ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 172 del codice
della  strada  (decreto  legislativo  30 aprile  1992,  n. 285), come
modificato  dal  decreto-legge  27  giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed
integrazioni  al codice della strada), convertito, con modificazioni,
in   legge   1 agosto   2003,   n. 214  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge  27  giugno 2003,  n. 151, recante
modifiche  ed  integrazioni  al  codice  della  strada), promosso con
ordinanza  del  14 luglio  2005  dal giudice di pace di Manduria, nel
procedimento  civile  vertente  tra De Valerio Lucia e il Prefetto di
Taranto,  iscritta al n. 594 del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 1, 1ª serie speciale,
dell'anno 2006;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 27 settembre 2006 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Ritenuto  che  -  nel corso del giudizio di opposizione a verbale
della  Compagnia  Carabinieri  di  Manduria  del  10 giugno 2004, per
violazione  dell'art. 172  del  codice  della strada, per mancato uso
della  cintura  di  sicurezza,  promosso  da De Valerio Lucia, in cui
l'opponente  lamentava  l'errore  nella  indicazione  della targa del
veicolo  -  il  giudice di pace di Manduria ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 172  del  decreto legislativo
30 aprile  1992,  n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato
dal  decreto-legge  27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni
al  codice  della strada), convertito in legge 1 agosto 2003, n. 214,
nella  parte  in  cui  prevede  sanzioni in caso di mancato uso della
cintura  di sicurezza, in particolare con la perdita di cinque punti,
e  l'ulteriore sanzione della sospensione della patente per giorni 15
in caso di reiterazione, per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 32,
secondo   comma,  della  Costituzione,  e,  inoltre,  per  violazione
dell'articolo 8  della  Convenzione  per  la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  ratificata  dalla legge
4 agosto  1955,  n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per
la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
firmata  a  Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla
Convenzione   stessa,   firmato   a   Parigi   il  20 marzo  1952)  e
dell'art. 29,  secondo  comma,  della  Dichiarazione  universale  dei
diritti  dell'uomo  adottata  dall'Assemblea  generale  delle Nazioni
Unite il 10 dicembre 1948;
        che  la prescrizione di cui si tratta contrasterebbe, secondo
il giudice a quo, con l'art. 2 della Costituzione, giacche' i diritti
inviolabili  dell'uomo  e  lo  sviluppo  della  sua  personalita'  ne
risulterebbero  «tarpati  e gravemente compressi», in assenza di dati
di prevenzione specifica;
        che   il  «soffocante»  obbligo  di  far  uso  delle  cinture
contrasterebbe  altresi'  con  l'art. 3 della Costituzione, in quanto
previsto  solo  per  alcuni  soggetti,  essendone  esentate  numerose
categorie  di  cittadini,  cosi'  dimostrandosi che esse risultano di
danno e di impaccio;
        che   l'obbligo   dell'uso  della  cintura  violerebbe,  poi,
l'art. 13  della  Costituzione,  perche'  non costituirebbe misura di
prevenzione   atta  ad  evitare  danni  a  terzi,  ma  paternalistica
previsione dell'ordinamento nei confronti del singolo, considerato in
posizione  di  minorita' etica e psicologica, retaggio di ordinamenti
assolutistici  e  illiberali,  in  stridente contrasto con i principi
dello Stato democratico;
        che  l'obbligo  dell'uso  della  cintura  recherebbe, ancora,
vulnus  all'art. 32, secondo comma, della Costituzione, che impone il
rispetto della persona umana e la dignita' delle sue scelte;
        che  le  sanzioni  per il mancato uso delle cinture sarebbero
irragionevolmente  repressive,  piu'  gravi di quelle previste per il
sorpasso in curva, il passaggio con il semaforo rosso, la retromarcia
in  autostrada,  l'inversione  di  marcia  in  curva, la circolazione
contromano, il mancato fermo dopo aver provocato un incidente;
        che  sarebbe,  infine,  ravvisabile  anche  il  contrasto con
l'art. 8  della  predetta  Convenzione europea dei diritti dell'uomo,
giacche'  l'obbligo  della cintura non rispetterebbe la vita privata,
anche  per  via  degli  invasivi controlli all'interno dell'abitacolo
della  vettura,  a  cura  degli  organismi deputati al rispetto della
norma,  nonche'  il  contrasto  con  l'art. 29,  secondo comma, della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei   ministri,  chiedendo  la  declaratoria  di  inammissibilita'  e
comunque  di  infondatezza della questione, non apparendo l'ordinanza
di  rimessione  congruamente  motivata, tenuto conto che l'obbligo di
indossare  la  cintura risponde alla scelta legislativa discrezionale
di  salvaguardare  la  persona  del  guidatore e del passeggero dalle
conseguenze  traumatiche  di incidenti stradali, e che la graduazione
delle sanzioni non e' sindacabile.
