IL TRIBUNALE DI BOLZANO

    Ha   emesso,   nel   procedimento   di  volontaria  giurisdizione
n. 2918/04  R.C.C.,  promosso da M. P. e R. P. nella loro qualita' di
genitori  della figlia minore C. P., entrambi giusta delega a margine
del  ricorso introduttivo rappresentati e difesi dagli avv. dott. Ivo
Tschurtschenthaler  e dott. Alexia Aichner di Brunico, nel cui studio
in Brunico hanno eletto domicilio, ricorrenti, la seguente ordinanza.
    Premesso  che  con  ricorso  ai sensi dell'art. 95 del d.P.R. del
3 novembre  2000,  n. 396  M.  P.  e  R.  P.,  nella loro qualita' di
genitori  della  comune  figlia  C.  P.  (nata  il  13 novembre 2002)
chiedevano,  che  questo  Tribunale  disponesse  il  cambiamento  del
cognome  della  figlia da «P..........» in «P..........» ed ordinasse
la corrispondente rettifica dell'atto di nascita.
    I   ricorrenti  riferivano  di  non  essere  coniugati,  di  aver
riconosciuto contestualmente la figlia esprimendo, nell'occasione, il
desiderio   che  questa  portasse  il  cognome  della  madre,  ossia,
«P..........».  Nonostante  cio'  l'Ufficiale  dello Stato Civile del
comune  di  Brunico  aveva,  sulla  base  della  denuncia  di nascita
contenente   il   contestuale  riconoscimento  della  figlia  comune,
raccolta   in   data   15 novembre   2002   dal  direttore  sanitario
dell'Ospedale  di San Candido, trascritto il cognome «P.........» nel
registro degli atti di nascita.
    Nel  corso  del  procedimento  veniva  escussa  la  teste  M. T.,
dipendente  dell'Ospedale di San Candido, che confermava il desiderio
espresso  dai  genitori  odierni  ricorrenti  di veder assegnato alla
figlia il cognome della madre «P..........».
    Ritenuto  ai  sensi dell'art. 262, comma 1, cod. civ., in caso di
riconoscimento  contemporaneo  da  parte  di  entrambi  i genitori il
figlio naturale si vede automaticamente assegnato il cognome paterno,
senza che ai genitori sia riconosciuta alcuna facolta' decisionale in
proposito.  Tale  precisa  disposizione  normativa  osta, nel caso in
esame,  all'accoglimento  della  comune  richiesta  di  modifica  del
cognome  della  minore,  con  assegnazione  a lei del nome materno al
posto di quello paterno e conseguente rettifica dell'atto di nascita.
La  decisione sulla domanda va adottata in applicazione dell'art. 262
c.c. che quindi risulta determinante, ai fini del giudizio.
    La  questione  di  costituzionalita'  della  norma, sollevata dai
procuratori dei ricorrenti, pare essere non manifestamente infondata.
    Come   le  disposizioni  sulla  trasmissione  del  cognome  nella
famiglia  legittima,  anche  la  norma ex art. 262, comma 1, c.c., si
fonda  sul principio della precedenza accordata alla trasmissione del
cognome paterno. Tale principio s'inserisce nella visione patriarcale
della  famiglia,  di  cui al codice civile del 1942 e testi normativi
precedenti.  Il  legislatore cosi' da un lato fa prevalere il cognome
paterno,  quindi  il  sesso  maschile, quale espressione della patria
potestas;  dall'altro  ha,  probabilmente nell'intento di tutelare il
figlio nato fuori dal matrimonio ma inserito in una presunta famiglia
di  fatto,  ritenuto di applicare a questa la disciplina regolante la
famiglia   legittima.   All'apparenza  il  legislatore,  in  caso  di
riconoscimento contestuale del figlio naturale ad opera di entrambi i
genitori,  partiva dal presupposto dell'esistenza di stabile rapporto
di  convivenza,  ragion  per  cui  regolamentava  la trasmissione del
cognome in modo analogo a quello valido per il caso di figlio nato da
genitori uniti in matrimonio.
    Sorgono,  sotto  diversi  aspetti,  dubbi di costituzionalita' in
riguardo  alla  preferenza  attribuita,  anche  in caso di filiazione
naturale,  alla  trasmissione  dei  cognome paterno rispetto a quello
materno.
    a) Violazione dell'art. 2 della Costituzione.
