamente «nuove prove»,
ma  sono  stati  unicamente  chiesti una diversa valutazione, un piu'
approfondito esame ed una diversa messa in relazione delle risultanze
e  dei contenuti di prove anche documentali (documentazione cartacea,
documentazione  su  supporti  magnetici e di natura informatica etc.)
gia' sottoposte al giudice di primo grado.
    Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 10 della legge 20
febbraio    2006    n. 46,    andrebbe    immediatamente   dichiarata
l'inammissibilita'   dell'appello   proposto  dal  Procuratore  della
Repubblica avverso l'assoluzione in primo grado degli imputati.
    In merito, questa Corte ritiene che:
        la  suindicata  normativa sia sospetta di incostituzionalita'
per  contrasto  col dettato degli artt. 111, secondo comma, e 3 della
Costituzione,
        che,   in  particolare,  essa  sia  sospetta  di  violare  il
principio   della  parita'  delle  parti  nel  contraddittorio  posto
dall'art. 111,  secondo  comma  della Costituzione per ogni processo,
per  l'intero suo svolgimento in tutte le sue fasi e gradi e, quindi,
per  il  processo penale, per tutto l'iter successivo al promovimento
dell'azione penale (art. 405 c.p.p.).
    Non e' manifestamente da escludere, a parere di questa Corte:
        che  la  norma  di  cui  al  comma 3° del menzionato art. 111
indichi  il  contraddittorio  come  normale  mezzo  d'espressione dei
diritti  e  poteri  insiti  nel  concetto  di parita' delle parti nel
particolare  ambito della formazione della prova nel processo penale,
ma  non  implichi  l'esaurimento/consumazione in tale funzione e fase
della  totalita'  dell'esigenza  di  contraddittorio  e parita' degli
attori processuali;
        che  l'affermazione  del principio della parita' delle parti,
nella  formula  amplissima  adottata nel secondo comma dell'art. 111,
riguardi  altresi'  ed  in special modo la parita' di poteri rispetto
all'organo  della  giurisdizione  investito  del  giudizio  una volta
esercitata  l'azione  penale, poteri che si traducono nelle istanze e
richieste, in rito e merito, funzionali allo svolgimento del processo
ed all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale definitiva, nella
quale l'azione penale si consumi,
        che  nulla  nella  specifica  norma  richiamata o nel sistema
complessivo  della  Carta  costituzionale,  autorizzi  a  ritenere il
principio di parita' valido per tutti i poteri di istanza e richiesta
diretti  all'ottenimento della formazione del giudizio definitivo nel
merito,  eccezion  fatta  (senza  alcuna  grave  ragione  di coerenza
dell'ordinamento  penale  processuale  e  sostanziale) per quelli che
possono  trovare espressione solo nell'appello del soccombente contro
la sentenza assolutoria di primo grado.
    Non   appare,   quindi,   manifestamente  da  escludere  che  sia
incompatibile  coi  principi  del  giusto processo (che implicano che
tutte  le  parti  possano  portare  avanti  la loro azione con eguali
mezzi)  la  formulazione dell'art. 593 c.p.p. novellato, che inibendo
sia  al p.m. che all'imputato di proporre appello avverso le sentenze
di proscioglimento, se viene ad incidere solo su elementi marginali e
comunque  non essenziali dell' azione difensiva (nei limiti nei quali
l'imputato  non puo' appellare avverso sentenze di prescrizione o di'
assoluzione  nel  merito con formule diverse dal fatto non sussiste o
non  aver  commesso  il  fatto)  limita invece, in modo sostanziale e
grave,  l'esercizio  dell'attivita'  principale dell'organo di accusa
pubblica che non solo, al pari dell'imputato, non puo' piu' appellare
avverso  le  sentenze  di'  prescrizione o di assoluzione con formula
diversa  da quella da lui sollecitata, ma altresi' e' impossibilitato
ad  ottenere  un  nuovo  giudizio  di fatto avverso l'assoluzione nel
merito,  giudizio  di  fatto invece concesso al soccombente imputato,
legittimato all'appello avverso alla condanna.