    Considerato  che  il  giudice  di  pace  di Manduria dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 172  del  decreto legislativo
30 aprile  1992,  n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato
dal  decreto-legge  27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni
al  codice  della strada), convertito, con modificazioni, nella legge
1° agosto  2003,  n. 214, laddove prevede sanzioni in caso di mancato
uso  della  cintura  di  sicurezza,  in particolare con la perdita di
cinque  punti, e l'ulteriore sanzione della sospensione della patente
per  15  giorni  in caso di reiterazione, per violazione: dell'art. 2
della  Costituzione,  a  causa  della  grave compressione dei diritti
inviolabili  dell'uomo  e  dello  sviluppo  della  sua  personalita';
dell'art. 3  della  Costituzione,  per  la  previsione  di  esenzione
dall'obbligo per alcune categorie di cittadini, nonche' del principio
di  ragionevolezza, essendo il trattamento sanzionatorio abnormemente
piu'   grave   rispetto   ad  altre  ipotesi  di  maggiore  gravita';
dell'art. 13  della  Costituzione,  per  la violazione della liberta'
personale;  dell'art. 32,  secondo  comma,  della  Costituzione,  per
contrasto  con  il  rispetto  dovuto  alla persona umana; dell'art. 8
della  Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848
(Ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta' fondamentali firmata a Roma il
4 novembre  1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa
e  firmato  a Parigi il 20 marzo 1952) e dell'art. 29, secondo comma,
della   Dichiarazione   universale  dei  diritti  dell'uomo  adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
        che  non costituisce ragione per un'eventuale restituzione al
giudice  a  quo  la  modifica  legislativa  della  norma, per effetto
dell'art. 1  del  decreto  legislativo  13 marzo  2006,  n. 150, che,
recependo   una   direttiva  europea  per  una  migliore  tutela  dei
passeggeri  minori,  riformula  la  disposizione, tuttavia mantenendo
tutti  i  presupposti  in  relazione  ai  quali il giudice di pace di
Manduria  formula  le  sue  censure  per  il  contrasto  della  norma
denunciata con i parametri costituzionali;
        che  il giudice rimettente omette qualsiasi motivazione sulla
rilevanza della questione, in particolare con riguardo ad aspetti del
giudizio  di  merito  -  di  cui  il  rimettente  riferisce  solo che
l'opponente  contesta  l'errore  dei  verbalizzanti  nel riportare la
targa  del  veicolo  -  che,  attenendo alla ricostruzione del fatto,
potrebbero  rendere superflua ogni considerazione sull'applicabilita'
della norma;
        che,   per   costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  con ordinanza
priva di motivazione sulla rilevanza o che contenga una insufficiente
descrizione  della  fattispecie  concreta, tale da non consentire una
adeguata  valutazione  della  stessa, e' manifestamente inammissibile
(v.,  ex plurimis, ordinanze n. 482, n. 453, n. 423, n. 139 del 2005;
n. 393, n. 391 del 2004);
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.