ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 9,
della  legge  25 luglio  1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla
legge  25 febbraio 1992, n. 210, in materia di indennizzi ai soggetti
danneggiati    da    vaccinazioni    obbligatorie,   trasfusioni   ed
emoderivati),   promosso   con  ordinanza  del  16  giugno 2004,  dal
Tribunale  di  Modica,  nel  procedimento  civile  vertente tra M. V.
contro  il  Ministero  della  salute,  iscritta al n. 32 del registro
ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 5 luglio 2006 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 16 giugno 2004, il Tribunale di Modica, in
funzione  di  giudice del lavoro, nella causa promossa da M.V. contro
il  Ministero della salute, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e  32  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1,  comma 9,  della legge 25 luglio 1997, n. 238 (Modifiche
ed  integrazioni  alla  legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia di
indennizzi  ai  soggetti  danneggiati  da  vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni ed emoderivati).
    2.  -  Secondo  quanto  esposto  in fatto dal rimettente, M.V. ha
convenuto  in giudizio il Ministero della salute, al fine di ottenere
la  corresponsione  dell'indennizzo  di  cui  all'art. 1  della legge
25 febbraio   1992,   n. 210   (Indennizzo   a  favore  dei  soggetti
danneggiati   da   complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di
vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
emoderivati),    deducendo    di    aver    contratto   un'epatopatia
irreversibile,  diagnosticata  in  data 21 gennaio 1998, a seguito di
emotrasfusione  somministrata il 27 giugno 1968 presso l'ospedale San
Matteo  di  Pavia, e di aver inoltrato il 4 giugno 2001, senza esito,
la domanda amministrativa per la provvidenza.
    Ritualmente  costituitosi,  il Ministero della salute ha eccepito
la  prescrizione del diritto all'indennizzo, argomentando che, quando
l'interessato  aveva  presentato  la  relativa  richiesta,  era  gia'
decorso  il termine perentorio di tre anni posto all'art. 3, comma 1,
della  legge  n. 210  del 1992, come modificato dall'art. 1, comma 9,
della legge n. 238 del 1997.
    Cio'  premesso,  il  Tribunale  di  Modica  rileva come l'art. 3,
comma 1,  della  legge  n. 210  del  1992  sia  stato  effettivamente
modificato  dall'art. 1,  comma 9,  della  legge n. 238 del 1997: se,
nell'originaria  formulazione,  il  termine triennale di prescrizione
era  stabilito  solo  per  il  caso  di  vaccinazione, «mentre nessun
termine  era  stato  previsto  per  l'ipotesi  di  danni  da HIV e da
epatite»,  in  seguito il legislatore, con la disposizione censurata,
ha  esteso  alle  sole  fattispecie  di epatite post-trasfusionale il
«termine prescrizionale breve».
    Dopo aver considerato che nel giudizio a quo non sono controverse
ne'  la  data  della  presentazione  dell'istanza  al Ministero della
salute, successiva, come detto, al decorso del termine triennale, ne'
l'esistenza  del  nesso  eziologico tra la trasfusione e la patologia
dedotta,  osserva il rimettente che la questione di costituzionalita'
dell'art. 1,   comma 9,   della   legge   n. 238   del  1997  non  e'
manifestamente infondata.
    La norma impugnata, invero, si porrebbe in contrasto con l'art. 3
della   Costituzione,   «laddove   crea   una  palese  disparita'  di
trattamento   tra   i   soggetti   che,   avendo   contratto  epatite
post-trasfusionale, vengono differenziati a seconda che abbiano avuto
la  possibilita',  nel  vigore della legge n. 210 del 1992, nel testo
originario,   di   fruire   dell'ordinario   termine   decennale   di
prescrizione,  ovvero  che  non  abbiano  avuto tale possibilita' per
effetto  dello  ius  superveniens»;  nonche'  «laddove prevede, nella
identica   ipotesi   di  danni  da  emotrasfusioni,  legittimante  il
godimento dell'indennizzo previsto dall'art. 1 della legge n. 210 del
1992, un trattamento diverso» per i danni da epatite e per i danni da
HIV.