    Va  in  proposito ricordato che la Corte costituzionale (che pure
ha  costantemente  affermato  che  parita'  delle parti non significa
necessariamente perfetta identita' di poteri), pronunciando in merito
alle  limitazioni  assai meno gravi ed incisive poste all'appello del
p.m.   dalla   disciplina   del   giudizio  abbreviato,  ha  ritenuto
manifestamente  infondato  il  sospetto  di incostituzionalita' delle
stesse  solo  valorizzando  la  razionalita'  del  bilanciamento  dei
sacrifici  imposti  alle  parti  dalla  scelta di quel rito e, cosi',
precisando  che  la  limitazione  dell'appello  del p.m. avverso alle
sentenze   rese  all'esito  di  giudizio  abbreviato  puo'  ritenersi
ragionevolmente giustificata dalla diversa posizione in cui vengono a
trovarsi   i  due  soggetti  processuali  nell'ambito  di  quel  rito
alternativo  -  nel  quale l'imputato consente di essere giudicato in
base   alle  prove  raccolte  dal  p.m.,  fuori  dalle  garanzie  del
contraddittorio  -  nonche'  dall'obiettivo  primario di una rapida e
completa  definizione dei processi svolti in primo grado secondo quel
rito  alternativo  (C. cost. ordinanza n. 421 03 - 21 dicembre 2001);
nello  stesso  senso  la  sentenza C. cost. n. 347 8 - 16 luglio 2002
letteralmente  «  ...  per  quanto attiene, in particolare, al limite
all'appello  della parte pubblica oggetto di censura, esso continua a
trovare  giustificazione  ...  nell'obiettivo primario della rapida e
completa definizione dei processi svoltisi in primo grado con il rito
abbreviato:   rito  che  -  sia  pure,  oggi,  per  scelta  esclusiva
dell'imputato  -  implica  una  decisione  fondata,  in  primis,  sul
materiale  probatorio raccolto dalla parte che subisce la limitazione
denunciata, fuori delle garanzie del contraddittorio ...».
    La  preclusione  al  p.m.  dell'appello  avverso alle sentenze di
proscioglimento  prevista  dalla norma della cui costituzionalita' si
dubita  non  appare  equilibrata  da  alcun  sacrificio  dei poteri e
diritti   processuali   dell'imputato,  ne'  da  esigenze  di  rapida
definizione  del  processo  esposto, comunque, all'appello consentito
all'imputato.
    Ne' sembra si possa ritenere, stante la pari sostanziale gravita'
ed  importanza per l'ordinamento degli interessi e diritti sottoposti
a  giudizio  dalle  parti  pubblica  e  privata,  che  l'esigenza  di
speditezza  del  processo  possa valere per quello che abbia avuto in
primo  grado  un  esito  di  assoluzione  piu'  di  quanto per quello
concluso, invece, da condanna.
    Non  pone rimedio alla prospettata violazione della parita' delle
parti   la   facolta',   riconosciuta   al  p.m.  dal  secondo  comma
dell'art. 593  c.p.p. novellato, di proporre appello nelle ipotesi ex
art. 603 comma 2, se la nuova prova e' decisiva; infatti si tratta di
fattispecie  marginale  che  non  pone  nella  sostanza  il  p.m.  in
condizioni  almeno comparabili con quelle dell'imputato rispetto alla
possibilita'  di  ottenere  una  nuova  valutazione  in  fatto su una
pronuncia nel merito.
