ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 37,  sesto
comma,  del  decreto  del  Presidente della Repubblica del 26 ottobre
1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul  valore
aggiunto),  da  solo  e  in  combinato  disposto con l'art. 43, primo
comma, dello stesso d.P.R., ovvero con l'art. 5, comma 1, del decreto
legislativo  18 dicembre  1997,  n. «472» [recte: 471] (Riforma delle
sanzioni  tributarie  non  penali  in  materia di imposte dirette, di
imposta  sul  valore  aggiunto  e di riscossione dei tributi, a norma
dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996,
n. 662),  promosso  con  ordinanza  deliberata  il  19 ottobre 1998 e
depositata il 16 novembre 2005 dalla Commissione tributaria regionale
del  Piemonte,  nel giudizio tributario vertente tra l'Ufficio IVA di
Novara  e Secondo Bolognini, iscritta al n. 99 del registro ordinanze
2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, 1ª
serie speciale, dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 27 settembre 2006 il giudice
relatore Franco Gallo;
    Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio di appello - riguardante
un  avviso  di irrogazione di sanzioni emesso, ai sensi dell'art. 43,
primo  comma,  del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre
1972,  n. 633  (Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul  valore
aggiunto),  per  la  presentazione,  da parte del contribuente, della
dichiarazione  annuale  dell'IVA relativa al 1992 oltre trenta giorni
dalla scadenza del termine -, la Commissione tributaria regionale del
Piemonte,   con  ordinanza  datata  19 ottobre  1998,  depositata  il
16 novembre  2005  e pervenuta alla Corte costituzionale il 1° aprile
2006,    ha   sollevato   questioni   incidentali   di   legittimita'
costituzionale:  a)  «sotto un primo aspetto», del combinato disposto
degli  artt. 37,  sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 43, primo
comma,  dello  stesso  d.P.R.,  nonche'  del combinato disposto degli
artt. 37,  sesto comma, del medesimo d.P.R. e 5, comma 1, del decreto
legislativo  18 dicembre  1997,  n. «472» [recte: 471] (Riforma delle
sanzioni  tributarie  non  penali  in  materia di imposte dirette, di
imposta  sul  valore  aggiunto  e di riscossione dei tributi, a norma
dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996,
n. 662),  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione; b) «sotto un
secondo  alternativo  aspetto», dell'art. 37, sesto comma, del citato
d.P.R.  n. 633  del  1972,  in  riferimento  agli artt. 3 e 97, primo
comma,  Cost;  c)  «inoltre»,  del medesimo art. 37, sesto comma, del
d.P.R.  n. 633  del  1972,  in  riferimento all'art. 77, primo comma,
Cost;
        che  il  giudice  di appello premette, in punto fatto, che il
contribuente aveva «versato l'imposta dovuta nei termini di legge» e,
in  punto  di  diritto,  che  allo  stesso contribuente, in relazione
all'illecito   di   intempestiva  presentazione  della  dichiarazione
annuale  dell'IVA, deve applicarsi - ai sensi degli artt. 25, commi 1
e  2,  e  3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonche'
del   decreto   legislativo   5   giugno 1998,   n. 203  -  la  norma
sanzionatrice  piu'  favorevole  tra quella di cui al citato art. 43,
primo  comma,  del d.P.R. n. 633 del 1972 e quella di cui all'art. 5,
comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997;
        che,   ad  avviso  della  Commissione  tributaria  regionale,
entrambe  le  predette  norme  sanzionatrici  sarebbero  comunque  in
contrasto  con  i canoni di ragionevolezza e di uguaglianza stabiliti
dall'art. 3  Cost.,  in  quanto  ciascuna  di esse prevede l'identico
trattamento  sanzionatorio di fattispecie radicalmente diverse: da un
lato,  l'omissione  della  dichiarazione  (comportante,  a  dire  del
rimettente,    la   «sottrazione»   all'Amministrazione   finanziaria
dell'intero  debito  d'imposta);  dall'altro,  la presentazione della
dichiarazione oltre trenta giorni dalla scadenza del termine (ipotesi
non  comportante,  sempre secondo il rimettente, alcuna «sottrazione»
del  debito  d'imposta,  in  quanto consentirebbe all'Amministrazione
finanziaria di esigere tale debito, ove non assolto);
        che  inoltre,  per  il  rimettente, il disposto dell'art. 37,
sesto  (cioe'  ultimo) comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (secondo cui
le  dichiarazioni ai fini dell'IVA presentate con ritardo superiore a
trenta  giorni  si  considerano  omesse  a  tutti  gli  effetti,  pur
costituendo  titolo  per  la  riscossione dell'imposta che ne risulta
dovuta)  determinerebbe - in violazione del citato art. 3 Cost. - una
irragionevole   disparita'   di   effetti  derivanti  dalla  suddetta
presentazione  tardiva  della  medesima dichiarazione: effetti, da un
lato,  sfavorevoli  per  il  contribuente (per il quale la tardivita'
superiore   a   trenta   giorni   e'  equiparata  all'omissione),  e,
dall'altro,  favorevoli  per  l'Amministrazione  finanziaria  (per la
quale  la  dichiarazione  tardiva del contribuente costituisce titolo
per riscuotere il debito di imposta dichiarato);
        che  la  medesima  Commissione tributaria regionale denuncia,
altresi', il contrasto tra il citato art. 37, sesto comma, del d.P.R.