    La disparita' di trattamento sarebbe ancora piu' «incongrua» alla
luce  della  giurisprudenza  costituzionale, secondo cui la cogenza o
l'incentivazione della vaccinazione, trattamento obbligatorio posto a
presidio  della  salute  collettiva,  giustificherebbe,  in  caso  di
lesioni,  una  tutela  rafforzata  rispetto  a quella predisposta per
l'intervento  emotrasfusionale,  praticato,  quest'ultimo, in ragione
della sola necessita' terapeutica (sentenze n. 423 e 226 del 2000).
    Infatti, prosegue il rimettente, l'indennizzo in parola «trova la
sua  ratio  nel  diritto-dovere  dello  Stato  di evitare gli effetti
teratogeni degli interventi terapeutici che esso e' tenuto a prestare
ai  cittadini».  Vertendosi  in  tema  di diritto alla salute, appare
irragionevole  che  l'azionabilita'  delle  pretese del cittadino sia
sottoposta  a  limitazioni  come  quella  connessa  alla brevita' del
termine di prescrizione.
    L'art. 1,  comma 9,  della  legge  n. 238  del  1997  violerebbe,
pertanto,  anche  l'art. 32 della Costituzione, prevedendo un'ipotesi
attenuata  di  tutela  del  diritto primario alla salute, mentre tale
diritto  richiederebbe,  semmai,  una  tutela  rafforzata  rispetto a
diritti di rango inferiore, quali i diritti di credito, «che non sono
soggetti ad incombenti amministrativi condizionanti e sono, comunque,
salve specifiche eccezioni, azionabili in un termine piu' lungo».
    3.  -  E'  intervenuto  nel  presente  giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione
di  legittimita'  costituzionale,  essenzialmente  sul  rilievo della
disomogeneita'  delle  situazioni poste a raffronto, quella del danno
da epatite e quella del danno da HIV.
    Secondo   la   difesa  erariale,  i  due  processi  infettivi  si
presentano   radicalmente   diversi,   non   solo  in  ragione  delle
connotazioni  dei virus e delle conseguenti prospettive di evoluzione
della malattia, ma anche e soprattutto perche' i tempi di incubazione
dell'epatite C, dell'entita' di pochi giorni ed al massimo di quattro
mesi, sono assai ridotti rispetto a quelli dell'HIV.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale di Modica, in funzione di giudice del lavoro,
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 9, della
legge  25 luglio  1997,  n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge
25 febbraio  1992,  n. 210,  in  materia  di  indennizzi  ai soggetti
danneggiati    da    vaccinazioni    obbligatorie,   trasfusioni   ed
emoderivati),  nella  parte  in  cui,  sostituendo l'art. 3, comma 1,
della  legge  25 febbraio  1992,  n. 210  (Indennizzo  a  favore  dei
soggetti  danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di
vaccinazioni   obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione  di
emoderivati),   ha   stabilito   che,   ai   fini  del  conseguimento
dell'indennizzo di cui all'art. 1 della legge n. 210 del 1992, coloro
che  presentino  danni  irreversibili  da  epatiti post-trasfusionali
devono   presentare   la  domanda  amministrativa  entro  il  termine
perentorio  di  tre anni, decorrente dal momento in cui l'interessato
risulti aver avuto conoscenza della menomazione.
    2.   -   L'indennizzo   a  favore  dei  soggetti  danneggiati  da
complicanze   di   tipo   irreversibile   a   causa  di  vaccinazioni
obbligatorie,  trasfusioni e somministrazione di emoderivati e' stato
introdotto  dalla  legge  n. 210 del 1992, dopo che questa Corte, con
sentenza   n. 307   del   1990,   aveva  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale  della  legge  4 febbraio 1966, n. 51 (Obbligatorieta'
della  vaccinazione  antipoliomielitica),  nella  parte  in  cui  non
prevedeva,  a  carico  dello Stato, un'equa indennita' per il caso di
danno  derivante,  al  di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 2043 del
codice   civile,   da  contagio  o  da  altra  apprezzabile  malattia
riconducibile a vaccinazione obbligatoria.