    Il   nome   costituisce  una  delle  espressioni  piu'  rilevanti
dell'identita'   personale   che   e'   tutelata   dall'art. 2  della
Costituzione  (si  veda Corte cost. n. 297/1996). Non solo identifica
la persona come individuo specifico nell'ambito della societa', ma ha
anche   la   funzione   di   rivelare  la  sua  appartenenza  ad  una
micro-formazione  sociale  qual'e' non solo la famiglia legittima, ma
anche la famiglia di fatto o anche la famiglia costituita da figlio e
un  solo  genitore,  anche in assenza di rapporto di convivenza tra i
genitori.  In  questa  accezione la trasmissione del cognome da parte
dell'uno  o  dell'altro  genitore  si  riflette  sull'identificazione
sociale   del  figlio  e  con  cio'  sul  suo  diritto  all'identita'
personale.
    Con la trasmissione del cognome paterno in caso di riconoscimento
contemporaneo  attuato  da  entrambi  i  genitori non coniugali, come
prevista    dall'art. 262,   comma   1,   c.c.,   al   figlio   viene
automaticamente  trasmessa  la  discendenza  paterna e l'attribuzione
sociale  alla  stirpe  paterna,  con  contestuale  preclusione di una
evidenziazione del collegamento con il ramo materno. Tale unilaterale
attribuzione  del  cognome  non e' ne' ragionevole ne' pare avere, in
caso  di  genitori  non  coniugati,  alcun cogente fondamento logico.
Simile  fondamento non pare possa ravvisarsi nella presunzione di una
stabile  convivenza  tra  i  genitori,  basata  sul  solo  fatto  del
contemporaneo   riconoscimento  del  figlio  naturale,  che  potrebbe
giustificare   l'applicazione,  in  via  analogica  della  disciplina
normativa  prevista  per  la  famiglia  legittima.  In primo luogo il
contestuale riconoscimento non puo' - da solo - essere valutato quale
indizio  per  ritenere  esistente la comunione di vita, quando invece
comprova  esclusivamente che entrambi i genitori accettano il bambino
e  sono  disposti  ad  assumere  le  responsabilita'  per  lo  stesso
(art. 261  c.c.).  In  secondo luogo, laddove in effetti sussista una
stabile   convivenza  more  uxorio,  proprio  tale  circostanza  puo'
rivelare  la  consapevole  volonta'  dei  conviventi  di  non vedersi
assoggettati  alle  regole  valide  per il rapporto matrimoniale. Non
pare   quindi   adeguato  insistere,  ciononostante,  sull'automatica
trasmissione del cognome paterno, tanto piu' che detta disciplina non
tutela  ulteriori  interessi  oltre  a quelli della unitarieta' della
famiglia legittima. La fattispecie considerata dall'art. 262, comma 1
c.c.  non  si  riallaccia all'esistenza di una convivenza more uxorio
tra i genitori che hanno effettuato il riconoscimento e non autorizza
neppure la relativa presunzione.
    Con  la  disciplina  esistente neppure viene tutelato l'interesse
del   figlio   alla  conservazione  o  allo  sviluppo  dell'identita'
personale, posto che in concreto potrebbe risultare assai piu' vicino
al  ceppo  materno.  Soprattutto nei casi in cui il padre non convive
con  il  figlio,  il  portare  il cognome paterno non necessariamente
risponde  meglio  ai suoi interessi - si pensi a tutte le situazioni,
in  cui  il  padre  biologico,  dopo iniziale entusiasmo e nonostante
riconoscimento,  si  sia  in  seguito defilato senza piu' minimamente
preoccuparsi  della  prole;  in simile caso non sussiste tra figlio e
ramo paterno alcun legame ne' sociale ne' affettivo, che debba essere
pubblicamente manifestato tramite l'attribuzione del cognome paterno.
    Del  pari  non  sussiste ne' principio ne' necessita', per cui la
trasmissione del nome debba essere uguale per piu' figli degli stessi
genitori non coniugati; lo stesso art. 262 c.c. permette, che in caso
di  riconoscimento  non contemporaneo il figlio assuma il cognome del
genitore  che  per  primo  li  riconosce, e che in caso di precedente
riconoscimento  da parte della madre possa, successivamente e dopo il
riconoscimento da parte del padre, assumere il cognome paterno (comma
20,  art. 262  c.c.).  La  disposizione  non richiede poi, che ove vi
siano  piu'  figli  nati  dagli stessi genitori non coniugati, questi
debbano per forza portare tutti lo stesso cognome. Potrebbe avverarsi
l'ipotesi di fratelli bilaterali con diversi cognomi, laddove uno dei
figli  sia stato riconosciuto prima dalla madre, il secondo dal padre
o  contemporaneamente da entrambi i genitori, senza che vi sia stata,
per  il primo, istanza di cambiamento del nome dopo il riconoscimento
anche da parte del padre ex art. 262 c.c., comma 2.