n. 633  del  1972  e  l'art. 97, primo comma, Cost., perche' la norma
censurata imporrebbe all'Amministrazione finanziaria un comportamento
non  imparziale, attribuendole la posizione, ad un tempo, di soggetto
che  sanziona  l'illecito  del contribuente e di «parte privilegiata»
del rapporto tributario;
        che,  infine,  a parere del giudice a quo, il citato art. 37,
sesto  comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 (emanato in attuazione della
legge   di   delegazione 9 ottobre   1971,  n. 825,  recante  «Delega
legislativa  al Governo della Repubblica per la riforma tributaria»),
nell'equiparare la dichiarazione presentata oltre trenta giorni dalla
scadenza  del  termine  (dichiarazione  che consente l'«applicazione»
dell'imposta)   all'omessa   dichiarazione   (che,   invece,  non  la
consentirebbe), violerebbe l'art. 77, primo comma, Cost., perche' non
costituendo  norma «necessaria» al fine dell'«applicazione» dell'IVA,
si  pone  in  contrasto con il principio e criterio direttivo fissato
dall'art. 5, primo comma, numero 9, della legge di delegazione n. 825
del   1971,   il   quale  attribuisce  al  Governo  il  potere  della
«regolamentazione  della  contabilita',  della documentazione e delle
dichiarazioni   o   comunicazioni  alla  amministrazione  finanziaria
necessarie  per l'applicazione dell'imposta in modo da consentire, in
quanto  possibile,  l'unificazione  degli  obblighi  dei  soggetti  e
l'utilizzazione   di   scritture   contabili  obbligatorie  ad  altri
effetti»;
        che,  quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,  il  giudice
rimettente  si  limita  ad affermare che dalla loro decisione dipende
l'accoglimento     o     il     rigetto     dell'appello     proposto
dall'Amministrazione  finanziaria  avverso la sentenza di primo grado
favorevole al contribuente;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo, con atto illustrato da successiva memoria, che «la
questione   prospettata   sia   dichiarata   inammissibile,   perche'
manifestamente infondata, o sia comunque rigettata per infondatezza».
    Considerato  che la Commissione tributaria regionale del Piemonte
dubita   della   legittimita'  costituzionale:  a)  «sotto  un  primo
aspetto»,  del  combinato  disposto  degli artt. 37, sesto comma, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26 ottobre  1972, n. 633
(Istituzione  e  disciplina  dell'imposta sul valore aggiunto), e 43,
primo  comma,  dello  stesso  d.P.R.,  nonche' del combinato disposto
degli  artt. 37,  sesto  comma, del medesimo d.P.R. e 5, comma 1, del
decreto  legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni
tributarie  non  penali in materia di imposte dirette, di imposta sul
valore   aggiunto   e   di   riscossione   dei   tributi,   a   norma
dell'articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996,
n. 662),  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione; b) «sotto un
secondo  alternativo  aspetto», dell'art. 37, sesto comma, del citato
d.P.R.  n. 633  del  1972,  in  riferimento  agli artt. 3 e 97, primo
comma,  Cost;  c)  «inoltre»,  del medesimo art. 37, sesto comma, del
d.P.R.  n. 633  del  1972,  in  riferimento all'art. 77, primo comma,
Cost;
        che   per   il   giudice   rimettente,   in  particolare,  le
disposizioni  denunciate  -  nel  considerare omesse le dichiarazioni
annuali dell'IVA presentate dal contribuente con un ritardo superiore
a   trenta   giorni   e   nello   stabilire  che  tali  dichiarazioni
costituiscono  titolo per la riscossione delle imposte dovute in base
agli  imponibili in esse indicati - violerebbero, rispettivamente: a)
i  principi  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.,  perche'  sia  l'art. 43,  primo  comma, del d.P.R. n. 633 del
1972,  sia l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997
prevedono (in quanto richiamate dall'art. 37, sesto comma, del d.P.R.
