LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Visti  gli  atti  del procedimento penale iscritto al n. 403/06 a
carico  di  Totaro  Mario,  definito  in primo grado con sentenza del
Tribunale di Lecce 13 ottobre 2005;
    Rilevato  che,  contro  la  predetta  sentenza  -  con  la  quale
l'imputato  e'  stato  assolto  dall'imputazione  di  tentata  truffa
perche'  il  fatto  non  costituisce reato, ha proposto appello, agli
effetti civili, la persona offesa costituita parte civile;
    Rilevato  che  nelle  more  del  giudizio  di  appello,  e' stata
promulgata  ed e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46,
per  effetto  della quale risultano modificati l'art. 593 c.p.p. (che
nel  testo  ora  vigente  stabilisce  che  «l'imputato  e il pubblico
ministero  possono  appellare  contro  le sentenze di proscioglimento
nelle  ipotesi  di  cui  all'art. 603  comma  2, se la nuova prova e'
decisiva»)  e l'art. 576 c.p.p. (che nel testo ora vigente stabilisce
che  «la  parte civile puo' proporre impugnazione contro i capi della
sentenza  di  condanna  che  riguardano  l'azione  civile  e, ai soli
effetti   della   responsabilita'   civile,  contro  la  sentenza  di
proscioglimento pronunciata nel giudizio»);
    Ritenuto  che,  per effetto delle disposizioni citate applicabili
retroattivamente,   per   espressa  previsioni  di  legge,  anche  ai
procedimenti in corso, l'appello proposto dalla parte civile dovrebbe
essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p.;
    Ritenuto  tuttavia,  prima di dichiarare l'inammissibilita' della
proposta  impugnazione,  di  dover  sottoporre  al vaglio del giudice
delle  leggi i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati da piu'
parti  gia'  durante  l'iter  di  approvazione  della legge e che non
appaiono a questa corte manifestamente infondati;
    Considerato che:
        la  possibilita' per la parte civile di impugnare con appello
le  sentenze  di  proscioglimento,  sia  pure ai soli effetti civili,
derivava,   prima   della  modifica  al  sistema  delle  impugnazioni
introdotta  dalla  legge  in esame, dal collegamento tra l'art. 576 e
l'art. 593    c.p.p.,   prevedendo   quest'ultima   disposizione   la
possibilita'  per  il  pubblico ministero di appellare le sentenze di
proscioglimento   e  consentendo  l'art. 576  alla  parte  civile  di
impugnare  le  sentenze sia di condanna che di proscioglimento con il
mezzo previsto per il pubblico ministero;
        durante  l'iter  parlamentare  di approvazione della legge in
esame,  da  una  parte  della  dottrina  e  molto  autorevolmente nel
messaggio  del  Presidente  della Repubblica con cui il Parlamento fu
richiesto  di  un  nuovo  esame,  venne segnalata questa sconcertante
anomalia  derivante  da  una  ridotta tutela della persona offesa nel
processo penale;
        le   Camere  ritennero  di  ovviare  a  questa  inaccettabile
situazione (non si dimentichi che la possibilita' per la parte civile
di  impugnare  la  sentenza  di  primo  grado sia pur ai soli effetti
civili  era  stata  introdotta  in  tempi  lontani  in seguito ad una
pronuncia  della  Corte costituzionale, la n. 1 del 1970) sganciando,
attraverso  l'eliminazione  nell'art. 576  delle parole «con il mezzo
previsto  per  il  pubblico  ministero»,  l'impugnazione  della parte
civile  da  quella  del  pubblico  ministero:  nelle  intenzioni  del
legislatore   -  e  tanto  chiaramente  risulta  dall'intervento  del
deputato  della  maggioranza  Bertolini - l'eliminazione delle parole
anzidette  dal testo dell'art. 576 sarebbe valsa a mantenere ferma la
possibilita'  per  la  parte  civile  di  appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  e quindi ad adeguatamente tutelare le aspettative di
quest'ultima   assicurandole   una  possibilita'  di  difesa  in  una
prospettiva   rispettosa   del   dettato   costituzionale  anche  con
riferimento all'art. 24;
        e  tuttavia contro le intenzioni del legislatore il risultato
e' che manca oggi nel codice una disposizione che consenta alla parte
civile  di  propone  appello  contro le sentenze di proscioglimento e
d'altra  parte,  tenuto  conto del principio della tassativita' delle
impugnazioni  stabilito  all'art. 568 comma 1 c.p.p., la possibilita'
di   propone  appello  non  puo'  ovviamente  desumersi  dalle  buone
intenzioni  di  un  legislatore,  a dir poco, frettoloso; inevitabile
conseguenza  e'  che,  dopo l'entrata in vigore della legge in esame,
l'unico  rimedio offerto alla parte civile a tutela delle sue ragioni
e'  costituito dal ricorso per cassazione che per vero non e' neppure
espressamente  previsto  dal  codice  ma  che  discende  dal  dettato
costituzionale (art. 111 comma 7 Cost.) e per questa ragione dovrebbe
ritenersi  limitato alla sola ipotesi di violazione di legge e quindi
con  un  ambito molto piu' ridotto rispetto al ricorso per cassazione
consentito  alle  altre parti (e tanto evidenzia un ulteriore aspetto
di  incostituzionalita' della legge in esame che pero' in questa sede
non rileva);
        appare  evidente  a  questo punto che l'art. 576 in relazione
all'art. 593   c.p.p.,  come  risultano  a  seguito  delle  modifiche
introdotte  dagli  articoli  1 e 6 della legge n. 46/2006, si pone in
netto  contrasto  col  disposto  dell'art. 111  comma  2 costituzione
secondo cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti,
in  condizioni  di  parita'  davanti  a  giudice terzo e imparziale»:
