LA CORTE D'ASSISE D'APPELLO

    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di
Coci  Kastriot,  Cocaj  Sajmir,  Tosku  Sokol,  Laze  Alket, Carletti
Ignazio Fabio;
    1) Rilevato  che:  con  sentenza  del  31  maggio  2005  la Corte
d'Assise  di  Treviso ha assolto gli imputati dai delitti di concorso
in  omicidio  volontario  in  danno  di Erroussafi El Bachir, nonche'
detenzione  e  porto  in luogo pubblico di una pistola, condannandoli
invece  per  delitti  di  concorso  in favoreggiamento e sfruttamento
della prostituzione, con condotte variamente articolate;
        avverso  tale  sentenza  hanno  proposto  appello  tutti  gli
imputati  in  relazione  ai  capi  per  i quali vi e' stata condanna,
nonche'  la  parte  civile  (tale si era costituito il fratello della
vittima)  avverso gli imputati Coci, Cocaj, Tosku e Laze, contestando
il  loro  proscioglimento  per  il  delitto  di  omicidio e chiedendo
l'affermazione  della loro responsabilita' con condanna all'integrale
risarcimento dei danni morali subiti;
        con  legge  20  febbraio  2006,  n. 46, in vigore dal 9 marzo
2006,  il  legislatore  ha modificato la disciplina del sistema delle
impugnazioni,  in  particolare  per le sentenze di proscioglimento, e
che in esito a tale modifica si pone la pregiudiziale questione della
permanenza   dell'efficacia   dell'appello   pur   tempestivamente  e
ritualmente proposto dalla parte civile;
    2)  Ritenuto  che:  l'attuale testo del primo comma dell'art. 576
c.p.p.   ha   sganciato  la  parte  civile  dal  pubblico  ministero,
prevedendo  ora  che  essa  possa proporre impugnazione contro i capi
della  sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli
effetti   della   responsabilita'   civile,  contro  la  sentenza  di
proscioglimento pronunciata nel giudizio;
        nessuna  modifica  e'  stata pero' contestualmente introdotta
nell'art.  593  c.p.p.  che, disciplinando i casi di appello, tuttora
prevede  la  possibilita' di appellare per i soli imputato e pubblico
ministero (e in misura diversa e piu' contenuta rispetto a prima);
        nessuna  modifica e' stata altresi' introdotta al primo comma
dell'art. 568  c.p.p.,  che  tuttora  afferma il cosiddetto principio
della  tassativita'  dei  mezzi  di  impugnazione, disponendo «che la
legge  stabilisce  i  casi nei quali i provvedimenti del giudice sono
soggetti  a  impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere
impugnati»;
        conseguentemente  allo stato non vi e' una norma di legge che
attribuisca  positivamente alla parte civile il mezzo di impugnazione
costituito  dall'appello,  in  particolare (solo caso che qui rileva)
avverso  le  sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio
dibattimentale e pertanto si deve concludere che oggi la parte civile
ha   come  unico  strumento  di  impugnazione,  avverso  le  sentenze
dibattimentali  di primo grado, tanto di condanna che di assoluzione,
il  ricorso  per cassazione (combinato disposto degli artt. 576 nuovo
testo, 568.1, 568.2 c.p.p. e 111, penultimo comma Cost.);
        non  sono  condivisibili  le  interpretazioni  che vorrebbero
confermato  il  precedente  potere  di  appello  della  parte civile,
richiamando gli artt. 600.1, 605.2, 601.1 e 622:
          l'art.  600.1  ha  per  oggetto esclusivamente il peculiare
caso dell'omessa pronuncia o del rigetto relativamente alla richiesta
di  provvisoria  esecuzione  proposta  ai sensi dell'art 540.1, e da'
vita  ad  un  autonomo  procedimento  incidentale, del tutto autonomo
rispetto al procedimento principale, che si conclude con la pronuncia
di un'ordinanza; esso presuppone poi necessariamente che vi sia stata
una  sentenza  di condanna penale ed al risarcimento del danno, e che
l'imputato   abbia  proposto  appello  (altrimenti  essendo  gia'  in
giudicato la statuizione civilistica);
          l'art.  605.2  mantiene  anch'esso permanente efficacia nei
casi  di  condanna  al  risarcimento in primo grado che non sia stata