n. 633 del 1972) il medesimo trattamento sanzionatorio di fattispecie
radicalmente  diverse  tra loro, quali, da un lato, l'omissione della
dichiarazione  annuale dell'IVA e, dall'altro, la presentazione della
stessa  dichiarazione oltre trenta giorni dalla scadenza del termine;
e  cio'  indipendentemente  dall'individuazione,  tra le predette due
norme  sanzionatrici,  di  quella  piu' favorevole al contribuente e,
quindi,  di  quella  in  concreto  applicabile nel giudizio a quo, ai
sensi  degli  artt. 25,  commi 1  e  2,  e  3 del decreto legislativo
18 dicembre   1997,   n. 472,   nonche'  del  decreto  legislativo  5
giugno 1998, n. 203; b) gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., perche'
dalla  presentazione  della  dichiarazione  annuale  dell'IVA  con un
ritardo  superiore  a  trenta  giorni  deriverebbe  una irragionevole
diversita'  di  effetti  per  il  contribuente  (per  il  quale  tale
tardivita'  e'  equiparata  all'omissione)  e  per  l'Amministrazione
finanziaria  (per  la quale la dichiarazione tardiva del contribuente
costituisce  titolo  per riscuotere il debito di imposta dichiarato),
cosi'  da  imporre  a  quest'ultima  -  quale  soggetto  che sanziona
l'illecito  del  contribuente  e  che,  contemporaneamente, e' «parte
privilegiata»   del   rapporto  tributario  -  un  comportamento  non
imparziale; c) l'art. 77, primo comma, Cost., in relazione alla norma
interposta  di  cui all'art. 5, primo comma, numero 9, della legge di
delegazione 9 ottobre  1971,  n. 825  (Delega  legislativa al Governo
della  Repubblica per la riforma tributaria), perche' l'equiparazione
del   ritardo   superiore   a   trenta   giorni  all'omissione  della
dichiarazione  annuale dell'IVA, in quanto previsione non «necessaria
all'applicazione  dell'imposta»,  si  porrebbe  in  contrasto  con il
principio  e  criterio  direttivo  fissato dalla indicata norma della
legge di delegazione, la quale attribuisce al Governo il potere della
«regolamentazione  della  contabilita',  della documentazione e delle
dichiarazioni   o   comunicazioni  alla  amministrazione  finanziaria
necessarie  per l'applicazione dell'imposta in modo da consentire, in
quanto  possibile,  l'unificazione  degli  obblighi  dei  soggetti  e
l'utilizzazione   di   scritture   contabili  obbligatorie  ad  altri
effetti»;
        che,   nella   prospettazione   del  rimettente,  l'affermata
rilevanza  delle questioni e' ricollegata ai seguenti due presupposti
interpretativi:  a)  che  la  fattispecie  di  illecito  oggetto  del
giudizio  principale  e  prevista  dalle  norme  censurate,  cioe' la
presentazione  della  dichiarazione  annuale  dell'IVA con un ritardo
legislativamente  equiparato all'omissione della dichiarazione stessa
(c.d.  dichiarazione «ultratardiva»), sia rimasta immutata anche alla
stregua   della   normativa   vigente   al   momento   del   deposito
dell'ordinanza  di  rimessione;  b)  che le medesime denunciate norme
sanzionatrici,   le   quali   prevedono  pene  pecuniarie  in  misura
proporzionale  all'imposta  dovuta, siano applicabili anche al caso -
come quello di specie - in cui il contribuente, pur avendo presentato
una  dichiarazione  «ultratardiva»,  abbia  tuttavia  tempestivamente
versato l'intera imposta dovuta;
        che  l'erroneita'  di  tali  presupposti e la mancanza di una
adeguata  diversa  motivazione del rimettente sulla rilevanza rendono
manifestamente inammissibili le sollevate le questioni;
        che,   per  quanto  attiene  all'indicato  primo  presupposto
interpretativo,   deve   premettersi  che,  alla  data  del  deposito
dell'ordinanza di rimessione (16 novembre 2005), la normativa in tema
di  termini per la presentazione delle dichiarazioni annuali dell'IVA
risulta  mutata  rispetto  a quella vigente al momento della scadenza
del termine per la presentazione della dichiarazione annuale dell'IVA
relativa  al  1992  (15 marzo  1993), nel senso che la normativa piu'
recente  considera  «ultratardiva»  la  dichiarazione  presentata con
ritardo   superiore  a  novanta  giorni,  mentre  in  precedenza  era
considerata  tale  quella  presentata  con ritardo superiore a trenta
giorni;
        che,  al  riguardo,  la  Commissione  tributaria regionale ha
considerato   «valide»,   secondo   la  normativa  da  essa  ritenuta