    L'art. 1,  comma 1,  della  legge  n. 210  del  1992,  con  norma
generale,  riconosce  il  diritto  ad  un indennizzo a chiunque abbia
riportato,  a  causa  di  vaccinazioni  obbligatorie  per legge o per
ordinanza  di una autorita' sanitaria italiana, lesioni o infermita',
dalle  quali sia derivata una menomazione permanente della integrita'
psico-fisica.
    In  base  ai due successivi commi dello stesso articolo, identico
diritto  spetta  ai soggetti che risultino contagiati da infezioni da
HIV  a  seguito  di somministrazione di sangue e suoi derivati (comma
2),  nonche'  a  coloro che presentino danni irreversibili da epatiti
post-trasfusionali (comma 3).
    L'art. 3,  comma 1,  della  legge  n. 210  del  1992,  nel  testo
originario, disponeva che, ai fini del conseguimento dell'indennizzo,
la  domanda  doveva  essere  inoltrata  al Ministro della sanita' nel
termine  perentorio  di  tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci
anni  nei casi di infezioni da HIV. Il termine decorreva, in entrambi
i  casi,  dal  momento  in cui l'avente diritto risultasse aver avuto
conoscenza  del  danno, sulla base della documentazione medica di cui
ai  commi 2  e 3, concernenti, il primo, le vaccinazioni, il secondo,
le  infezioni da HIV (art. 3, comma 1), salvo che per gli eventi ante
legem,  in  relazione  ai  quali  il  termine decorreva dalla data di
entrata in vigore della legge (art. 3, comma 7).
    Nessun  termine  di decadenza era previsto per il caso di epatiti
post-trasfusionali  e,  pronunciandosi  in riferimento all'originario
art. 3 della legge n. 210 del 1992, la giurisprudenza di legittimita'
ha  escluso,  in  ragione del carattere eccezionale delle norme sulla
decadenza  e del conseguente divieto di analogia (art. 14 disp. sulla
legge  in  generale), che potesse applicarsi il termine stabilito per
fattispecie di danno diverse dall'art. 3, comma 1, della legge n. 210
del 1992.
    L'art. 1,  comma 9,  della legge n. 238 del 1997 ha sostituito il
testo  dell'art. 3,  comma 1, della legge n. 210 del 1992, stabilendo
che  «I  soggetti interessati [...] presentano alla USL competente le
relative  domande,  indirizzate  al  Ministro della sanita', entro il
termine  perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti
post-trasfusionali  o  di  dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I
termini decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione
di cui ai commi 2 e 3, l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza
del danno».
    2.1.  -  L'art. 1,  comma 9,  della  legge  n. 238  del  1997  e'
censurato  dal  Tribunale  di  Modica,  in  quanto,  in  primo luogo,
ingiustificatamente differenzierebbe, in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione,   la   situazione   dei  soggetti  affetti  da  epatiti
post-trasfusionali,  obbligati  a  presentare  la domanda nel termine
perentorio di tre anni, rispetto a quella dei soggetti contagiati dal
medesimo  virus  che,  nel  vigore  del  testo originario della legge
n. 210   del   1992,  abbiano  usufruito  del  termine  ordinario  di
prescrizione;   in   secondo  luogo,  opererebbe  una  disparita'  di
trattamento  tra i soggetti danneggiati da epatiti ed i soggetti che,
a  seguito  del  medesimo  evento trasfusionale, contraggono il virus
dell'HIV,  a  questi  ultimi  applicandosi il termine di prescrizione
decennale;   infine,   violerebbe   l'art. 32   della   Costituzione,
prevedendo  un'ipotesi  attenuata di tutela del diritto primario alla
salute,  laddove  tale  diritto  richiederebbe,  semmai,  una  tutela
rafforzata  rispetto  a  diritti  di  rango  inferiore  «che non sono
soggetti ad incombenti amministrativi condizionanti e sono, comunque,
salve specifiche eccezioni, azionabili in un termine piu' lungo».
    3. - La questione di legittimita' costituzionale non e' fondata.
    La  menomazione  della  salute conseguente a trattamenti sanitari
puo'   determinare,  oltre  al  risarcimento  del  danno  secondo  la
previsione  dell'art. 2043  del  codice civile, il diritto ad un equo
indennizzo,  in forza dell'art. 32 in collegamento con l'art. 2 della
Costituzione,  ove  il  danno,  non  derivante da fatto illecito, sia
conseguenza   dell'adempimento  di  un  obbligo  legale;  nonche'  il
diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 38 e
2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal
legislatore  nell'ambito  della  propria  discrezionalita'  (sentenze
n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996).
