LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza. F a t t o Con istanza notificata in data 12 novembre 2004 all'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Napoli 1, la Cosida S.p.a. di assicurazioni e riassicurazioni in liquidazione coatta amministrativa chiedeva il rimborso delle ritenute d'acconto da essa subite sugli interessi attivi su depositi finanziari per gli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, per il complessivo importo di Euro 169.918,98, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Cio' sul presupposto che esse non avrebbero dovuto essere effettuate sulla base del combinato disposto degli artt. 26, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973; 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 322/1998; 183 T.U. imposte redditi n. 917/1986; artt. 18 e 31 decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1988, n. 42; 111, comma 1 legge fallimentare in quanto, in presenza di una procedura concorsuale, le stesse costituirebbero un onere a carico della massa fallimentare con danno al ceto creditorio, ritenuto che l'acconto d'imposta non e' previsto tra le spese di massa di cui all'art. 111 legge fallimentare la cui elencazione ha natura tassativa. Contro il silenzio diniego dell'Agenzia delle Entrate la predetta societa' propone ricorso a questa Commissione sollevando le seguenti questioni.: 1) Violazione degli artt. 26, comma 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973; 5 decreto del Presidente della Repubblica 322/1998; 183 TU imposte redditi decreto del Presidente della Repubblica 917/1986: 18 e 31 decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 88, n. 42; 111, comma 1 Legge fallimentare. Ai sensi dell'art. 26, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, le ritenute operate nei confronti dei soggetti all'IRPEG sono da considerarsi a titolo di acconto di tale imposta. L'art. 125 (ora 183) del Testo Unico imposte sul reddito stabilisce per le procedure concorsuali la rilevazione dell'eventuale reddito d'impresa soltanto dopo la chiusura del procedimento e a condizione che risulti una differenza tra il patrimonio netto della societa' sottoposta a liquidazione coatta all' inizio del procedimento e il residuo attivo derivante dalle operazioni di liquidazione. Da cio' deriva che l'eventuale IRPEG (poi IRES) potra' essere calcolata soltanto dopo la chiusura della procedura e costituira' direttamente un debito del soggetto sottoposto a tale procedura, ritornato in honis, come si desume dal combinato disposto degli artt. 18, commi 3 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 42/1988 e 5, comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322/1998, in base ai quali la dichiarazione dei redditi va presentata dal curatore o commissario liquidatore soltanto dopo la chiusura del procedimento e l'imposta va versata direttamente da detto organo sulla base delle relative risultanze. In questo contesto il secondo e quarto comma dell'art. 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 non possono essere interpretati in modo del tutto avulso dalle disposizioni particolari che disciplinano la materia delle procedure concorsuali, sia sotto il profilo tributario che civilistico, ma vanno adeguati alla finalita' di non gravare la massa fallimentare di un onere futuro che, per scelta normativa, non e' stato stabilito a carico della stessa e che risultera' dovuto soltanto dopo la chiusura del procedimento se e nella misura in cui risultera' una differenza positiva tra situazione patrimoniale iniziale e residuo attivo. Se cosi' non fosse, le ritenute alla fonte finirebbero per costituire, del tutto inspiegabilmente, un onere di gestione da pagare in prededuzione, pur non avendone la natura, in violazione dell'art. 111 legge fallimentare. 2) Illegittimita' costituzionale della norma. Nell' ipotesi in cui si ritenesse che la formulazione letterale dell'art. 26, commi 2 e 4, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, che non prevede alcuna espressa deroga in caso di procedure concorsuali, rispetto all'obbligo di effettuare il prelievo alla fonte, non sia superabile in via interpretativa, risulterebbe evidente illegittimita' costituzionale della norma stessa, nella parte in cui essa non prevede una distinta e derogatoria disciplina con riferimento alla tassazione dei redditi emergenti dalle procedure concorsuali. Essa contrasterebbe, infatti, con il disposto dell'art. 3 Cost., nella parte in cui contiene un indiscriminato trattamento paritario di situazioni palesemente diseguali. Infatti,mentre il soggetto non sottoposto a procedura concorsuale potrebbe beneficiare annualmente della compensazione delle ritenute col debito fiscale,il soggetto fallito o in liquidazione coatta, non sussistendo l'obbligo della dichiarazione periodiche, si vedrebbe privato del diritto della compensazione delle ritenute subite che andrebbero solo a beneficio del soggetto tornato in bonis con conseguente danno per il ceto creditorio. Contrasterebbe inoltre con l'art. 53 Cost. in quanto sarebbe gia' certo, sin dall'inizio, che il provvisorio prelievo alla fonte non potra' mai essere, neppure indirettamente, collegato ad una manifestazione di capacita' contributiva in capo al ceto creditorio nei cui confronti e' effettuato, attesi la dissociazione tra detta massa passiva ed il patrimonio del soggetto fallito tornato in bonis. Il prelievo dell'eventuale