rilevante,  soltanto  le  dichiarazioni  tempestive  o presentate con
ritardo  non  superiore a trenta giorni e, pertanto, ha trascurato di
precisare  se,  nel  caso  di  specie, il ritardo, superiore a trenta
giorni, abbia o no superato anche novanta giorni;
        che  tale  circostanza  e',  invece, essenziale per valutare,
nella stessa prospettiva del rimettente, la rilevanza delle sollevate
questioni;
        che  infatti,  ai  sensi  della  normativa vigente al momento
della  scadenza  del termine per la presentazione della dichiarazione
annuale  dell'IVA  relativa  al  1992,  erano considerate «valide» le
dichiarazioni  presentate  dal contribuente entro trenta giorni dalla
scadenza  del  termine  (salvo il trattamento sanzionatorio di cui al
primo  comma dell'art. 43 ed al primo comma dell'art. 48 dello stesso
d.P.R.) e dovevano considerarsi omesse (pur costituendo titolo per la
riscossione  delle  imposte  dovute  in  base agli imponibili in esse
indicati  e  delle  ritenute indicate dai sostituti d'imposta) quelle
presentate  con  ritardo  superiore  a  trenta giorni (commi quinto e
sesto  dell'art. 37 del d.P.R. n. 633 del 1972, quale sostituito, con
effetto  dal 1° gennaio 1973, dagli artt. 1 e 3 del d.P.R. 29 gennaio
1979,  n. 24,  recante  «Disposizioni  integrative  e  correttive del
d.P.R.  26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, anche in
attuazione  della  delega  prevista  dalla  legge  13 novembre  1978,
n. 765,  riguardante  l'adeguamento della disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto alla normativa comunitaria»);
        che,  viceversa,  in  forza della normativa vigente alla data
del  deposito dell'ordinanza di rimessione, sono considerate «valide»
le  dichiarazioni  presentate entro novanta giorni dalla scadenza del
termine  (salva restando l'applicazione delle sanzioni amministrative
per il ritardo) e debbono considerarsi omesse (pur costituendo titolo
per  la  riscossione  delle imposte dovute in base agli imponibili in
esse  indicati  e  delle  ritenute  indicate dai sostituti d'imposta)
quelle  presentate  con ritardo superiore a novanta giorni (combinato
disposto  degli  artt. 8, comma 7, e 2, comma 7, del d.P.R. 22 luglio
1998,  n. 322, quale modificato dall'art. 1, comma 2, lettera g), del
d.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542);
        che  pertanto, ove la dichiarazione annuale dell'IVA relativa
al 1992 fosse stata presentata con un ritardo compreso tra trentuno e
novanta giorni, le sollevate questioni sarebbero irrilevanti, perche'
un   ritardo   contenuto   in   tali   limiti,  non  piu'  equiparato
all'omissione  della  dichiarazione,  non  sarebbe  piu'  punibile  -
secondo  l'impostazione  del rimettente - quale dichiarazione omessa,
ne' in relazione alle fattispecie realizzate nella vigenza del citato
ius  superveniens,  ne'  in  relazione  alla  fattispecie oggetto del
giudizio   a   quo,   realizzata   nella   vigenza  delle  norme  che
consideravano ancora «valide» solo le dichiarazioni presentate con un
ritardo  non  superiore  a  trenta giorni; e cio' in applicazione del
principio,   richiamato  dallo  stesso  giudice  a  quo  ed  espresso
dall'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, ai sensi del quale,
«salvo  diversa previsione di legge, nessuno puo' essere assoggettato
a  sanzioni  per  un  fatto  che,  secondo  una legge posteriore, non
costituisce violazione punibile»;
        che  la mancata indicazione della data di presentazione della
dichiarazione  annuale  dell'IVA da parte del contribuente si risolve
in una carenza di descrizione della fattispecie in ordine all'entita'
del  ritardo  nella  presentazione di detta dichiarazione e comporta,
nell'ambito  dello  stesso  impianto  argomentativo dell'ordinanza di
rimessione, il difetto di motivazione sulla rilevanza;
        che,  quanto  al  secondo  presupposto  interpretativo da cui
muove la Commissione tributaria regionale, questa, dopo aver premesso
che  il  contribuente  ha  «versato  l'imposta  dovuta nei termini di
legge»  estinguendo  cosi' il debito tributario, afferma poi di dover
applicare   in   giudizio   una   sanzione  pecuniaria  proporzionale
all'ammontare   dell'«imposta  dovuta»,  e  cioe'  la  sanzione  piu'
favorevole  tra quella prevista dall'art. 43, primo comma, del d.P.R.