accompagnata  dalla  dichiarazione  di provvisoria esecuzione: questa
consegue  ex  lege  dalla  sentenza di appello (che chiuda il secondo
grado di merito attivato dall'imputato condannato);
          l'art. 601.1,   laddove   prevede  l'obbligo  di  citazione
dell'imputato  non  appellante  «se  l'appello e' proposto per i soli
fini civili», e' comunque compatibile tuttora con i casi dell'appello
del coimputato ovvero del responsabile civile (art. 587.1 e 4);
          l'art. 622   e'  anch'esso  compatibile  con  i  soli  casi
dell'impugnazione   dell'imputato   condannato   e  del  ricorso  per
cassazione della parte civile avverso la sentenza di primo grado, ne'
l'individuazione  del  giudice  di  rinvio  nella Corte di appello ha
alcun   rilievo   qui   pertinente,   posto  che  espressamente  tale
individuazione   e'   prevista  anche  per  il  caso  della  sentenza
inappellabile,  sicche' in buona sostanza tale norma altro non fa che
individuare  il  giudice  di  appello quale giudice del rinvio per il
caso di annullamento dei capi civilistici della sentenza;
          in   definitiva,   nessuna   di   queste  norme  presuppone
necessariamente  ed  indefettibilmente  la  permanenza  del potere di
appello  della  parte  civile,  in  particolare  avverso  le sentenze
dibattimentali di proscioglimento, ciascuna di esse conservando piena
efficacia e senso sistematici anche con la sopravvenuta abolizione di
un   tale  potere,  sicche'  nessuna  di  esse,  da  sola  o  insieme
considerate,  e' in grado di costituire fonte normativa autonomamente
attributiva del potere di appello alla parte civile soccombente;
    Ritenuto  che: il richiamo ai lavori parlamentari ed a quella che
in  realta'  sarebbe  stata la diversa intenzione del legislatore, in
particolare  a fronte del rinvio del testo originario della legge che
poi  ha  assunto  il  n. 46/2006  da  parte  del Capo dello Stato, e'
irrilevante:  dopo aver incidentalmente osservato che anche in quella
fase  del  dibattito parlamentare si parla solo di autonomo potere di
impugnazione  e  mai  espressamente del potere di appello della parte
civile,  non  puo'  che  richiamarsi  la  granitica  giurisprudenza e
dottrina  sull'inidoneita'  dei  motivi  della legge a introdurre una
norma positiva che non sia stata formalmente creata;
        altrettanto  non pertinenti appaiono i rilievi che sono stati
da  alcuni  proposti  in  ordine  all'incoerenza  del  sistema  cosi'
complessivamente  determinatosi,  specialmente  per  le  implicazioni
sull'ambito  di applicazione dell'art 580 c.p.p. ovvero sull'astratta
possibilita'   che  avverso  la  stessa  statuizione  piu'  parti,  e
addirittura  la  stessa  parte,  debbano  proporre  diversi  mezzi di
impugnazione:
          da un lato deve infatti osservarsi che nessuna insuperabile
incoerenza  puo  ravvisarsi  nel  fatto  che  la  parte  civile debba
proporre  appello  avverso  il  diniego  della provvisoria esecuzione
(appunto  art. 600.1)  e  ricorso per cassazione avverso la reiezione
parziale  delle  proprie  domande,  atteso  che come gia' evidenziato
quello  ex  art. 600.1 e' procedimento incidentale del tutto autonomo
rispetto al procedimento principale;
          dall'altro  si  deve  prendere  atto  che  e'  l'incoerenza
complessiva della riforma che ha determinato situazioni asistematiche
quale sbocco fisiologico dell'applicazione delle nuove norme, sicche'
e' ora fisiologico ad esempio che il pubblico ministero - nel caso in
cui  vi  siano  stati  due  capi di imputazione a carico del medesimo
imputato,   definiti   in   primo   grado  con  una  condanna  ed  un
proscioglimento  -  debba proporre appello se contesta il trattamento
sanzionatorio   della  condanna  e  ricorso  per  cassazione  per  il
proscioglimento,  ed  e'  fisiologico che la sorte procedimentale del
coimputato  prosciolto e colpito dall'impugnazione per cassazione del
pubblico   ministero   sia  legata  alle  iniziative  del  coimputato
condannato  (in  grado  di determinare o meno l'operativita' dell'art