    D'altra  parte, il sacrificio della posizione del p.m. non appare
neppure  compensato,  in  una  visione  complessiva  dell'ordinamento
processuale  penale,  da  una corrispondente deflazione del carico di
lavoro  della  giustizia  penale,  e'  infatti  evidente che il nuovo
regime   delle   impugnazioni  della  pubblica  accusa  non  solo  e'
fatalmente  destinato a comportare un significativo aumento di lavoro
per  la  Corte  di  Cassazione, ma anche, in caso di conferma in tale
ultima   sede   della  sentenza  di  proscioglimento  impugnata,  una
regressione   del   procedimento   con   conseguente  ed  inevitabile
allungamento dei tempi di definizione del processo.
    E'  evidente, infatti, che mentre sotto la disciplina previgente,
ove  la  doglianza  del  pm  fosse  stata  fondata,  sarebbero  stati
sufficienti  tre gradi di giudizio per definire il processo (sentenza
d'assoluzione  in  primo  grado,  sentenza di condanna su appello del
p.m., in secondo grado, rigetto da parte della Cassazione del ricorso
dell'imputato   avverso   la  sentenza  d'appello),  successivamente,
invece,   all'abolizione   dell'  appellabilita'  delle  sentenze  di
proscioglimento  nel merito da parte del p.m., saranno necessari allo
stesso   fme   non   meno  di  cinque  gradi  di  giudizio  (sentenza
d'assoluzione  in primo grado, annullamento da parte della Cassazione
sul  ricorso del p.m. con rinvio al primo grado, sentenza di condanna
dei  giudice  di  rinvio,  conferma  condanna  da parte di giudice di
secondo  grado  su  appello  dell'imputato,  definitivo rigetto della
Cassazione del ricorso proposto dall'appellante).
    Per  quanto  appena rilevato, la nuova normativa vulnera anche il
secondo principio affermato nel secondo periodo del secondo comma del
gia'  citato  art. 111  della  Costituzione, quello della ragionevole
durata del processo.
    Inoltre,  appaiono  incompatibili col principio di ragionevolezza
insito nell'art. 3 della Costituzione:
        per un verso, il riconoscimento al p.m. del potere di appello
in   caso   di  soccombenza  parziale  (condanna  diversa  da  quella
richiesta),  ma  non  nel  caso  di  soccombenza  totale (sentenza di
proscioglimento),
        per  altro  verso,  la  subordinazione della possibilita' del
p.m.  di  ottenere  un nuovo giudizio in fatto avverso la sentenza di
proscioglimento  alla  presenza e all'iniziativa, nel processo, della
parte  civile,  poiche',  ai  sensi dell'art. 580 c.p.p., se la parte
civile  proponga  appello,  il ricorso per cassazione del si converte
automaticamente in appello, sicche', se la parte pubblica e' «sola» a
sostenere l'accusa, non puo' ottenere un nuovo giudizio in fatto, che
puo', invece, conseguire ove sia affiancata dalla accusa privata.
    Le  suesposte  considerazioni  fanno  ritenere non manifestamente
infondata, e rilevante ai fini dei presente processo, la questione di
costituzionalita'  del combinato disposto degli artt. 1 e 10 legge 20
febbraio  2006  n. 46  nella  parte  in  cui  precludono  al  p.m. la
possibilita'  di  appellare nel merito le sentenze di proscioglimento
e,  nell'ipotesi  di  processi d'appello gia' pendenti impongono alla
Corte  di  appello  di  dichiarare  l'inammissibilita'  del  predetto
gravame.
    Considerato    che    la    risoluzione    della   questione   di
costituzionalita' e' pregiudiziale alla valutazione degli appelli del
p.m. avverso alle statuizioni assolutorie, deve disporsi:
        la  separazione  dal  presente  processo  ditali appelli e la
trasmissione degli atti ad essi relativi alla Corte Costituzionale,
        procedersi  oltre  in  merito  agli  appelli degli imputati e
delle  parti  civili,  nonche'  all'appello  del  p.m.  relativo alla
quantificazione della pena inflitta al Boccaccini pei reati pei quali
ha riportato condanna in primo grado.