n. 633  del  1972  («da  due  a  quattro  volte  l'imposta dovuta») o
dall'art. 5,  comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 («dal centoventi al
duecentoquaranta per cento dell'ammontare del tributo dovuto»);
        che,  al riguardo, il rimettente omette, pero', di fornire le
ragioni  per le quali, pur in presenza di una pluralita' di possibili
interpretazioni,  invece  di  attribuire  alle  espressioni  «imposta
dovuta»  e  «tributo  dovuto»  (utilizzate  dalle norme censurate per
indicare la base quantitativa cui commisurare la sanzione pecuniaria)
il significato di «imposta ancora dovuta» (cioe' di imposta dovuta al
netto,   quantomeno,   degli  importi  gia'  versati),  ha  preferito
intenderle  nel  senso  di  importo  astrattamente  dovuto  dell'IVA,
calcolato  senza tener conto dei pertinenti versamenti d'imposta gia'
effettuati dal contribuente;
        che  l'indicazione dei motivi del rifiuto della prima opzione
ermeneutica  (la  quale  avrebbe  comportato l'inapplicabilita' della
sanzione  proporzionale  oggetto  del  giudizio a quo, in ragione del
tempestivo   pagamento   dell'intero   debito   d'imposta,  e  quindi
l'irrilevanza delle sollevate questioni) appare tanto piu' necessaria
in  quanto  la  scelta  interpretativa  del  rimettente  si  pone  in
contrasto  con  la prassi amministrativa, la prevalente dottrina e la
giurisprudenza  di  legittimita'  (Cass. n. 8602 del 1996), oltre che
con  la  stessa  lettera  dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 471 del
1997,  secondo  il  quale  la  pena  si  commisura all'imposta ancora
dovuta,   computati  in  detrazione  tutti  i  versamenti  effettuati
relativi al periodo, il credito dell'anno precedente del quale non e'
stato  chiesto  il rimborso, nonche' le imposte detraibili risultanti
dalle  liquidazioni  regolarmente  eseguite  (fermo  restando  che la
sanzione non puo' essere comunque inferiore a lire cinquecentomila);
        che    tale    difetto    di    motivazione   sulle   ragioni
dell'interpretazione  data alle norme censurate si risolve in difetto
di  motivazione  sull'applicabilita',  nella  specie,  delle sanzioni
previste da dette norme e, quindi, sulla rilevanza delle questioni;
        che   infine,   indipendentemente  dai  suddetti  presupposti
interpretativi  del  rimettente, le questioni relative alla censurata
equiparazione normativa del trattamento sanzionatorio previsto per la
dichiarazione  annuale  dell'IVA  cosiddetta  «ultratardiva» a quello
previsto  per  la dichiarazione omessa, sollevate in riferimento agli
artt. 3   e  97  Cost.,  sono  manifestamente  inammissibili  perche'
coinvolgono  una  gamma  di  scelte  in ordine alla graduazione delle
sanzioni  ed  all'individuazione delle condotte punibili, a contenuto
non   costituzionalmente   obbligato,   che  restano  riservate  alla
discrezionale  valutazione del legislatore, purche' non esercitate in
modo  arbitrario  o manifestamente irragionevole (v., ex plurimis, la
sentenza  di  questa  Corte  n. 292 del 2006, nonche', per precedenti
piu' prossimi alla materia in esame, le sentenze n. 84, n. 83 e n. 82
del 1989 e le ordinanze n. 56 del 1990, n. 524 e n. 298 del 1989).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.