imposta e' dovuto soltanto successivamente alla chiusura delle operazioni di liquidazione, se ed in quanto risulti una differenza positiva in base ai criteri stabiliti dalla legge. Infine la citata disposizione contrasterebbe con l'art. 24 Cost., non concedendo essa alcuna forma di tutela preventiva al commissario liquidatore per evitare di subire un onere che sicuramente non ricadra' mai a carico della procedura concorsuale. Con memoria di costituzione del 22 luglio 2005 l'Agenzia delle Entrate,Ufficio di Napoli 1, eccepisce che quanto dedotto dal contribuente nel ricorso non trova fondamento in nessun riferimento legislativo ne' giurisprudenziale. Infatti l'art. 26 comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 non prevede alcuna deroga all'obbligo di effettuare le ritenute in caso di assoggettamento del sostituito a liquidazione coatta, amministrativa o a fallimento. I n d i r i t t o La questione sollevata dal ricorrente si ritiene vada sottoposta al vaglio del giudice delle leggi perche' si pronunci sulla legittimita' costituzionale dell'art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 nella parte in cui non prevede l'esonero dall'obbligo delle ritenute fiscali sugli interessi maturati nelle procedure concorsuali. Vero e' che la ritenuta alla fonte deve essere operata a prescindere dal fatto che al momento della sua effettuazione ci sia la certezza che il sostituito possa poi conseguire un utile. Ma e' altrettanto vero che tale principio non assume rilevanza nel momento in cui gia' all'atto del prelievo provvisorio si ha la certezza che il soggetto che ha subito la ritenuta non sara' mai nel possesso del reddito colpito in quanto per legge non ne e' titolare. Nella fattispecie non puo' affermarsi che la verifica della debenza dell'imposta possa esser effettuata prima che il commissario liquidatore presenti la dichiarazione finale dei redditi, in quanto quest ultima, a norma del combinato disposto degli artt. 18, comma 3 e 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 42/1988 e 5, comma 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 322/1998, va effettuata in data successiva alla chiusura della procedura, in epoca cioe' successiva alla gia' effettuata distribuzione finale dell'attivo tra i creditori, i quali potrebbero, percio', risultare danneggiati dal mancato soddisfacimento dei propri in dipendenza del fatto che la procedura e' stata impropriamente gravata da un onere tributario che non e' di competenza della massa dei creditori ma del solo soggetto posto in liquidazione coatta ritornato in bonis. Ne' puo' sostenersi che l'eventuale successivo accertamento di un reddito negativo possa generare un diritto al rimborso, in quanto la restituzione della ritenuta potrebbe materialmente avverarsi soltanto in epoca successiva alla chiusura del fallimento, sicche' tale sopravvenuta ragione di credito nei confronti dell'Amministrazione finanziaria non potrebbe giovare ad alcun soggetto, se non al fallito, in contrasto con l'intento del legislatore di sollevare la massa creditoria da qualsiasi onere tributario ai fini dell'imposta personale sul reddito, come risulta dalla differenza del regime previsto dai commi 3 e 5 dell'artt. 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 42/1988 tra IRPEG (poi IRES) ed ILOR (ora ICI: cfr. art. 10, comma 6. decreto del Presidente della Repubblica n. 504/1992). D'altro canto non e' previsto nella normativa fallimentare, dopo la chiusura della procedura, all'atto del rimborso delle ritenute, verificati i presupposti di legge, la riapertura della stessa per procedere ad ulteriore ripartizione di attivo tra i creditori rimasti incapienti. Di qui l'evidenziarsi di un'intrinseca contraddittorieta' tra la genericita' della previsione di cui al quarto comma dell'art. 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 e la presenza, nell'ambito dell'ordinamento delle imposte dirette, di una disciplina speciale prevista dagli art. 125 (poi 183) TUIR per il caso di liquidazione coatta dell' impresa nonche' la conseguente palese irragionevolezza della disposizione contenuta nel medesimo art. 26, con conseguente sospetto d'incostituzionalita', oltre che sotto il profilo dell'art. 3 Cost. anche sotto quello degli artt. 54 e 36 invocati dalla ricorrente Societa'. Non e' dunque dubbia, innanzitutto, la rilevanza - nel giudizio in oggetto - della questione di legittimita' costituzionale relativa al combinato disposto delle norme innanzi richiamate, ove si tenga presente che l'eventuale dichiarazione di illegittimita' dell'art. 26 condurrebbe all'annullamento del rifiuto di rimborso invocato dalla ricorrente societa', che trova il proprio fondamento e giustificazione proprio nella normativa di cui si avanzano dubbi d'incostituzionalita'. Diversamente troverebbe ragione la tesi dell'Amministrazione finanziaria laddove non lascia alcuno spazio per una diversa interpretazione della medesima norma ad essa favorevole. Da tutto quanto osservato puo', dunque, concludersi che va devoluta alla Corte costituzionale la questione relativa alla legittimita' costituzionale dell'art. 26, commi 2 e 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 nella parte in cui la norma stessa non prevede uno specifico regime di esonero dalla ritenuta per le procedure concorsuali. Per l'effetto, il presente giudizio resta sospeso fino al sopraggiungere della pronuncia della Corte. La Commissione,