sembrerebbe   infatti  che  la  condizione  di  parita'  delle  parti
garantita  nel  processo  dal  dettato  costituzionale sia seriamente
compromessa  dal  fatto  che  all'una  -  l'imputato - e' giustamente
garantita  la  possibilita'  di  un nuovo giudizio di merito, mentre,
nell'ipotesi   speculare   di   assoluzione   dell'imputato,  analoga
possibilita'  non  e'  data  -  con violazione anche del principio di
uguaglianza  stabilito dall'art. 3 Costituzione - alla persona offesa
dal  reato  che  si  e' costituita parte civile, e con ingiustificato
sacrificio  anche  del  diritto  della  parte civile di far valere in
giudizio le proprie ragioni garantito dall'art. 24 Costituzione;
        ai fini del giudizio di rilevanza delle relative questioni di
legittimita'  costituzionale, si pone il problema di verificare se le
nuove  norme  abbiano  efficacia  retroattiva  -  come  pacificamente
avviene  per  l'appello  dell'imputato  e  del  pubblico  ministero -
poiche',  qualora  cio'  dovesse  escludersi, l'appello gia' proposto
dalla   parte   civile  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
conserverebbe   pieno   effetto   (e   le   connesse   questioni   di
costituzionalita'  delle  nuove  norme non sarebbero quindi rilevanti
nel  presente  processo)  nonostante  la  sopravvenuta  modifica  del
sistema  delle  impugnazioni:  a  tale  conclusione  infatti dovrebbe
necessariamente  pervenirsi  costituendo  - da un lato - la norma che
prevede  un  mezzo  di  gravame  norma  di  carattere  processuale  e
dovendosi  dall'altro  fare  applicazione  della  regola  secondo cui
tempus regit actum;
        in  proposito  l'art. 10  della  legge in esame stabilisce al
primo comma la regola di portata generale secondo cui la stessa legge
«si  applica  ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
della medesima» e tuttavia poiche' al secondo comma si fa riferimento
soltanto all'appello proposto dall'imputato e dal pubblico ministero,
una  interpretazione  coordinata  dei  due  commi  in esame  potrebbe
portare  alla  conclusione  che  per  l'appello della parte civile e'
escluso  l'effetto retroattivo delle nuove disposizioni; questa corte
tuttavia  non  ritiene  di  poter  aderire  a  questa interpretazione
riduttiva  atteso che la regola contenuta nel primo comma, in armonia
anche  con  l'intitolazione  della  legge  -  che  non  riguarda solo
l'appello  del  pubblico  ministero  e dell'imputato - ha, come si e'
detto,  in base alla sua formulazione letterale, una portata generale
che  esclude  tale  possibilita';  vero e' poi che cosi' interpretato
l'art. 10    della    legge    pone    un   ulteriore   problema   di
incostituzionalita'  stante  che,  mentre  al  pubblico  ministero  e
all'imputato    e'    fatta   salva,   dopo   la   dichiarazione   di
inammissibilita'   dell'appello  gia'  proposto,  di  proporre  entro
quarantacinque  giorni  ricorso  per Cassazione, analoga possibilita'
non  e'  riconosciuta  alla parte civile la quale, una volta proposto
appello,   risultato  quest'ultimo  inammissibile,  avrebbe  comunque
consu-mato  il  potere  di  impugnare la sentenza a lei sfavorevole e
tuttavia  una interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso
di  salvaguardare  nel limite del possibile, le ragioni della persona
offesa, non e' possibile, a giudizio della corte, a fronte del chiaro
significato   letterale   della  regola  contenuta  nel  primo  comma
dell'art. 10;
        dal  comma  secondo  dell'art. 10  in  esame,  che come si e'
detto,   riguarda   solo   l'appello   del   pubblico   ministero   e
dell'imputato, non potrebbe poi farsi discendere la conseguenza, come
pure  in  dottrina si e' prospettato, che la legge ha voluto comunque
mantenere   l'appello  della  parte  civile  contro  le  sentenze  di
proscioglimento:  che questa fosse l'intenzione del legislatore lo si
e'  gia'  rilevato, e tuttavia sarebbe azzardato e contro ogni regola
interpretativa  farsi  discendere da una imprecisa formulazione della
legge  una  conseguenza  che  si  porrebbe in contrasto con la regola
pacifica della tassativita' delle impugnazioni;
        men  che mai la possibilita' per la parte civile di impugnare
con  appello  le  sentenze  di proscioglimento puo' farsi discendere,
come pure si e' prospettato in dottrina, dall'art. 600 comma 1 c.p.p.
che   prevede   tale  rimedio  quando  il  giudice  abbia  omesso  di
pronunciare  sulla richiesta di provvisionale o l'abbia rigettato: e'
evidente  infatti che questa disposizione trova applicazione solo nei
casi di condanna e d'altra parte in questo caso l'appello avrebbe una
portata piu' limitata (alle statuizioni cioe' della sentenza di primo
grado  relative  alla  richiesta  di provvisionale) mentre, mutato il
quadro  normativo  generale,  non  potrebbe piu' riguardare il merito
della vicenda;
        per  concludere:  l'attuale  sistema  delle  impugnazioni non
prevede  piu'  l'appello  della  parte  civile;  le  nuove  norme  si
applicano   retroattivamente;  ovvia  conseguenza  e'  che  l'appello
proposto  dalla parte civile prima dell'entrata in vigore della legge
(indipendentemente  dalla previsione in un'apposita norma della nuova
legge,  che  come  si  e'  visto riguarda solo l'appello del pubblico
ministero  e dell'imputato) va dichiarato inammissibile eppero' prima
di  provvedere  in  tal  senso va sollevata questione di legittimita'
costituzionale nei termini precisati in dispositivo;