580  nei  confronti  del  prosciolto e quindi il suo giudizio davanti
alla corte di cassazione ovvero al giudice di appello);
          pertanto  ne'  tali  presunte incoerenze riguardano la sola
parte  civile,  ne'  per rimediare ad esse puo' crearsi una norma che
non  c'e'  e  che  non  sarebbe  possibile individuare, qui dovendosi
eventualmente costruire un diverso sistema positivo;
    Ritenuto pertanto che deve allo stato giudicarsi non piu' ammesso
l'appello  della  parte  civile avverso le sentenze dibattimentali di
proscioglimento;
    Rilevato  che:,  con  eccezione  rispetto al principio del tempus
regit  actum  il  legislatore della 46/2006 ha dettato una disciplina
transitoria  che  espressamente  al  primo comma dell'art. 10 prevede
l'applicazione della novella ai procedimenti in corso;
        la disciplina transitoria si completa con le previsioni:
          delle   modalita'  di  dichiarazione  dell'inammissibilita'
degli   appelli   avverso   sentenze   di   proscioglimento  proposti
dall'imputato o dal pubblico ministero (comma 2);
          di   un   termine  per  la  proposizione  del  ricorso  per
cassazione,   che   decorre  dalla  notifica  di  tale  ordinanza  di
inammissibilita' (comma 3);
          dell'applicabilita'  della  nuova disciplina anche nel caso
di  annullamento  di  sentenze  di  condanna intervenute per la prima
volta in grado di appello (comma 4);
          di un termine per l'integrazione dei ricorsi per cassazione
gia' pendenti (comma 5);
    Ritenuto  che:,  una  volta  accolta l'interpretazione che questa
Corte  serenissima  ha giudicato corretta, si pone la questione della
sorte   degli   appelli  proposti  dalla  parte  civile,  ritualmente
presentati ma non ancora definiti con sentenza di secondo grado;
        taluno  ha  sostenuto  che  la  disciplina transitoria non si
applicherebbe alla parte civile (argomentando in sintesi che il primo
comma detterebbe un mero «principio di favore per l'imputato», mentre
la  concreta  ed  efficace  disciplina  dovrebbe  rinvenirsi solo nel
secondo  e  terzo  comma  e,  pertanto,  condurrebbe  a  ritenere  la
sopravvenuta inammissibilita' degli appelli pendenti solo se proposti
da queste due parti principali del processo penale);
        tale  interpretazione  appare  francamente  non  accoglibile,
atteso che gia' la sola lettera attesta in modo davvero inconfutabile
che  la  regola  dell'applicazione  immediata ai processi pendenti e'
autonomamente   ed   esaustivamente   contenuta   nel   primo   comma
dell'art. 10, mentre il secondo e terzo comma si risolvono, sul piano
sistematico,  nella  previsione  delle  modalita'  di  una  sorta  di
restituzione   nel  termine  per  la  proposizione  del  ricorso  per
cassazione,  proposizione  che sarebbe stata inevitabilmente preclusa
dalla `mera immediata applicazione della nuova legge;
        il fatto che tale «restituzione in termini» sia prevista solo
per  l'imputato o il pubblico ministero si spiega con quello che gia'
si   e'  evidenziato  pare  essere  stato  un  francamente  clamoroso
infortunio  del  legislatore  (con  l'intervento  sull'art.  576  non
accompagnato  dal  contemporaneo adeguamento dell'art 593), senza che
dal  contenuto  di  tali  due  commi  possa argomentarsi una positiva
volonta'  di  esclusione  della  parte  civile,  idonea addirittura a
modificare l'inequivoco contenuto del primo comma dell'art 10;
    Ritenuto  pertanto  che  oggi  questa  Corte  d'assise  d'appello
lagunare    dovrebbe   dichiarare   l'inammissibilita'   sopravvenuta
dell'appello proposto dalla parte civile, ovvero trasmettere gli atti
alla  Corte  di  cassazione  perche'  valuti sulla riqualificabilita'
dell'impugnazione   gia'   proposta   in   termini  del  ricorso  per
cassazione, eventualmente poi restituendo gli atti per la conversione
in  appello  (nei limiti dei ritenuti idonei ed ammissibili motivi di
legittimita'  rinvenibili in tale impugnazione) ove si ritenga l'art.