    La  situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione,
siano  affetti  da epatite e' riconducibile, come quella dei soggetti
contagiati   da  HIV,  all'ultima  delle  ipotesi  appena  enunciate:
l'indennizzo  consiste  in  una misura di sostegno economico fondata,
non  gia',  come  assume  il  rimettente,  sul  dovere dello Stato di
evitare gli effetti teratogeni degli interventi terapeutici, ma sulla
solidarieta'  collettiva  garantita  ai cittadini, alla stregua degli
artt. 2  e  38  della  Costituzione, a fronte di eventi generanti una
situazione di bisogno.
    La   determinazione   del   contenuto   e   delle   modalita'  di
realizzazione  di  un  tale  intervento  di  natura  solidaristica e'
rimessa   alla   discrezionalita'   del  legislatore  e  questi,  nel
ragionevole  bilanciamento  dei  diversi interessi costituzionalmente
rilevanti    coinvolti,   puo'   subordinare   l'attribuzione   delle
provvidenze  alla  presentazione della relativa domanda entro un dato
termine.
    Questa  Corte non puo' sindacare il merito e l'opportunita' delle
opzioni  adottate  dal  legislatore  nella  previsione  di  misure di
sostegno  assistenziale  in  caso  di malattia. Le compete, tuttavia,
verificare  che  le  scelte  legislative  non siano affette da palese
arbitrarieta'  o irrazionalita' ovvero non comportino una lesione del
nucleo  minimo  della  garanzia (sentenze n. 226 del 2000 e n. 27 del
1998): vizi, questi, che non inficiano la norma in esame.
    Infatti,  il  termine  di  tre anni fissato dall'art. 1, comma 9,
della  legge  n. 238  del 1997, decorrente dal momento dell'acquisita
conoscenza dell'esito dannoso dell'intervento terapeutico, non appare
talmente  breve da frustrare la possibilita' di esercizio del diritto
alla prestazione e vanificare la previsione dell'indennizzo.
    Inoltre, in mancanza di sicuri dati scientifici - non prospettati
dal  rimettente  -  che  dimostrino  la manifesta arbitrarieta' della
distinzione  dei  tempi  di  presentazione delle domande in relazione
alle   patologie   cui  si  riferiscono,  non  esiste  alcun  vincolo
costituzionale che imponga un'equiparazione di disciplina.
    Nel  sistema  della  legge n. 210 del 1992, d'altra parte, quella
delle  epatiti  era  l'unica  ipotesi  di danno per cui la domanda di
indennizzo   poteva   essere  presentata  in  qualsiasi  momento.  Al
riguardo,  il rimettente manca di rilevare che anche per l'indennizzo
in   favore  dei  soggetti  contagiati  da  HIV  di  cui  al  comma 2
dell'art. 1  della legge n. 210 del 1992 era prevista una limitazione
temporale: in base all'originario art. 3, comma 1, della legge n. 210
del  1992,  l'iniziativa  doveva  essere assunta dall'interessato nel
termine  di  dieci  anni, decorrente, per gli eventi ante legems, non
dalla  conoscenza  del  danno,  ma,  in  virtu' dell'art. 3, comma 7,
dall'entrata in vigore della legge stessa.
    In  relazione alla denunciata disparita' rispetto alla situazione
dei soggetti affetti da epatiti che si siano avvalsi della disciplina
di  cui  al  previgente art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992,
v'e'  da aggiungere che, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte,  non  contrasta  di per se' con il principio di eguaglianza un
differenziato   trattamento   applicato   alla  stessa  categoria  di
soggetti,  ma in momenti diversi nel tempo, poiche' proprio il fluire
del  tempo  costituisce  un elemento diversificatore delle situazioni
giuridiche (ordinanze n. 216 del 2005 e n. 121 del 2003).
    Alla  luce  delle esposte considerazioni, si deve ritenere che la
disposizione  impugnata non ecceda l'ambito delle scelte spettanti al
legislatore in materia di diritti sociali.