    Concludendo   puo'   affermarsi   che  il  diritto  all'identita'
personale  della  prole, tutelato dall'art. 2 della Costituzione, che
bene  puo'  estrinsecarsi anche nel portare il cognome materno, venga
leso  alla  trasmissione  automatica del cognome paterno nel caso del
riconoscimento  contemporaneamente  effettuato da parte di entrambi i
genitori, come prevista dall'art. 262, comma 1 c.c.
    b) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    La  norma  per  cui  in  caso  di riconoscimento contemporaneo di
figlio  naturale  a  questi automaticamente sia attribuito il cognome
paterno,  pare  ledere il principio di uguaglianza tra uomo e donna a
danno  di  quest'ultima.  Viene  attribuita  la prevalenza al cognome
paterno,  senza  che  la  madre  abbia la possibilita' di trasmettere
invece  il  suo  cognome.  Da  un  lato  questa  non puo' impedire il
riconoscimento  contemporaneo  da parte del padre; dall'altro neppure
il  consenso  esplicito del padre e' idoneo per trasmettere al figlio
il cognome materno.
    La  norma  determina  pertanto una discriminazione della madre (e
quindi  della  donna  in  generale), nonostante alla stessa, anche in
caso  di  filiazione naturale, il rinvio contenuto nell'art. 261 c.c.
garantisca  gli  stessi  diritti  e doveri che spettano al padre, nei
confronti del figlio.
    Nel  contesto appare utile richiamare gli obblighi internazionali
assunti dall'Italia, posto che gli stessi, quale concrete espressioni
del  principio fondamentale di uguaglianza, possono fornire un valido
criterio interpretativo. La convenzione dell'ONU del 18 dicembre 1979
per  l'eliminazione  di  ogni  forma di discriminazione nei confronti
della  donna,  ratificata  con  legge  14 marzo 1985, n. 132, prevede
all'art. 16,  recante  «Tutela  nel matrimonio e nella famiglia», che
gli  Stati  contraenti  debbano  adottare  tutte  le misure idonee ad
eliminare la discriminazione della donna nell'ambito del matrimonio e
della  famiglia e debbano, sulla base della parita' fra uomo e donna,
altresi' garantire:
        «d) gli  stessi  diritti  e  le  stesse  responsabilita' come
genitori,  indipendentemente  dalla  situazione  matrimoniale,  nelle
questioni  che  si riferiscono ai figli in ogni caso, l'interesse dei
figli sara' la considerazione preminente;
        g) gli  stessi  diritti  personali  al  marito e alla moglie,
compresa  la  scelta  del  cognome,  di  una  professione  o  di  una
occupazione».
    Le  raccomandazioni  del  Consiglio  europeo  n. 1271  del 1995 e
n. 1362  del  1998  sanciscono  che il mancato rispetto della stretta
uguaglianza  tra  madre e padre nella trasmissione del nome contrasta
con il principio fondamentale di uguaglianza.
    Queste  fonti internazionali confermano e rafforzano il dubbio di
incostituzionalita'  dell'art. 262, comma 1, seconda frase c.c., gia'
emerso dalla lettura dell'art. 3 della Costituzione.
    c) In  conclusione,  questo  tribunale  ritiene  che la decisione
sulla  costituzionalita'  della  norma  in  oggetto  non  possa farsi
dipendere    dal    fatto    che    un'eventuale    declaratoria   di
incostituzionalita'  renderebbe  praticabili  piu'  opzioni  in punto
scelta    del   cognome   per   il   figlio   naturale   riconosciuto
contestualmente   da   padre   e  madre,  scelta  questa  rimessa  al
legislatore  che  l'avrebbe gia' compiuta accordando la preferenza al
cognome paterno. La discrezionalita' del legislatore nella scelta fra
piu'  soluzioni  astrattamente possibili e' insuscettibile di censura
solo  laddove  operi nell'ambito dei limiti posti dalla Costituzione.
Laddove  invece  siano  violati  i  limiti  costituzionali  non  pare
possibile   esimersi   dalla   declaratoria   di  incostituzionalita'
semplicemente    adducendo    che   questa   creerebbe   una   lacuna
nell'ordinamento,  colmabile  solo  dal legislatore nell'ambito della
sua  discrezionalita'; si rischierebbe di porre in sospeso il sistema
di tutela costituzionale garantita al cittadino.