580  c.p.p.  nel  suo pure nuovo testo applicabile anche nel caso del
ricorso  della  parte  civile  per  capo  diverso  ma probatoriamente
connesso  a  quelli  di condanna penale per cui e' intervenuta invece
condanna;
    3)  Ritenuto  che:, la situazione procedimentale come ricostruita
(appello  ritualmente  proposto, divenuto inammissibile per mutamento
legislativo,  con  impossibilita'  anche  di  usufruire eventualmente
della  restituzione  in  termini per proporre un idoneo nuovo ricorso
per  cassazione)  pone tre questioni di possibile lesione dei diritti
costituzionali, in logico subordine tra loro:
        a)   se   sia   costituzionalmente   legittima  l'intervenuta
abolizione  dell'appello  della  parte  civile avverso le sentenze di
proscioglimento pronunciate in giudizio;
        b)  se  sia  costituzionalmente  legittima  la  vanificazione
dell'avvenuto  esercizio  di  un  diritto processuale sussistente nel
momento in cui e' stato legittimamente esercitato, senza che la parte
abbia  piu' la possibilita' di esercitare lo stesso o analogo diritto
di azione anche in altra sede giurisdizionale;
        c)  se sia costituzionalmente legittima l'omessa attribuzione
alla  parte  civile  della  facolta'  riconosciuta  all'imputato e al
pubblico ministero dai commi 2 e 3 dell'art. 10 della legge 46/2006;
    3.1a)  Ritenuto  che  l'impossibilita'  per  la  parte  civile di
proporre  appello avverso le sentenze di proscioglimento a seguito di
giudizio,  che  pur  hanno  respinto  la  sua  domanda  risarcitoria,
all'odierno  stato  della  normativa non pare presentare i profili di
una non manifestamente infondata questione di costituzionalita';
        i parametri costituzionali astrattamente rilevanti parrebbero
essere quelli degli artt. 3 e 111.2, e 24 Cost.;
        tuttavia il fatto che il danneggiato conservi sempre il pieno
potere  di  esercitare la sua azione risarcitoria nella naturale sede
civile,  in  alternativa  alla  scelta di esercitare quell'azione nel
processo   penale,   attraverso  la  costituzione  di  parte  civile,
ridimensiona  o  caratterizza  in  modo  peculiare il pregiudizio: il
danneggiato,   infatti,   deve   oggi  scegliere  tra  utilizzare  la
facilitazione  probatoria  che il processo penale gli offre, correndo
pero'  il rischio di non poter ottenere un secondo giudizio di merito
nel  caso  in  cui  la  sua domanda risarcitoria sia respinta, ovvero
adire  la  naturale  sede  del  giudice  civile, sopportando maggiori
difficolta' quanto all'adempimento dell'onere della prova (e tuttavia
non  sempre,  si  pensi  al  caso dei danni da colpe professionali in
rapporti  contrattuali)  ma  tuttavia  conservando la possibilita' di
ottenere in quella sede un (non costituzionalizzato) secondo grado di
merito;
        la  storia  recente dell'evoluzione dei poteri di appello per
quanto  riguarda  la  parte  civile  (art. 195  e 23 c.p.p. 1930, 576
c.p.p.  1989)  manifesta  la  fisiologia di una disciplina dei poteri
d'impugnazione  differente,  tra  le  parti  private, e, specialmente
segnala  un precedente specifico della Giurisprudenza costituzionale:
con   la   sentenza   n. 1/1970   il  Giudice  delle  leggi  ha  gia'
espressamente  insegnato  che «... per quanto riguarda in generale il
diritto di difesa (con riferimento all'art. 24 Cost.) la parte civile
ha  modo  di esercitarlo pienamente nel primo grado del giudizio; si'
che,  sotto  questo  aspetto,  l'art. 24  della Costituzione non puo'
ritenersi  violato.  Altrettanto  si  dica  dell'art. 3 se alla parte
civile  e'  negato,  in  certi casi, il diritto di appellare, cio' si
giustifica  con  la singolare posizione che essa, come parte lesa, ha
nel  processo  penale;  per  cui  non  sembra  irragionevole che, nel
silenzio  del pubblico ministero e dell'imputato, le manchi il potere
di provocarne il riesame sul fatto; si tratta di un insegnamento che,
