ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 23 luglio 2003, relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Jannuzzi nei confronti della dottoressa Anna Maria Leone, promosso con ricorso del Tribunale di Milano, sezione I civile, notificato il 25 novembre 2004, depositato in cancelleria il 14 dicembre 2004 ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 2004; Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; Udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il giudice relatore Franco Bile; Udito l'avvocato Giovanni Pitruzzella per il Senato della Repubblica. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio civile, promosso dalla dottoressa Anna Maria Leone, magistrato con funzioni di sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo, contro il senatore Raffaele Jannuzzi, il Tribunale di Milano, sezione I civile, in composizione monocratica, con ordinanza emessa il 13 novembre 2003 (e pervenuta alla Corte il 18 novembre 2003), ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avverso la delibera adottata il 23 luglio 2003 (doc. IV-quater, n. 13), con la quale il Senato della Repubblica ha dichiarato che i fatti oggetto di quel processo civile concernono opinioni espresse dal convenuto, quale membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Il giudizio concerne la richiesta di risarcimento dei danni, asseritamente subiti dall'attrice in conseguenza di un articolo, a firma del convenuto, pubblicato sul settimanale Panorama il 22 ottobre 2002, con il titolo «Pressione bassa ed udienze infinite» - riguardante il processo d'appello nei confronti del senatore Giulio Andreotti, all'epoca in corso a Palermo, in cui la medesima attrice sosteneva il ruolo di pubblico ministero d'udienza insieme ad altro magistrato - nel cui contesto, in particolare, si riferiva di un'abnorme dilatazione dei tempi processuali conseguente a mere esigenze personali della stessa e ad un errore in cui sarebbe incorsa nel richiamare l'appartenenza politica di un soggetto tra i molti implicati nel processo. Trascritto il contenuto dell'articolo in contestazione, il ricorrente lamenta l'illegittimo esercizio del potere valutativo del Senato, a motivo dell'inesistenza nella condotta del parlamentare del necessario nesso fra le opinioni da lui espresse e l'esercizio delle sue funzioni, che non puo' essere ravvisato nel semplice collegamento di argomento e di contesto tra attivita' parlamentare e dichiarazione. Al contrario, il Tribunale ritiene che le affermazioni contenute nell'articolo in esame, pubblicato su di un settimanale in una rubrica di commenti, devono ritenersi prive di alcun nesso funzionale con atti rientranti nel mandato parlamentare, non risultando dagli atti di causa - ed in particolare dagli atti parlamentari relativi alla discussione ed alla deliberazione del Senato, nonche' dalle difese della parte convenuta - che il loro contenuto corrisponda a dichiarazioni del senatore Jannuzzi espresse in sede parlamentare, ovvero costituisca divulgazione di opinioni espresse dal medesimo nell'ambito di atti parlamentari tipici. Affermata dunque l'ammissibilita' del conflitto sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, il Tribunale di Milano, sospeso il giudizio, ha concluso chiedendo che la Corte costituzionale: a) «dichiari che non spettava al Senato della Repubblica il potere di qualificare come insindacabili le dichiarazioni contestate al senatore Raffaele (Lino) Jannuzzi, in quanto esercitato al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 68 primo comma Cost.»; b) «annulli la relativa deliberazione del Senato della Repubblica adottata in data 23 luglio 2003». 2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 337 del 10 novembre 2004. A cura del Tribunale di Milano, la predetta ordinanza e' stata notificata al Senato della Repubblica, unitamente all'atto introduttivo, in data 25 novembre, e, ai fini del prescritto deposito, gli atti sono stati inviati a mezzo del servizio postale e sono pervenuti nella cancelleria della Corte il successivo 14 dicembre. 3. - Con memoria depositata in pari data, si e' costituito il Senato della Repubblica, concludendo per la declaratoria di infondatezza del conflitto. Richiamata l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale sulla ricorrenza del nesso funzionale in tema di opinioni rese dal parlamentare extra moenia e sottolineato come la Corte abbia storicamente evitato di darne una definizione stringente, preferendo verificarne la ricorrenza caso per caso, la difesa del Senato afferma che l'attivita' di parlamentare e giornalista svolta dall'autore, dalla quale ha avuto origine l'articolo in esame, deve essere considerata come parte della sua piu' ampia attivita' (rectius, funzione) politica ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale; con la conseguenza dunque che non sembra piu' opinabile ormai che il mandato elettorale si esplichi in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione anche quando cio' avvenga al di fuori del luoghi deputati all'attivita' legislativa in senso stretto, estrinsecandosi invece nei mezzi di informazione, negli organi di stampa ed in televisione. Pertanto, in ragione di cio', la difesa del Senato (reiterate le proprie argomentazioni in una memoria illustrativa di udienza) auspica l'intervento di «un ulteriore - ed anche stavolta non dogmatico, bensi' attuale - aggiornamento giurisprudenziale del concetto di nesso funzionale [che] risponderebbe meglio alle gia' richiamate esigenze di bilanciamento fra i valori costituzionali implicati e confliggenti nell'ambito del giudizio sul conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, con particolare riguardo alla garanzia di cui all'art. 68, comma 1, della Costituzione». Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Milano ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avverso la delibera adottata il 23 luglio 2003 (doc. IV-quater, n. 13), con la quale il Senato della Repubblica ha dichiarato che i fatti oggetto del processo civile promosso dalla dottoressa Anna Maria Leone contro il senatore Raffaele Jannuzzi concernono opinioni espresse da quest'ultimo nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nel giudizio pendente davanti al ricorrente, l'attrice ha chiesto il risarcimento dei danni, asseritamente subiti in conseguenza di un articolo, a firma del convenuto, pubblicato sul settimanale Panorama il 22 ottobre 2002, con il titolo «Pressione bassa ed udienze infinite» - riguardante il processo d'appello nei confronti di Giulio Andreotti, all'epoca in corso a Palermo, in cui la medesima attrice sosteneva il ruolo di pubblico ministero d'udienza insieme ad altro magistrato - nel cui contesto si faceva riferimento ad un'abnorme dilatazione dei tempi processuali conseguente a mere esigenze personali e di salute della stessa e ad un errore in cui sarebbe incorsa nel richiamare l'appartenenza politica di un soggetto tra i molti implicati nel processo. Il Tribunale deduce, in sintesi, l'insussistenza dei presupposti della affermata insindacabilita', in assenza di un nesso funzionale tra queste dichiarazioni rese extra moenia ed alcun atto parlamentare tipico avente ad oggetto i fatti su cui verte il giudizio. 2. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' del conflitto sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come gia' ritenuto da questa Corte nell'ordinanza n. 337 del 2004. Costituisce, poi, principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale quello secondo cui, riguardo ai conflitti proposti da una autorita' giudiziaria, non ha rilievo il fatto che l'atto introduttivo abbia, anziche' la forma del ricorso, quella dell'ordinanza, qualora, come nella specie, possieda tutti i requisiti di sostanza necessari per un valido ricorso (da ultimo, sentenze n. 335 e n. 314 del 2006). 3. - Nel merito, il ricorso e' fondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per l'esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese da un parlamentare al di fuori della sede istituzionale e l'espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento, e' necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell'esercizio di attivita' parlamentari (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000), ed il compito di questa Corte e' limitato alla verifica dell'esistenza di tale nesso (sentenze n. 335, n. 329 e n. 317 del 2006). Nel caso in esame, ne' la delibera di insindacabilita' ne' la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' del Senato contengono alcun riferimento ad atti tipici compiuti dal parlamentare sul tema oggetto del pubblicato articolo. La relazione della Giunta (cui fa rinvio la delibera di insindacabilita) - sottolineato «ancora una volta che, data l'evoluzione che la figura del politico-parlamentare ha subito e continua a subire, non sembra nello spirito del principio costituzionale restringere le prerogative di insindacabilita' esclusivamente alle discussioni che si tengono all'interno delle Aule e che siano intimamente connesse alla funzione stessa» - ritiene che «il mandato elettorale [...] si esplica in tutte quelle occasioni nelle quali il parlamentare raggiunge il cittadino ed illustra la propria posizione anche, e forse tanto piu', quando questo avvenga al di fuori dei luoghi deputati all'attivita' legislativa in senso stretto e si esplichi invece nei mezzi di informazione, negli organi di stampa e in televisione». E conclude nel senso che, anche nella specie, sia ravvisabile l'insindacabilita' trattandosi «di opinioni espresse nel quadro di quelle attivita' che, nel loro complesso, possono ritenersi facenti parte dell'attivita' parlamentare, dal momento che si tratta dell'estrinsecazione, in un organo di stampa, della posizione di un senatore in relazione a rilevanti fatti pubblici». Ma - secondo la giurisprudenza di questa Corte - il mero riferimento all'attivita' parlamentare o comunque all'inerenza a temi di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento), entro cui le dichiarazioni si possano collocare, non vale in se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione di specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall'insindacabilita', a garanzia delle prerogative delle Camere e non di un «privilegio personale [...] conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare»: sentenza n. 120 del 2004), ma un'ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione (sentenze n. 329 e n. 317 del 2006 e n. 51 del 2002). In tale prospettiva, va anche disatteso l'assunto del Senato, secondo cui «l'attivita' di parlamentare e giornalista, dalla quale ha avuto origine l'articolo de quo, [puo] essere considerata ormai come parte della piu' ampia attivita' (rectius, funzione) di politico ed espressione - per quanto atipica - del relativo ruolo istituzionale»: questa Corte ha, infatti, gia' ritenuto in se' irrilevante (al fine d'affermare la sussistenza dei presupposti dell'insindacabilita) la qualifica rivestita dal membro del Parlamento rispetto all'esercizio di diritti o di doveri che, in quanto spettanti a tutti i cittadini, non richiedono l'intermediazione della rappresentanza parlamentare (cfr., sentenze n. 329 e n. 286 del 2006). Le dichiarazioni contenute nell'articolo di stampa a firma del parlamentare non rientrano, pertanto, nell'esercizio della sua specifica funzione e non sono garantite dall'insindacabilita'. Conseguentemente, l'impugnata delibera del Senato della Repubblica ha violato l'art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo con cio' le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente, e deve essere annullata.