se  da  un  lato risale al 1970 ed al codice previgente e se pur pare
idoneo  ad indicare possibili aspetti di irragionevolezza del caso di
una   preclusione   dell'impugnazione   quando   altre   parti,  esse
legittimate,   abbiano   impugnato   la   medesima   sentenza   cosi'
determinando l'intervento del giudice del secondo grado di merito nel
processo,  tuttavia  sembra  collocare  decisamente  la questione dei
poteri d'impugnazione riconosciuti al danneggiato nel processo penale
nell'ambito   della   discrezionalita'   del   legislatore  ordinario
piuttosto che in quello dei principi costituzionali;
        se  infine  e'  vero  che  anche  dopo  la  legge  46/2006 il
responsabile  civile  mantiene  la  possibilita' di appellare ai soli
fini  civili  (art. 575.1),  tuttavia la sua impugnazione giova anche
all'imputato,  se accolta, e tanto potrebbe attribuire ragionevolezza
all'attribuzione  di  diversi  poteri  d'impugnazione al responsabile
civile ed alla parte civile;
        pertanto  questa  prima questione di costituzionalita' pare a
questa Corte distrettuale manifestamente infondata; non puo' tuttavia
non  osservarsi  che  in  ogni caso ben potra' eventualmente la Corte
delle  leggi,  che  si  va  ad  adire  per  le  successive  altre due
questioni,    intervenire   comunque,   nell'esercizio   dei   poteri
riconosciutile  dall'art. 27,  seconda  parte,  legge  11 marzo 1953,
n. 87;
    3.1b)   Ritenuto   che  la  retroattivita'  dell'inammissibilita'
dell'appello  gia'  tempestivamente  e  ritualmente  proposto  appare
invece palesemente contrastante con il diritto di difesa riconosciuto
alla parte danneggiata dall'art. 24 Cost.;
        mentre  l'abolizione dell'appello per i nuovi processi lascia
alla  parte  danneggiata il pieno potere di valutare responsabilmente
il  rapporto  tra  vantaggi  e  svantaggi  dell'esercizio dell'azione
civile  nel  processo penale piuttosto che nella sede propria civile,
la  disciplina  contenuta  nel  primo  comma dell'art. 10 della legge
46/2006  confisca  di  fatto  il  diritto  di azione gia' esercitato,
vanificandolo senza rimedi e senza alcuna ragionevolezza;
        se infatti puo' riconoscersi ragionevolezza (una volta che si
consideri  costituzionalmente  corretta l'abolizione dell'appello del
pubblico  ministero)  alla  vanificazione  degli  appelli della parte
pubblica  in atto, afferendo essi alla sfera della liberta' personale
e  del  settore  penale, dove l'unico pregiudizio per l'imputato puo'
appunto  venire  dalla  parte  pubblica,  nessuna ragionevolezza pare
davvero  potersi  riconoscersi  alla  paralisi  imposta  alla pretesa
civilistica  del  danneggiato,  che  se  proposta  nella  sede civile
avrebbe   tranquillamente   potuto  essere  coltivata  ulteriormente,
afferendo   la   sfera   e   l'ambito   del  patrimonio  del  preteso
responsabile;
        il  primo  comma dell'art. 10 appare pertanto contrastare con
gli  artt. 3,  111  e  24  Cost.,  nella parte in cui non consente la
pronuncia della sentenza di merito nel secondo grado, per gli appelli
proposti  dalla parte civile ritualmente prima dell'entrata in vigore
della nuova disciplina;
    31c)    Ritenuto    che    ove   la   precedente   questione   di
costituzionalita' venisse giudicata inammissibile o infondata, in via
subordinata   appare  a  questa  Corte  lagunare  non  manifestamente
infondata la terza questione in esame;
        se  infatti  fosse  giudicata  legittima l'applicazione della
nuova  disciplina  anche  agli  appelli  pendenti  della parte civile
avverso   le   sentenze  di  proscioglimento,  devono  rinnovarsi  le
argomentazioni  gia'  efficacemente svolte da altra Sezione ordinaria
di  questa  Corte  di  appello  di Venezia (Corte di appello Venezia,
prima sezione, ord. 15 marzo 2006, Pres. est. Dodero):
          «poiche' la norma transitoria dell'art. 10, secondo e terzo
comma  si  applica  solo  agli  appelli  gia'  proposti  dal  p.m.  e
dall'imputato,  per  quanto  concerne  la  parte  civile deve trovare
applicazione  la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 568 c.p.p.,
con  conversione  in  ricorso  per  Cassazione dell'appello. Una tale
interpretazione,  che  e'  l'unica consentita dalla legge in esame (a
nulla  rilevando quale fosse la volonta' dei parlamentari che l'hanno
approvata),   comporta   una  conseguenza  che  la  stessa  Corte  di
cassazione  -  nelle  decisioni  che  hanno risolto il problema della
competenza   a   giudicare  i  processi  pendenti,  a  seguito  della
precedente  temporanea  modifica dell'art. 593 c.p.p. per le sentenze
di condanna a pena pecuniaria (per tutte, sez 5, ord. 2883 del 17.5 -
12.6.00  in  proc.  Moresco) - ha definito inaccettabile in quanto un
appello  basato  esclusivamente,  cosi'  come del tutto legittimo, su
argomentazioni  di  merito dovrebbe, una volta convertito in ricorso,
dichiararsi  per  cio'  inammissibile;  e  diverrebbe automaticamente
inammissibile  un  appello sottoscritto da un difensore non abilitato
al patrocinio in cassazione.
          Tale  interpretazione  della legge di riforma, ha insegnato
la  suprema  Corte,  espone  la  stessa  a  piu' che fondati dubbi di
legittimita'  costituzionale. E' vero infatti che il doppio grado del
giudizio  di merito non e' un principio costituzionalmente garantito,
ma  e'  anche  vero  che,  se il secondo giudizio di merito era stato
richiesto  nel  momento  in  cui  esso  era  previsto dalla legge, le
conseguenze  della  sua soppressione non possono retroagire senza che
cio'  si  traduca  in  una  sostanziale espropriazione del diritto di
difesa   dell'appellante,   sul  quale  ricadrebbero  le  conseguenze
negative della forzata conversione del mezzo di impugnazione.
          Nel caso di specie il legislatore ha provveduto ad impedire
tale conseguenza soltanto per quanto riguarda il pubblico ministero e
l'imputato, prevedendo in loro favore una sostanziale restituzione in
termini  per  proporre  ricorso  per Cassazione secondo il meccanismo
previsto  dai  commi  2  e  3  dell'art. 10,  mentre nulla e' detto a
proposito della parte civile.
          Ne' sarebbe consentito, per il principio della tassativita'
dei   mezzi   di   impugnazione,   interpretare  estensivamente  tale
disciplina in modo da applicarla anche alla parte civile.
          Cio'  comporta  un'evidente  disparita'  di trattamento tra
p.m. ed imputato da un lato e parte civile dall'altro, disparita' che
non  trova  alcuna ragionevole giustificazione trattandosi in tutti e
tre  i  casi  di  parti  dello  stesso  procedimento.  Disparita' che
costituisce,  percio', palese violazione del principio di eguaglianza
di  cui all'art. 3 Cost. (che impone eguale trattamento di situazioni
eguali)   e   del   principio   della  parita'  delle  parti  sancito
dall'art. 111 Cost.».
    4) Ritenuto  che,  poiche'  la  deliberazione di inammissibilita'
dell'appello   costituisce  certamente  momento  di  esercizio  della
giurisdizione,  deve  prendersi  preliminarmente atto della rilevanza
delle  due  questioni  nel  presente  giudizio:  la  loro  decisione,
infatti,  e'  idonea  e  necessaria  per  individuare  l'ambito della
cognizione  attribuita  a questo giudice, in particolare imponendo la
cessazione  o  la prosecuzione dell'esame dell'appello proposto dalla
parte civile in questo specifico processo;
    5) Ritenuto  che,  essendo stato arrestato l'imputato Laze Alket,
latitante all'epoca della pronuncia della sentenza di primo grado, si
rende   opportuno   procedere   alla   separazione   delle  posizioni
processuali relative ai capi di imputazione diversi dall'omicidio, ed
in particolare afferenti i capi C, D ed E;
    6) Ritenuto   pertanto   che   vanno   adottati  i  provvedimenti
ordinatori di cui al dispositivo;